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Il nostro continente rischia dunque di riscoprirsi all ' improvviso spezzato dalle storiche nozioni di Oriente e Occidente . Là dove correva la cortina di ferro , torna minaccioso a proporsi il fantasma del primo grande Scisma della cristianità , se è vero che Stati neppure tutti confinanti tra loro come la Serbia , la Russia e la Bielorussia - grazie al potere suggestivo degli antichi simboli comuni , riesumati dalle ceneri del comunismo - addirittura meditano di fondersi in una federazione . Il nostro ecumenismo laico , erede di una tradizione giudaico - cristiana deprivata dei suoi riferimenti alla trascendenza , da noi rimodellati in forma di ideali civili , alla fine del millennio viene chiamato a fare i conti col fenomeno nuovo delle etno - religioni . Ha certo ragione da vendere chi , come Paolo Rumiz nei giorni scorsi , ci mette in guardia dagli abusi storici e dalle manipolazioni propagandistiche che contraddistinguono l ' irrompere minaccioso delle etno - religioni . Ma resta il fatto della loro proliferazione a Oriente , per mano consapevole dei Patriarcati delle Chiese ortodosse di Russia e di troppi leader politici rosso - bruni . Il mito ascetico dei " folli in Cristo " nuovamente s ' incontra col mito guerriero del principe Lazzaro evocato da preci irriducibili : " Con cuore virtuoso e per amor di pietà hai affrontato il serpente e il nemico delle chiese di Dio , giudicando che il tuo cuore non avrebbe tollerato la vista dei cristiani sottomessi agli Ismaeliti " . è evidente che preghiere altrettanto bellicose si possono rintracciare pure tra i crociati cattolici , i combattenti dell ' Islam e dell ' ebraismo . Anzi , bisogna pur dire che in altre zone del pianeta , dalla metà degli Anni Settanta in poi , l ' integralismo religioso ha scatenato purtroppo più di una guerra santa . Il richiamo al divino quale strumento di organizzazione dei conflitti sociali e di civiltà , è una modernissima conseguenza della globalizzazione . Ma intanto dobbiamo fare i conti con i Balcani e più in generale con un ' Europa nella quale le spinte unificanti a fatica contrastano quel processo di frantumazione da cui già sono nati numerosi nuovi Stati e staterelli , per lo più fondati su base etnica . Danièle Hervieu - Léger , nel primo volume della " Storia d ' Europa " ( Einaudi ) descrive le etno - religioni come una conseguenza dei " mutamenti storici che fanno vacillare le strutture mentali degli europei " . Proliferano le " domande identificanti " in risposta all ' " accentuata diffusione dell ' individualismo " . I loro inventori cercano di salvare " la finzione dell ' appartenenza comunitaria " e adoperano le religioni storiche " come una materia prima simbolica , estremamente malleabile , suscettibile di diversi trattamenti a seconda delle esigenze dei gruppi che vi attingono " . Così si elaborano le identità etniche , poco importa se fasulle . I simboli religiosi vengono mobilitati in funzione identificante , dalla Giovanna d ' Arco manipolata da Le Pen fino al beato Basilio moscovita . Come dimenticare , dieci anni dopo la promulgazione della " fatwa " contro Salman Rushdie , che furono i giovani indo - pakistani in scarpe da tennis , immigrati di seconda generazione , a imporla al Consiglio delle moschee di Bradford , ben prima del sigillo pervenuto da Teheran ? Lo spiega bene Gilles Kepel ( " A ovest di Allah " , Sellerio ) , dimostrando come anche il fondamentalismo islamico sia piuttosto il prodotto moderno di una crisi della laicità dentro i circoli universitari , approdato solo in un secondo tempo nei ghetti e nelle bidonvilles . Si tratta , in tutti questi esempi , di manipolazioni dei più antichi simboli religiosi . Quando tre anni fa , in casa nostra , Umberto Bossi cercò di ancorare una posticcia identità etnica dei Padani all ' improbabile invenzione del dio Eridanio sorgente dal Po , precipitò nel ridicolo . E non a caso oggi anche lui - abiurato in fretta e furia il neo - paganesimo - preferisce riconoscersi nello " scudo cristiano " minacciato dal ritorno dell ' " impero musulmano " con l ' aiuto dell ' Anticristo a stelle e a strisce . Le etno - religioni hanno bisogno di solidi riferimenti al sacro , come tali in grado di alimentarsi dalle tragedie storiche più recenti . Come dimenticare , ad esempio , che alle spalle del nuovo nazionalismo di Belgrado ci sono anche gli anni feroci della Seconda guerra mondiale , quando i serbi venivano massacrati a centinaia di migliaia nel lager croato di Jasenovac in cui agivano anche dei frati francescani come il famigerato Filipovic ? Nei tempi bui delle etno - religioni , anche i leader democratici dell ' Occidente laico sono tentati di ricorrere all ' immagine di Milosevic quale " nuovo Demonio " , com ' è scappato detto a Tony Blair . Perché la guerra europea torna ad assumere le vesti di guerra di religione . La trasformazione è impressionante , nel confronto con gli altri conflitti di questo secolo . è stato , indubbiamente , un secolo costellato di pulizie e trapianti etnici di intere popolazioni . Non possiamo dimenticare neppure che nella primavera di sessantuno anni fa la stessa nascita dello Stato di Israele fu favorita dall ' evacuazione forzata di centinaia di migliaia di palestinesi , benché non vi sia paragone possibile con la ferocia di quanto avvenuto in Bosnia e in Kosovo . Se cito questo esempio " imbarazzante " , è per rilevare le profonde differenze culturali rispetto all ' epoca delle etno - religioni . Le due correnti sioniste che combattevano in Palestina , quella socialista e quella revisionista , erano entrambe profondamente laiche . Zvi Kolitz , il militante dell ' Irgun che ci ha consegnato un meraviglioso apocrifo in cui raffigura l ' ultimo ebreo combattente del ghetto di Varsavia ( " Yossl Rakover si rivolge a Dio " , Adelphi ) , esibisce addirittura sfrontatezza nel rivendicare la propria emancipazione dal Signore : " Credo nel Dio d ' Israele , anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui ... Il mio rapporto con lui non è più quello di uno schiavo verso il suo padrone , ma di un discepolo verso il suo maestro . Chino la testa dinanzi alla sua grandezza ma non bacerò la verga con cui mi percuote " . Nel Novecento , fino a poco tempo fa , neppure in Terrasanta si osava combattere nel nome di Dio . Sono le etno - religioni , oggi , in Europa , a disseppellire il dio della guerra e a proporlo come supremo garante dei confini . Confini etnici , appunto , o ancor peggio confini tra mondi , tra il Bene e il Male , tra l ' Oriente e l ' Occidente . Speriamo di fermare in tempo questa nuova , surreale concezione della guerra . Facendo televisione , in questi giorni , si viene sommersi da lettere astruse di pseudo - esperti che sventolano vigorosamente le più varie ascendenze etniche , richiamando la nobile origine degli albanesi negli illiri , piuttosto che la slavità di molte popolazioni musulmane europee . Così incede la balcanizzazione dei nostri cervelli . Qualcuno un giorno o l ' altro si metterà in testa di riesumare dal Duomo di Otranto le ossa dei martiri cristiani trucidati dai saraceni , per dimostrare che gli albanesi sono nostri nemici .
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C ' è un borbottio sommerso che sfugge a quest ' Europa delle sinistre , filoatlantica , chiusa nei suoi videogiochi , distratta e lontana dal territorio . Dice : il Diavolo parla americano , paga in dollari . Impone un ordine globale totalitario , svuota le identità locali , mina l ' euro e le nostre economie , costruisce una nuova Babele con raffiche di missili e ondate di immigrati : ieri i marocchini , oggi i kosovari albanesi . è un immaginario diffuso : infiamma i partigiani di un antiamericanismo nuovo , si salda ai regionalismi etnici , alle piccole patrie , a una xenofobia subdola , meno roboante e ben mascherata di buon senso e pietismo umanitario . La guerra dei Balcani fotografa alla perfezione schematismi e pregiudizi di un pensiero medio , di un immaginario diffuso e trasversale che offre a Milosevic sponde inattese . Il duce dei serbi , col suo mito del sangue e della terra , rientra in pieno nella mitologia di questo scontro epocale : simboleggia la resistenza al Moloch americano , l ' ultima trincea d ' Europa contro l ' espianto delle identità , la difesa della " Heimat " e dell ' autoctonia contro l ' orda degli erranti " sans papiers " e senza patria , contro il loro corteo di droga , mafia , prostitute e intellettuali cosmopoliti . Non è uno schema ideologico . Non nasce nei partiti . NON HA niente a che fare con i pacifismi in guerra con le basi Nato in Italia , con i bollori sovietici di Rifondazione , l ' odio neofascista per la cricca demo - pluto - giudaico - americana , e nemmeno con gli approcci che in piena guerra Gianfranco Fini tentò con i boss di Belgrado per riavere la Dalmazia . Non viene nemmeno dagli intellettuali franco - tedeschi in trincea contro l ' inquinamento della cultura dello zio Sam . Qui è altra musica . Questo mugugno nuovo cresce nel cuore più ricco e conservatore del Continente : nei capannoni e nei bar sport della Pedemontania lombardoveneta di Bossi , nelle birrerie e nelle valli " higt tech " della potente Baviera di Edmund Stoiber , nelle taverne e tra i contadini della Carinzia appena conquistata da Joerg Haider . Esplode in Provenza con l ' ondata anti - immigrati cavalcata da Jean - Marie Le Pen ; serpeggia tra gli indipendentisti savoiardi di Patrice Abeille e gli allevatori della Svizzera di lingua tedesca , arroccati nei loro microcosmi vallivi per paura della nuova competizione mondiale . Sfiora persino la quieta Slovenia , dove la febbre europea del dopo - Jugoslavia è già diventata diffidenza . Cresce nell ' ombra , si rivela solo in parte nei sondaggi . A Montebelluna come a Rosenheim in Baviera , a Lugano come ad Avignone , è il sismografo di un ' ansia nuova , di una nevrosi da appartenenza , da spaesamento e talvolta da superlavoro . è l ' affioramento della turbolenza identitaria di un mondo ricco ma culturalmente impoverito , economicamente forte ma insicuro , gonfio di autostima eppure indifeso di fronte alla complessità dei tempi . Un mondo chiuso che si autoreferenzia , rischia derive di tipo vittimistico e localista , ed è sensibile alle roboanti metafore e alle semplificazioni della demagogia . Esso indica una trasformazione culturale e antropologica di cui non si sono ancora fotografate le dimensioni . Il pensiero che coniuga il pregiudizio antiamericano a quello anti - immigrati non è maggioritario nelle nazioni di riferimento , ma è geograficamente compatto , delinea quello che Luc Rosenzweig definisce , su " Le Monde " , un fenomeno di " populismo alpino " . Rosenzweig ricorda che mentre il nazismo e il fascismo nacquero nelle metropoli industriali devastate dalla disoccupazione di massa , questo populismo cresce nel mondo dei ricchi , è un fenomeno di provincia , parte dalle valli e si sente minacciato dalle Capitali , dalle loro tasse e i loro politicanti corrotti . Gli stessi Cobas del latte , gli stessi operai della piccola industria che da sempre guardano a Bruxelles come al simbolo della " degenerazione burocratica dell ' Europa delle pianure " , oggi , con la guerra dei Balcani , guardano all ' America come alla grande destabilizzatrice . Ed ecco Bossi che in pieno parlamento si dichiara a favore di Milosevic e ricorda al mondo che gli albanesi sono " immigrati " per definizione . Tali , dovunque essi siano : in Italia , in Serbia dove stanno da secoli , persino in Albania che è casa loro . Come dire : sono razzialmente extracomunitari , biologicamente dei virus . Boutade ? Niente affatto . Come tutti i demagoghi , Bossi si limita ad amplificare un malumore diffuso . Percepisce come un sismografo il borbottìo di fondo , il pregiudizio anti - immigrati che oggi si focalizza attorno agli albanesi con immagini parassitologiche che non sentivamo dai tempi del dottore Mengele . Otto anni fa la Lega stava con i secessionisti sloveni : oggi avrebbe dovuto , per coerenza , stare con quelli albanesi del Kosovo . Invece no , sta con la Serbia : e il cambio fotografa meglio di ogni altro la sua deriva " voelkisch " , etnoculturale . è il nuovo razzismo che André Taguieff chiama " differenzialista " . La cacciata degli immigrati è nobilitata da un principio : quello del " ciascuno a casa sua " . Ed ecco che il Diavolo non è più chi divide ma chi unisce , dunque " uccide le razze , mescolandole " . è il razzismo che utilizza la sintassi dell ' antirazzismo ; è la destra che , per conquistare consensi , ricicla il Pantheon delle sue idee servendosi degli idiomi della sinistra . Così , la crisi balcanica è commentata su " La Padania " di Bossi nientemeno che da Alain de Benoist , il padre della nuova destra europea che oggi si ispira ad Antonio Gramsci , padre della sinistra italiana . Nei suoi editoriali in prima pagina , l ' antiamericanismo è la colonna portante . Gli yankee , scrive de Benoist sul quotidiano della Lega Nord , " questi specialisti della guerra di diritto , sono abituati a giustificare il massacro di migliaia di civili per considerazioni umanitarie e morali " . Del genocidio degli albanesi , nemmeno una parola . " Clinton Moerder " , Clinton assassino , sta scritto intanto sui muri di Klagenfurt in questi giorni che vedono , come sessant ' anni fa , nuovamente bombe su Belgrado e nuovamente uno xenofobo al potere in Austria , per ora nella piccola Carinzia . L ' autunno scorso , proprio su un lago carinziano , a Portschach , gli esordienti D ' Alema e Schroeder inauguravano il nuovo corso di sinistra dell ' Unione . Appena cinque mesi dopo quello stesso lago vedeva la riscossa della Destra etnica e il massimo risultato mai conseguito da un partito razzista nel dopoguerra in Europa . E la percentuale più alta - 55 per cento per Haider - era , incredibilmente , proprio quella del Comune di Poertschach . Vi sono segnali , nella storia : dicono che le masse si muovono rasoterra , indipendentemente dai voli pindarici della politica delle cancellerie . Haider è il simbolo perfetto di questa nuova destra presentabile dal forte sentire antiamericano . Il giornalista Bruno Luverà , autore su " Limes " di un saggio dal titolo " L ' internazionale regionalista tra maschera e volto " , fotografa bene il pensiero che , a cavallo delle Alpi , segna il nucleo ricco del Continente . Al federalismo solidale gestito dagli Stati nazionali si sostituisce in Baviera , Carinzia o in Padania , quello etnico - regionale basato sul sangue e sul suolo . Il concetto di razza è reso digeribile perché trasformato in etnopluralismo , inteso come diritto delle " Heimat " alle rispettive differenze . Da qui una visione " mixofobica " , ostile all ' America del melting pot e quindi potenzialmente alleata di chiunque resista all ' " etnocidio " . C ' è una sola guerra che conta , aveva scritto qualche tempo fa il nostro de Benoist . Quella a cui bisogna prepararsi opporrà l ' Europa agli Stati Uniti , la civiltà alla barbarie mercantile e degenerata . Pascal Bruckner ricorda che questo è esattamente il discorso della propaganda di Milosevic in queste ore cruciali . Clinton come Hitler , la svastica sulle stelle e strisce . E i serbi , non gli albanesi deportati , sono i nuovi ebrei , le nuove vittime della crociata americana contro l ' Europa . Su questa lunghezza d ' onda può scattare un ' attrazione fatale fra il populismo subalpino e quello , post - comunista , dei Balcani .
Il sacrificio della forza ( Citati Pietro , 1999 )
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Un tempo , esisteva nel mondo quella qualità atroce , quell ' incomunicabile dono di natura , che Simone Weil chiamava " la forza " . Amava incarnarsi nel volto di Giulio Cesare : nel viso , stranamente femmineo , di Augusto : nei lineamenti di Napoleone ; e trovò forse la sua ultima incarnazione nella figura massiccia di Stalin . La forza si proponeva dei fini . Aveva immensi progetti : invadere popoli , conquistare nazioni , allargare il potere , possedere l ' universo , spostare sempre più lontano i confini dell ' orizzonte . Non pensava . Centinaia di servi , sacerdoti e scrittori , elaboravano idee e filosofie di ogni specie che giustificavano il suo potere come se fosse voluto da Dio , anzi lo stesso Dio in terra . Non aveva scrupoli . Non conosceva sfumature , penombre , mezzi termini , e non le importava di costruire i propri trionfi sopra mucchi di cadaveri , teste tagliate e fiumi di sangue . Trovava che nulla era più piacevole di quell ' acuto odore di sangue : nulla più sontuoso di quelle montagne di corpi sacrificati per lei e ammucchiati ai suoi piedi . Mentre gli altri uomini si lasciavano trascinare dalle passioni , il potente era calmo , freddo , distaccato , contemplativo . Dominava le proprie passioni , impediva al proprio io di esibirsi : rinviava , pazientava , attendeva , preciso e oggettivo come lo sguardo che la Stella Polare getta sul mondo . Se conosceva questa calma nella tempesta , questa freddezza nello scatenamento , se dormiva senza sogni la vigilia della battaglia che avrebbe deciso il suo destino , egli non aveva bisogno di combattere . Il potere era già saldo nelle sue mani . Quando agiva , aveva di fronte centinaia di possibilità che si contraddicevano a vicenda : migliaia di particolari sui quali ciascuno degli altri uomini avrebbe posato lo sguardo . Egli non scorgeva queste possibilità , né questi particolari . Alzava il braccio , dava inizio alla battaglia , lanciava una parola d ' ordine semplicissima , inventava una formula elementare , che coglieva una minima parte della realtà . Gli altri uomini si chiedevano : " Come farà a vincere , se non capisce le cose ? " . Ma proprio perché non capiva i particolari , il potente sapeva aprire con la violenza le porte , per gli altri ostinatamente chiuse , della realtà . Vi entrava , la possedeva , insediandosi come un sovrano in questo luogo che non capiva . Quanto gli uomini hanno adorato la forza : quanto hanno amato i loro principi , tiranni , spietati massacratori . Nessuna qualità ha mai esercitato più fascino della forza , suscitando una mescolanza ripugnante di terrore e di attrazione : desiderio di adorare , di venire schiacciati , umiliati e sacrificati . Tre massacratori come Napoleone , Hitler e Stalin sono stati idolatrati . In molte città d ' Europa vive ancora qualcuno , che ha pianto tutte le sue lacrime quando Stalin - il " padre " mite e buono - è stato portato via dalla morte . Alla fine , la forza ripagava i propri succubi . Quando il mondo era diventato suo , il potente mutava volto . Come il sole allo zenit , lasciava cadere sui milioni di sudditi che si agitavano ai suoi piedi , sui nemici che aveva ucciso , sugli uomini ancora da nascere che avrebbero continuato ad adorarlo , un sorriso stranamente amoroso . Nessun sorriso umano era dolce come questo sorriso nutrito di sangue . Da cinquant ' anni , la forza è quasi scomparsa dal mondo occidentale . Gli europei e gli americani moderni non l ' amano più . Per decine di secoli , hanno conosciuto i suoi orrori , le sue furie , il suo soffocante dominio , il suo logorante potere . Ora vorrebbero vivere nel regno della ragione , dove il commercio , la mediazione , il compromesso , il discorso , forse l ' amore sostituiscono l ' urto degli eserciti in battaglia . Nella società moderna , qualcosa ripugna profondamente alla forza . Le banche , le industrie , i calcolatori hanno bisogno di essere avvolti e fasciati dalla pace : tollerano , spesso provocano forme terribili di oppressione , degenerazioni che soffocano l ' animo quanto la più assoluta delle dittature ; ma la realtà della forza - con quell ' odore di terra e di sangue - ripugna alle loro narici delicate . Amano l ' irrealtà : la televisione e i computer ci introducono in un mondo irreale ; mentre nulla è più reale della forza . Il potere si è diffuso . È immagine televisiva , parola detta o stampata , libro che finge di essere innocente , partito , sindacato , musica ripetuta fino all ' ossessione , pubblicità , vestito innocentemente indossato . Tutti ne posseggono una piccola parte ; ed è difficile che si produca quella paurosa concentrazione psicologica di potere , dalla quale un tempo nasceva la forza . Quando ricorrono alla forza , gli uomini moderni intervengono tardi , con dubbi e incertezze . Intervengono con un tale accompagnamento di cautele e di riguardi da rendere inefficaci le armi ; e alla fine , quando tutto o quasi tutto è ormai perduto , sovente impiegano la forza con un eccesso , che tradisce la loro cattiva coscienza . Se la Francia e l ' Inghilterra avessero obbligato Mussolini ad abbandonare l ' Etiopia , se avessero salvato la democrazia spagnola , se avessero impedito a Hitler di annettere Austria e Cecoslovacchia , - l ' Europa non avrebbe conosciuto il disastro . Questa storia si è ripetuta senza fine nel dopoguerra : in Vietnam , in Ruanda , in Jugoslavia , dove l ' Occidente ha inviato i suoi aerei con molti anni di ritardo . Il risultato di queste inquietudini , paure , cautele , improvvisi furori sono state ondate di terrificante violenza . Qualcuno ci dice : " Rinunciate alla forza " , ripetendo agli uomini che si odiano la parola del Vangelo . Certo , la parola del Vangelo deve essere continuamente proclamata e ripetuta : la forza deve essere negata , la violenza deve essere maledetta , nella speranza che il mondo si raccolga alla fine nella nuova Gerusalemme celeste , attorno all ' albero della vita . Non dobbiamo mai dimenticare che Cristo sta per giungere : la storia , che crediamo una cosa semplicemente umana , è divorata dall ' imminenza divina . Ma il regno di Dio scenderà in terra soltanto alla fine dei tempi : prima di allora non conosceremo l ' albero della vita . Se vogliamo anticiparlo , realizzando completamente e totalmente il regno di Dio , costruiremo soltanto l ' edificio del Male Assoluto , come ci hanno dimostrato tutti i tempi e i paesi . Intanto , mentre viviamo in questo tempo intermediario , dobbiamo accontentarci di mete limitate . Se gli uomini non si amano tra loro , possiamo indurli ( talvolta costringerli ) a tollerarsi a vicenda , vivendo gli uni accanto agli altri come coinquilini se non come fratelli . Non è possibile rinunciare alla forza . Altrimenti , sempre nuovi assassini offenderanno i loro cittadini e i loro vicini : costruiranno le loro montagne di teste tagliate : si bagneranno nel sangue , in nome di ideologie sempre diverse e tutte eguali , perché " lo smunto assassinio " sa assumere tutti i nomi . Giunti alla fine del ventesimo secolo , mi chiedo se in futuro potremo usare la forza con più saggezza che in passato . È soltanto un ' utopia infantile ? La forza non è che brutalità scatenata , alla quale è necessario sottometterci ? Non ci resta che essere succubi e complici ? Penso che sia possibile usarla e domarla . Ormai è una qualità del passato : noi non la amiamo , siamo lontanissimi da lei e dalle sue seduzioni , detestiamo i grandi tiranni e massacratori , non proviamo nessuna soggezione psicologica occulta verso di loro . Proprio per questo possiamo studiarla , reimpararla , riapprenderla , come si tenta di apprendere una virtù spirituale . È una specie di esercizio ascetico : il più difficile degli esercizi . Lo compiamo contro noi stessi : odiamo la forza mentre la usiamo , esecriamo noi stessi che assumiamo le sue apparenze ; non ricorriamo a lei per imporre il nostro dominio , ma soltanto per evitare mali più terribili . Compiamo ogni azione come un sacrificio , del quale siamo le prime vittime . Simone Weil visitò la Germania giovanissima , l ' anno prima che Hitler prendesse il potere . Mentre l ' Europa era cieca e confusa , mentre nessuno capiva quali drammi e orrori si andavano preparando , lei - quasi sola - comprese cosa avrebbe travolto la Germania di Weimar . Negli anni successivi , commise un errore , di cui si sentì colpevole per il resto della vita . Diventò pacifista . Pensava che qualsiasi male , persino Hitler , sarebbe stato preferibile alla guerra . Ma poi espiò quest ' errore ; e via via che si avvicinava sempre più al suo Dio sconosciuto , venerando ciò che è puro , i Vangeli , l ' Antigone , Platone , la Baghavadgita , la musica gregoriana , - la sua conoscenza dei meccanismi della forza diventò perfetta . Sapeva che era necessario usare tutta la forza contro Hitler : senza limiti , né compromessi ; e sacrificò se stessa alla necessità tremenda del suo compito . Possiamo imparare da quest ' Antigone dei tempi moderni . Qualcuno ha già cominciato , come Emma Bonino o Barbara Spinelli che ci ricorda inflessibilmente i doveri dell ' Europa mentre guarda i quadri di Vermeer e gli angeli medioevali . Dobbiamo esercitarci , stoicamente , freddamente , a impiegare la forza che non amiamo . Se vogliamo usarla , dobbiamo domare le nostre passioni : impedire al nostro ego di offuscarci lo sguardo : cancellare idee , interessi , sentimenti e fantasticherie che ci turbano l ' animo : cercare di conoscere le diverse situazioni storiche , con lucidità e precisione assoluta ; sapere che l ' azione deve essere rara , ma non conoscere rinvii e compromessi . Solo allora , essa potrà scendere come un angelo dell ' Apocalisse e cauterizzare il male e la ferita .
Aguzzini sotto le bombe ( Sofri Adriano , 1999 )
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Ci sono porte destinate a non aprirsi . Scantinati senza finestre . Luoghi riservati . Letti di contenzione , sedie per slogare . È raro che vengano alla luce : per un terremoto , per un ' eruzione vulcanica . È raro che se ne parli : gli ospitati non ne escono vivi . È più facile che ne parlino i gestori : si resiste difficilmente alle vanterie , anche quando possono costare . Nel Kosovo riaperto si sapeva - purché lo si volesse sapere - che si sarebbero trovati forni e fosse comuni . Non era facile immaginare lo scantinato della tortura . Gira in questi anni una - detestabile - mostra sugli strumenti di tortura : la vergine di Norimberga , le ruote dentate , genere che ha i suoi amatori . Il repertorio interrato che da Pristina è arrivato sui nostri teleschermi è tecnologicamente grossolano , ma moralmente scelto : i pugni di ferro , i coltellacci , i mazzi di preservativi , il bastone spaccato in due ( ne sarà stato orgoglioso , o seccato , quello che ha dato il colpo ? ) , la rinfusa di documenti personali dei torturati e dei giornaletti zozzi dei torturatori . Eloquente repertorio : museo già pronto per le scolaresche . Resistono stupidi pregiudizi sul conto della tortura , di cui i torturatori sarebbero i primi a farsi beffe . Che serva a qualcosa , a far parlare ... Ma no . La tortura è un ' arte , è un piacere , è gratuita . Deve far male dentro il corpo dell ' altro , dell ' altra . Quello scantinato è altra cosa dall ' assassinio di strada e dallo stupro compiuto a cielo aperto , al caso dell ' agguato e della furia improvvisa . Quello scantinato è la sala operatoria di una chirurgia d ' eccezione , in cui la potenza dell ' odio si è presa un ufficio , e lavora con metodo . Il paziente è di preferenza una giovane donna , e se no un uomo su cui si compiano atti di effeminazione oltraggiosa . Il torturatore è un uomo : lo diventa davvero lì dentro . È un luogo di iniziazione completa : dal giornaletto porno alla precauzione del preservativo , dal corpo spogliato e legato alla carne incisa , alle ossa frantumate , al sangue scolato in un recipiente lurido . Nella camera della tortura ogni movente mostra la propria fuorviante superfluità . Non importa più la divergenza nazionale e religiosa , neanche quella spinta all ' assassinio di massa o allo stupro di massa . C ' è il rapporto di potere nella sua essenza : il corpo a corpo fra il gruppo di armati e l ' inerme denudato . Sempre la tortura prende la mano ai suoi apprendisti , dovunque , nelle caserme di polizia , nelle celle di punizione , nelle stanze private in cui uomini piccoli e impazziti si vendicano della propria paura . Succede molto , molto largamente . Ieri era anche uscito il benemerito rapporto annuale di Amnesty , impressionante : eppure succede ancora più largamente . L ' omertà e la paura tengono ancora chiuse molte cantine . Possiamo fingere di non saperlo . La mia generazione ebbe fra le prime letture civili il saggio sulla tortura di Henri Alleg : era il 1958 , l ' Algeria . A nessuna generazione è mancato il suo addestramento . Ora i bambini vedono al telegiornale - i bambini vedono tutto , infatti - quel pavimento disseminato di ferri e mazze , in uno strano disordine ; ci si aspetterebbe una cura diversa , da uomini d ' ordine per eccellenza come sono i torturatori . Non so se si solleveranno dubbi , sull ' " autenticità " di questo scantinato . Se le cose stanno così - mi pare di sì - vorrà forse dire che gli aguzzini si sono lasciati prendere di sorpresa ; ma anche che è costato loro caro staccarsi da quel laboratorio professionale . Si dice che un ' antica dama implorasse graziosamente : " Ancora un minuto , signor boia " . Qui , forse , era il boia a chiedere per sè ancora un minuto . Chi ha percorso in questi anni la Jugoslavia conosce la scena infinita delle Pompei dei vivi , delle case abbandonate senza il tempo di afferrare un oggetto , di dare un ' ultima occhiata . A Spalato un soldato appena reduce dalla " pulizia " della Krajna di Knin , bevendo birra un po ' per festeggiare un po ' per tristezza , mi disse : " Si entra nelle case e si trova la vita normale , due bicchieri di plastica colorata da bambini , ho visto un orsacchiotto posato sullo schienale di un divano esattamente come ce n ' è uno a casa mia ... Questa è la cosa più dolorosa . Poi ho finito anch ' io col prendermi una targa d ' auto , come hanno fatto tutti " . Un altro mi volle regalare una bomba a mano serba , declinai , e accettai una banconota datata Knin 1992 . Neanche i soldi avevano fatto in tempo a portarsi via . Nella cantina di Pristina non hanno fatto in tempo a raccogliere i machete , né i preservativi . Bisogna tener ferme le distinzioni . Riconoscere , dietro la fisionomia comune della violenza fisica , della violazione corporale , della tortura , i tratti speciali di ogni nuova impresa . Pristina è Pristina : non solo un altro nome da aggiungere alla mappa della tortura nel mondo . A Pristina la " polizia " serbista ha dovuto fuggire all ' improvviso , questo ci dicono le immagini dell ' ispezione imprevista . Ma ci dicono anche che avevano avuto molto tempo . Per 78 giorni lo scantinato è stato un quieto riparo antiaereo , nel quale fare il lavoro . Per 78 giorni noi abbiamo fissato un buco nero che si chiamava Kosovo , senza vederne se non i bordi , persone schizzate fuori a suon di minacce botte sparatorie e bombe . Abbiamo gremito il cielo , e perso di vista la terra . Ci siamo chiesti che cosa stesse succedendo , per terra , sotto la terra . Si lavorava , nella cantina di Pristina . È doloroso , oggi , guardare il corteo vilipeso o esasperato di serbi che abbandonano a loro volta il Kosovo : era diventato fatale . Ma è commovente vedere il corteo di ritorno dei kosovari albanesi cacciati fuori dai confini . Mai , che mi ricordi , una popolazione deportata ha fatto ritorno alle sue case - alle sue macerie : si possono amare le proprie macerie - per effetto del soccorso dei potenti . Non certo dopo la Seconda guerra , e tanto meno per i suoi scampati ebrei . Bisogna esultare per questo rientro , ed esserne grati . Bisogna dire che l ' incriminazione di Milosevic e i suoi all ' Aia non ha affatto dilazionato la resa , ma l ' ha accelerata : e sarebbe stata comunque giusta . Bisogna riconoscere in sé il rischio orribile del negazionismo e della minimizzazione di fronte alla misura e alla profondità di una persecuzione , in nome di diffidenze e di partiti presi . Bisogna congratularsi che la nostra parte di mondo , a differenza che per la Bosnia , non si sia lasciata piegare dall ' antipatia per l ' anagrafe musulmana della maggioranza della gente kosovaro - albanese . Tuttavia , si deve tornare all ' inizio della questione . Perché una ottusità politica indusse a chiedersi se si dovesse o no intervenire a difesa dei kosovari , piuttosto che come intervenire . Anche dopo l ' inizio dell ' intervento , quando le milizie serbiste hanno risposto con l ' inaudita deportazione di centinaia di migliaia di persone , e nessuno avrebbe dovuto più esitare ad affrontare quella tragedia , qualunque giudizio si desse sulla sua origine . Oggi ci si congratula dello scampato maggior pericolo , e si rischia di barattare la " vittoria " - com ' era possibile che una " vittoria " non arrivasse ? - con la rassegnazione al modo in cui è stata ottenuta . Credo che non dovrebbe succedere . Né per questa volta , né per le prossime , che purtroppo ci saranno . Non si può lasciare per tanto tempo una gente indifesa in balia degli scannatori . Non si può tenersi il cielo , e abbandonare loro il suolo e gli scantinati . Risparmiare le " nostre " vite è un proposito lodevole , purché non manchi il soccorso . Non è con quel proposito che agiscono le forze di polizia , o i vigili del fuoco : perché dev ' essere altrimenti per la strapotenza militare del soccorso internazionale ? Qualunque conclusione si raggiunga sull ' efficacia di interventi militari nel corso della seconda guerra mondiale , resta imperdonabile l ' omissione , vile o rassegnata , di qualunque tentativo per anni , mentre si sapeva dello sterminio , dei suoi modi , dei suoi luoghi . Altri paragoni troppo ravvicinati sono impropri , ma questo confronto è difficile da eludere . Chi di noi non ha ceduto al sarcasmo nei confronti delle armi " intelligenti " , e degli imbecilli che le hanno chiamate così ? Ma è un fatto che una delle obiezioni - non la peggiore - all ' invocazione di bombardare Auschwitz - Birkenau durante la guerra riguardava l ' imprecisione delle armi . L ' obiezione principale fu che nessuna energia andava distolta dalla vittoria nella guerra , e che quella sarebbe coincisa con il salvataggio delle vittime . Col Kosovo , non poteva essere ripetuta . Bisognava soccorrere le vittime , non " vincere la guerra " . Mi dispiace del fraintendimento che mi procurerò , ma voglio fare un altro paragone . I nazisti si servirono della guerra , che aveva i suoi propri fini , per spingersi alla soluzione finale del problema ebraico - per sterminare gli ebrei . Anche per questo la posizione degli Alleati - vincere la guerra per salvare le vittime dello sterminio - era fuori luogo . In un certo senso , questo spostamento si è ripetuto nella vicenda del Kosovo : la Nato ha trattato come una guerra il suo intervento , e ha affidato alla ripetizione della strategia aerea la " vittoria " . Il regime serbo ha usato della " guerra " come dell ' occasione per liquidare il problema kosovaro : cioè decimare con gli assassinii la popolazione maschile , deportare quanta più gente possibile , e ridurre un popolo in gran maggioranza numerica e in forte crescita demografica a una proporzione " accettabile " : la metà . I deportati che non torneranno , gli uccisi che riempiono le fosse comuni o i pozzi di miniera , sono un risultato acquisito . L ' intervento della Nato non l ' ha impedito , l ' ha in parte involontariamente favorito . E la scoperta del sotterraneo della tortura ha divaricato fino al paradosso la distanza fra il pilota cui era interdetto scendere sotto i 5000 metri , e il perseguitato nel sottosuolo . La camera della tortura di Pristina è un di più , un lusso che la pulizia etnica si è regalata , nei suoi attori più scelti . Come ogni impresa gratuita , ha rivelato a perfezione il fondo della contesa . L ' attaccamento all ' odio , al potere , al sangue versato , all ' abiezione inflitta in gruppo a ciascuno degli altri . La morte del nemico , nella tortura , diventa un ' appendice , un effetto finale , se non addirittura un infortunio : la cosa sta nella sottomissione e nell ' agonia protratta , nel dolore distillato , nello spettacolo offerto dal suppliziato al macellaio . Le vittime sono comunque inermi : alla tortura ci si addestra tormentando una lucertola , sbatacchiando furiosamente un neonato che piange . Alla vista del locale e dei suoi utensili abbandonati , non riesco a vedere né a sentire le vittime , perché non voglio . Da quella cantina non si sentiva il rombo dei bombardieri della Nato : figurarsi se si potessero sentire dal nostro cielo le urla e i gemiti dei tormentati . Mute , le vittime . Quella camera improvvisamente spalancata non deve mostrar loro , né farle immaginare con paura o con raccapriccio . Deve far vedere gli aguzzini , il loro spalleggiarsi , le loro risate ubriache , i loro giornaletti e le loro tre dita levate . Restituire i jingle politici - la nazione serba , la battaglia sacra di Lazar , i monasteri magnifici e la fraternità panslava - alla loro dimensione personale , alla libertà senza confini di mettere alla prova se stessi sul corpo dell ' altro . Sono scappati a gambe levate , quegli artigiani efferati : lungo la strada avranno alzato le tre dita , incrociando i carri russi , o le telecamere di ogni parte . A Belgrado , o in un ' altra loro città , in un ' osteria o in una caserma , non resisteranno al piacere di raccontare che cos ' hanno fatto a Pristina . Troveranno altri come loro cui le cose si possono dire . Il bello di essere poliziotti - o paramilitari , è lo stesso , anzi meglio : parastatali della brutalità - in tempo di guerra patriottica è che si può fare tutto per una causa superiore . Sarebbe la dimostrazione finale del fatto che il male è più forte del bene , fra gli animali umani , se non si ricevesse ogni volta di nuovo la prova che resta nei torturatori e nei massacratori il fondo di una paura e una vergogna , la foga di cancellare le tracce . Qualcuno di noi l ' aveva temuto : i serbisti tiravano per le lunghe solo per avere il tempo di cancellare le tracce . La stessa cosa era successa ai nazisti . Quando lo sterminio passò dalle fucilazioni di massa alle camere a gas , fu anche per smaltire le scorie nei forni . I nazisti ( e tanti altri ) seppellirono e riesumarono tante loro vittime per riseppellirle o bruciarle : come hanno appena fatto bande serbe . Dicevano , gli altruisti carnefici nazisti : il mondo non è ancora preparato a capire . Non si può lavorare alla luce del sole . Anche i serbisti devono aver pensato così . Il mondo non è ancora preparato , e anzi ha incaricato un tribunale di occuparsene : benché non lo prenda ancora abbastanza sul serio .
Disarmiamo gli animi armiamo la ragione ( Martini Carlo Maria , 1999 )
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In queste settimane di guerra nei Balcani due parole mi tornano alla mente . La prima è di Bertolt Brecht al termine del suo lavoro teatrale : La resistibile ascesa di Arturo Ui : " E voi imparate che occorre vedere e non guardare in aria ; occorre agire e non parlare . Questo mostro stava , una volta , per governare il mondo . I popoli lo spensero , ma ora non cantiamo vittoria troppo presto , il grembo da cui nacque è ancora fecondo " . Questa metafora del grembo ancora fecondo evoca una delle cause di quanto sta avvenendo . C ' è una matrice dalla quale sono stati generati molti stermini , fino alla Shoah . Essa continua a generarne . I conflitti nelle terre dell ' ex Jugoslavia , la " pulizia etnica " , l ' esodo forzato delle genti del Kosovo lo attestano , come pure tanti altri conflitti in altre regioni del mondo che , pur drammaticamente vivi , non fanno notizia . Tutto questo non è lontano da noi . Anche il nostro Paese ha conosciuto vergognose " leggi razziali " . Altre " notti feroci " gravano sull ' Europa , come Primo Levi ci aveva avvertiti . Avevamo sperato in un sempre più diffuso e radicato costume democratico e invece di nuovo rinascono forme di dittatura , di violenta privazione della libertà . Questo millennio si avvia alla conclusione tra incursioni aeree , bombardamenti , stragi . La seconda parola a cui ripenso in questi giorni è stata pronunciata dall ' Assemblea delle chiese cristiane europee a Basilea nel maggio 1989 : " Abbiamo causato guerre e non siamo stati capaci di sfruttare tutte le opportunità di dialogo e di riconciliazione : abbiamo accettato e spesso giustificato con troppa facilità le guerre " . Questa parola ci ricorda le responsabilità che portiamo anche come cristiani . Sulle ragioni possibili di alcuni atti di guerra ( cioè sul tema di una eventuale " guerra giusta " ) , si è ragionato a lungo nei due millenni cristiani . Sant ' Agostino scriveva : " Fare la guerra è una felicità per i malvagi , ma per i buoni una necessità ... è ingiusta la guerra fatta contro popoli inoffensivi , per desiderio di nuocere , per sete di potere , per ingrandire un impero , per ottenere ricchezze e acquistare gloria . In tutti questi casi la guerra va considerata un " brigantaggio in grande stile " " ( De Civitate Dei , IV , 6 ) . Ma Giovanni XXIII nella Pacem in terris , afferma : " Nell ' era atomica è irrazionale ( alienum est a ratione ) pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento di riparazione dei diritti violati " . Il concetto di " guerra giusta " viene così superato . E il Concilio , che per lo più non ha voluto pronunciare anatemi , ha tuttavia su questo punto un parola ferma e dura : " Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti , è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato " . Tra le ragioni che hanno portato al superamento della dottrina della guerra giusta , accanto alla percezione dei danni incalcolabili prodotti dalle " moderne armi scientifiche " , vi è la progressiva adesione alla struttura politica di tipo democratico , con il riconoscimento dell ' opinione pubblica come istanza di controllo e di guida nella gestione del potere politico . Anche sul piano internazionale , il progressivo consolidarsi di una istanza sovranazionale costituisce una ( sia pur gracile ) alternativa alla guerra mediante la mediazione politica . Con la condanna del ricorso alla guerra , la coscienza cristiana va progressivamente superando anche la logica della deterrenza . La deterrenza , afferma il Concilio , " non è via sicura per conservare saldamente la pace ... le cause di guerre anziché venire eliminate da tale corsa minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente ... mentre si spendono enormi ricchezze per procurarsi sempre nuove armi , diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente " . In queste settimane di guerra ci ha costantemente guidato il magistero coerente e coraggioso del papa Giovanni Paolo II . Non dimentico le sue parole il mattino del primo giorno della guerra nel Golfo , era il 17 gennaio 1991 : " In queste ore di grandi pericoli , vorrei ripetere con forza che la guerra non può essere un mezzo adeguato per risolvere completamente i problemi esistenti tra le nazioni . Non lo è mai stato e non lo sarà mai . Continuo a sperare che ciò che è iniziato abbia fine al più presto . Prego affinché l ' esperienza di questo primo giorno di conflitto sia sufficiente per far comprendere l ' orrore di quanto sta succedendo e far capire la necessità che le aspirazioni e i diritti di tutti i popoli della regione siano oggetto di un particolare impegno della comunità internazionale . Si tratta di problemi la cui soluzione può essere ricercata solamente in un contesto internazionale , ove tutte le parti interessate siano presenti e cooperino con lealtà " . " Declino dell ' umanità , scacco della comunità internazionale , attentato ai valori più cari a tutte le religioni " , così diceva il Papa a proposito della guerra nel Golfo . Parole che dobbiamo ancora ripetere per la guerra nei Balcani . Dobbiamo instancabilmente cercare , pensare una alternativa all ' uso delle armi , anche quando essa sembra impossibile . Come vescovo avverto l ' urgenza di contribuire ad una educazione alla pace : solo scrutando le ragioni misteriose del male nella storia e nel cuore dell ' uomo possiamo comprendere perché la pace sia problema sempre aperto . Il riconoscimento del male in tutte le sue forme , questa immane potenza del negativo che ha nella guerra la sua manifestazione più drammatica , non deve però indurci al pessimismo paralizzando la fiducia nelle risorse positive dell ' uomo . Nasce di qui la tensione al dialogo come via privilegiata alla pace : " Ogni uomo , credente o no , pur restando prudente e lucido circa la possibile ostinazione del suo fratello , può e deve conservare una sufficiente fiducia nell ' uomo , nella sua capacità di essere ragionevole , nel suo senso del bene , della giustizia , dell ' equità , nella sua possibilità di amore fraterno e di speranza , mai totalmente pervertiti , per scommettere sul ricorso al dialogo e sulla sua possibile ripresa " ( Giovanni Paolo II , Messaggio per la Giornata della pace 1983 ) . Questa fiducia nell ' uomo è anzitutto fiducia nelle risorse della sua coscienza , soprattutto di quanti patiscono ingiustizia . Bisogna puntare " sulle forze di pace nascoste negli uomini e nei popoli che soffrono ... così da sottoporre le forze oppressive a delle spinte efficaci di trasformazione , più efficaci di quelle fiammate di violenza che in genere non producono nulla , se non un futuro di sofferenze ancora più grandi " ( Messaggio per la Giornata della pace , 1980 ) . Alla forza della coscienza e non alla violenza è affidata la causa della pace . Sul versante politico , la pace richiede strutture politiche sovranazionali davvero efficaci nell ' arginare le possibili sopraffazioni . Era già questo l ' auspicio di Paolo VI nel suo discorso alle Nazioni Unite nel 1965 : " Il bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che ad opera di Poteri pubblici aventi ampiezza , strutture e mezzi delle stesse proporzioni , di Poteri pubblici cioè , che siano in grado di operare in modo efficiente sul piano mondiale . Lo stesso ordine morale quindi domanda che tali poteri vengano istituiti ... Chi non vede il bisogno di giungere così , progressivamente , a instaurare un ' autorità mondiale , capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico ? " . In questi giorni di guerra ripenso al lungo , difficile cammino della coscienza cristiana durante due millenni nel giudicare la guerra e gli armamenti . Prima delle armi nucleari e chimiche il principio della legittima difesa poteva in certi casi condurre a parlare di guerra giusta . Ora invece si è convinti della tragica inutilità e moralità di una guerra condotta con questi nuovi tipi di armamenti . Dobbiamo augurarci che la coscienza critica dei cristiani e di ogni uomo faccia ancora dei passi ulteriori . Intanto occorre che la mobilitazione contro il male sia accompagnata da un ' opera progettuale , che dia nuova consistenza alla pace , alla sicurezza , alla stessa dissuasione . In tale linea : una ricerca di giustizia , di eguaglianza , di solidarietà , il potenziamento del dialogo , dei sistemi democratici , degli organismi di controllo internazionali . La stessa dissuasione dovrebbe fondarsi non già sulla minaccia rappresentata dagli arsenali , bensì su quelle risorse ben più degne dell ' uomo che sono la solidarietà internazionale , le sanzioni giuridiche , l ' isolamento di chi fa ricorso alla prepotenza e alla forza . Rassegnarsi alla logica della guerra o della dissuasione armata vuol dire accettare la spirale perversa degli armamenti e finire in una trappola mortale per l ' umanità . Dal punto di vista progettuale , accanto alla proposta di studiare forme efficaci di difesa civile non violenta , sta il riconoscimento del valore della obiezione di coscienza , la denuncia di certe forme di ricerca scientifica subalterne a logiche di distruzione , lo scandalo rappresentato dal divario crescente Nord - Sud alimentato dal commercio delle armi . Sta l ' appello alla mediazione politica come strumento di composizione dei conflitti ; l ' appello a disarmare gli animi , armando la ragione ; l ' appello a credere nella Parola : " Forgeranno le loro spade in vomeri , le loro lance in falci , un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo " . ( Isaia , 2,4 ) .
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Nel dicembre del 1993 si è svolto alla Sorbona , sotto l ' egida della Academie Universelle des Cultures , un congresso sul concetto di intervento internazionale . C ' erano non solo giuristi , politologi , militari , politici , ma anche filosofi e storici come Paul Ricoeur o Jacques Le Goff , medici senza frontiere come Bernard Koutchner , rappresentanti di minoranze un tempo perseguitate come Elie Wiesel , Ariel Dorfmann , Toni Morrison , vittime della repressione di vari dittatori , come Leszek Kolakowski o Bronislaw Geremek o Jorge Semprun , insomma molta gente a cui la guerra non piace , non è mai piaciuta e non vorrebbero vederne più . Si aveva paura a usare parole come " intervento " , che sapeva troppo di ingerenza ( anche Sagunto è stato un intervento , e ha permesso ai romani di fare fuori i cartaginesi ) , e si preferiva parlare di soccorso e di " azione internazionale " . Pura ipocrisia ? No , i romani che intervengono a favore di Sagunto sono romani , e basta . In quel convegno invece si stava parlando di comunità internazionale , di un gruppo di paesi che ritengono che la situazione , in un punto qualsiasi del globo , abbia raggiunto l ' intollerabile , e decidono di intervenire per porre fine a quello che la coscienza comune definisce un delitto . Ma quali paesi fanno parte della comunità internazionale , e quali sono i limiti della coscienza comune ? Si può certo sostenere che per ogni civiltà uccidere sia un male , ma solo entro certi limiti . Noi europei e cristiani ammettiamo per esempio l ' omicidio per legittima difesa , ma gli antichi abitanti del Centro e Sud America ammettevano il sacrificio umano rituale , e gli attuali abitanti degli Stati Uniti ammettono la pena di morte . Una delle conclusioni di quel tormentatissimo convegno era stata che , come avviene in chirurgia , intervenire significa agire energicamente per interrompere o eliminare un male . La chirurgia vuole il bene , ma i suoi metodi sono violenti . È consentita una chirurgia internazionale ? Tutta la filosofia politica moderna ci dice che , per evitare la guerra di tutti contro tutti , lo Stato deve esercitare una certa violenza sugli individui . Ma quegli individui hanno sottoscritto un contratto sociale . Che cosa avviene tra stati che non hanno sottoscritto un contratto comune ? Di solito una comunità , che si ritiene depositaria di valori molto diffusi ( diciamo i paesi democratici ) stabilisce i limiti di ciò che essa giudica intollerabile . Non è tollerabile condannare a morte per reati d ' opinione . Non è tollerabile il genocidio . Non è tollerabile l ' infibulazione ( almeno , se praticata a casa nostra ) . Pertanto si decide di difendere coloro che sono danneggiati ai limiti dell ' intollerabile . Ma sia chiaro che quell ' intollerabile è intollerabile per noi , non per "loro".Chi siamo noi ? I cristiani ? Non necessariamente , cristiani rispettabilissimi , anche se non cattolici , appoggiano Milosevic . Il bello è che questo " noi " ( anche se è definito da un trattato , come quello nord - atlantico ) è un Noi impreciso . È una Comunità che si riconosce su alcuni valori . Dunque quando si decide di intervenire in base ai valori di una Comunità , si fa una scommessa : che i nostri valori , e il nostro senso dei limiti tra tollerabile e intollerabile , siano giusti . Si tratta di una sorta di scommessa storica non diversa da quella che legittima le rivoluzioni , o i tirannicidi : chi mi dice che io abbia diritto di esercitare la violenza ( e che violenza , talora ) per ristabilire quella che ritengo una giustizia violata ? Non c ' è nulla che legittimi una rivoluzione , per chi l ' avversa : semplicemente chi vi si impegna crede , scommette , che ciò che fa sia giusto . Non diversamente accade per la decisione di un intervento internazionale . È questa situazione quella che spiega l ' angoscia che afferra tutti in questi giorni . C ' è un male terribile a cui opporsi ( la pulizia etnica ) : è l ' intervento bellico lecito o no ? Si deve fare una guerra per impedire una ingiustizia ? Secondo giustizia sì . E secondo carità ? Ancora una volta si ripropone il problema della scommessa : se con una violenza minima avrò impedito una ingiustizia enorme , avrò agito secondo carità , come fa il poliziotto che spara al pazzo assassino per salvare la vita a molti innocenti . Ma la scommessa è duplice . Da un lato si scommette che noi siamo in accordo col senso comune , che quello che vogliamo reprimere è qualche cosa di universalmente intollerabile ( e peggio per chi non lo capisce e ammette ancora ) . Dall ' altro si scommette che la violenza che giustifichiamo riuscirà a prevenire violenze maggiori . Sono due problemi assolutamente diversi . Ora provo a dare per scontato il primo , che scontato non è , ma vorrei ricordare a tutti che questo non è un trattato di etica , bensì un articolo di giornale , sordidamente ricattato da esigenze di spazio e di comprensibilità . In altre parole , il primo problema è così grave , e angoscioso , che non può , anzi non deve essere trattato sulle gazzette . Diciamo allora che è giusto , per impedire un delitto come la pulizia etnica ( foriero di altri delitti e di altre atrocità che il nostro secolo ha conosciuto ) , ricorrere alla violenza . Ma la seconda domanda è se la forma di violenza che esercitiamo possa davvero prevenire violenze maggiori . Qui non siamo più di fronte a un problema etico bensì a un problema tecnico , il quale ha tuttavia un risvolto etico : se l ' ingiustizia a cui mi piego non prevenisse l ' ingiustizia maggiore , sarebbe stato lecito usarla ? Questo equivale a fare un discorso sulla utilità della guerra , nel senso di guerra guerreggiata , di guerra tradizionale , che ha per fine l ' annientamento finale del nemico e la vittoria del vincitore . Il discorso sulla inutilità della guerra è difficile perché pare che chi lo fa parli in favore dell ' ingiustizia che la guerra cerca di sanare . Ma questo è un ricatto psicologico . Se qualcuno per esempio dicesse che tutti i guai della Serbia derivano dalla dittatura di Milosevic , e che se i servizi segreti occidentali riuscissero a uccidere Milosevic tutto si risolverebbe in un giorno , questo qualcuno criticherebbe la guerra come strumento utile per risolvere il problema del Kosovo , ma non sarebbe pro - Milosevic . D ' accordo ? Perché nessuno adotta questa posizione ? Per due ragioni . Una , che i servizi segreti di tutto il mondo sono per definizione inefficienti , non sono stati capaci di fare ammazzare né Castro né Saddam ed è vergognoso che si consideri ancora giusto sperperare per essi pubblico denaro . L ' altro è che non è affatto vero che quello che fanno i serbi sia dovuto alla follia di un dittatore , ma dipende da odi etnici millenari , che coinvolgono e loro e altre etnie balcaniche , il che rende il problema ancora più drammatico . Torniamo allora al discorso sulla utilità della guerra . Qual è stato nel corso dei secoli il fine di quella che chiameremo paleo - guerra ? Sconfiggere l ' avversario in modo da trarre un beneficio dalla sua perdita . Questo imponeva tre condizioni : che al nemico dovessero essere tenute segrete le nostre forze e le nostre intenzioni , in modo da poterlo prendere di sorpresa ; che ci fosse una forte solidarietà nel fronte interno ; che infine tutte le forze a disposizione fossero utilizzate per distruggere il nemico . Per questo nella paleo - guerra ( compresa la guerra fredda ) si stroncavano coloro che dall ' interno del fronte amico trasmettevano informazioni al fronte nemico ( fucilazione di Mata Hari , i Rosenberg sulla sedia elettrica ) , si impediva la propaganda del fronte avverso ( si metteva in prigione chi ascoltava Radio Londra , McCarthy condannava i filocomunisti di Hollywood ) , e si punivano coloro che , dall ' interno del fronte nemico , lavoravano contro il proprio paese ( impiccagione di John Amery , segregazione a vita di Ezra Pound ) perché non si doveva fiaccare lo spirito dei cittadini . E infine si insegnava a tutti che il nemico andava ucciso , e i bollettini di guerra esultavano quando le forze nemiche venivano sterminate . Queste condizioni sono entrate in crisi con la prima neo - guerra , quella del Golfo , ma si attribuiva ancora la smagliatura alla stupidità dei popoli di colore , che ammettevano i giornalisti americani a Bagdad , forse per vanità , o per corruzione . Ora non ci sono più equivoci , l ' Italia invia aerei in Serbia ma mantiene relazioni diplomatiche con la Jugoslavia , le televisioni della Nato comunicano ora per ora ai serbi quali aerei Nato stanno lasciando Aviano , agenti serbi sostengono le ragioni del governo avversario dagli schermi della televisione di stato , giornalisti italiani trasmettono da Belgrado con l ' appoggio delle autorità locali . Ma è guerra questa , col nemico in casa che fa propaganda per i suoi ? Nella neo - guerra ciascun belligerante ha il nemico nelle retrovie e , dando continuamente la parola all ' avversario , i media demoralizzano i cittadini ( mentre Clausewitz ricordava che condizione della vittoria è la coesione morale di tutti i combattenti ) . D ' altra parte , quand ' anche i media fossero imbavagliati , le nuove tecnologie della comunicazione permettono flussi d ' informazione inarrestabili - e non so quanto Milosevic possa bloccare non dico Internet ma le trasmissioni radio da paesi nemici . Tutte le cose che ho detto sembrano contraddire il bell ' articolo di Furio Colombo su Repubblica del 19 aprile scorso , dove si sostiene che il Villaggio Globale di McLuhaniana memoria sarebbe morto il 13 aprile 1999 , quando in un mondo di media , cellulari , satelliti , spie spaziali e così via , si dovette dipendere dal telefonino da campo di un funzionario di agenzia internazionale , incapace di chiarire se davvero fosse avvenuta una infiltrazione serba in territorio albanese . " Noi non sappiamo nulla dei serbi . I serbi non sanno nulla di noi . Gli albanesi non riescono a vedere sopra il mare di teste che li sta invadendo . La Macedonia scambia i profughi per nemici e li massacra di botte " . Ma allora , questa è una guerra dove ciascuno sa tutto degli altri o dove nessuno sa niente ? Tutte e due le cose . Il fronte interno è trasparente , mentre la frontiera è opaca . Gli agenti di Milosevic parlano nelle trasmissioni di Gad Lerner , mentre sul fronte , là dove i generali di un tempo esploravano col binocolo , e sapevano benissimo dove si appostava il nemico , oggi non si sa niente . Questo accade perché , se il fine della paleo - guerra era distruggere quanti più nemici fosse possibile , pare tipico della neo - guerra cercare di ucciderne il meno possibile , perché a ucciderne troppi si incorrerebbe nella riprovazione dei media . Nella neo - guerra non si è ansiosi di distruggere il nemico , perché i media ci rendono vulnerabili di fronte alla sua morte - non più evento lontano e impreciso , ma evidenza visiva insostenibile . Nella neo - guerra ogni armata si muove all ' insegna del vittimismo . Milosevic accusa orribili perdite ( Mussolini se ne sarebbe vergognato ) , e basta che un aviatore della Nato caschi a terra che tutti si commuovono . Insomma , nella neo - guerra perde , di fronte all ' opinione pubblica , chi ha ammazzato troppo . E dunque è giusto che alla frontiera nessuno si affronti e nessuno sappia niente dell ' altro . In fondo la neo - guerra è all ' insegna della " bomba intelligente " , che dovrebbe distruggere il nemico senza ammazzarlo , e si capiscono i nostri ministri che dicono : noi , scontri col nemico ? ma niente affatto ! Che poi un sacco di gente muoia lo stesso è tecnicamente irrilevante . Anzi , il difetto della neo - guerra è che muore della gente , ma non si vince . Ma possibile che nessuno sappia condurre una neo - guerra ? Nessuno , è naturale . L ' equilibrio del terrore aveva preparato gli strateghi a una guerra atomica ma non a una terza guerra mondiale , dove si dovessero spezzare le reni alla Serbia . É come se i migliori laureati del Politecnico fossero stati tenuti per cinquant ' anni a fare videogiochi . Vi fidereste a lasciargli fare ora un ponte ? Ma infine , l ' ultima beffa della neo - guerra non è che non ci sia nessuno oggi in servizio che sia vecchio abbastanza da avere imparato a fare una guerra - e non ci potrebbe essere in ogni caso , perché la neo - guerra è un gioco dove per definizione si perde sempre , anche perché la tecnologia che viene usata è più complessa del cervello di coloro che la manovrano e un semplice computer , benché fondamentalmente idiota , può giocare più scherzi di quanti ne immagini colui che lo manovra .. Bisogna intervenire contro il delitto del nazionalismo serbo , ma forse la guerra è un ' arma spuntata . Forse l ' unica speranza è nell ' avidità umana . Se la vecchia guerra ingrassava i mercanti di cannoni , e questo guadagno faceva passare in secondo piano l ' arresto provvisorio di alcuni scambi commerciali , la neo - guerra , se pure permette di smerciare un surplus di armamenti prima che diventino obsoleti , mette in crisi i trasporti aerei , il turismo , gli stessi media ( che perdono pubblicità commerciale ) e in genere tutta l ' industria del superfluo . Se l ' industria degli armamenti ha bisogno di tensione , quella del superfluo ha bisogno di pace . Prima o poi qualcuno più potente di Clinton e di Milosevic dirà basta , e tutti e due ci staranno a perdere un poco di faccia , pur di salvare il resto . È triste , ma almeno è vero .
I MAZZINIANI ( LABRIOLA ARTURO , 1900 )
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Un partito politico attivo e vitale come il Partito socialista è obbligato a pigliar posizione di fronte a tutte le correnti politiche che si formano nel paese . Non è quindi inopportuno fissare l ’ attenzione dei lettori su un movimento , iniziato a Roma da un giornale settimanale , la Terza Italia , e dalla Federazione mazziniana di Terni , allo scopo di ricondurre il Partito repubblicano alla tradizione cosiddetta intransigente della parte mazziniana . Il programma di questo movimento , che io reputo a priori capace di una certa diffusione , date le speciali condizioni politiche del paese , non è ben definito se non da un lato solo , quello negativo , essendo esso rivolto contro i metodi parlamentari , recentemente adottati dal Partito repubblicano . Non esclusa la fisima antiparlamentare , i neo - mazziniani di oggi non valgono più di quelli di ieri : non sanno quello che vogliono . Nel che sta il vero pericolo del movimento . Ragionando per filo di ipotesi più o meno fondate , la risurrezione mazziniana non può proporsi che uno scopo solo : far proseliti in mezzo al Partito repubblicano ufficiale . Fuori l ’ àmbito di questo partito gli è per logica naturale di cose interdetta ogni possibile diffusione di principi . Il neo - movimento mazziniano , essendo in fondo una semplice critica in azione del Partito repubblicano ufficiale , non può vivere che su di questo , come il parassita non può vivere che sull ’ organismo da esso sfruttato . Non applicandosi la critica mazziniana né agli altri partiti , né alla generale condizione del paese , essa non può agire , ove abbia veramente forza diffusiva il che è possibile , entro certo limiti , anche per le tradizioni schiettamente rivoluzionarie dei repubblicani italiani che come un movimento di secessione ed un tentativo di frazionamento . Perché la critica mazziniana non si applichi alle condizioni del paese , né abbia speranza di successo in mezzo agli altri partiti radicali , si dirà in appresso . Quanto al pericolo che essa operi come un movimento di secessione , il pericolo è già evidente passando in rassegna i pochi numeri sinora pubblicati della Terza Italia . Lasciando stare i soliti vanitosi , capricciosi ed inconcludenti , che ad ogni nuova pubblicazione sentono il bisogno di notificare ai popoli un qualche nuovo “ progresso ” del loro spirito , sta in fatto che una tendenza va pronunciandosi presso alcune frazioni sin qui aderenti al Partito repubblicano ufficiale , di proporre in seno al prossimo congresso del partito un ritorno ai metodi di papa Celestino , tanto cari ai repubblicani italiani sino al 1890 o giù di lì . La necessità di propugnare il “ ritorno all ’ integrale programma di Mazzini ” è consigliata dalla federazione di Terni ai mazziniani aderenti al Partito repubblicano ufficiale , a proposito dell ’ imminente congresso del partito . Ma , di fronte a questo congresso , la federazione di Terni serba un atteggiamento anche più sprezzante . Essa lo considera come inutile ai fini specifici del mazzinianismo , e già si propone di indire un contro - congresso . Cosicché è alle viste la costituzione di un nuovo partito repubblicano italiano . Troppa grazia ! È questo il vero pericolo al quale accennavo testé . Ma è bene spiegarci chiaramente . Che , essendovi dei mazziniani nel paese , questi sentano il bisogno di unirsi e diffondere le loro idee , è cosa perfettamente naturale e della quale siamo i primi a rallegrarci . La diffusione di qualsiasi idea , per quanto falsa o giudicata immorale alla stregua della moralità del tempo , non può riuscire che benefica al corso generale dell ’ evoluzione di un paese . Politicamente e moralmente noi abbiamo però il dovere di combattere tutte le idee e tutte le correnti che giudichiamo dannose . Nessun altro appello deve esser fatto in questa disputa fuorché alle armi della ragione . È indegno di servire la scienza chiunque in una disputa teorica fa entrare un appello alla forza del governo o alla violenza personale . Ora , rompere la compagine del Partito repubblicano italiano non torna dannoso allo sviluppo di tutti gli altri partiti popolari ? Il ritorno all ’ anarchismo mazziniano , rispetto ai metodi , quando il Partito repubblicano deve i suoi successi ad un metodo opposto , non è creare un nuovo ostacolo all ’ evoluzione degli altri partiti popolari , spingendo risolutamente all ’ indietro le forze di uno degli alleati ? Ed a vantaggio di che si fa poi questa conversione del repubblicanismo al mazzinianismo ? Su di una cosa i neo - mazziniani sono perfettamente in chiaro : sulla opportunità di respingere l ’ uso dei mezzi parlamentari . Ciò che essi propugnano in modo risoluto ed esplicito è l ’ astensione dalle lotte elettorali politiche ; e poiché essi sono repubblicani e quindi non negano , come gli anarchici , il male indispensabile dello Stato indispensabile almeno entro limiti di tempo abbastanza ampi ed ammettono pienamente il metodo rappresentativo , il loro astensionismo altro non è se non legittimismo repubblicano . In fondo , chi esamini la psicologia intima dell ’ astensionismo elettorale propugnato dal Mazzini , vi riscontrerà lo sdegno e la protesta dell ’ antico triumviro , sostituito al potere da un usurpatore . L ’ amore davvero mistico con cui il Mazzini circondò il nome di Roma , l ’ ardore religioso con il quale seppe vantarne una pretesa missione storica , e la pagina insigne , scritta col sacrificio di tanti , nel nome repubblicano dell ’ Urbe degenere , conferirono a fargli credere legata al suo nome ed a quello da esso inseparabile della futura repubblica italiana le sorti di Roma . Mazzini considerò la dinastia occupatrice come rea di usurpazione . Il papa laico e il papa cattolico consigliarono ai fedeli delle due chiese la stessa condotta : l ’ astensione dalle lotte politiche . L ’ astensionismo mazziniano era una protesta , tale e quale come quello papalino . Mazzini aveva scritto tante volte che la risurrezione unitaria dell ’ Italia non poteva essere se non repubblicana , e , quando vide che i fatti lo smentivano , non volle già credere ad una necessità storica operante al di là dei disegni volontari della mente umana , ma ad un intrigo riuscito per la forza stessa dell ’ inganno . La sua irreconciliabile avversione al nuovo regime , cui credeva di poter rimproverare l ’ inganno e l ’ usurpazione , prese corpo e sostanza nella costante predicazione dell ’ astensionismo politico , ed egli si illuse di poter così concorrere a demolire quel regime . Ma , uomo del resto del più alto senso politico , capì che la lotta negativa dell ’ astensione non bastava , ed occorreva attaccare il regime combattuto in modo più diretto . Mazzini fu astensionista dalle lotte elettorali per la assai semplice ragione che egli fu cospiratore . Finché il Partito repubblicano si fuse e si confuse con il mazzinianismo , la cospirazione fu il naturale complemento della propaganda pubblica . L ’ Alleanza repubblicana universale , istituita dal Mazzini e che ebbe esistenza ufficiale sin verso il 1890 , benché menasse vita stentata e poverissima , era un ’ associazione cospiratoria a molteplici gradi di iniziazione . Lo sfacelo dell ’ Alleanza , avvenuto per processo di naturale ed intima dissoluzione , senza alcun concorso né della violenza , né dell ’ inganno governativo , è la miglior critica che dei metodi cospiratori possa farsi in un paese che , anche senza possedere una libertà di stampa , di riunione e di associazione molto sicura e generale , si regge a sistema rappresentativo . Il cospiratorismo hoffenbacchiano dell ’ Alleanza , durato , come ho detto , sino a data recentissima , si sfasciava nella incoerenza della propria ragione di essere . Mazzini , naturalmente , non è responsabile di queste assurdità . Egli moriva nel 1872 , diciotto mesi dopo l ’ entrata in Roma della monarchia , e la vicinanza del periodo rivoluzionario vero e proprio poteva ancora persuadere metodi cospiratori ed insurrezionali : anzi a dire la verità , la logica era tutta dalla parte di questi metodi . Ma chiuso il periodo dell ’ agitazione , inauguratosi il periodo dell ’ organizzazione , il Partito repubblicano doveva mutar via . La suggestione e la superstizione dei vecchi metodi aduggiò invece il campo . Ne avvenne quel che doveva avvenire . Siccome non è possibile differire all ’ infinito la realizzazione di un fine , i cui mezzi implichino una tensione permanente dei nervi , come il metodo cospiratorio , che involge un pericolo permanente , il partito si sfasciò . L ’ astensionismo e la cospirazione lo facevano a brandelli . La salute , infatti , non venne che dall ’ uso del metodo opposto , e questo non vedono i redattori della Terza Italia . Dal 1885 al 1892 la storia del Partito repubblicano italiano è la storia del proprio sfacelo . La riforma della legge elettorale manda alla Camera rinforzato il numero dei deputati che si qualificano repubblicani ; ma , mentre essi svolgono un ’ azione qualunque nella Camera , sono smentiti dal proprio partito organizzato . Le Società operaie affratellate , sotto il qual nome è compresa l ’ organizzazione pubblica del Partito repubblicano , non fanno che lacerarsi in lotte intestine . Dopo aver descritto fondo all ’ universo nei loro innumerevoli congressi , non sanno mai indicare la via per cui le cose votate si hanno da applicare . L ’ assoluta indipendenza elettorale delle società stesse toglie al partito ogni fisionomia di partito . La cospirazione e l ’ astensionismo uccidono , nella loro evidente incongruenza , un partito floridissimo e ricco di memorie storiche gloriose . La risurrezione cominciò solo quando i lombardi indussero il partito nelle vie elettorali e dell ’ agitazione pubblica . Ora si può anche , come chi scrive , non essere infetto dalla superstizione parlamentare , non dividere per i metodi sinceramente rivoluzionari tutto l ’ orrore evoluzionistico e scientifico di alcuni compagni nostri , e tuttavia scorgere l ’ assurdo della posizione entro cui si dibatte il neo - mazzinianismo . Mazzini almeno era logico . All ’ astensionismo elettorale egli univa la cospirazione politica ; ma poiché l ’ epoca nostra è manifestamente ripugnante , per necessità di cose , e nello stesso interesse dei fini rivoluzionari , dai metodi cospiratori , e la evidenza di questa osservazione non può non imporsi agli stessi mazziniani , ne deriva che essi sono condannati alla impotenza assai più facilmente che non i loro predecessori . Dovendo rinunziare all ’ azione cospiratoria e volendosi interdire quella parlamentare , quali mezzi d ’ azione restano al nuovo partito ? Non quelli della legale conquista della maggioranza parlamentare ; non quelli della settaria insurrezione e di colpi di mano ; dunque soltanto la mistica aspettazione , accompagnata dalla innocua e sterile diffusione di principi astratti , avulsi dal terreno della lotta quotidiana . Che per tal via essi possano esercitare un ’ azione qualunque sul Partito socialista appare impossibile sin da principio . Noi siamo il partito dei lavoratori ed abbiamo la responsabilità della difesa dei loro interessi quotidiani . Poiché noi non pensiamo attuabile il socialismo , ovverossia la generica società dell ’ eguaglianza , uno ictu , ma anzi per opera di successive conquiste , sino all ’ espropriazione totale e definitiva della borghesia , ci è giuocoforza ottenere dai parlamenti borghesi tutto quel massimo di riforme di cui essi sono capaci . Anche senza essere profondamente ammalati di infatuamento parlamentare , la tattica dei parlamenti ci si impone per necessità di cose . La forma della setta non ci si addice affatto . Ecco perché i mazziniani non possono sperare di esercitare una azione qualunque su di noi . E allora torniamo al punto di partenza . Il neo - mazzinianismo sarà costretto ad esercitarsi a spesa del Partito repubblicano vero e proprio , di cui la parte meno socialmente definibile , e più portata per temperamento ai facili entusiasmi del rivoluzionarismo verbale , cadrà nella sfera d ’ influenza del mazzinianismo . L ’ esistenza di due partiti repubblicani quello anarchico e quello parlamentare scomunicantisi in nome della stessa idea , non contribuirà ad accrescere prestigio alla soluzione repubblicana . L ’ epoca della confusione propagandistica risorgerà ancora una volta per il Partito repubblicano , e con essa le conseguenze dissolventi di un tempo . Alberto Mario scrisse una volta che il Partito repubblicano avrà allora forma ed importanza veramente politica , quando la tradizione settaria del mazzinianismo sarà completamente scomparsa . È probabile che il Mario , facile alle ire polemiche , esagerasse ; ma non è negabile che , in tutto il periodo posteriore all ’ unificazione d ’ Italia , la tradizione dei metodi mazziniani non è stata propizia alle sorti del Partito repubblicano . Il nuovo tentativo già si annunzia gravido di dissensioni . Ecco perché io penso che la condotta del Partito socialista debba essere deliberatamente ostile di fronte all ’ iniziativa della Terza Italia e della federazione di Terni .
16 OTTOBRE 1943 ( DEBENEDETTI GIACOMO , 1944 )
Miscellanea ,
16 ottobre 1943 Fino a poche settimane prima , ogni venerdì sera , all ' accendersi della prima stella , si spalancavano tutte grandi le grandi porte della Sinagoga , quelle verso la piazza del Tempio . Perché le grandi porte , invece delle bussole laterali e un po ' recondite come tutte le altre sere ? Perché invece degli sparuti candelabri a sette bracci , quello sfavillare di tutte quante le luci , che traeva fiamme dagli ori , splendore dagli stucchi - - gli stemmi di Davide , i nodi di Salomone , le Trombe del Giubileo - - e sontuosi bagliori dal broccato della cortina appesa davanti all ' Arca Santa , all ' Arca del Patto col Signore ? Perché ogni venerdì , all ' accendersi della prima stella , si celebrava il ritorno del Sabbato . Non la macilenta salmodia del cantore sperduto sul lontano altare ; ma dall ' alto della cantoria , nella romba osannante dell ' organo , il coro dei fanciulli gloriava un cantico di sacra tenerezza , l ' inno dell ' antico cabbalista , « Lehà Dodì Lichrà Calà » : Vieni , o amico , vieni incontro al Sabbato ... Era il mistico invito ad accogliere il Sabbato che giunge , che giunge come una sposa . Giungeva invece nell ' ex ­ Ghetto di Roma , la sera di quel venerdì 15 ottobre , una donna vestita di nero , scarmigliata , sciatta , fradicia di pioggia . Non può esprimersi , l ' agitazione le ingorga le parole , le fa una bava sulla bocca . È venuta da Trastevere di corsa . Poco fa , da una signora presso la quale va a mezzo servizio , ha veduto la moglie di un carabiniere , e questa le ha detto che il marito , il carabiniere , ha veduto un tedesco , e questo tedesco aveva in mano una lista di 200 capi ­ famiglia ebrei , da portar via con tutte le famiglie . Gli ebrei di rione Regola hanno conservato l ' abitudine di coricarsi per tempo . Poco dopo scesa la sera , sono già tutti in casa . Forse la memoria di un antico coprifuoco è rimasta nel loro sangue ; di quando , al cadere delle tenebre , i cancelli del Ghetto stridevano con una inveterata monotonia che forse l ' abitudine aveva resa familiare e dolce , a rammentare che la notte non era per gli ebrei , che per loro la notte era pericolo di essere presi , multati , imprigionati , battuti . Così questi ebrei , accusati di tramare nell ' ombra contro l ' ordine e la sicurezza del mondo , sono invece da tempo delle creature diurne . Di primo mattino , non appena un barlume di giorno , viscido e grigio come le loro case , comincia a far leva sui cornicioni , come un apriscatole , per incidersi uno spiraglio sui vicoli sottostanti , già li trovi tutti per via , questi ebrei , e berciano , e si chiamano a gran voce per nome , e combinano , e litigano , e discutono , e intavolano trattative e negozi , e si danno un gran da fare , quantunque quei loro discorsi e mercati non abbiano nulla di urgente . Ma questi ebrei amano la vita : quella vita da cui la notte li ha esclusi , sentono il bisogno che irrompa in loro . Anche quella sera le famiglie erano già tutte raccolte nelle case . Qualche madre accendeva la lampada sabbatica - - non quella bella , ch ' era stata nascosta ai primi furti tedeschi - - mentre i vecchi con la teffilà sui ginocchi recitavano le benedizioni , e passavano dal borbottio della preghiera all ' invettiva iraconda e chioccia contro i nipotini disturbatori . Così la donna scarmigliata non ebbe difficoltà a radunare un gran numero di ebrei per avvertirli del pericolo . Ma nessuno volle crederci , tutti ne risero . Sebbene abiti in Trastevere , la Celeste ha parenti nel Ghetto ed è ben nota all ' intera cheilà . Tutti sanno che è una chiacchierona , un ' esaltata , una fanatica : basta vedere come gesticola quando parla , con gli occhi spiritati sotto quei capelli di crine vegetale . E poi si sa che in famiglia sua sono tutti un po ' tocchi ; chi non conosce il suo figlio grande , quello di 24 anni , magro , peloso , nero e strambo , con una aria da haham mancato , e si dice perfino che abbia il mal caduco ? Come si fa a dare ascolto alla Celeste ? « Credetemi ! scappate , vi dico ! » supplicava la donna . « Vi giuro che è la verità ! sulla testa dei miei figli ! » La verità ? Chi sa che cosa le avranno detto , chi sa che cosa avrà capito . Quelle risate , quell ' incredulità la esasperano . Comincia a dare in escandescenze e in male parole , come se la minaccia , invece che i tedeschi , fosse stata lei a farla , e ora si offenda di non vederla presa sul serio . Se sapesse cosa inventare , aggraverebbe la dose per vendicarsi , per riuscire finalmente a far paura . Grida , scongiura , si fa venire le lacrime agli occhi , mette le mani sul capo dei bambini , come per proteggerli lei . « Ve ne pentirete ! Se fossi una signora mi credereste . Ma perché non ho una lira , perché porto questi stracci ... » e nel mostrarli rabbiosamente , li straccia ancora di più . Ormai tredici mesi sono passati , e molti dei testimoni di quella sera sono disposti a riconoscere che forse , se la Celeste fosse stata una signora e non la poveraccia che è ... Però quella sera risalirono alle loro case , si rimisero a sedere intorno alla tavola , a cenare , commentando quella storia senza sugo . Era chiaro che cosa fosse passato per la testa della pazza : una ventina di giorni prima , il Maggiore Kappler aveva minacciato al presidente della Comunità , comm . Foà , e a quello dell ' Unione , dott . Almansi , di prelevare 200 ostaggi ebrei . Le cifre corrispondevano , e di lì l ' equivoco : la povera gente sa sempre le cose in ritardo e di traverso , ma quel poco che arrivano a sapere credono sempre che sia oro colato . Ormai la minaccia dei 200 ostaggi era scongiurata . I tedeschi saranno dei rascianìm , ma sono gente d ' onore . Contrariamente all ' opinione diffusa , gli ebrei non sono diffidenti . Per meglio dire : sono diffidenti , allo stesso modo che sono astuti , nelle cose piccole , ma creduli e disastrosamente ingenui in quelle grandi . Verso i tedeschi furono , e si mostrarono , ingenui quasi con ostentazione . I motivi che se ne possono dare sono parecchi . Persuasi da secolari esperienze che il loro destino sia di essere trattati come cani , gli ebrei hanno un disperato bisogno di simpatia umana : e per accattarla , la offrono . Fidarsi della gente , abbandonarvisi , credere alle loro promesse , è appunto una prova di simpatia . Si comportarono così anche coi tedeschi ? Sì , purtroppo . Coi tedeschi poi giocava anche il classico atteggiamento degli ebrei di fronte all ' Autorità . Fin da prima della caduta di Gerusalemme , l ' Autorità ha esercitato sugli ebrei un potere di vita e di morte assoluto , arbitrario , imperscrutabile . Questo ha fatto sì che nelle loro teste e nel loro stesso inconscio , l ' Autorità si configurasse come un nume onnipotente , esclusivo e geloso . Diffidarne , quando essa promette , sia per male che per bene , è cadere in un peccato , che presto o tardi si sconterà , se anche questo peccato non si manifesti e rimanga soltanto un ' intenzione o una mormorazione . E finalmente : l ' idea ­ madre del giudaismo è quella di giustizia . Portare questa idea nella civiltà di Occidente è stata la missione degli ebrei . Renan se ne fa addirittura il tema fondamentale per interpretare tutta la storia d ' Israele , fino ai grandi annunzi escatologici , fino all ' attesa messianica , fino alla promessa di quel Giorno del Signore che , domani o chi sa quando , accenderà la sua alba sul vertice dei millenni per ricondurre appunto il regno della giustizia su questa terra . Per tutti questi motivi gli ebrei di Roma si fidarono , in certo qual modo , dei tedeschi , anche - - e , diremmo , soprattutto - - dopo quanto era successo il 26 settembre . Si sentivano come vaccinati contro ogni ulteriore persecuzione . Sarebbe stata un ' ingiustizia , e per temperamento non vi potevano credere . Mostrar di temere sarebbe stato un polemizzare contro i tedeschi , manifestargli dell ' antipatia . E infine sarebbe stato un peccare contro l ' Autorità . Perciò , quella sera , gli ebrei risero al messaggio della pazza Celeste . ( Chiediamo scusa di questa digressione , ed eventualmente delle altre in cui incorreremo ; ma per intendere l ' intera atrocità del dramma che cercheremo di ricostruire , è opportuno conoscere un po ' meglio i personaggi . ) Effettivamente , la sera del 26 settembre 1943 , il presidente della Comunità Israelitica di Roma e quello dell ' Unione delle Comunità Italiane - - tramite il dott . Cappa , funzionario della Questura - - erano stati convocati per le ore 18 all ' Ambasciata Germanica . Li ricevette , paurosamente cortese e « distinto » , il Maggiore delle SS . Herbert Kappler , che li fece accomodare e per qualche momento parlò del più e del meno , in tono di ordinaria conversazione . Poi entrò nel merito : gli ebrei di Roma erano doppiamente colpevoli , come italiani ( ma meno di due mesi dopo , un decreto germano ­ fascista , auspici Rahn , Mussolini e Pavolini , doveva disconoscere agli ebrei d ' Italia la cittadinanza italiana ; e allora Maggiore Kappler ? ) , come italiani per il tradimento contro la Germania , e come ebrei perché appartenenti alla razza degli eterni nemici della Germania . Perciò il governo del Reich imponeva loro una taglia di 50 chilogrammi d ' oro , da versarsi entro le ore 11 del successivo martedì 28 . In caso di inadempienza , razzia e deportazione in Germania di 200 ebrei . Praticamente : poco più di un giorno e mezzo per trovare 50 chili d ' oro . Alle difficoltà che i due rappresentanti ebrei cercarono di opporgli , il Maggiore ribatté che , a titolo di agevolazione , avrebbe fornito lui gli automezzi e gli uomini per la ricerca dell ' oro . I due Herren non accettavano ? Sta bene , come non detto . Ma , in via sempre di largheggiare , prorogava di un ' ora il termine di consegna . Gli fu domandato quale fosse la valutazione dell ' oro in lire . Il Kappler capì subito l ' antifona : di lire italiane - - rispose - - il Grande Reich non ne aveva bisogno e comunque - - sorrise quando gliene occorressero , poteva sempre stamparle . Poi credette opportuno di completare la propria presentazione , illustrando che con lui non era il caso di recalcitrare , se no si sarebbe incaricato personalmente della razzia e a lui , in parecchie altre circostanze similari , questo genere di operazioni era sempre riuscito benissimo . Col che gli argomenti parvero esauriti , e la seduta fu tolta . La Questura italiana , subito informata dell ' imposizione , non rispose . Si riscrisse , si andò , si telefonò : il silenzio , per una crudele allusione , era più che mai d ' oro . Allora nella serata stessa e nella successiva mattina si radunarono i maggiorenti della Comunità insieme con le persone ritenute più esperte di affari e facoltose . Ci si desolò , si discusse , si dichiarò che la cosa non era fattibile . Ma i più energici prevalsero , sicché per tempo fu dato inizio alla raccolta dell ' oro . La voce era già corsa tra gli ebrei ; tuttavia sulle prime le offerte giungevano lentamente , con una specie di perplessità . Fu in quelle ore che il Vaticano fece ufficiosamente sapere che teneva a disposizione degli ebrei 15 chilogrammi d ' oro per sopperire agli eventuali ammanchi . Frattanto però le cose avevano cominciato a mettersi meglio . Ormai tutta Roma aveva saputo del sopruso tedesco , e se ne era commossa . Guardinghi , come temendo un rifiuto , come intimiditi di venire a offrir dell ' oro ai ricchi ebrei , alcuni « ariani » si presentarono . Entravano impacciati in quel locale adiacente alla Sinagoga , non sapendo se dovessero togliersi il cappello o tenere il capo coperto , come notoriamente vuole l ' uso rituale degli ebrei . Quasi umilmente domandavano se potevano anche loro ... se sarebbe stato gradito ... Purtroppo non lasciarono i nomi , che si vorrebbero ricordare per i momenti di sfiducia nei propri simili . Torna a mente , e par bella , una parola ripetuta anche da George Eliot : « il latte dell ' umana bontà » . Il centro di raccolta era stato stabilito in un ufficio della Comunità . La Questura , che da quest ' orecchio tornava finalmente a sentirci , aveva disposto un servizio d ' ordine e di vigilanza . L ' affluenza , infatti , era cominciata a diventare notevole . Al tavolo sedeva una persona di fiducia della Comunità ; accanto a lui un orafo saggiava le offerte e un altro le pesava . Subito era stato fatto circolare l ' avviso che non erano ammessi i contributi in denaro . Questo avrebbe impigrito l ' afflusso del metallo : gli oggetti d ' oro rappresentano spesso dei cari ricordi , che tendono a diventare più ricordi e più cari nel momento di separarsene ; inoltre l ' oro , in tempi di guerra e di calamità , suole considerarsi la migliore e più portatile risorsa per i frangenti estremi . Denaro invece ne sarebbe venuto parecchio , e rapidamente ; ma avrebbe creato il problema , nonché il rischio , di trovare tutto quell ' oro sul mercato clandestino . Peraltro il metallo già cominciava a far mucchio , molte persone si erano presentate a offrire dell ' oro in vendita , quindi si cominciò ad accettare anche il contante e a fare degli acquisti , sulla base di prezzi assai oscillanti . Di grande aiuto in questa incetta fu la giornalaia di Ponte Garibaldi . Il martedì mattina , prima delle 11 , il quantitativo era stato raggiunto , con anzi un residuo di oltre due milioni liquidi , che furono accantonati nella cassaforte della Comunità . La sala di raccolta venne chiusa a chiave : davanti la porta , con gli agenti di P.S. , si sedettero gli orafi e alcuni rappresentanti della Comunità . Qualche tedesco melomane colturale e spiritoso avrebbe forse scherzato su questi Fafner a guardia del tesoro . Invece quella brava gente , siccome le mogli avevano portato loro da mangiare , lungi dal vomitare fiamme , si misero a far colazione in pace . Avevano la coscienza a posto . C ' erano stati i momenti di angoscia , le consultazioni febbrili dell ' orologio ; ma tutto sommato si era fatto un buon lavoro . Fu telefonato all ' Ambasciata Germanica , per ottenere una dilazione di qualche ora . Era una cautela ad evitare che , visto il pronto successo , si aumentassero le pretese . Santa ingenuità degli astuti : come se i tedeschi non avessero avuto spie . Comunque , si ottenne che la scadenza fosse protratta fino alle 18 : ora in cui tre automobili , dal Lungotevere Sanzio , si avviarono con l ' oro , i due presidenti , i due orafi e una scorta di agenti , sempre guidati dal dott . Cappa , alla volta di Villa Wolkonski . Non che abbassarsi alla formalità di ricevere , di « incassare » quell ' oro , il Kappler non degnò neppure mostrarsi . Fece dire in anticamera , da una segretaria , che la taglia doveva essere versata in via Tasso . Forse è questa la prima apparizione di via Tasso nella cronaca gialla e nera dell ' occupazione tedesca . Il convoglio riparte da Villa Wolkonski , svolta l ' angolo , giunge alla via malfamata . In via Tasso gli ebrei si trovarono di fronte a un certo Capitano Schultz , certo più crudele che lo Schultz della nostra vecchia grammatica latina . Costui era assistito da un orafo e da un pesatore tedeschi . L ' oro era stato sistemato in dieci di quei raccoglitori di cartone , a foggia di grosse scatole , che negli uffici si adoperano per conservare la corrispondenza . Dieci erano , ripetiamo , e ciascuno conteneva cinque chilogrammi di metallo . Pesare e controllare doveva essere la cosa più spedita del mondo . Ma le 20 erano trascorse da un pezzo , e né i presidenti né gli orafi avevano ancora fatto ritorno alle loro abitazioni . Il tic ­ tac degli orologi , nel silenzio di quelle case , era come il tarlo dell ' angoscia , scandiva per i familiari il passo delle congetture di minuto in minuto più moleste . Un trillo assurdo del telefono : ma non erano loro , erano gli amici , quelli che più si erano adoperati per la ricerca dell ' oro , e adesso si ritiravano dall ' apparecchio con parole che volevano essere di fiducia , e invece erano già di compianto . Finalmente i quattro uomini rientrarono . Era in loro quel misto di sollievo e di collasso , che subentra in tutta la persona al termine di una grandissima fatica . Il senso , un po ' , di chi torna dall ' avere accompagnato al cimitero una persona cara , per un cammino lungo e una giornata inclemente , quando si è già estenuati da notti di veglia e di affanno . Ristorarsi , buttarsi in letto , tentare di non pensarci più . Che cosa era successo ? Loro stessi non riuscivano a spiegarselo bene . Fatto un primo controllo , i germanici , su un tono che non ammetteva repliche , avevano eccepito che le scatole erano soltanto nove . Come non immaginarselo che gli ebrei avrebbero tentato di frodare il Reich ? Per ritemprare la spada di Brenno , il ferro non manca mai . Discussioni lunghe , cavillose , drammatiche : il Capitano Schultz ricusava ogni riscontro . Sin che poi , alla fine , rifatti quasi di prepotenza i conti e le pesate , le scatole erano risultate innegabilmente dieci , il quantitativo ineccepibile , anzi eccedeva di parecchi grammi . Senonché il Capitano Schultz si era rifiutato di rilasciarne ricevuta . Perché ? Si pensò che i tedeschi non volessero lasciare documenti del sopruso . Ma i tedeschi hanno lasciato e lasciano ben altri documenti : nelle fosse , nei carnai , nelle opere fatte saltare con le mine , nei saccheggi ; a ogni loro passo ne hanno lasciati e ne lasciano , e tali che rimangono incisi , e per decenni rimarranno , sulla crosta dell ' Europa . O forse nessuno osava mettere personalmente la firma sotto un simile documento ? Gli accordi di Mosca sulle responsabilità e la punizione dei delitti di guerra non dovevano essere stipulati che parecchie settimane appresso : ma nella coscienza dei criminali c ' è sempre il senso di una fatalità del castigo . Più verosimilmente la spiegazione del rifiuto va cercata nei fatti che seguirono , ammesso che per i tedeschi , inventori della teoria della « carta straccia » , possa una qualunque ricevuta o scrittura costituire vincolo o impegno . Sapeva già il Capitano Schultz quello che si preparava per l ' indomani ? Indubbiamente lo sapeva il Maggiore Kappler delle SS . , perché furono reparti delle SS . quelli che la mattina dopo , 29 settembre , si presentarono alla Comunità e asportarono archivi , documenti , registri , tutto quanto trovarono , compresi naturalmente i 2 milioni liquidi avanzati dalla raccolta dell ' oro . A parte questo , la visita non fu molto fruttuosa : gli arredi del Tempio e gli oggetti di pregio erano già stati messi in salvo . Che fu , crediamo , una delle pochissime precauzioni prese dagli ebrei . Una strana figura , sulla quale si vorrebbero avere più ampi ragguagli , appare l'11 ottobre nei locali della Comunità . Accompagnato anche lui da una scorta di SS . , al vederlo si direbbe un ufficiale tedesco come tutti gli altri , con quel più di arroganza che gli dà l ' appartenere a una « specialità » privilegiata e tristemente famosa . Tutto divisa , anche lui , dalla testa ai piedi : quella divisa attillata , di un ' eleganza schizzinosa , astratta e implacabile , che inguaina la persona , il fisico ma anche e soprattutto il morale , con un ermetismo da chiusura ­ lampo . È la parola verboten tradotta in uniforme : proibito l ' accesso all ' individuale passato che vive in lui , che è la sua storia e la sua più vera « specialità » di creatura di questo mondo ; proibito vedere altro che questo suo « presente » rigoroso , automatico , intransigentemente reciso . Mentre i suoi uomini cominciano a buttare all ' aria la biblioteca del Collegio Rabbinico e quella della Comunità , l ' ufficiale con mani caute e meticolose , da ricamatrice di fino , palpa , sfiora , carezza papiri e incunaboli , sfoglia manoscritti e rare edizioni , scartabella codici membranacei e palinsesti . La varia attenzione del tocco , la diversa cautela del gesto sono subito proporzionate al pregio del volume . Quelle opere , per la maggior parte , sono scritte in remoti alfabeti . Ma ad apertura di pagina , l ' occhio dell ' ufficiale si fissa e si illumina , come succede a certi lettori particolarmente assistiti , che subito sanno trovare il punto sperato , lo squarcio rivelatore . Tra quelle mani signorili , come sottoposti a una tortura acuta e incruenta , di un sottilissimo sadismo , i libri hanno parlato . Più tardi si seppe che l ' ufficiale delle SS . era un egregio cultore di paleografia e filologia semitica . La biblioteca del Collegio Rabbinico di Roma , e più ancora quella della Comunità , contenevano insigni raccolte ed esemplari di eccezione , alcuni dei quali unici . Una completa esplorazione e un catalogo non erano ancora stati fatti : forse avrebbero rivelato altri tesori . Per quel che ci consta , vi erano custoditi documenti copiosissimi e cronache , manoscritte e a stampa , della diaspora nel bacino mediterraneo , oltre tutte le fonti autentiche di tutta la storia , dalle origini , degli ebrei di Roma , i più vicini e diretti discendenti dell ' antico giudaismo . Profili ancora ignoti , da intentate prospettive , della Roma dei Cesari , degli Imperatori e dei Papi si nascondevano sotto quelle scritture . E generazioni che parevano passate su questa terra veramente come la schiatta delle foglie , attendevano dal fondo di quelle carte che qualcuno le facesse parlare . Un colpo secco della chiusura ­ lampo , e la divisa ha rinserrato il semitologo , che è ridivenuto un ufficiale delle SS . Ordina : se qualcuno tocca , o nasconde , o asporta uno solo di questi libri , sarà passato per le armi , secondo la legge di guerra tedesca . Se ne va . I suoi tacchi scandiscono gli scalini . Poco dopo , sulla linea tranviaria della Circolare Nera , giungono tre carrozzoni merci . Le SS . vi caricano le due biblioteche . I carrozzoni ripartono . Libri , manoscritti , codici e pergamene hanno preso la strada di Monaco di Baviera . Chi sa se saranno gli stessi carrozzoni a cui toccherà , tra breve , di portare in Germania altro , e ben altrimenti vivo , carico . Il tempo per l ' andata e ritorno c ' è stato : cinque giorni . E ancora , per l ' ultima volta , come se ancora questo interrogativo potesse dare l ' allarme a chi tocca , ci domandiamo : ma se le angherie duravano così , perché non pensare a salvarsi ? Ebbene , il furto dei libri non era un ' angheria per la gente del Ghetto , che di libri non si intendeva . E viceversa erano proprio loro , quelli di « piazza Giudìa » , che più avrebbero dovuto avvertire la minaccia , perché loro erano destinati a fornire il più vasto bottino di vittime . Ma avrebbero poi dato retta a quell ' allarme ? Erano pigri , attaccati ai loro luoghi . L ' ebreo errante ormai si sente stanco , ha troppo camminato , non ce la fa più . La fatica di tanti esilii e fughe e deportazioni , di quelle tante strade percorse dagli avi per secoli e secoli , ha finito con l ' intossicare i muscoli dei figli ; le loro gambe si rifiutano di trascinare ancora i piedi piatti . E poi c ' era , c ' è stata certamente , una quinta colonna , che lavorava a « spargere fiducia » . Per esempio , il 9 ottobre parecchi ebrei erano stati arrestati . Molti si sgomentarono , poteva essere l ' inizio di una persecuzione contro le persone . Subito , di rimando , fu fatta circolare la notizia rassicurante ( ed elementi responsabili della Comunità , senza dubbio a fin di bene , contribuirono a diffonderla ) : quegli arresti costituivano casi eccezionali e qualificati , si trattava di persone già tutte segnalate per attività antifascista . L ' attività era stata colpita in loro , non la razza . I tedeschi continuavano a mostrarsi discreti , quasi umani . Con la loro forza così schiacciante , con la loro autorità così assoluta , avrebbero potuto fare assai di peggio . E viceversa ... No , non c ' erano speciali motivi di diffidare , di prendere le cose al tragico . E gli ebrei dormivano nei loro letti verso la mezzanotte del venerdì 15 ottobre , allorché dalle strade cominciarono a udirsi schioppettate e detonazioni . Dal 25 luglio , quando Badoglio aveva messo il coprifuoco , e più ancora dall'8 settembre , quasi ogni notte si sentivano spari per le vie e si diceva ch ' erano contro la gente che circolava oltre l ' ora senza permesso . Ma quegli spari abituali rimanevano isolati , come i rintocchi dell ' ora , e di rado giungevano così vicini , e mai così insistenti . Questi invece si intensificano , si stringono , si sovrappongono , diventano una vera sparatoria . E fossero solo spari , ma qualche cosa di più sinistro vi si mescola : colpi che partono secchi , per propagarsi poi quasi ondulati e fare dentro il buio un cratere cupo e svasato . Barúch dajàn emèd , sembra di stare in mezzo a una battaglia . Qualcuno si alza a sedere sul letto . Ma dell ' avviso portato sul far della sera dalla pazza di Trastevere , nessuno si ricorda più . I coraggiosi si avvicinano alle finestre . Pallottole e schegge sibilano e guaiscono a pochi centimetri dalle persiane , si piantano nei vecchi intonachi delle facciate . Attraverso le persiane chiuse , si vedono nella via , sotto la pioggia fine e viscida , tra i bagliori della fucileria e gli sprazzi dei petardi , drappelli di soldati che sparano in aria e lanciano bombe a mano verso i marciapiedi . Dagli elmetti , si direbbe che sono tedeschi ; ma l ' occhiata è stata rapida , non è prudente rimanere presso la finestra . Ora i jorbetìm si sono messi anche a urlare e schiamazzare : voci e grida squarciate , colleriche , sarcastiche , incomprensibili . Che vogliono ? con chi ce l ' hanno ? dove vanno ? Nelle case ormai tutti sono in piedi . I vicini si riuniscono per farsi coraggio , e viceversa non riescono che a farsi paura a vicenda . I bambini strillano . Che si può dire ai bambini per azzittarli , quando non si sa che dire a se stessi ? Stai buono , ora vanno a Monte Savello , vanno a Piazza Cairoli , tra poco tutto finisce , vedrai . Ma non finisce affatto . Quelli , pare che si allontanino , e poi rieccoli , e intanto la sparatoria non è mai cessata . Facessero qualche cosa , sfondassero una porta , una saracinesca , una bottega , almeno si capirebbe il perché . Ma no , sparano , urlano , nient ' altro . È come il mal di denti , che non si sa quanto può durare , quanto può peggiorare . Questo non capire è il peggiore degli incubi . Una donna che si è sgravata da poche ore non resiste più all ' ossessione , si butta giù dal letto , afferra il neonato , corre nel tinello di una vicina , ma lì si sviene . Le donne la soccorrono : il cognac , la borsa calda , questa almeno è la vita di tutti i giorni , sono i mali di cui si sa il rimedio . Ma quelli giù sparano sempre e urlano da due ore , da tre ore , da più di tre ore . Ogni anno , alla mensa pasquale - - chi ha fame venga e mangi - - si ripone una mezza azzima . Una credenza tramandata da chi sa che antico tempo , forse da quando gli ebrei facevano ancora gli agricoltori , vuole che un boccone di quell ' azzima , buttato dalla finestra , acqueti gli uragani , le tempeste , le grandinate , che distruggono il pane , spogliano le viti e gli ulivi , portano la carestia e forse la morte . Chi sa se quella notte qualcuno pensò di estrarre dal cassetto l ' azzima avanzata dalla Pasqua precedente - - da quando , per l ' ultima volta , si era commemorata l ' uscita dall ' Egitto , la liberazione dai Faraoni - - e di lanciarla contro quel finimondo . Il grano era mietuto , le viti vendemmiate ; ma un altro raccolto era da salvare , quella progenitura di Israele , che ai Patriarchi era stata promessa numerosa come la rena del mare . Ma se da una finestra fosse caduta l ' azzima innocente , i tedeschi avrebbero mirato coi moschetti e i mitragliatori , avrebbero scagliato le bombe a mano contro quella finestra . Loro soli sapevano la ragione di quell ' inferno . E forse la vera ragione era proprio che non ce ne fosse nessuna : l ' inferno gratuito , perché riuscisse più misterioso , e perciò più intimidatorio . La gente lì per lì suppose che volesse essere un dispetto , una beffa contro gli ebrei . Più tardi , con la logica e il senno del poi , si pensò che i tedeschi si proponessero di spaventare la gente di Ghetto e - - caso mai qualcosa fosse trapelato dei progetti per l ' indomani - - costringerla a tapparsi in casa , per prenderla tutta . Verso le quattro del mattino , la sparatoria si placò . Faceva freddo , l ' umidità della notte piovosa attraversava i muri . Nella levataccia , tutti erano rimasti in camicia e ciabatte , con appena qualche scialletto o pastrano sulle spalle . I letti abbandonati avevano forse custodito un po ' di tepore . Stanchi , con quel senso di cavo e di disseccato che lascia dentro le orbite una grossa emozione , con le ossa peste , battendo i denti , ciascuno tornò alla sua casa , nel proprio letto . Tra due ore sarebbe stato giorno , qualche cosa si sarebbe finalmente saputa . E poi , a ripensarci , non era capitato niente . Pare che il primo allarme l ' abbia dato una donna di nome Letizia , che il vicinato chiama Letizia l ' Occhialona : una grossa ragazza attempata , tutta tumida di tratti e di forme , con gli occhi fissi e i labbroni all ' infuori , che le immobilizzano sulla faccia un sorriso inerte e senza comunicativa . Dal quale esce una voce assente , contrariata , estranea a ciò che dice . Verso le 5 , costei fu udita gridare : « Oh Dio , i mamonni ! » « Mamonni » in gergo giudìo ­ romanesco significa gli sbirri , le guardie , la forza pubblica . Erano infatti i tedeschi che , col loro passo pesante e cadenzato ( conosciamo persone per cui questo passo è rimasto il simbolo , lo spaventoso equivalente auditivo del terrore tedesco ) , cominciavano a bloccare strade e case del Ghetto . Il proprietario di un piccolo caffè del Portico di Ottavia - - un « ariano » che , dalla posizione privilegiata del suo locale , ha potuto assistere a tutto lo svolgersi delle operazioni - - era giunto poco prima da Testaccio , dove abita . Transitando per Monte Savello e per il Portico , non aveva notato nulla di anormale . ( Ci sarebbe stato il tempo per salvarsi , dopo la sparatoria ? o il quartiere era già circondato ? ) Dice che i passi cadenzati , lui cominciò a sentirli verso le 5 e mezzo ( sulle ore non è stato possibile mettere d ' accordo i testimoni ; quel tempo di sciagura deve essere stato terribilmente elastico , soggetto a valutazioni soltanto psicologiche ) . Non aveva ancora aperto la bottega , stava mettendo sotto pressione la macchina dell ' espresso : socchiuse un battente , e vide . Vide lungo i marciapiedi due file di tedeschi : a occhio e croce , forse un centinaio . Nel mezzo della via stavano gli ufficiali , che disposero sentinelle armate a tutti i canti di strada . I radi passanti si fermavano a guardare . I tedeschi non si interessavano di loro . Solo più tardi cominciarono ad acciuffare chi portasse involti o valigie , indizi di tentata fuga . Noi seguiteremo a parlare del Ghetto , perché fu l ' epicentro della razzia . Ma in altri punti della città il lavoro si era iniziato parecchie ore prima . Risulta , per esempio , che un avvocato , Sternberg Monteldi , da Trieste , era stato preso fin dalle 23 della sera precedente all ' Albergo Vittoria , dove abitava con la moglie . Qui cominciano gli interrogativi sui criteri e sul modo come la razzia venne regolata . L ' avvocato e la signora erano muniti di passaporto svizzero , quindi non figuravano sui registri della popolazione romana ; non avevano fatto denunce razziali , quindi non risultavano ebrei . Come giunsero i loro nomi alle SS . ? Quanto alla procedura , si sa che in questo caso il fermo venne intimato in maniera durissima : i coniugi furono costretti a vestirsi alla presenza dei militi che tenevano le armi puntate su di loro . Questo inizio anticipato avrebbe potuto gravemente pregiudicare i piani tedeschi . Sarebbe bastato che la notizia se ne propalasse , come avvenne la mattina successiva , che subito , non appena cominciata l ' azione in grande , corse tutta la città , permettendo ad amici e perfino a commissari di P.S. di avvertire parecchi interessati , quelli almeno a cui si poteva telefonare . Giunto la sera prima , un simile allarme avrebbe svuotato una buona metà delle case ebraiche . Invece l ' arresto degli Sternberg , quantunque effettuato in un albergo , rimase segreto , le chiacchiere dei camerieri e del portiere di notte non bastarono a farlo trapelare , nemmeno gli uffici di Polizia , a quanto si dice , ne ebbero sentore ; sicché la mattina dopo i tedeschi poterono operare ordinatamente , secondo i piani prestabiliti e col più ampio successo . Entriamo ora in una casa di via S . Ambrogio , nel Ghetto . Potremo seguire la razzia in tutte le sue fasi . Verso le 5 ( ora psicologica , ripetiamo ) , la signora Laurina S . viene chiamata dalla strada . È una nipote che le grida : « Zia , zia , scendi ! I tedeschi portano via tutti ! » Questa ragazza , qualche momento prima , uscendo di casa in via della Reginella , aveva veduto portar via una intera famiglia con sei bambini , la maggiore dei quali di dieci anni . La signora S . si affaccia alla finestra . Vede ai lati del portoncino due tedeschi , armati di moschetto ( o di mitra , non sa specificare ) . Qui si domanderà come abbia potuto la nipote gridare così dalla via , e parole tanto esplicite , alla presenza di due tedeschi ( la via è angosciosamente stretta , un budello ) . Ripetiamo che i tedeschi , in massima , non rastrellarono la gente per via : fuor di casa furono presi soltanto quelli che , infelici , vollero farsi prendere . Né bisogna credere che la tragedia si sia svolta in un ' atmosfera di muta e trasecolata solennità : le persone seguitavano a parlare tra di loro , a gridarsi degli avvisi , delle raccomandazioni , come nella vita di tutti i giorni . La fatalità svolgeva il suo lavoro sostanzioso , senza preoccuparsi del cerimoniale , senza badare alle inezie di forma . Il dramma entrava nella vita , vi si mescolava con una spaventosa naturalezza , che lì per lì non lasciava campo nemmeno allo stupore . Dapprima la signora S . suppose , come tutti , che i tedeschi fossero venuti a portar via gli uomini per il « servizio del lavoro » . Questa idea , sparsa probabilmente ad arte , fu la rovina di molte famiglie , che non pensarono a mettere in salvo vecchi donne e bambini . Comunque , fidando nella presunta immunità delle donne , la S . si rifà cuore , si veste alla meglio , prende carte annonarie e borsa della spesa , poi scende per cercare di capire di che si tratti . Qualche giorno prima è caduta , trascina una gamba ingessata . Giunta per via , si avvicina ai tedeschi di sentinella , offre loro da fumare , quelli accettano . Dei due , l ' uno poteva avere un venticinque anni , l ' altro ne dimostrava una quarantina . Come in tutte le Mie Prigioni c ' è sempre un carceriere buono , così in questa razzia ci saranno le SS . di gran cuore : questi due , per esempio . La leggenda formatasi poi nel Ghetto ha deciso che fossero due austriaci . « Portare via tutti ebrei ... » risponde il più anziano alla donna . Costei si batte la palma sull ' ingessatura : « Ma io gamba rotta ... Andare via con la mia famiglia ... ospedale ... » « Ja , ja » annuisce l ' « austriaco » , e con la mano le fa cenno di svignarsela . Mentre aspetta la famiglia , la S . pensa di mettere a frutto la sua amicizia con i due soldati per veder di salvare qualche vicino . Chiama anche lei dalla strada : « Sterina ! Sterina ! » « Che c ' è ? » fa quella dalla finestra . « Scappa , che prendono tutti ! » « Un momento , vesto pupetto , e vengo . » Purtroppo vestire pupetto le fu fatale : la signora Sterina fu presa con pupetto e con tutti i suoi . Dalla via del Portico di Ottavia giungono lamenti mischiati con grida . La signora S . si affaccia all ' angolo della via S . Ambrogio col Portico . Com ' è vero che prendono tutti , ma proprio tutti , peggio di quanto si potesse immaginare . Nel mezzo della via passano , in fila indiana un po ' sconnessa , le famiglie rastrellate : una SS . in testa e una in coda sorvegliano i piccoli manipoli , li tengono suppergiù incolonnati , li spingono avanti coi calci dei mitragliatori , quantunque nessuno opponga altra resistenza che il pianto , i gemiti , le richieste di pietà , le smarrite interrogazioni . Già sui visi e negli atteggiamenti di questi ebrei , più forte ancora che la sofferenza , si è impressa la rassegnazione . Pare che quell ' atroce , repentina sorpresa già non li stupisca più . Qualche cosa in loro si ricorda di avi mai conosciuti , che erano andati con lo stesso passo , cacciati da aguzzini come questi , verso le deportazioni , la schiavitù , i supplizi , i roghi . Le madri , o talvolta i padri , portano in braccio i piccini , conducono per mano i più grandicelli . I ragazzi cercano negli occhi dei genitori una rassicurazione , un conforto che questi non possono più dare : ed è anche più tremendo che dover dire : « non ce n ' è » ai figli che chiedono pane . D ' altronde è questione di tempo : se non li uccidono prima , verrà l ' ora anche per questo . Taluno bacia le proprie creature : un bacio che cerca di nascondersi ai tedeschi , un ultimo bacio tra quelle vie , quelle case , quei luoghi che li hanno veduti nascere , sorridere per la prima volta alla vita . E certi padri tengono la mano sul capo dei figlioli , col medesimo gesto con cui nei giorni solenni hanno impartito la Birchàd Choanìm : « Ti benedica il Signore e ti protegga ... » - - quella che invoca , per i figli di Israele , e promette la pace . Nella fila la signora S . vide anche zia Chele , una vecchia di ottant ' anni mezza andata di mente : si trascinava tra gli altri , come un po ' saltellando , senza capire che cosa le facessero fare , e rispondeva con saluti e sorrisi ebeti e perfino un po ' fatui agli sguardi della gente ; ma poi trasaliva d ' improvviso e si spaventava , biascicando frammenti di preghiere , quando i tedeschi si rimettevano a urlare . Urlavano senza un motivo , probabilmente solo per tenere desto il terrore e vivo il senso della loro autorità , affinché non nascessero intoppi e le cose fossero sbrigate alla svelta . Passa un ' altra vecchia di ottantacinque anni , sorda e malata . Passa un paralitico , portato a braccia sulla sua sedia . Una donna con un lattante in collo si slaccia la camicetta , estrae la mammella e la spreme per mostrare al soldato che non ha più latte per la creatura : ma quello le punta il mitragliatore contro il fianco perché cammini . Un ' altra afferra la mano di un tedesco e gliela bacia piangendo , per impietosirlo , per chiedergli chi sa quale grazia da nulla , forse solo perché gli è riconoscente , dal profondo dell ' umiliazione , che non l ' abbia maltrattata di più . Una percossa le risponde , e un urlo . Ai lati della via , immobili , allibiti , impotenti a prestare soccorso , i passanti stanno a guardare ; ma poi i tedeschi non ne vogliono più sapere di questi spettatori e minacciosamente intimano di riprendere la circolazione . Un giovanotto si stacca dalla fila : ha ottenuto di andare a prendere un caffè , sotto la sorveglianza di una SS . , che però non accetterà di « tenergli compagnia » . Deglutisce rumorosamente , la tazzina gli trema nelle mani , e anche le gambe gli ballano sotto . Gira gli occhi smarriti verso i tavolini , dove si è seduto a giocare a carte nelle sere che avevano ancora un indomani . Con una specie di sorriso timido e stanco , domanda al caffettiere : « Che faranno di noi ? » Queste povere parole sono tra le poche lasciateci da coloro nell ' andarsene . Ci fanno sentire la voce di un essere tornato per un momento nella nostra vita , tra noi , quando a lui vivo la nostra vita ormai non apparteneva più , e già era entrato in quella nuova esistenza oscura e terribile . E ci dicono pure che cosa sia passato per la testa di quegli sciagurati nei primi momenti : una sfiduciata speranza di non aver capito bene . Le file vengono spinte verso la goffa palazzina delle Antichità e Belle Arti , che sorge al gomito del Portico di Ottavia di fronte alla via Catalana , tra la Chiesa di Sant ' Angelo e il Teatro di Marcello . Ai piedi della palazzina si stende una breve area di scavi , ingombra di ruderi , qualche metro più bassa che la strada . Entro questa fossa venivano raccolti gli ebrei , e messi in riga ad aspettare il ritorno dei tre o quattro camion , che facevano la spola tra il Ghetto e il luogo dove era stabilita la prima tappa . Quegli autocarri erano coperti da tendoni impermeabili ( continuava a piovigginare ) scuri o , secondo altri , tinti addirittura in nero ; come pure di nero , dicono quegli stessi , sarebbero stati tinti anche i camion . È più probabile che quel nero ce l ' abbiano veduto gli occhi del dolore e dello sgomento : in realtà doveva trattarsi di quel cupo , e già abbastanza lugubre , color di melma e piombo , che è la vernice , per cosa dire , di uniforme degli automezzi di guerra tedeschi . I nazisti amano la regìa , le teatralità , la solennità nibelungica atra e terrificante ; ma qui la regia era già nelle cose stesse : superflua d ' altronde , perché tutto si svolgeva con estrema facilità , senza che occorresse di propiziarne la riuscita con una particolare messinscena o ricerca di effetti . Dei camion veniva abbassata la sponda destra , e si cominciava a fare il carico . I malati , gli impediti , i restii erano stimolati con insulti , urlacci e spintoni , percossi coi calci dei fucili . Il paralitico con la sua sedia venne letteralmente scaraventato sul camion , come un mobile fuori uso su un furgone da trasloco . Quanto ai bambini , strappati alle braccia delle madri , subivano il trattamento dei pacchi , quando negli uffici postali si prepara il furgoncino . E i camion ripartivano , né si sapeva per dove ; ma quel loro periodico tornare , sempre gli stessi , faceva supporre che non si trattasse di luogo troppo lontano . E questo nei « razziati » poté forse accendere una specie di speranza . Non ci mandano via da Roma , ci terranno qui a lavorare . Continuiamo a seguire la signora S . Il suo racconto , senza dubbio ripetuto molte volte nel corso di questi mesi , sarà un po ' ricostituito , con un ordine nell ' incastro dei fatti e nella sequenza dei tempi , che forse la vita non ebbe ; ma le persone da lei citate - - quelle che si sono potute interrogare - - confermano la veridicità degli episodi e l ' esattezza dei particolari . Giunta con la famiglia a Largo Argentina - - varcato ormai il Mar Rosso - - la S . viene a sapere di un parente che per paura di quelle sentinelle alla porta , è rimasto per le scale . ( Un caso purtroppo frequente ; per quella paura , molti non si vollero muovere di casa e vi si fecero prendere . ) Malgrado le proteste dei suoi , la S . decide di tornare indietro a soccorrere il parente , se ancora farà in tempo . Che può parere una bravata in sovrappiù , il troppo che stroppia ; ma c ' è della gente , a cui le congiunture estreme danno una sovrabbondanza vitale , che li fa credere in una specie di invulnerabilità . È il caso di quegli infermieri che circolano tra le epidemie con uno scanzonato e quasi irritante disprezzo per la profilassi , e sono poi proprio quelli che se la scapolano , come se davvero il contagio su di loro non avesse presa . I due « austriaci » sono sempre alla porta . Un ' occhiata basta alla S . per sincerarsi che il tacito patto di protezione vige sempre ancora . Dal vano delle scale chiama il parente . « Resciúd , Enrico ! Ma in questo momento sette tedeschi sopraggiungono : hanno sentito quel richiamo e , per quanto non lo capiscano , a buon conto il loro capo appioppa alla S . uno schiaffone ; che la manda lunga e distesa attraverso l ' andito . Poi con incomprensibili parole tedesche e fin troppo chiare minacce col calcio del mitragliatore , la costringe a rialzarsi da sola . Due uomini si mettono davanti a lei , tre alle sue spalle , e le tocca di salire . Sul pianerottolo , le porte dei tre appartamenti sono chiuse , sbarrate ( una è quella dell ' appartamento di S . , ormai deserto ) . Il tragico , l ' intensità , la complicazione dei movimenti che stanno per avvenire su questo pianerottolo , potrebbero far pensare a uno spazio adeguato , si starebbe per dire eschileo : il che non risponderebbe al vero . Si tratta di un ripiano di pochi palmi , nemmeno due metri quadri , che interrompe una scala avvolgentesi a spirale , con i gradini di pietra sporchi e ingrommati di decrepita spazzatura , tra due muri soffocanti . Un abituro - - se non sapessimo che era destinato al dolore , e quanto dolore lo visitò - - dove l ' angustia e la miseria hanno una desolazione ostile , quasi sinistra . Tutti gli odori della vita hanno impregnato i muri , il legno , il ferro , tutto , perfino si direbbe i vetri delle finestrelle . Tali , o consimili , erano le case dove , per la maggior parte , si acquartieravano i più temibili nemici del Grande Reich . I tedeschi consultarono un elenco dattilografato . Disgraziatamente , due delle porte si erano concessa l ' assurda civetteria di una targa sul battente . E i nomi rispondevano a quelli dell ' elenco . I tedeschi bussarono ; poi , non avendo ricevuto risposta , sfondarono le porte . Dietro le quali , impietriti come se posassero per il più spaventosamente surreale dei gruppi di famiglia , stavano in esterrefatta attesa gli abitatori , con gli occhi da ipnotizzati e il cuore fermo in gola . L ' allarme era stato dato da forse un ' ora : ma nella concitazione di consultarsi , di fuggire , di salvare un po ' di roba , nella ridda delle decisioni impotenti e contraddittorie , quasi nessuno aveva trovato il tempo di vestirsi . I più erano ancora in camicia , con un vecchio pastrano o una frusta gabardine infilati alla meglio . Il caposquadra si avanza verso di loro . Ha in mano una specie di cartolina scritta a macchina , di cui legge il testo in tedesco . Quelli non capiscono altro che il tono perentorio di minaccia . Si sciolgono i pianti delle donne e dei bambini . La S . ha avuto il tempo di sbirciare che , sull ' elenco dei nomi , il suo non c ' è . Questo le dà coraggio : come a vendicarsi dello schiaffo , strappa di mano al tedesco la cartolina . Il testo è bilingue . È lei che lo legge ad alta voce ai vicini : « I . Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti . 2 . Bisogna portare con sé : a ) viveri per almeno 8 giorni ; b ) tessere annonarie ; c ) carta d ' identità ; d ) bicchieri . 3 . Si può portare via : a ) valigetta con effetti e biancheria personali , coperte , ecc . ; b ) denari e gioielli . 4 . Chiudere a chiave l ' appartamento risp . la casa . Prendere con sé la chiave . 5 . Ammalati - - anche casi gravissimi - - non possono per nessun motivo rimanere indietro . Infermeria si trova nel campo . 6 . Venti minuti dopo presentazione di questo biglietto , la famiglia deve essere pronta per la partenza . » Venti minuti : neppure il tempo per lamentarsi . Meno di quanto occorra per fare fagotto . I bicchieri belli è meglio lasciarli a casa . E le valigette , dove trovarne una per ciascuno ? I bambini ne vogliono una tutta per loro . Non seccate ! Bisogna che i tedeschi non vedano dove stavano nascosti i manhòd . Gioielli non ce n ' è più , tutti da un nharèl . Le parole necessarie bisogna dirsele in ebraico , come si sa e si può - - in quel gergo che pare un furbesco e ha sempre fatto sospettare che gli ebrei complottino come si fa a parlare con quei due soldati entrati in casa a sorvegliare i preparativi ? I bambini si aggrappano alle gonne , non lasciano bene avere . Qualcuno si busca un ceffone . Gli ebrei , nei rapporti coi figli , sono pronti di mano . I soldati rimasti sul pianerottolo si avvicinano alla S . e le domandano se sia parente con quelle famiglie . No , non è parente . Se sia Juda . Non è Juda . Ne dia le prove : la signora estrae la chiave , apre il proprio appartamento per dimostrare che quella è casa sua , che lei non abita con gli altri , che non ha niente di comune con loro . La cacciano dentro casa , intimandole di chiudere la porta . I venti minuti concessi ai vicini stanno quasi per spirare . Alle sollecitazioni dei tedeschi , ricominciano le grida , le invocazioni : nella confusione dei preparativi , si era quasi dimenticato che erano i preparativi per essere portati via . La S . non regge più , esce sul pianerottolo . I tedeschi fanno per ributtarla dentro ; ma lei torna a mostrare la gamba ingessata , deve andare all ' ospedale . Qualcuno le accenna che è libera , che fili alla lesta . In questo momento , vedendola avviarsi per le scale , quattro bambini scappano dagli altri due appartamenti , le si attaccano alle braccia , alle vesti : « Aiutaci , Laurina ! Laurina , salvaci ! » Una di quei quattro è la bambina Ester P . , che aveva allora 12 anni . Racconta che quella notte era venuta a dormire da zia , perché all ' indomani mattina presto doveva andare « a fare la fila dell ' erba » , e di uscire sola al buio lei aveva paura . Appena con zia furono fuori di casa , videro tutti gli angoli di strada piantonati dai tedeschi . Rientrarono subito : zia pensava ( anche lei ) che i tedeschi fossero venuti per prendere gli uomini , perciò voleva dare i soldi al marito , che scappasse . Avessero tirato di lungo per la loro strada , almeno loro due si sarebbero salvate : invece rimasero incastrate , perché di lì a poco erano sopraggiunti i sette tedeschi . Quando capì di essere presa , la bambina ebbe soprattutto paura che suo padre , non vedendola tornare , si arrabbiasse . Anche zia , correndo tra armadio e cassettone per far fagotto , le diceva : « Scappa , torna a casa , se no poi papà mi strilla ! » Questa idea della strillata e soprattutto quel « poi » dicono molte cose . Loro continuavano a pensare a un dopo nella vita di prima , con le abitudini di prima . ( Eppure il biglietto parlava chiaro . ) Senza dubbio ci fu gente più consapevole , che subito si rese conto di quello che stava capitando . Ma a quelli di « piazza Giudìa » , a una gran parte almeno , successe come quando portano un parente dal medico , che fa loro una diagnosi senza speranza . Per parecchio tempo ripetono il nome di quella malattia , ci fanno i commenti , quasi ci prendono confidenza , come fosse il nome di una delle tante malattie che già conoscono , che sono già state in casa . Solo più tardi capiscono che cosa ci sia dentro quel nome . La S . strinse a sé i bambini , disse che erano suoi . I tedeschi lasciarono correre . Appena in istrada , i piccoli se la squagliano . La signora S , fa pochi passi , e poi sviene . La soccorrono alcuni « ariani » , che la portano al caffè di Ponte Garibaldi . Può fare specie che questa donna , cacciatasi così temerariamente nel cuore della razzia , senza quasi tralasciare occasione di compromettersi , non sia stata riconosciuta come ebrea , e portata via anche lei . Come pure farà specie che i tedeschi siano stati così corrivi nel concederle quei quattro bambini . S ' è già detto che si regolavano soprattutto in base ai loro elenchi . E qualcuno sarà tentato di soggiungere che , al solito , i tedeschi mancano di intelligenza e di immaginazione : eseguono gli ordini , senza metterci niente del loro . A cui peraltro si risponderebbe che invece la crudeltà è sempre a suo modo sagace o quanto meno sospettosa e all ' erta . Tutto sommato , rimane l ' impressione che le SS . , in un genere di operazioni a cui avevano ormai fatto il callo , abbiano agito quella mattina con una sorta di rigore professionale , di coscienza del mestiere , piuttosto che stimolati da un preciso accanimento . La brutalità che mostrarono faceva parte , si direbbe , della tecnica e non divenne , salvo eccezioni , sadismo individuale . Azionato dalla forza motrice , travolto esso stesso dall ' ingranaggio della macchina , il volano spiega tutta la sua forza nello sfracellare il malcapitato che vi si impiglia ; ma non si sposterà di un millimetro per trovarsi la vittima . Così per quella mattina la razzia non si mutò , generalmente parlando , in una caccia all ' ebreo . Per esempio , le famose distribuzioni settimanali delle sigarette furono per una volta tanto una provvidenza : molti uomini si salvarono perché si trovavano a fare la fila dal tabaccaio , e nessun tedesco si preoccupò di andarveli a cercare . Parecchi di quelli , il destino li teneva in serbo per le Fosse Ardeatine . ( E molti anche furono razziati o arrestati in seguito , massime dopo il febbraio 1944 , dagli stessi tedeschi o più ancora dai fascisti : la maggior parte andò a finire in campi di concentramento dell ' Italia settentrionale - - Modena e Verona - - finché poi nell ' aprile furono deportati in Germania . ) In sostanza , le SS . agirono soprattutto come se il loro incarico fosse di fornire ai mandanti un certo - - e senza dubbio assai cospicuo - - numero di ebrei . E , visto che stavano facilmente raggiungendolo , non si siano dati la briga di andare per il sottile , di fare dello zelo supplementare . Ma ci sono gli esempi in contrario , che mostrano come la presunta regola subisse tali e tante eccezioni , che finiva col diventare un inganno per chi se ne fosse fidato , un peggiore trabocchetto per chi vi avesse fatto assegnamento . Torto nostro a voler cercare una regola nel più spaventoso degli arbitrii . Una certa N . si era rifugiata nel caffè . D ' improvviso sente giungere dalla strada voci più alte e concitate . Era un giovanotto - - qualificatosi poi come « giornalista italiano » - - che stava discutendo in tedesco con una SS . per cercar di strappare , dalla fila già avviata verso i camion , una donna incinta . La N . riconosce in essa la propria sorella , di cui ignorava la sorte . Non può nascondere un gesto di sbigottito dolore . Un tedesco se ne avvede , arguisce la parentela , si precipita sulla N . , la porta via con la figlioletta che le stava accanto . Un ' altra donna si credeva ormai in salvo : le avevano portato via il marito , male nascostosi nel cassone dell ' acqua ; lei con i quattro bambini , di cui due ammalati di difterite con febbre altissima , stava fuggendo ed era già arrivata a Ponte Garibaldi . Vede passare un camion carico di parenti , caccia un urlo . I tedeschi le volano addosso , la agguantano , lei e i figli . Un « ariano » interviene e riesce a salvare una delle bambine , protestando che è sua . Ma quella si mette a piangere che vuole stare con mamma , e viene rastrellata anche lei . Abbiamo più volte parlato dei famosi elenchi . Anche questi erano quanto di più arbitrario si possa immaginare , con inclusioni e omissioni egualmente inspiegabili . Come siano stati compilati , e su quali indicazioni , nessuno è ancora riuscito a sapere . È da escludere intanto che i nominativi siano stati prelevati dalle carte rubate nell ' archivio della Comunità : quelli erano ruoli di contribuenti , mentre sugli elenchi tedeschi figuravano in prevalenza famiglie che non avevano mai pagato contributi . Altri dice che ai gruppi rionali fascisti esistevano liste complete dei « cittadini di razza ebraica » abitanti nella giurisdizione del gruppo ; ma quegli enti avevano subito gli assalti degli antifascisti in seguito al 25 luglio ; inoltre le lacune e le aggiunte delle liste tedesche fanno dubitare che quella possa essere stata la fonte . Idem per i Commissariati di P.S. , muniti anch ' essi di repertori del genere , dei quali in tempo fascista si erano valsi per le piccole angherie agli ebrei ( chiamate ad audiendum verbum , sequestro degli apparecchi radio , visite per controllare se si tenessero domestici di razza ariana , ecc . ) . O forse i tedeschi saranno ricorsi alla Direzione della Demografia e Razza presso il Ministero dell ' Interno ? Ma allora si domanda : perché dopo il 25 luglio , finita la campagna razziale , non si pensò di eliminare quei registri e schede , divenuti superflui ? e se non dopo il 25 luglio , perché non almeno dopo l'8 settembre , come in altri ministeri si fece per altri documenti ? La negligenza del luglio diventa nel settembre criminosa responsabilità . Nei giorni precedenti la razzia , i tedeschi avevano a lungo frequentato gli uffici dell ' Annona , rovistando schedari e facendo rilievi , col pretesto dell ' imminente distribuzione delle nuove tessere alimentari . Sarebbero venuti di lì gli elenchi ? Ma sulle carte annonarie nessuno ha mai visto annotazioni razziali , e i tedeschi avrebbero quindi dovuto fare lunghi e scomodi raffronti coi loro prontuari di cognomi ebraici . Chi scrive questo resoconto passò la mattinata del 16 ottobre in casa di una vicina . Costei si lasciò sfuggire che la razzia era preveduta : infatti un suo conoscente , impiegato all ' Anagrafe , le aveva confidato giorni prima che si erano dovuti ammazzare di lavoro per certi elenchi di ebrei , che bisognava approntare per i tedeschi . Di ritorno a Roma nel luglio successivo , cercammo di ripigliare il discorso , ma non ci fu verso : la vicina cadeva dalle nuvole , non si ricordava , di avere mai saputa , e tanto meno detta , una simile notizia . Il tempo che si era mantenuto per tutta la mattina fradicio e basso , verso le 11 ebbe una breve remissione . Un poco di sole brillò sulle selci del Portico di Ottavia , dove da ore si trascinavano quei poveri piedi , quei piedi piatti così derisi , già stanchi , già dolenti prima di iniziare il viaggio . Nei Sabbati ormai lontani , quel raggio di sole attraversava le vetrate della Sinagoga , andava ad accendere le canne dell ' organo , che gli rispondeva nel registro più d ' oro . E lo riversava , quel raggio , sui fedeli in concenti di giubilazione , in uno sfolgorare di santa allegrezza . I fanciulli cantavano : Santo , Santo , Santo , il Dio degli Eserciti , della Sua gloria tutta la terra è colma . Ora , dal fondo della fossa in cui stanno aspettando di essere deportati , quei fanciulli non levano altro che pianto , un pianto che non fa coro , che non si innalza al cielo come il fumo dei sacrifizi ; che il cielo tornato basso sembra respingere , far ricadere sulle loro spalle . Quanti anni ancora dovranno passare , prima che quel pianto diventi il cantico dei fanciulli nella fornace ? Prima che il Dio degli Eserciti li ascolti , nuovamente rapiti nel celebrare la Sua gloria ? La razzia si protrasse fino verso le 13 . Quando fu la fine , per le vie del Ghetto non si vedeva più anima , vi regnava la desolazione della Gerusalemme di Geremia : quomodo sedet sola civitas ... Tutta Roma era rimasta allibita . Negli altri quartieri , il rastrellamento si era svolto con la stessa procedura che nel Ghetto , ma naturalmente più alla spicciolata . La città era stata divisa in parecchi settori : per ciascuno era adibito un camion , che andava a fermarsi via via presso i portoni segnati sull ' elenco . Di primo mattino , quando li trovavano ancora chiusi , le SS . se li facevano aprire da poliziotti italiani . Di solito un graduato rimaneva di guardia al camion , mentre due militi salivano nelle case . Se l ' appartamento era di aspetto borghese o agiato , per prima cosa quei militi si facevano indicare il telefono e ne strappavano i fili . Si racconta che in Prati un operaio , avendo notato una momentanea distrazione del graduato di guardia , saltò su un camion e a tutta velocità lo portò via con tutto il carico , che insperatamente si trovò liberato . ( Però di questi miracolati non ci è riuscito personalmente di vederne nessuno . ) Le SS . che compirono questa razzia appartenevano a un reparto specializzato , giunto dal Nord la sera prima , all ' insaputa di tutte le altre truppe tedesche di stanza a Roma . Non erano pratici della città , e non ebbero tempo di compiere sopraluoghi nei punti in cui dovevano operare , tanto è vero che uno dei reparti comandati al Ghetto si fermò sulla via del Mare ad aspettare dei passanti , rari in quell ' ora mattutina , che gli indicassero dov ' era via della Raganella . ( Intendevano : della Reginella . ) A taluni di quei giovanotti non sembrò vero di poter disporre di un automezzo , sia pure carico di ebrei razziati , per fare un po ' di giro turistico della città . Sicché , prima di raggiungere il luogo di concentramento , i disgraziati che stavano nell ' interno dovettero subire le più capricciose peregrinazioni , sempre più incerti sul loro destino e , ad ogni nuova svolta , ad ogni nuova via che infilassero , assaliti da diverse e tutte inquietanti congetture . Naturalmente , la meta più ambita di quei turisti era Piazza S . Pietro , dove parecchi dei camion stazionarono a lungo . Mentre i tedeschi secernevano i wunderbar da costellarne il racconto che si riservavano di fare , in patria , a qualche Lilì Marlén , dal di dentro dei veicoli si alzavano grida e invocazioni al Papa , che intercedesse , che venisse in aiuto . Poi i camion ripartivano , e anche quell ' ultima speranza era svanita . Gli ebrei furono ammassati nel Collegio Militare . I camion entravano , andavano a fermarsi davanti al porticato di fondo . Le operazioni di scarico si svolgevano con la stessa ruvidezza e sommarietà con cui erano avvenute quelle di carico . I nuovi arrivati erano fatti schierare per tre , a qualche distanza da gruppi consimili , che già stazionavano sotto la sorveglianza di numerose sentinelle tedesche armate fino ai denti . Tra un gruppo e l ' altro , con burbanzoso cipiglio di ispettori e aria soddisfatta da giorno di sagra , furono veduti circolare alcuni fascisti repubblicani . A partire da una certa ora , vennero formate delle squadre che , separati gli uomini dalle donne , furono convogliate nelle aule del Collegio . Regnava in queste una oscurità da limbo , perché le imposte erano state ermeticamente chiuse . Fin dal cortile - - dove per tutto il giorno durò la massima confusione - - si udivano le grida di affanno e le lugubri vociferazioni di pena che si mescolavano in quelle aule . Ogni tanto un ordine minaccioso , urlato in italiano , ristabiliva un momentaneo e quasi più angoscioso silenzio . Poche ore erano bastate perché , nei locali stipatissimi , cominciasse a stagnare quella vita infetta , che è come il miasma di tutte le carceri e luoghi di deportazione . Sentinelle e sorveglianti impedivano quasi sempre di raggiungere le latrine . Il proposito di umiliare , di deprimere , di ridurre quella gente a stracci umani , senza più una volontà , quasi senza più rispetto di se stessi , fu subito evidente . Forse i tedeschi non si aspettavano un tosi completo successo . L ' abbondanza del materiale rastrellato superò le previsioni , almeno a giudicare dal luogo prescelto per ammassarlo , che ben presto si rivelò insufficiente . E bisognò lasciare sotto il porticato gran numero di persone , che le aule non potevano più contenere . Gli uomini più ben portanti , quelli da cui c ' era da temere qualche « alzata » , furono messi col capo volto verso il muro , che è l ' ormai classica posizione , umiliante e intimidatrice , inventata dai nazi fin dalle prime persecuzioni contro gli ebrei . Se qualche bambino si provava a giocare , le sentinelle intimavano alla madre di farlo smettere , con la solita minaccia di fucilazione . Fu stesa qualche branda di paglia , e dato l ' ordine di sdraiarvisi . Nella notte due donne furono prese dalle doglie . I medici italiani diagnosticarono in entrambi i casi dei parti difficili , che richiedevano l ' intervento . La clinica , per quelle donne , sarebbe stata la via della libertà . Ma i tedeschi non consentirono il trasporto , e i due neonati aprirono gli occhi sulle tenebre di quel malaugurato cortile . Quali nomi saranno stati dati a questi due primogeniti di una nuova schiavitú di Babilonia ? ( Gheresciòm aveva chiamato Mosè il figlio della servitú , « pellegrino in terra straniera » , natogli da Sipporà , ma i due nati di quella notte senza Mosè erano pellegrini verso le camere dei gas . ) Si ottenne invece di operare in ospedale un ragazzo che presentava un ascesso suppurato . Ma i tedeschi rimasero presenti all ' atto chirurgico e , subito che fu terminato , si ripresero il ragazzo . Così trascorsero la notte del sabato , la giornata della domenica , la notte della domenica . In città e nel Ghetto si era intanto saputo dove gli sciagurati erano stati condotti . I parenti , spacciandosi per amici « ariani » , giunsero alle porte del Collegio , consegnarono viveri e biglietti per i reclusi , ma non seppero mai se quei conforti fossero arrivati a destinazione . Verso l ' alba del lunedì , i razziati furono messi su autofurgoni e condotti alla stazione di Roma ­ Tiburtino , dove li stivarono su carri bestiame , che per tutta la mattina rimasero su un binario morto . Una ventina di tedeschi armati impedivano a chiunque di avvicinarsi al convoglio . Alle ore 13,30 il treno fu dato in consegna . al macchinista Quirino Zazza . Costui apprese quasi subito che nei carri bestiame « erano racchiusi » - - così si esprime una sua relazione - - « numerosi borghesi promiscui per sesso e per età , che poi gli risultarono appartenere a razza ebraica » . Il treno si mosse alle 14 . Una giovane che veniva da Milano per raggiungere i suoi parenti a Roma , racconta che a Fara Sabina ( ma più probabilmente a Orte ) incrociò il « treno piombato » , da cui uscivano voci di purgatorio . Di là dalla grata di uno dei carri , le parve di riconoscere il viso di una bambina sua parente . Tentò di chiamarla , ma un altro viso si avvicinò alla grata , e le accennò di tacere . Questo invito al silenzio , a non tentare più di rimetterli nel consorzio umano , è l ' ultima parola , l ' ultimo segno di vita che ci sia giunto da loro . Nei pressi di Orte , il treno trovò un semaforo chiuso e dovette fermarsi per una diecina di minuti . « A richiesta dei viaggiatori invagonati » - - è ancora il macchinista che parla - - alcuni carri furono sbloccati perché « chi ne avesse bisogno fosse andato per le funzioni corporali » . Si verificarono alcuni tentativi di fuga , subito repressi con una nutrita sparatoria . A Chiusi , altra breve fermata , per scaricare il cadavere di una vecchia , deceduta durante il viaggio . A Firenze il signor Zazza smonta , senza essere riuscito a parlare con nessuno di coloro a cui aveva fatto percorrere la prima tappa verso la deportazione . Cambiato il personale di servizio , il treno proseguì per Bologna . Né il Vaticano , né la Croce Rossa , né la Svizzera , né altri Stati neutrali sono riusciti ad avere notizie dei deportati . Si calcola che solo quelli del 16 ottobre ammontino a più di mille , ma certamente la cifra è inferiore al vero , perché molte famiglie furono portate via al completo , senza che lasciassero traccia di sé , né parenti o amici che ne potessero segnalare la scomparsa . novembre , 1944
StampaPeriodica ,
Verso la fine del quattrocento grande era il disordine in cui s ' aggirava il concetto della lingua nostra e delle lettere , che da un lato erano declinanti , dall ' altro sentivano se stesse per anche non bene mature . Da noi si chiama buon secolo della lingua nostra quello di Dante o del Petrarca e del Boccaccio ; ma gli scrittori in quella età non ebbero tanta fiducia di se stessi né tanta superbia . Il che si dimostra in primo luogo dal disputare che si fece subito intorno alla lingua , la quale avendo taccia , di bassezza non era , autorevole bastantemente sulla nazione ; era un dialetto venuto su quando una spinta maravigliosa fu data agli ingegni , ma senza corredo di scienza bastante . Sentìano mancare all ' efficacia della lingua l ' arte del dire ; in quella età noi cerchiamo la potenza della parola e della frase , ma non vi troviamo bastante evidenza dei costrutti , e l ' orditura dei periodi si dimostra per lo più timida o intralciata . Questo sentivano gli scrittori , massimamente poi quando ebbero assaggiato gli autori latini : Filippo Villani ( nel Proemio ) tace di Giovanni , e di Matteo suo padre dice avere egli usato « lo stile che a lui fu possibile ; apparecchiando materia a più dilicati ingegni d ' usare più felice e più alto stile » . Né avrebbe il Boccaccio al nostro idioma fatto la violenza ch ' egli fece , so non avesse egli nella prosa creduto trovarlo come giacente e da cercare altrove i modi e le forme a dargli grandezza . Le varie parti della coltura non avendo le uno con lo altre avuto in Italia proporzione sufficiente , quei primi sommi parve , si alzassero come giganti per virtù propria , dopo sé lasciando un intervallo per cui le lettere cominciassero un altro corso dove i primi gradi già fossero stati con inverso ordine preoccupati . Il che nelle arti belle non avvenne , e quindi poterono esse regolatamente salire alla loro perfezione : ma le lettere invece di Giotto ebbero subito Michelangelo , terrore agli altri piuttosto che guida ; ed il Boccaccio avendo trovato la lingua già bene adulta ma inesperta , la fece andare per mala via : il solo Petrarca più degli altri fortunato , lasciò dietro sé lunga e prospera discendenza . Avvenne per questa mala sorte che la lingua innanzi di farsi e di tenersi donna e madonna come si conveniva a tali uomini ed a tale popolo , non bene osasse distaccarsi dal latino che stava siccome suo legittimo signore , talché all ' italiano si diede per grazia l ' umile titolo di volgare . Né questa ignobile appellazione cessava col volger dei tempi , le traduzioni dal latino s ' intitolavano volgarizzamenti ed anche oggi quel che si scrive da noi letterati diciamo scrivere in volgare , Dio ce lo perdoni . Ma quando pei cercatori dei libri classci il latino fu ogni cosa , e chi non facesse di quello il suo unico studio ebbe nome d ' uomo senza lettere ; allora alla lingua stata compagna , dei loro affetti mandarono i dotti il libello del ripudio , anzi fu cacciata via come la serva quando torna la matrona . Sarebbe al Poggio ed ai suo pari sembrato vergogna scrivere italiano , onde egli scriveva latine le Istorie dei tempi suoi e le Lettere e perfino le Facezie . I poveri scritti di chi aveva narrato le cose come le aveva fatte , si traducevano in latino perché si acquistassero un poco di stima . Né Pico Della Mirandola fu il primo che dicesse mancare le cose al Petrarca e a Dante le parole ; questi era stato già tempo innanzi vituperato come sciupatore del bello classico da Niccolò Niccoli erudito raccoglitore di vecchi libri , che lui chiamava ( così almeno lo fanno parlare ) « poeta da fornai e da calzolaj » , perché non seppe né bene intendere Virgilio né avviarsegli dietro pei compi floridi della poesia ( Leonardi Aretini Dialog . I Ad Petrum Istrum . Fu già stampato a Basilea , ed è manoscritto nella Laurenziana ) . Più tardi Cristoforo Landino , che fra tutti difese la lingua toscana e la usava felicemente , sentenziò pure « ch ’ era mestieri essere latino chi vuole essere buono toscano » ( Orazione di Cristoforo Landino , Firenze , 1853 ) . Encomia l ' industria che Leon Battista Alberti pose a trasferire in noi l ' eloquenza dei latini ; né certo si vuole togliere merito a siffatto uomo , né a Matteo Palmieri né ad altri lodati con lui : ma fatto è poi che seguitare nell ' italiano le norme latine come essi fecero , tolse loro di essere letti mai popolarmente , così che si giacquero per lungo tempo come dimenticati , ed oggi guardandoli a fine di studio ne pare di leggere una lingua morta . Cotesti almeno erano uomini educati ai buoni studi : ve n ' erano altri d ' ingegno più rozzo , i quali per volere essere eloquenti in verso ed in prosa , cercando norme all ' italiano fuori di se stesso , facevano certi pasticci di lingua , né latina né volgare , la quale usciva come per singhiozzi , che Dio ce ne scampi ; di che strani esempi potrei allegare se fosse qui luogo . Ma vale fra tutti quello di Giovanni Cavalcanti , autore di Storie fiorentine a mezzo il quattrocento : non fu senza ingegno , e dove narrando le cose interne della repubblica descrive gli umori o riferisce i parlari dei cittadini , dice il fatto suo con evidenza sovente felice ; ma , quando vuol essere ornato o facondo e soprattutto nelle descrizioni , tenendo dietro agli esempi dei latini non bene letti o non bene intesi , diventa oltremodo fastidioso per lungaggini e peggio ancora per l ' ambizione dei falsi colori : costui che avrebbe potuto essere buon cronista , fu dall ' abuso dei precetti che allora correvano condotto ad essere malo istorico . Così andarono le cose nella repubblica delle lettere fino a Lorenzo dei Medici e al Poliziano ; questi certamente mostrò nelle Stanze scritte da lui a venticinque anni e poi non finite , una squisita forma di poesia che annunziava già i tempi nuovi di cui può dirsi prima e gentile apparizione . Cionondimeno quell ' uomo stesso faceva latini poi finché visse i versi e le prose fino al racconto della Congiura dei Pazzi , fatto domestico e tremendo al quale era stato in mezzo e che tante passioni doveva destargli nell ' animo . Nella poesia il Poliziano pareva trovarsi più in casa sua quando scriveva latino : più imitatore in quelle stanze di fina bellezza che s ' era arrischiato egli a scrivere italiane . Lorenzo dei Medici si scusa d ' avere in lingua volgare commentato i suoi Sonetti , tale quale come Dante se n ' era scusato dugent ' anni prima . Ma nulla dunque si era fatto in quei dugent ' anni quanto all ' uso della nostra lingua ? S ' era fatto molto ed ogni giorno si faceva ; ma il male stava in ciò che tale uso procedeva bipartito , essendo pel naturale andamento suo più cólto nei popoli ma insieme più guasto nei libri . Un assai grande numero di lettere scritte nel quattrocento furono in questi anni pubblicate , e ne abbiamo noi vedute molte manoscritte ; e molte tratte dagli Archivi di Firenze sono allegate nel grande Vocabolario . Ora le lettere familiari danno sempre l ' espressione più naturale e più immediata del vivo parlare , e chi le raffrontiad altre più antiche le troverà scritte in modo che annunzia lingua più adulta e più conforme a quella che poi fu la moderna italiana lingua . Ma nei libri stessi umili in quel secolo , sebbene pallido ne sia lo stile , pure il discorso procedeva meglio ordinato e più finito e più somigliante ed acuto già fatto ; ma non però bello quanto promettevano le grazie e il fuoco delle età prime . Io pure grido , studiamo il trecento , secolo che aveva in sé certamente quella potenza che più non ebbe la lingua nostra ; ma vero è poi che di tutte le nazioni gli antichi scrittori si riveriscono come vecchi intanto che si amano come fanciulli ; si ammirano per la ingenuità loro e per la forza , ma non si saprebbe né si vorrebbe per l ' appunto scrivere a quel modo . Tuttociò avviene sempre e dappertutto ; ma fu a noi tristo privilegio che la lingua o si dovesse o si credesse dovere attingere dal trecento , quasiché in essa il corso del tempo facesse il vuoto o altro non avesse fatto che guastarla . Negli ultimi anni del quattrocento aveva la lingua dunque per se medesima progredito quanto a una struttura più regolare , ma dall ' essere usata poco e trascuratamente nei libri , pareva e anche oggi a noi pare , in fatto essere decaduta da ciò che ella era nel secolo precedente . Lorenzo de ' Medici , il Landino ed altri dicono spesso alla lingua nostra essere mancati gli uomini e lo stile di chi la usasse ; il che fu vero quanto allo scriverla come abbiamo qui sopra notato ; ma fu anche vero quanto al parlare questa lingua in modo che fosse norma ed esempio agli scrittori : su questo punto conviene ora , un poco fermarsi . Mi sovviene avere una volta udito il Foscolo dire nell ' impeto del discorso che « la lingua nostra non era stata mai parlata » nella quale enfasi di parola pare a me stesse il germe di un vero che ora si svolge sotto agli occhi nostri . Ma il campo non era libero a quel tempo , e si disputava chi avesse ragione se il Cesari purista , o il Cesarotti licenzioso , o il Perticari con quella sua lingua che stava per aria . Oggi il Manzoni sgombrando quel campo ha dato a noi terreno fermo col fare consistere nell ’ uso ogni cosa : né chi voglia uscire da quella dottrina può stare sul vero . Ma se a dire lingua si dice qualcosa fuori d ' iena , semplice nomenclatura , e se invece si tenga essere l ’ espressione di tutto il pensare d ' un popolo colto , certo è che gli usi di questa lingua sono diversi ( quanto diverse le relazioni cui deve servire ; e che in ciascuna , oltre all ' essere disuguale il numero delle parole che si adoprano , varia è anche la scelta di queste parole : al che si aggiunga ( e ciò è capitale ) che oltre alle parole , le frasi e il giro e i collocamenti di esse o la contestura del periodo ed in certi suoi elementi la forma di tutto il discorso che sempre ha del proprio e del distinto in ogni nazione , tutte queste cose fanno insieme la lingua di quella nazione . So che la lingua in tal modo intesa dovrebbe piuttosto chiamarsi linguaggio , ma so che a distinguere con secco rigore l ' una dall ' altra , queste due parole , starebbe la lingua tutta intera nei vocabolari dov ' ella si giace come cosa morta . Sotto questo aspetto bisogna pur dire che la lingua che si parla differisce in molte sue forme dalla lingua che si scrive , secondo che variano parlando o scrivendo gli intendimenti , le volontà ed in qualche modo lo stato degli animi in chi mette fuori il suo pensiero , e in chi lo ascolta presente o deve poi da sé leggerlo sulla carta . Per esempio , nella rapidità del discorso familiare non sempre avviene fare periodi che stieno in gambe come suol dirsi , perché in tal caso alla intelligenza molti aiuti provvedono , e la parola come alterata da una concitazione d ' affetti ne diventa spesso più efficace . Chiaro esprimeva questo pensiero Giovan Battista Gelli nella Prefazione d ' una sua Commedia stampata in Firenze l ' anno 1550 : « Altra lingua è quella che si scrive ne le cose alte e leggiadre , e altra è quella che si parla familiarmente ; sì che non sia alcuno che creda che quella nella quale scrisse Tullio , sia quella che egli par - lava giornalmente » , questo dice il Gelli , né intendevano del comun parlare coloro che innanzi di lui scrivevano essere mancati gli uomini alla lingua ( Landino , Proemio al Commento sulla Divina Commedia ) Ma se poi si guardi non più al discorso familiare , sibbene a quello di chi parla solo ed a bell ' agio e non interrotto , in faccia ad un pubblico o ad una qualsiasi radunanza ; allora il linguaggio s ' avvicina molto allo scrivere , di cui ben fu detto non essere altro che un pensato parlare : nondimeno chi ponga mente per non dire altro al tempo elle mette generalmente più lungo in questo pensare l ' uomo che scrive di colui che parla , non che al discorso che n ' esce fuori ; noterà essere delle differenze per cui la parola scritta è meno viva sempre di quella ch ' esce parlando quanto mai si possa pensatamente . Si vede nei libri quando l ' autore poco avvezzo a dire le cose , va cercando ed esse una forma che si adatti ai libri : nei Greci antichi e nei Latini ci si fa innanzi sempre l ' oratore . Imperocché allo scrivere con efficacia è grande aiuto l ' uso del parlare , dove uno s ' addestra a certo artifizio cui più di rado pervengono le scritture , dico quella distribuzione sagace di concisione e di abbondanza e di facilità e di sostenutezza , e quei colori appropriati a ' luoghi secondo richiedono i varii argomenti e le diverse parti dell ' orazione : s ' imparano queste cose dagli effetti che in altrui produce la nostra parola . Laonde a chi scrive manca una scuola molto essenziale quando egli non abbia la mente già instrutta in quelle forme per cui si esprimono parlando le cose che egli vuole scrivere . la quale mancanza che fu in Italia , dai tempi antichi e si protrasse poi nei moderni , ha dato spesso ai nostri libri certa aridità solenne la quale ebbe nome di stile accademico . Da questo vizio salvò i Francesi la conversazione , la quale fu ad essi come una sorta di vita pubblica e informò lo scrivere in ogni qualsiasi più grave argomento ; talché gli scrittori nel tempo medesimo che ne acquistavano maggior vita , divennero anche più facilmente e più generalmente popolari , così da esercitare nella lingua qual maestrato il quale ha bisogno la lingua medesima che venga dai libri . Questa , sorta di maestrato quale si sia , disse tanto bene Vito Fornari in un recente suo libretto , chi ' io farei torto al mio concetto se non lo esprimessi con le medesime sue parole . « Se egli è giusto il dire che il linguaggio non istà tutto negli scrittori , non si vorrà per questo affermare che si trovi intero fuori degli scrittori . Certi fatti mentali , e certe più fine relazioni e determinazioni del pensiero , non si vedono distintamente e non vengono significate , se non quando si scrive , cosicché alcuna piccola parte de ' vocaboli o molta parte de ' modi di dire o de ' costrutti non si può imparare altrove che nelle scritture » ( Lettera stampata nel Propugnatore , Bologna , 1869 ) . Per essere in questo modo imperfetta la lingua nostra poté nel secolo di cui scriviamo essere accusata « di viltà e non capace o degna di alcuna eccellente materia e subietto » , come attesta Lorenzo de ' Medici in quel commento del quale abbiamo poc ' anzi discorso . Bene egli l ' assolse da tale accusa , con argomenti di ragione e con gli esempi di Dante e del Petrarca e del Boccaccio . Ma quasi non fossero per sé valevoli quegli esempi , afferma al suo tempo essere la lingua « tuttora nella adolescenza perché ognora più si fa elegante e gentile . E potrebbe facilmente nella gioventù e adulta età sua venire ancora in maggiore perfezione , tanto più se il Fiorentino impero venisse ad ampliarsi e a distendersi maggiormente » ( Proemio al Commento sulle Canzoni ) ; pensiero nel quale stavano adombrati , ma certo assai timidamente , il male e il rimedio . Tali erano dunque le condizioni di questa lingua negli ultimi anni del quattrocento ; l ' abbiamo veduta per l ' andamento suo naturale progredire nelle sue più familiari ed umili forme , o nella opinione dei letterati intanto scadere . Ma ricorrendo ora col pensiero per tutto quello che si è fin qui scritto , abbiamo noi ed avrà chi legge , dovuto accorgersi che il discorso nostro non v ' era mai stato caso che uscisse fuori dei confini della Toscana . Di ciò cagione fu la mancanza non dirò intera ma poco meno , di libri o scritture in lingua italiana usciti dalle altre provincie d ' Italia . Volere discernere se dalla cultura dei primi Toscani uscisse la lingua o dalla lingua la colture , somiglierebbe troppo l ' antica lite di precedenza che fu tra l ' ovo e la gallina ; poiché la lingua essendo una materiale determinazione dei pensieri e degli affetti che si produssero dentro a quel popolo che la forma , diviene strumento che rende capace quel popolo a nuove produzioni del pensiero e a viepiù estendere la sua coltura . Oltrediché una lingua è monca e dappoco finch ' ella non abbia la sua finitezza negli usi letterarii , cioè finché non sia capace ad esprimere le cose pensate fuori del continuo uso e prima ordinate dalla lenta opera degli intelletti , finché non abbia insomma prodotto dei libri . Ciò avvenne in Toscana subito dopo al 1230 , prima di quel tempo dovendosi credere non bene compita questa moderna favella come Dante la chiamava . Ma ebbe ad un tratto scrittori in buon numero , e si cominciò a tradurre in lingua volgare gli autori latini ; tanta fiducia ebbe acquistata allora il pensiero in quella sua nuova e giovane forma . E furono gli anni nei quali Firenze , divenuta possente ad un tratto , si rivendicava in libertà , fondava una repubblica popolare , pigliava in Italia egemonia delle città guelfe , diveniva maestra delle Arti e produceva il libro di Dante . La lingua latina come noi l ' abbiamo era il portato di una solenne elaborazione del pensiero la quale si fece dentro a Roma stessa , sovrapponendosi alla forma latina che aveva quivi il parlare dei greco - italici : nata nel fôro e nel Senato o già sovrana sul Campidoglio , si distendeva per tutta Italia come lingua insieme politica e letteraria ; discesa quindi nelle Basiliche dei cristiani , divenne propria della religione . Nacque il volgare nel modo stesso ma con effetti dissomiglianti dentro ad un popolo d ' artisti , ed ebbe tosto una letteratura che per due secoli manteneva l ' impronta in se stessa . della città che l ' avea formata . In quella stavano per due secoli tutte le lettere italiane ; ma perché s ' intenda come le altre provincie nulla a quel moto partecipassero , vorremmo che studi maggiori si facessero sopra i vari dialetti d ' Italia , mostrando per quali più lenti passi si conducessero anch ' essi ad avere scrittori che fossero da contare oggi tra gli Italiani . Allora si vedrebbe fino a qual punto ciò conseguissero per via d ' imprestiti sopra i libri d ' autori toscani , ma né potevano questo fare né il farlo sarebbe stato sufficiente finché i dialetti più inferiori avessero tutta serbata l ' antica loro povertà . E rozzezza . Era il toscano in fine dei conti un italiano più compiuto e più determinato , più omogeneo in se stesso e più latino , perché il parlare dell ' antica plebe a questo più affine , aveva , in se stesso trovato la forma della lingua nuova a cui si era più presto condotto . Nello altre provincie più era da fare , e quello che si fece , rimase dialetto perché le misture avevano in sé troppo forti discordanze ; i suoni , gli accenti sempre non erano italiani . A mezzo il dugento uno scrittore pugliese Matteo Spinelli da Giovinazzo , avrebbe prima dal Malespini in una sua Cronaca mostrato esempio di lingua italiana che poi rimaneva lungamente solitario . Né un tale fatto io seppi mai come spiegarmi : se non che adesso da un erudito tedesco viene accertato , la Cronaca del pugliese non essere altro che una falsificazione fatta tre secoli dopo ; il che era facile sospettare dal dettato corrente più che non sia quello dell ' ispido Malespini , e dove si scorge sopra una forma tutta moderna spruzzate parole e desinenza napoletane da chi a quel gioco s ' era dilettato ( Bernardi , Dissertazione , ecc . , Berlino , 1868 ) . Gran tempo corse prima e uscissero da quello provincie e meno ancora dalle settentrionali , libi di prosa scritti in una lingua la quale non fosse come rinchiusa nel natio dialetto . Ne abbiamo esempio in quella vita di Cola di Rienzo la quale fu scritta dal romano Fortifiocca dopo alla metà del trecento . Qui perché siamo nella Italia media , la penna corre facile e sciolta ; ma tanto è ivi del romanesco , tanto le alterazioni dei suoni e quelle che a tutto il resto d ' Italia infino d ' allora comparivano brutture , da porre quel libro fuori del registro dei libri italiani . Quanto alle letterefamiliari un maggiore studio sarebbe da farne secondo i tempi e le provincie , ma , per via d ' esempio , quelle clic abbiamo degli Sforza irte e stentate , fanno contrasto alle bellissime elle allora e prima scrivevano l ' Albizi e altri Commissari fiorentini ( Commissioni di Rinaldo degli Albizzi , vol . I , 2 , Firenze . – Il terzo è in corso di stampa ) Le cronache in lingua italiana ma di autori non toscani che si hanno dalla metà , del XIV fino verso la fine del XV secolo nulla c ’ insegnano di quello che importi al nostro proposito , perché il Muratori che lo pubblicava badando ai fatti e non volendo ml oscurarli con le rozzezze dei dialetti , né tener dietro alle ignoranze dei copisti , tradusse ( com ' egli accennava nelle prefazioni ) coteste Cronache nella lingua comune al suo tempo . Generalmente però è da notare che appartengono all ' Italia media o alla Venezia , poche estendendosi verso il mezzogiorno : in quelle provincie la lingua italiana si era formata più ( l ' accordo con se stessa per la maggiore affinità che era tra ' popoli primitivi , e poté quindi salire al grado di lingua scritta più presto che non potessero quelle dov ' erano popoli usciti di razza celtica od iberica . Lo versioni dei romanzi di cavalleria generalmente scritti in lingua francese , dovrebbe cercarsi se alle volte non appartenessero ai luoghi dov ' ebbe maggiore entrata questo idioma . Tutto ciò vorrei che gli eruditi ci dichiarassero , pigliando esempio dalla non mai infingarda curiosità degli uomini tedeschi . Ma si tenga a monte come tra l ' uso della poesia e quello della prosa le cose andassero in modo diverso . La poesia lirica fu italiana dai suoi primordi e si mantenne : da Ciullo d ' Alcamo siciliano al Guinicelli bolognese ed al Petrarca un andamento sempre uniforme la conduceva fino al sommo della perfezione per una via che rimase sempre l ' istessa nel corso dei secoli . Emancipatasi dal latino prima della prosa , fa in essa più certo l ' uso della lingua ed ebbe consenso che l ' altra non ebbe : quindi noi troviamo che in sulla fine del quattrocento v ' era una lingua nazionale della poesia , che nulla ha per noi né d ' antiquato né di provinciale ; il che non può dirsi dei libri di prosa . Ma quello era il tempo nel quale in Europa non che in Italia pareano le cose pigliare un essere tutto nuovo ; ciascuna nazione d ' allora in poi ebbe la propria sua lingua più o meno perfetta , ma in tutto recata a foggia moderna . Era un procedere naturale , ma che in Italia più vivo che altrove , doveva estendersi dappertutto : le minori città meno chiuse in se medesime poiché avevano perduto ciascuna , la fiera indipendenza municipale , si aggregavano alle grandi , e l ' una con l ' altra più si mescolavano ; la vita più agiata voleva relazioni più frequenti , gli Stati col farsi più vasti creavano nuovi centri di cultura , le corti ambivano essere accademie . Intanto lo studio classico diffuso per tutta l ' Italia valeva molto a correggere quei volgari ch ' erano rimasti infino allora meno latini ; dal fondo di ciascun dialetto cavava lo studio dei libri classici una forma , la quale applicata all ' uso colto di quei dialetti , faceva quest ’ uso naturalmente essere più italiano e più capace di trarre a sé quella finitezza che prima avevano acquistata i soli libri dei Toscani : venivano i suoni a farsi più molli , più agevole certa speditezza di costrutti ; molte proprietà di lingua che i Toscani avevano appreso dall ' uso antico tra loro , gli altri imparavano dal latino . Notava sapientemente il Tommaseo come le etimologie sieno più assai che non si crederebbe mantenute dall ' uso del popolo non che da quello dei grandi scrittori : ciò era in Toscana più spesso che altrove ; negli altri dialetti gli uomini colti le ritrovavano qualche volta per lo studio dell ' antico latino e quindi le riconducevano nei libri . A questo modo il latino ch ’ era stato impedimento allo scrivere dei Toscani , condusse nelle altre provincie i dialetti a meglio rendersi italiani . In questo tempo era trovata la stampa , dal che la parola aveva acquistato come un nuovo organo a diffondersi . In tutti i tempi fino allora ed in tutti i luoghi chi si metteva a scrivere un libro sapeva bene che sarebbe andato in mano di pochi ; cercavano quindi il loro teatro a così dire nella posterità : di qui è che i libri ne uscivano più pensati e meno curanti di essere popolari ; questo vantaggio hanno i libri classici e quindi più servono alla disciplina del pensiero . Mia lasciando stare queste cose , gli autori toscani , eccetto i poeti , scrivevano fino allora per la provincia loro , né credeano essere intesi nelle altre : quindi è che i libri che apparissero meritevoli venivano tradotti in lingua latina per dare ad essi , così dicevano , maggiore divulgazione . Quando poi si cominciò a stampare ( com ’ è naturale ) quei libri ch ’ erano più cercati , ebbe il Petrarca la prima edizione l ' anno 1470 , e la ebbe il Boccaccio nel tempo medesimo ; nel 1472 tre non delle non maggiori città d ' Italia si onoravano pubblicando ciascuna il Poema di Dante che usciva a Napoli poi nel 1473 , ed aveva ben tosto l ' aggiunta , di nuovi commenti , ma in lingua latina . D ' altri toscani antichi non mi pare che avesse edizioni in quei primi anni altri che il Cavalca sparsamente per l ' Italia ma per tutte quasi le varie sue opere ; e oltre lui pochi degli ascetici : stamparono questi perché erano i soli elle avessero faina allora in Italia . Nel mentre che autori delle altre provincie pubblicavano commentato in lingua latina il libro di Dante , un toscano che da principio soleva scrivere latina ogni cosa , Cristoforo Landino , poneva le mani a stenderne un molto ampio commento in lingua italiana . Di già i vecchi commentatori del trecento pareano a lui essere un poco antiquati ed io per me credo che senza la stampa non avrebbe egli pensato un lavoro il quale intendeva riuscisse , come ora si direbbe , popolare . Lo stesso Landino avea pubblicato l ' anno 1476 una versione dell ' Istoria naturale di Plinio , dov ' entra un numero stragrande di voci ; questa ed il Commento che fu stampato nel 1481 io credo non poco servissero agli scrittori tuttora inesperti che ebbero in quei libri un esemplare di lingua vivente ma non toscana soverchiamente , perché il Landino per antico abito disdegnava quei modi di scrivere che a lui sapessero di plebeo . Nello stesso anno 1481 usciva il Morgante di Luigi Pulci , e insieme i tre libri non poco servirono a rendere meglio familiare l ' uso dello scrivere in lingua comune . Imperocché il Pulci che sollevava l ' ottava rima dalla pesantezza del Boccaccio e dalle bassezze degli altri , scrittore di vena copiosa e facile , ha in sé qualcosa quanto alla lingua , di meglio compito nella struttura del discorso , di più andante nei periodi , qualcosa insomma di più avanzato e più universale di quello che fosse generalmente negli autori del trecento e che annunzia maggiore coltura . Lorenzo de ' Medici e Angiolo Poliziano ebbero fama e non del tutto immeritata come restauratori del buono scrivere italiano . Lorenzo promosse l ' uso di questa lingua e lo difese dandone egli stesso in verso e in prosa pregiati esempi . Seguendo il genio suo nativo che lo conduceva bene all ' acquisto della grandezza , cercò egli essere popolare ; la conversazione lo avea formato più che lo studio dei libri greci e de ' latini che a lui erano passatempo : si atteneva quindi assai di buon grado all ' uso fiorentino in quelle minori poesie , le quali o sacre o sollazzevoli , bramava che fossero cantate dal popolo ; facea versi anche po ' contadini . Per tutto questo meritò bene della lingua più ancora che non facesse il classico Poliziano il quale insegnava a trarre la forma della poesia italiana dai greci autori e dai latini . Finiva il secolo , e la lingua toscana pareva che già s ' avviasse a farsi italiana . Alle altre provincie secondo che divenivano più cólte , non bastava l ' uso di quei volgari plebei a cui rimase nome di dialetti ; perché a cotesto uso mancavano spesso non che le voci per cui si esprimono idee non pensate dagli uomini rozzi , ma più ancora le frasi o locuzioni e il giro e la forma di quel discorso più condensato che si chiama scelto , più breve e rapido perché cerca comprendere un maggior numero d ' idee ; forma che serve generalmente a chi si mette a scrivere un libro . Non so che i dialetti fossero insegnati nelle scuole , né che si pensasse molto a coltivarli come lingua letteraria . Ciò tanto è vero che il fare libri nel dialetto proprio agli autori non toscani cominciò tardi e fu per gioco e come una sorta di prova non tanto facile , perché lo scrittore deve in quel suo dialetto cacciare e costringere le frasi e i costrutti ch ' egli era solito pigliare da un uso più colto e più universale . Ma per contrario , quando nel primo tempo l ' autore avvezzo al suo dialetto voleva innalzarlo fino a quella lingua , ch ' era intesa da tutti , ne aveva in sé il germe che la coltura vi avea già posto : e il nuovo processo veniva spontaneo , essendo per molta parte il compimento di quell ' antico suo parlare . È stato già detto che a scrivere bene in lingua italiana , la meglio è cercarla in ciascuno nel fondo del suo dialetto , perché a correggere o a dirozzare questo si vede uscirne fuori quella lingua , comune di cui la lingua toscana già diede agli altri dialetti la forma e che n ' è il fiore e la perfezione . Ma questi dialetti poiché non bastavano a quell ' uso più ampio e più scelto , chiunque , volesse parlare o scrivere in tal modo , non poteva pigliarne le forme da un altro dialetto , perché non s ' intendono questi fra loro ; poteva bene da quel linguaggio e da quell ' uso più accettabile universalmente , che vivo in Toscana corregge da per tutto i plebei parlari perché più italiano di ciascuno d ' essi . Ciò veramente poteva in qualche parte dirsi opera di traduzione , ma non di quella che si fa pigliando parole e forme da lingua straniera ; e questo fu il caso di quei primi non toscani , i quali sul finire del secolo XV cominciarono a scrivere libri in lingua toscana . Vorremmo allegare qui alcuni di quelli sparsi documenti che a noi fu lecito di raccogliere da varie provincie d ' Italia , se fosse qui luogo a minute ricerche o se quelle che abbiamo fatte ci apparissero comprendere tutta la vasta materia . Crediamo però che i pochi esempi sieno conferma di quello che abbiamo sopra accennato quanto alla difficoltà che avevano maggiore o minore le altre provincie a farsi nello scrivere italiane , secondo le varie qualità delle misture ch ' erano entrate in ciascun dialetto . Abbiamo un Testamento politico di Ludovico il Moro scritto sulla fine del quattrocento in lingua milanese che vorrebb ' essere italiana ( Documenti di storia italiana , copiati a Parigi da G . Molini , tom . I in fine ) ; e nella città stessa abbiamo l ' istoria di Bernardino Corio che finisce al primo entrare del secolo susseguente : qui sembra il dialetto nascondersi affatto , ma lo stile duro e faticato ha proprio l ’ aspetto d ' un nuovo e non sempre felice sforzo che l ' autore fece usando una lingua che tutti leggessero . Questa , e l ' istoria napoletana di Pandolfo Collenuccio da Pesaro credo sieno i primi libri dove il toscano fosse cercato da scrittori non toscani : il Corio di molto sopravanzò l ' altro per la materia , ma il Pesarese più franco e sicuro in quanto alla lingua , scrive anche in modo assai più scorrevole . Generalmente gli uomini più meridionali e su su venendo quelli della sponda dell ' Adriatico , si erano prima fidati più degli altri al natio dialetto così da usarlo anche nello scrivere . I Veneziani , etruschi d ' origine , come hanno dialetto meno degli altri discordante , così lo usarono sebbene con qualche temperamento sino al finire della repubblica nelle arringhe che si facevano in Senato o nella sala del Gran Consiglio , tanto che v ' era un ' eloquenza in veneziano , quale non credo che fosse nemmeno in Firenze dove il Gran Consiglio durò poco e prima era scarso l ’ uso del parlare in modo solenne . La vita e la lingua qui erano nel popolo , da cui venivano come a scuola gli scrittori quando al principio del cinquecento l ' urto straniero ci ebbe insegnato a rendere cose quanto si poteva nazionali , la vita almeno civile e la lingua . Pochi anni prima di quel tempo Fra Girolamo Savonarola venuto giovane da Ferrara dove il parlare aveva qualcosa del veneto , cominciò in Firenze a predicare . « Da principio diceva ti e mi , di che gli altri Frati si ridevano » ( Cambi , Storia di Firenze , anno 1498; sta nelle Delizie , ecc . del P . Ildefonso ) . Divenne poi grande oratore avendo appreso qui la correttezza e la proprietà della favella , senza mai troppo cercare addentro nell ' uso più familiare di questo popolo Fiorentino . Dal quale poi trasse non poco un altro Ferrarese , l ' Ariosto , ma con quel fino e squisito gusto ch ' era a lui proprio ; e se io dovessi dire quali autori allora o poi meglio adoprassero nelle scritture quell ' idioma che solo era degno di essere nazionale , porrei senza fallo il nome dell ' Ariosto accanto a quelli di due Toscani , che sono il Berni ed il Machiavelli . Lo scrivere andante si poteva bene imparare anche da due poeti come questi , perciò infine la lingua della poesia viene dalla lingua della prosa , di cui non è altro che un uso più libero . Cosi alla fine questo volgare che aveva data ne ' suoi primordii una promessa poco attenuta , che fu negletto per oltre un secolo , o rinnegato da chi teneva il latino essere tuttavia l ' idioma illustre della nazione , questo volgare divenne allora quel che non era ma prima stato , lingua italiana . A questo effetto andavano tutte insieme le cose allora in Italia : già la coltura diffondendosi agguagliava presso a poco l ’ intera nazione ad un comune livello , intantoché le armi forestiere distruggevano in un con le forze provinciali e cittadine quanto nei piccoli Stati soleva in antico essere di splendore e di bellezza ; l ' idea , nazionale che allora spuntava cominciò a farsi strada nella lingua . Ma era troppo tardi : gli ingegni fiorivano , le lettere e le arti toccavano il colmo , l ’ Italia insegnava alle altre nazioni fino alle eleganze e alle corruttele della vita ; possedeva una esperienza accumulata d ’ uomini e di cose tale che una piccola città italiana aveva in corso più idee che non fossero allora in tutto il resto d ' Europa ; di scienza politica ve n ' era anche troppa . Ma quando poi sopravvennero i tempi duri , questo tanto sfoggiare d ' ingegni non approdò a nulla , perché le volontà in Italia , erano o guaste o consumate dall ' abuso , o vôlte a male . Quegli anni che diedero i grandi scrittori passarono in mezzo a guerre straniere dove gli Italiani da sé nulla fecero , nulla impedirono ; e come ne uscisse acconcia l ' Italia non occorre dire . Dopo le guerre o dopo i primi trent ' anni del cinquecento , erano i tempi ed il pensare ed il sentire di questa nazione tanto mutati da mostrare il vuoto che era sotto a quella civiltà splendida ma incompiuta ; da quelli anni in poi calava il nostro valore specifico ( se dirlo sia lecito ) , e il nostro livello a petto alle altre nazioni d ' Europa venne a discendere ogni giorno . Mancò nel pensiero , perché era mancato prima nella vita , l ' incitamento ad ogni cosa che non fosse chiusa dentro ad un cerchio molto angusto ; manco la fiducia che all ’ uomo deriva dall ’ aperto consentire insieme di molti : v ' era in Italia poco da fare . Né ai tanti padroni che aveva essa dentro andava , a genio che si facesse , ma già la stanchezza o una mala sorta d ' incuranza disperata menavano all ' ozio , interrotto solamente da quelle passioni che non hanno scusa nemmen dal motivo ; la conversazione tra gente svogliata o avvilita o malcontenta non pigliava vigore né ampiezza dai gravi argomenti ; i libri meno che per l ’ innanzi andavano al fondo nelle cose della vita : dice il Fornari molto bene che « tra ' letterati e lettori non v ' era in Italia quella comunicazione intima e piena » per cui la vita , la lingua , le lettere tra loro s ' ajutano . Noi crediamo che nei libri qualcosa debba essere che sia imparata fuori dei libri , perché altrimenti lo scrivere viene quasi a pigliare la forma d ' un gergo necessariamente arido e meno efficace , da cui s ' aliena , il comune dei lettori . Ciò avvenne bentosto in Italia , e fu in quel tempo quando la lingua più si voleva rendere universale e n ' era essa stessa , divenuta più capace avendo perdute allora le asprezze d ' un uso ristretto , e nel diffondersi la coltura avendo acquistato migliore esercizio nelle arti della composizione . Ma giusto in quel tempo questa lingua per certi rispetti più accuratamente scritta , fu meno parlata ; e la parola meno di prima fu espressione di forti pensieri ed autorevoli e accetti a molti : vennero fuori i letterati , sparve il cittadino ; scrivea per il pubblico chi nella , vita non era avvezzo parlare ad altri che alla sua combriccola : quindi l ' eloquenza cercò appropriarsi all ' uso delle accademie le quali erano una sorta di sparse chiesuole . Mancò alla lingua , un centro comune perché mancava alla nazione : ne avevano entrambe lo stesso bisogno che appunto allora cominciò ad essere più sentito , sebbene in modo confuso ed incerto ; nulla si poteva quanto alla nazione , rimedii alla lingua si cercavano in più modi , varii , discordanti e quasi a tentone . Un snodo semplice vi sarebbe stato , ed era l ' attingere copiosamente da quel dialetto ch ' era il più finito ; ma questo invece di tenere sugli altri l ' impero , vedeva in quel tempo scadere non poco o farsi dubbia , l ' autorità sua . Al solo pregio della lingua molti sdegnavano ubbidire : condizioni tutte differenti sarebbonsi allora volute in Italia perché tante voci , tante locuzioni , tante figure con l ’ acquistare sanzione solenne potessero farsi moneta corrente pel comune uso degli scrittori . Avrebbe la sede naturale della lingua dovuto almeno stare in alto cosicché tutte le parti d ' Italia a quella guardassero , e che al toscano fossero toccate lo condizioni dell ' idioma parigino ; « perché il toscano ( dice il Manzoni da pari suo ) faceva dei discepoli fuori dei suoi confini , il francese si creava dei sudditi ; quello era offerto , questo veniva imposto » . A questo modo solamente potea l ' ossequio delle altre provincie essere necessario o inavvertito , perché non venissero tra ' letterati a sorgere le contese che nate una volta non hanno mai fine . Se ( come fu detto ) lo stile è l ' uomo , la lingua può dirsi che sia la nazione : quindi all ' esservi una linguaggio bisognava , ci fosse una Italia , né altrimenti poteva cessare l ' eterna lagnanza che il linguaggio scritto si allontanasse troppo dai modi che si adoprano favellando ; né bene potesse fare sue le grazie e gli ardimenti del volgar nostro , il quale da molti ignorato ebbe anche taccia , di abbietto e triviale ( Alcune parole di questo discorso erano scritte fino dal 1826 , e sono stampate negli Atti dell ’ Accademia della Crusca ) . Cotesta accusa molto antica tutti parevano confermare contro alla povera nostra lingua , che ci avea colpa meno di tutti . Poco badando all ’ uso vivo , nelle scuole di lettere insegnavano per tutta Italia dopo ai latini quei pochi autori toscani che allora fossero conosciuti , cercando alla meglio di mettere insieme su questi esemplari una sorta di linguaggio comune che fosse atto alle scritture . Un letterato molta solenne , Gian Giorgio Trissino da Vicenza , poneva in credito il linguaggio illustre con la versione da lui fatta del libro De Vulgari Eloquio ; Baldassarre Castiglione mantovano , uomo e scrittore di bella fama , sebbene dichiari la lingua essere una consuetudine , biasima l ' andare sulle pedate dei toscani sia vecchi , sia nuovi : sentenziò il Bembo che l ' antica lingua stava nel Boccaccio , di cui gli piacevano le grandi cadenze ; tutti i chiarissimi dell ' Italia , per ben tre secoli dopo lui accettarono la sentenza . Ma della comune popolare come in Firenze si parlava e si scriveva , niuno voleva sapere : negli anni stessi del Bembo , cioè verso il 1530 , Marino Sanudo scriveva in una lettera stampata « che Leonardo Aretino trasse ( l ' Istoria di Firenze ) da un Giovanni Villani il quale scrisse in lingua rozza , toscana » ( Estratti del sig . Rawdon Brown , Tomo III , p . 318 ) . Il Bembo era il solo autore vivente di cui s ' innalzasse non contestata l ’ autorità : basta ciò solo a dimostrare come si vivesse in fatto di lettere , quando gli Spagnuoli furono rimasti padroni d ' Italia . Al Machiavelli nella sua patri istessa nuoceva la vita , gli nocque più tardi , quanto al numero dei lettori , l ' essere all ' Indice ; l ' Istoria , del Guicciardini fu lasciata , stampare , ed anche mutilata , solamente nel 1561 , due anni dopo a che l ' Italia per grande accordo tra ' potentati si può dire fosse bello e sotterrata , e quando la voce degli italiani ormai più non faceva , paura a nessuno ( Nel 1559 il Trattato di Castel Cambrese aveva finito le guerre d ’ Italia ; ma in quell ’ anno stesso dal piè delle Alpi si preparava il 1859 , tre secoli tondi e date che importano la storia della lingua ) . Frattanto era disputa più volte rinnovata se si dovesse dire lingua italiana o toscana o fiorentina : chi affermava la lingua essere in Firenze facea nondimeno poca stima degli autori che ivi nascessero ; in certe parole recate dal Bembo si va fino a dire che « a scrivere bene la lingua italiana , meglio è non essere fiorentino » . E in questa medesima città noi vedemmo quante incuranze o quanti dispregi soffrisse la lingua nei più eminenti tra ' suoi cultori : la Divina Commedia non vi ebbe più quasi edizioni , e verso il 1520 certi maestri di scuola vietavano agli scolari leggere il Petrarca . Questa ed altre cose che stanno a dimostrare la confusione dominante tra ' letterati sono a disteso esposte in un libro di qualche pregio e di molta noja che ha per titolo l ' Ercolano ; autore di esso fu Benedetto Varchi il quale pel vario ingegno non ebbe chi lo agguagliasse dentro a quella età che scendeva . In quel medesimo suo libro si vede come allora molto dominassero i grammatici ai quali avviene quel che ai fisiologi , perché entrambi avvezzi a tenere fermo il pensiero sopra le minute particelle delle cose , riescono spesso corti o disadatti a quelli studj più comprensivi che bene in antico nella loro massima estensione ebbero nome di umanità . Consente il Varchi prudenzialmente al Bembo : ma solo nelle apparenze ; confessa la lingua in Firenze essere trascurata , ma vuole si cerchi nel fondo dell ' uso , mettendo egli fuori per via , d ' esempi gran copia di voci e soprattutto di locuzioni familiari , dovizie nascoste da farne a chi scrive ricco patrimonio ( Varchi , Ercolano , Padova , 1744 , in 4° , pag . 84 e segg . – 357 e segg . – 446 e segg . – 508 e in molti luoghi ) . In questo avrebbe egli dato nel segno , né vi è anch ' oggi da fare di meglio , tantoché sarebbe alla unità della lingua mezzo utilissimo un Vocabolario com ' è proposto dal Manzoni . Ma il guajo stava in ciò che non erano i più di quei modi entrati abbastanza nell ' uso comune ; molti erano figure che un tempo ebbero qualche voga , capricci d ' un popolo arguto e faceto , e spesso allusioni a cose locali : cotesti Firenze non avea diritto d ' imporre all ' Italia . Inoltre non era , più questo popolo quello che aveva creato una lingua educatrice di tanti ingegni ; meno operando inventava meno , e fatto più inerte anche nell ' animo , i suoi discorsi andavano spesso a cose da ridere . I letterati seguendo in queste nuove condizioni l ' antico genio popolare e avendo qui molto in uggia il sussiego recato dagli Spagnuoli , si dilettavano oltre al giusto di certe bassezze da essi chiamalo grazie della lingua : così tra le bassezze e nobiltà false viveano le lettere poi tutto quel secolo . Ma dentro a quegli anni nacque Galileo . Le scienze matematiche e le fisiche hanno questo , che l ' uomo le pensa dentro a se medesimo , si tengono fuori dal corso vivo degli umani eventi , e vanno da sé per la via loro qualunque si sieno le cose all ' intorno . Galileo che pure in mezzo all ' sperimentare minuto e sottile teneva lo sguardo volto all ' universo , portò nella fisica , l ' ampiezza d ' una filosofia , degna li questo nome , e fu in secolo di decadenza , scrittore sommo , perché al bell ' ordine del discorso unisce la copia e una dignitosa naturalezza . Continuava da cento anni in Firenze la scuola fondata da Galileo e di sé lasciava traccie indelebili nelle scienze fisiche ; da quella uscirono anche uomini dotti nelle razionali , e assai le lettere se ne avvantaggiarono nella seconda metà del seicento . Ma quando la lingua , o le idee francesi predominarono e quando poi gli eccitamenti nuovi destarono gli animi degli Italiani a cercare almeno in fatto di lingua l ' unione vietata , la Toscana sofferse rimproveri dalle altre provincie quasi ella fosse gelosa , ma inutile custoditrice di quel tesoro che aveva in casa ma non lo adoprava . Più grave è fatto il nostro debito ora in tempi di sorti mutate , di sorti maggiori ma più difficili a portare ; noi siamo venuti ad esse non preparati , e s ' io dovessi quanto alle future condizioni della lingua fare un pronostico , direi senz ' altro : la lingua in Italia sarà quello che sapranno essere gli Italiani .
La trasgressione impossibile ( Perina Flavia , 2000 )
StampaQuotidiana ,
POTREBBE essere un racconto di Pirandello . Il racconto di un uomo sempre controcorrente , che sul marciare controvento ha costruito una clamorosa e onoratissima carriera diventando il simbolo stesso della demolizione delle regole e del rovesciamento degli schemi , che tuttavia non riesce ad ammettere - neanche per un attimo , nemmeno con se stesso - la prima e la più assoluta delle sue trasgressioni : l ' adesione a una " causa sbagliata " , poi diventata nell ' arco degli anni un autentico tabù sociale e storico . Potrebbe essere un racconto di Pirandello , e invece è la vicenda di Dario Fo , tornata d ' attualità sull ' onda della polemica sulle " confessioni " di Roberto Vivarelli riguardo all ' adesione alla Rsi . Anche Dario Fo vestì la divisa della Rsi . Anche lui è stato interpellato di recente sui motivi di quella scelta . A oltre cinquantanni di distanza , da uno così uno che sul " coraggio di dire di no " ha costruito una carriera da Nobel , ci si poteva aspettare un fulminante " outing " . E vero , l ' ho fatto . Invece è arrivato un deprimente contorcimento . Deprimente sia per il compagno di " Guerra di popolo in Cile " sia per il camerata di " Battaglioni del Duce battaglioni " . " A differenza di Vivarelli che , sebbene per poco , ci credette - ha spiegato Dario Fo al " Corriere " - io aderii alla Rsi per ragioni molto più pratiche : cercare di imboscarmi , portare a casa la pelle " . Fo dice di aver scelto l ' artiglieria contraerea di Varese perché tanto " non aveva cannoni " ed era facile prevedere che gli arruolati sarebbero presto stati rimandati a casa . Quando capì che invece rischiava di essere spedito in Germania " a sostituire gli artiglieri tedeschi massacrati dalle bombe " , trovò un ' altra scappatoia . Si arruolò nella scuola paracadutisti di Tradate . Frequentò il corso . E " finito l ' addestramento , fuga finale . Tornai nelle mie valli , cercai di unirmi a qualche gruppo di partigiani , ma non ne era rimasto nessuno " . E ' una versione ben differente da quella che lo stesso Fo fornì vent ' anni fa , e di cui diamo conto nell ' articolo qui a fianco . All ' epoca il giullare di " Mistero buffo " sosteneva addirittura di essere entrato nella Rsi su incarico di formazioni partigiane . Smentito in processo , è stato probabilmente costretto a " emendare " i suoi ricordi . Resta da chiedersi come mai nemmeno dopo mezzo secolo , nemmeno dopo il Nobel , nemmeno dopo l ' incrinatura del tabù che ha ossessionato due generazioni di italiani , un pluri - settantenne del calibro di Fo , ormai al riparo dalle intemperie della discriminazione , riesca a riconciliarsi con le scelte della sua giovinezza . Delle due l ' una : o la gabbia creata dalle vestali del " politicamente corretto " è infrangibile , o è molto fragile - debole , succubo conformista - lui .