StampaQuotidiana ,
Il
nostro
continente
rischia
dunque
di
riscoprirsi
all
'
improvviso
spezzato
dalle
storiche
nozioni
di
Oriente
e
Occidente
.
Là
dove
correva
la
cortina
di
ferro
,
torna
minaccioso
a
proporsi
il
fantasma
del
primo
grande
Scisma
della
cristianità
,
se
è
vero
che
Stati
neppure
tutti
confinanti
tra
loro
come
la
Serbia
,
la
Russia
e
la
Bielorussia
-
grazie
al
potere
suggestivo
degli
antichi
simboli
comuni
,
riesumati
dalle
ceneri
del
comunismo
-
addirittura
meditano
di
fondersi
in
una
federazione
.
Il
nostro
ecumenismo
laico
,
erede
di
una
tradizione
giudaico
-
cristiana
deprivata
dei
suoi
riferimenti
alla
trascendenza
,
da
noi
rimodellati
in
forma
di
ideali
civili
,
alla
fine
del
millennio
viene
chiamato
a
fare
i
conti
col
fenomeno
nuovo
delle
etno
-
religioni
.
Ha
certo
ragione
da
vendere
chi
,
come
Paolo
Rumiz
nei
giorni
scorsi
,
ci
mette
in
guardia
dagli
abusi
storici
e
dalle
manipolazioni
propagandistiche
che
contraddistinguono
l
'
irrompere
minaccioso
delle
etno
-
religioni
.
Ma
resta
il
fatto
della
loro
proliferazione
a
Oriente
,
per
mano
consapevole
dei
Patriarcati
delle
Chiese
ortodosse
di
Russia
e
di
troppi
leader
politici
rosso
-
bruni
.
Il
mito
ascetico
dei
"
folli
in
Cristo
"
nuovamente
s
'
incontra
col
mito
guerriero
del
principe
Lazzaro
evocato
da
preci
irriducibili
:
"
Con
cuore
virtuoso
e
per
amor
di
pietà
hai
affrontato
il
serpente
e
il
nemico
delle
chiese
di
Dio
,
giudicando
che
il
tuo
cuore
non
avrebbe
tollerato
la
vista
dei
cristiani
sottomessi
agli
Ismaeliti
"
.
è
evidente
che
preghiere
altrettanto
bellicose
si
possono
rintracciare
pure
tra
i
crociati
cattolici
,
i
combattenti
dell
'
Islam
e
dell
'
ebraismo
.
Anzi
,
bisogna
pur
dire
che
in
altre
zone
del
pianeta
,
dalla
metà
degli
Anni
Settanta
in
poi
,
l
'
integralismo
religioso
ha
scatenato
purtroppo
più
di
una
guerra
santa
.
Il
richiamo
al
divino
quale
strumento
di
organizzazione
dei
conflitti
sociali
e
di
civiltà
,
è
una
modernissima
conseguenza
della
globalizzazione
.
Ma
intanto
dobbiamo
fare
i
conti
con
i
Balcani
e
più
in
generale
con
un
'
Europa
nella
quale
le
spinte
unificanti
a
fatica
contrastano
quel
processo
di
frantumazione
da
cui
già
sono
nati
numerosi
nuovi
Stati
e
staterelli
,
per
lo
più
fondati
su
base
etnica
.
Danièle
Hervieu
-
Léger
,
nel
primo
volume
della
"
Storia
d
'
Europa
"
(
Einaudi
)
descrive
le
etno
-
religioni
come
una
conseguenza
dei
"
mutamenti
storici
che
fanno
vacillare
le
strutture
mentali
degli
europei
"
.
Proliferano
le
"
domande
identificanti
"
in
risposta
all
'
"
accentuata
diffusione
dell
'
individualismo
"
.
I
loro
inventori
cercano
di
salvare
"
la
finzione
dell
'
appartenenza
comunitaria
"
e
adoperano
le
religioni
storiche
"
come
una
materia
prima
simbolica
,
estremamente
malleabile
,
suscettibile
di
diversi
trattamenti
a
seconda
delle
esigenze
dei
gruppi
che
vi
attingono
"
.
Così
si
elaborano
le
identità
etniche
,
poco
importa
se
fasulle
.
I
simboli
religiosi
vengono
mobilitati
in
funzione
identificante
,
dalla
Giovanna
d
'
Arco
manipolata
da
Le
Pen
fino
al
beato
Basilio
moscovita
.
Come
dimenticare
,
dieci
anni
dopo
la
promulgazione
della
"
fatwa
"
contro
Salman
Rushdie
,
che
furono
i
giovani
indo
-
pakistani
in
scarpe
da
tennis
,
immigrati
di
seconda
generazione
,
a
imporla
al
Consiglio
delle
moschee
di
Bradford
,
ben
prima
del
sigillo
pervenuto
da
Teheran
?
Lo
spiega
bene
Gilles
Kepel
(
"
A
ovest
di
Allah
"
,
Sellerio
)
,
dimostrando
come
anche
il
fondamentalismo
islamico
sia
piuttosto
il
prodotto
moderno
di
una
crisi
della
laicità
dentro
i
circoli
universitari
,
approdato
solo
in
un
secondo
tempo
nei
ghetti
e
nelle
bidonvilles
.
Si
tratta
,
in
tutti
questi
esempi
,
di
manipolazioni
dei
più
antichi
simboli
religiosi
.
Quando
tre
anni
fa
,
in
casa
nostra
,
Umberto
Bossi
cercò
di
ancorare
una
posticcia
identità
etnica
dei
Padani
all
'
improbabile
invenzione
del
dio
Eridanio
sorgente
dal
Po
,
precipitò
nel
ridicolo
.
E
non
a
caso
oggi
anche
lui
-
abiurato
in
fretta
e
furia
il
neo
-
paganesimo
-
preferisce
riconoscersi
nello
"
scudo
cristiano
"
minacciato
dal
ritorno
dell
'
"
impero
musulmano
"
con
l
'
aiuto
dell
'
Anticristo
a
stelle
e
a
strisce
.
Le
etno
-
religioni
hanno
bisogno
di
solidi
riferimenti
al
sacro
,
come
tali
in
grado
di
alimentarsi
dalle
tragedie
storiche
più
recenti
.
Come
dimenticare
,
ad
esempio
,
che
alle
spalle
del
nuovo
nazionalismo
di
Belgrado
ci
sono
anche
gli
anni
feroci
della
Seconda
guerra
mondiale
,
quando
i
serbi
venivano
massacrati
a
centinaia
di
migliaia
nel
lager
croato
di
Jasenovac
in
cui
agivano
anche
dei
frati
francescani
come
il
famigerato
Filipovic
?
Nei
tempi
bui
delle
etno
-
religioni
,
anche
i
leader
democratici
dell
'
Occidente
laico
sono
tentati
di
ricorrere
all
'
immagine
di
Milosevic
quale
"
nuovo
Demonio
"
,
com
'
è
scappato
detto
a
Tony
Blair
.
Perché
la
guerra
europea
torna
ad
assumere
le
vesti
di
guerra
di
religione
.
La
trasformazione
è
impressionante
,
nel
confronto
con
gli
altri
conflitti
di
questo
secolo
.
è
stato
,
indubbiamente
,
un
secolo
costellato
di
pulizie
e
trapianti
etnici
di
intere
popolazioni
.
Non
possiamo
dimenticare
neppure
che
nella
primavera
di
sessantuno
anni
fa
la
stessa
nascita
dello
Stato
di
Israele
fu
favorita
dall
'
evacuazione
forzata
di
centinaia
di
migliaia
di
palestinesi
,
benché
non
vi
sia
paragone
possibile
con
la
ferocia
di
quanto
avvenuto
in
Bosnia
e
in
Kosovo
.
Se
cito
questo
esempio
"
imbarazzante
"
,
è
per
rilevare
le
profonde
differenze
culturali
rispetto
all
'
epoca
delle
etno
-
religioni
.
Le
due
correnti
sioniste
che
combattevano
in
Palestina
,
quella
socialista
e
quella
revisionista
,
erano
entrambe
profondamente
laiche
.
Zvi
Kolitz
,
il
militante
dell
'
Irgun
che
ci
ha
consegnato
un
meraviglioso
apocrifo
in
cui
raffigura
l
'
ultimo
ebreo
combattente
del
ghetto
di
Varsavia
(
"
Yossl
Rakover
si
rivolge
a
Dio
"
,
Adelphi
)
,
esibisce
addirittura
sfrontatezza
nel
rivendicare
la
propria
emancipazione
dal
Signore
:
"
Credo
nel
Dio
d
'
Israele
,
anche
se
ha
fatto
di
tutto
perché
non
credessi
in
lui
...
Il
mio
rapporto
con
lui
non
è
più
quello
di
uno
schiavo
verso
il
suo
padrone
,
ma
di
un
discepolo
verso
il
suo
maestro
.
Chino
la
testa
dinanzi
alla
sua
grandezza
ma
non
bacerò
la
verga
con
cui
mi
percuote
"
.
Nel
Novecento
,
fino
a
poco
tempo
fa
,
neppure
in
Terrasanta
si
osava
combattere
nel
nome
di
Dio
.
Sono
le
etno
-
religioni
,
oggi
,
in
Europa
,
a
disseppellire
il
dio
della
guerra
e
a
proporlo
come
supremo
garante
dei
confini
.
Confini
etnici
,
appunto
,
o
ancor
peggio
confini
tra
mondi
,
tra
il
Bene
e
il
Male
,
tra
l
'
Oriente
e
l
'
Occidente
.
Speriamo
di
fermare
in
tempo
questa
nuova
,
surreale
concezione
della
guerra
.
Facendo
televisione
,
in
questi
giorni
,
si
viene
sommersi
da
lettere
astruse
di
pseudo
-
esperti
che
sventolano
vigorosamente
le
più
varie
ascendenze
etniche
,
richiamando
la
nobile
origine
degli
albanesi
negli
illiri
,
piuttosto
che
la
slavità
di
molte
popolazioni
musulmane
europee
.
Così
incede
la
balcanizzazione
dei
nostri
cervelli
.
Qualcuno
un
giorno
o
l
'
altro
si
metterà
in
testa
di
riesumare
dal
Duomo
di
Otranto
le
ossa
dei
martiri
cristiani
trucidati
dai
saraceni
,
per
dimostrare
che
gli
albanesi
sono
nostri
nemici
.
StampaQuotidiana ,
C
'
è
un
borbottio
sommerso
che
sfugge
a
quest
'
Europa
delle
sinistre
,
filoatlantica
,
chiusa
nei
suoi
videogiochi
,
distratta
e
lontana
dal
territorio
.
Dice
:
il
Diavolo
parla
americano
,
paga
in
dollari
.
Impone
un
ordine
globale
totalitario
,
svuota
le
identità
locali
,
mina
l
'
euro
e
le
nostre
economie
,
costruisce
una
nuova
Babele
con
raffiche
di
missili
e
ondate
di
immigrati
:
ieri
i
marocchini
,
oggi
i
kosovari
albanesi
.
è
un
immaginario
diffuso
:
infiamma
i
partigiani
di
un
antiamericanismo
nuovo
,
si
salda
ai
regionalismi
etnici
,
alle
piccole
patrie
,
a
una
xenofobia
subdola
,
meno
roboante
e
ben
mascherata
di
buon
senso
e
pietismo
umanitario
.
La
guerra
dei
Balcani
fotografa
alla
perfezione
schematismi
e
pregiudizi
di
un
pensiero
medio
,
di
un
immaginario
diffuso
e
trasversale
che
offre
a
Milosevic
sponde
inattese
.
Il
duce
dei
serbi
,
col
suo
mito
del
sangue
e
della
terra
,
rientra
in
pieno
nella
mitologia
di
questo
scontro
epocale
:
simboleggia
la
resistenza
al
Moloch
americano
,
l
'
ultima
trincea
d
'
Europa
contro
l
'
espianto
delle
identità
,
la
difesa
della
"
Heimat
"
e
dell
'
autoctonia
contro
l
'
orda
degli
erranti
"
sans
papiers
"
e
senza
patria
,
contro
il
loro
corteo
di
droga
,
mafia
,
prostitute
e
intellettuali
cosmopoliti
.
Non
è
uno
schema
ideologico
.
Non
nasce
nei
partiti
.
NON
HA
niente
a
che
fare
con
i
pacifismi
in
guerra
con
le
basi
Nato
in
Italia
,
con
i
bollori
sovietici
di
Rifondazione
,
l
'
odio
neofascista
per
la
cricca
demo
-
pluto
-
giudaico
-
americana
,
e
nemmeno
con
gli
approcci
che
in
piena
guerra
Gianfranco
Fini
tentò
con
i
boss
di
Belgrado
per
riavere
la
Dalmazia
.
Non
viene
nemmeno
dagli
intellettuali
franco
-
tedeschi
in
trincea
contro
l
'
inquinamento
della
cultura
dello
zio
Sam
.
Qui
è
altra
musica
.
Questo
mugugno
nuovo
cresce
nel
cuore
più
ricco
e
conservatore
del
Continente
:
nei
capannoni
e
nei
bar
sport
della
Pedemontania
lombardoveneta
di
Bossi
,
nelle
birrerie
e
nelle
valli
"
higt
tech
"
della
potente
Baviera
di
Edmund
Stoiber
,
nelle
taverne
e
tra
i
contadini
della
Carinzia
appena
conquistata
da
Joerg
Haider
.
Esplode
in
Provenza
con
l
'
ondata
anti
-
immigrati
cavalcata
da
Jean
-
Marie
Le
Pen
;
serpeggia
tra
gli
indipendentisti
savoiardi
di
Patrice
Abeille
e
gli
allevatori
della
Svizzera
di
lingua
tedesca
,
arroccati
nei
loro
microcosmi
vallivi
per
paura
della
nuova
competizione
mondiale
.
Sfiora
persino
la
quieta
Slovenia
,
dove
la
febbre
europea
del
dopo
-
Jugoslavia
è
già
diventata
diffidenza
.
Cresce
nell
'
ombra
,
si
rivela
solo
in
parte
nei
sondaggi
.
A
Montebelluna
come
a
Rosenheim
in
Baviera
,
a
Lugano
come
ad
Avignone
,
è
il
sismografo
di
un
'
ansia
nuova
,
di
una
nevrosi
da
appartenenza
,
da
spaesamento
e
talvolta
da
superlavoro
.
è
l
'
affioramento
della
turbolenza
identitaria
di
un
mondo
ricco
ma
culturalmente
impoverito
,
economicamente
forte
ma
insicuro
,
gonfio
di
autostima
eppure
indifeso
di
fronte
alla
complessità
dei
tempi
.
Un
mondo
chiuso
che
si
autoreferenzia
,
rischia
derive
di
tipo
vittimistico
e
localista
,
ed
è
sensibile
alle
roboanti
metafore
e
alle
semplificazioni
della
demagogia
.
Esso
indica
una
trasformazione
culturale
e
antropologica
di
cui
non
si
sono
ancora
fotografate
le
dimensioni
.
Il
pensiero
che
coniuga
il
pregiudizio
antiamericano
a
quello
anti
-
immigrati
non
è
maggioritario
nelle
nazioni
di
riferimento
,
ma
è
geograficamente
compatto
,
delinea
quello
che
Luc
Rosenzweig
definisce
,
su
"
Le
Monde
"
,
un
fenomeno
di
"
populismo
alpino
"
.
Rosenzweig
ricorda
che
mentre
il
nazismo
e
il
fascismo
nacquero
nelle
metropoli
industriali
devastate
dalla
disoccupazione
di
massa
,
questo
populismo
cresce
nel
mondo
dei
ricchi
,
è
un
fenomeno
di
provincia
,
parte
dalle
valli
e
si
sente
minacciato
dalle
Capitali
,
dalle
loro
tasse
e
i
loro
politicanti
corrotti
.
Gli
stessi
Cobas
del
latte
,
gli
stessi
operai
della
piccola
industria
che
da
sempre
guardano
a
Bruxelles
come
al
simbolo
della
"
degenerazione
burocratica
dell
'
Europa
delle
pianure
"
,
oggi
,
con
la
guerra
dei
Balcani
,
guardano
all
'
America
come
alla
grande
destabilizzatrice
.
Ed
ecco
Bossi
che
in
pieno
parlamento
si
dichiara
a
favore
di
Milosevic
e
ricorda
al
mondo
che
gli
albanesi
sono
"
immigrati
"
per
definizione
.
Tali
,
dovunque
essi
siano
:
in
Italia
,
in
Serbia
dove
stanno
da
secoli
,
persino
in
Albania
che
è
casa
loro
.
Come
dire
:
sono
razzialmente
extracomunitari
,
biologicamente
dei
virus
.
Boutade
?
Niente
affatto
.
Come
tutti
i
demagoghi
,
Bossi
si
limita
ad
amplificare
un
malumore
diffuso
.
Percepisce
come
un
sismografo
il
borbottìo
di
fondo
,
il
pregiudizio
anti
-
immigrati
che
oggi
si
focalizza
attorno
agli
albanesi
con
immagini
parassitologiche
che
non
sentivamo
dai
tempi
del
dottore
Mengele
.
Otto
anni
fa
la
Lega
stava
con
i
secessionisti
sloveni
:
oggi
avrebbe
dovuto
,
per
coerenza
,
stare
con
quelli
albanesi
del
Kosovo
.
Invece
no
,
sta
con
la
Serbia
:
e
il
cambio
fotografa
meglio
di
ogni
altro
la
sua
deriva
"
voelkisch
"
,
etnoculturale
.
è
il
nuovo
razzismo
che
André
Taguieff
chiama
"
differenzialista
"
.
La
cacciata
degli
immigrati
è
nobilitata
da
un
principio
:
quello
del
"
ciascuno
a
casa
sua
"
.
Ed
ecco
che
il
Diavolo
non
è
più
chi
divide
ma
chi
unisce
,
dunque
"
uccide
le
razze
,
mescolandole
"
.
è
il
razzismo
che
utilizza
la
sintassi
dell
'
antirazzismo
;
è
la
destra
che
,
per
conquistare
consensi
,
ricicla
il
Pantheon
delle
sue
idee
servendosi
degli
idiomi
della
sinistra
.
Così
,
la
crisi
balcanica
è
commentata
su
"
La
Padania
"
di
Bossi
nientemeno
che
da
Alain
de
Benoist
,
il
padre
della
nuova
destra
europea
che
oggi
si
ispira
ad
Antonio
Gramsci
,
padre
della
sinistra
italiana
.
Nei
suoi
editoriali
in
prima
pagina
,
l
'
antiamericanismo
è
la
colonna
portante
.
Gli
yankee
,
scrive
de
Benoist
sul
quotidiano
della
Lega
Nord
,
"
questi
specialisti
della
guerra
di
diritto
,
sono
abituati
a
giustificare
il
massacro
di
migliaia
di
civili
per
considerazioni
umanitarie
e
morali
"
.
Del
genocidio
degli
albanesi
,
nemmeno
una
parola
.
"
Clinton
Moerder
"
,
Clinton
assassino
,
sta
scritto
intanto
sui
muri
di
Klagenfurt
in
questi
giorni
che
vedono
,
come
sessant
'
anni
fa
,
nuovamente
bombe
su
Belgrado
e
nuovamente
uno
xenofobo
al
potere
in
Austria
,
per
ora
nella
piccola
Carinzia
.
L
'
autunno
scorso
,
proprio
su
un
lago
carinziano
,
a
Portschach
,
gli
esordienti
D
'
Alema
e
Schroeder
inauguravano
il
nuovo
corso
di
sinistra
dell
'
Unione
.
Appena
cinque
mesi
dopo
quello
stesso
lago
vedeva
la
riscossa
della
Destra
etnica
e
il
massimo
risultato
mai
conseguito
da
un
partito
razzista
nel
dopoguerra
in
Europa
.
E
la
percentuale
più
alta
-
55
per
cento
per
Haider
-
era
,
incredibilmente
,
proprio
quella
del
Comune
di
Poertschach
.
Vi
sono
segnali
,
nella
storia
:
dicono
che
le
masse
si
muovono
rasoterra
,
indipendentemente
dai
voli
pindarici
della
politica
delle
cancellerie
.
Haider
è
il
simbolo
perfetto
di
questa
nuova
destra
presentabile
dal
forte
sentire
antiamericano
.
Il
giornalista
Bruno
Luverà
,
autore
su
"
Limes
"
di
un
saggio
dal
titolo
"
L
'
internazionale
regionalista
tra
maschera
e
volto
"
,
fotografa
bene
il
pensiero
che
,
a
cavallo
delle
Alpi
,
segna
il
nucleo
ricco
del
Continente
.
Al
federalismo
solidale
gestito
dagli
Stati
nazionali
si
sostituisce
in
Baviera
,
Carinzia
o
in
Padania
,
quello
etnico
-
regionale
basato
sul
sangue
e
sul
suolo
.
Il
concetto
di
razza
è
reso
digeribile
perché
trasformato
in
etnopluralismo
,
inteso
come
diritto
delle
"
Heimat
"
alle
rispettive
differenze
.
Da
qui
una
visione
"
mixofobica
"
,
ostile
all
'
America
del
melting
pot
e
quindi
potenzialmente
alleata
di
chiunque
resista
all
'
"
etnocidio
"
.
C
'
è
una
sola
guerra
che
conta
,
aveva
scritto
qualche
tempo
fa
il
nostro
de
Benoist
.
Quella
a
cui
bisogna
prepararsi
opporrà
l
'
Europa
agli
Stati
Uniti
,
la
civiltà
alla
barbarie
mercantile
e
degenerata
.
Pascal
Bruckner
ricorda
che
questo
è
esattamente
il
discorso
della
propaganda
di
Milosevic
in
queste
ore
cruciali
.
Clinton
come
Hitler
,
la
svastica
sulle
stelle
e
strisce
.
E
i
serbi
,
non
gli
albanesi
deportati
,
sono
i
nuovi
ebrei
,
le
nuove
vittime
della
crociata
americana
contro
l
'
Europa
.
Su
questa
lunghezza
d
'
onda
può
scattare
un
'
attrazione
fatale
fra
il
populismo
subalpino
e
quello
,
post
-
comunista
,
dei
Balcani
.
StampaQuotidiana ,
Un
tempo
,
esisteva
nel
mondo
quella
qualità
atroce
,
quell
'
incomunicabile
dono
di
natura
,
che
Simone
Weil
chiamava
"
la
forza
"
.
Amava
incarnarsi
nel
volto
di
Giulio
Cesare
:
nel
viso
,
stranamente
femmineo
,
di
Augusto
:
nei
lineamenti
di
Napoleone
;
e
trovò
forse
la
sua
ultima
incarnazione
nella
figura
massiccia
di
Stalin
.
La
forza
si
proponeva
dei
fini
.
Aveva
immensi
progetti
:
invadere
popoli
,
conquistare
nazioni
,
allargare
il
potere
,
possedere
l
'
universo
,
spostare
sempre
più
lontano
i
confini
dell
'
orizzonte
.
Non
pensava
.
Centinaia
di
servi
,
sacerdoti
e
scrittori
,
elaboravano
idee
e
filosofie
di
ogni
specie
che
giustificavano
il
suo
potere
come
se
fosse
voluto
da
Dio
,
anzi
lo
stesso
Dio
in
terra
.
Non
aveva
scrupoli
.
Non
conosceva
sfumature
,
penombre
,
mezzi
termini
,
e
non
le
importava
di
costruire
i
propri
trionfi
sopra
mucchi
di
cadaveri
,
teste
tagliate
e
fiumi
di
sangue
.
Trovava
che
nulla
era
più
piacevole
di
quell
'
acuto
odore
di
sangue
:
nulla
più
sontuoso
di
quelle
montagne
di
corpi
sacrificati
per
lei
e
ammucchiati
ai
suoi
piedi
.
Mentre
gli
altri
uomini
si
lasciavano
trascinare
dalle
passioni
,
il
potente
era
calmo
,
freddo
,
distaccato
,
contemplativo
.
Dominava
le
proprie
passioni
,
impediva
al
proprio
io
di
esibirsi
:
rinviava
,
pazientava
,
attendeva
,
preciso
e
oggettivo
come
lo
sguardo
che
la
Stella
Polare
getta
sul
mondo
.
Se
conosceva
questa
calma
nella
tempesta
,
questa
freddezza
nello
scatenamento
,
se
dormiva
senza
sogni
la
vigilia
della
battaglia
che
avrebbe
deciso
il
suo
destino
,
egli
non
aveva
bisogno
di
combattere
.
Il
potere
era
già
saldo
nelle
sue
mani
.
Quando
agiva
,
aveva
di
fronte
centinaia
di
possibilità
che
si
contraddicevano
a
vicenda
:
migliaia
di
particolari
sui
quali
ciascuno
degli
altri
uomini
avrebbe
posato
lo
sguardo
.
Egli
non
scorgeva
queste
possibilità
,
né
questi
particolari
.
Alzava
il
braccio
,
dava
inizio
alla
battaglia
,
lanciava
una
parola
d
'
ordine
semplicissima
,
inventava
una
formula
elementare
,
che
coglieva
una
minima
parte
della
realtà
.
Gli
altri
uomini
si
chiedevano
:
"
Come
farà
a
vincere
,
se
non
capisce
le
cose
?
"
.
Ma
proprio
perché
non
capiva
i
particolari
,
il
potente
sapeva
aprire
con
la
violenza
le
porte
,
per
gli
altri
ostinatamente
chiuse
,
della
realtà
.
Vi
entrava
,
la
possedeva
,
insediandosi
come
un
sovrano
in
questo
luogo
che
non
capiva
.
Quanto
gli
uomini
hanno
adorato
la
forza
:
quanto
hanno
amato
i
loro
principi
,
tiranni
,
spietati
massacratori
.
Nessuna
qualità
ha
mai
esercitato
più
fascino
della
forza
,
suscitando
una
mescolanza
ripugnante
di
terrore
e
di
attrazione
:
desiderio
di
adorare
,
di
venire
schiacciati
,
umiliati
e
sacrificati
.
Tre
massacratori
come
Napoleone
,
Hitler
e
Stalin
sono
stati
idolatrati
.
In
molte
città
d
'
Europa
vive
ancora
qualcuno
,
che
ha
pianto
tutte
le
sue
lacrime
quando
Stalin
-
il
"
padre
"
mite
e
buono
-
è
stato
portato
via
dalla
morte
.
Alla
fine
,
la
forza
ripagava
i
propri
succubi
.
Quando
il
mondo
era
diventato
suo
,
il
potente
mutava
volto
.
Come
il
sole
allo
zenit
,
lasciava
cadere
sui
milioni
di
sudditi
che
si
agitavano
ai
suoi
piedi
,
sui
nemici
che
aveva
ucciso
,
sugli
uomini
ancora
da
nascere
che
avrebbero
continuato
ad
adorarlo
,
un
sorriso
stranamente
amoroso
.
Nessun
sorriso
umano
era
dolce
come
questo
sorriso
nutrito
di
sangue
.
Da
cinquant
'
anni
,
la
forza
è
quasi
scomparsa
dal
mondo
occidentale
.
Gli
europei
e
gli
americani
moderni
non
l
'
amano
più
.
Per
decine
di
secoli
,
hanno
conosciuto
i
suoi
orrori
,
le
sue
furie
,
il
suo
soffocante
dominio
,
il
suo
logorante
potere
.
Ora
vorrebbero
vivere
nel
regno
della
ragione
,
dove
il
commercio
,
la
mediazione
,
il
compromesso
,
il
discorso
,
forse
l
'
amore
sostituiscono
l
'
urto
degli
eserciti
in
battaglia
.
Nella
società
moderna
,
qualcosa
ripugna
profondamente
alla
forza
.
Le
banche
,
le
industrie
,
i
calcolatori
hanno
bisogno
di
essere
avvolti
e
fasciati
dalla
pace
:
tollerano
,
spesso
provocano
forme
terribili
di
oppressione
,
degenerazioni
che
soffocano
l
'
animo
quanto
la
più
assoluta
delle
dittature
;
ma
la
realtà
della
forza
-
con
quell
'
odore
di
terra
e
di
sangue
-
ripugna
alle
loro
narici
delicate
.
Amano
l
'
irrealtà
:
la
televisione
e
i
computer
ci
introducono
in
un
mondo
irreale
;
mentre
nulla
è
più
reale
della
forza
.
Il
potere
si
è
diffuso
.
È
immagine
televisiva
,
parola
detta
o
stampata
,
libro
che
finge
di
essere
innocente
,
partito
,
sindacato
,
musica
ripetuta
fino
all
'
ossessione
,
pubblicità
,
vestito
innocentemente
indossato
.
Tutti
ne
posseggono
una
piccola
parte
;
ed
è
difficile
che
si
produca
quella
paurosa
concentrazione
psicologica
di
potere
,
dalla
quale
un
tempo
nasceva
la
forza
.
Quando
ricorrono
alla
forza
,
gli
uomini
moderni
intervengono
tardi
,
con
dubbi
e
incertezze
.
Intervengono
con
un
tale
accompagnamento
di
cautele
e
di
riguardi
da
rendere
inefficaci
le
armi
;
e
alla
fine
,
quando
tutto
o
quasi
tutto
è
ormai
perduto
,
sovente
impiegano
la
forza
con
un
eccesso
,
che
tradisce
la
loro
cattiva
coscienza
.
Se
la
Francia
e
l
'
Inghilterra
avessero
obbligato
Mussolini
ad
abbandonare
l
'
Etiopia
,
se
avessero
salvato
la
democrazia
spagnola
,
se
avessero
impedito
a
Hitler
di
annettere
Austria
e
Cecoslovacchia
,
-
l
'
Europa
non
avrebbe
conosciuto
il
disastro
.
Questa
storia
si
è
ripetuta
senza
fine
nel
dopoguerra
:
in
Vietnam
,
in
Ruanda
,
in
Jugoslavia
,
dove
l
'
Occidente
ha
inviato
i
suoi
aerei
con
molti
anni
di
ritardo
.
Il
risultato
di
queste
inquietudini
,
paure
,
cautele
,
improvvisi
furori
sono
state
ondate
di
terrificante
violenza
.
Qualcuno
ci
dice
:
"
Rinunciate
alla
forza
"
,
ripetendo
agli
uomini
che
si
odiano
la
parola
del
Vangelo
.
Certo
,
la
parola
del
Vangelo
deve
essere
continuamente
proclamata
e
ripetuta
:
la
forza
deve
essere
negata
,
la
violenza
deve
essere
maledetta
,
nella
speranza
che
il
mondo
si
raccolga
alla
fine
nella
nuova
Gerusalemme
celeste
,
attorno
all
'
albero
della
vita
.
Non
dobbiamo
mai
dimenticare
che
Cristo
sta
per
giungere
:
la
storia
,
che
crediamo
una
cosa
semplicemente
umana
,
è
divorata
dall
'
imminenza
divina
.
Ma
il
regno
di
Dio
scenderà
in
terra
soltanto
alla
fine
dei
tempi
:
prima
di
allora
non
conosceremo
l
'
albero
della
vita
.
Se
vogliamo
anticiparlo
,
realizzando
completamente
e
totalmente
il
regno
di
Dio
,
costruiremo
soltanto
l
'
edificio
del
Male
Assoluto
,
come
ci
hanno
dimostrato
tutti
i
tempi
e
i
paesi
.
Intanto
,
mentre
viviamo
in
questo
tempo
intermediario
,
dobbiamo
accontentarci
di
mete
limitate
.
Se
gli
uomini
non
si
amano
tra
loro
,
possiamo
indurli
(
talvolta
costringerli
)
a
tollerarsi
a
vicenda
,
vivendo
gli
uni
accanto
agli
altri
come
coinquilini
se
non
come
fratelli
.
Non
è
possibile
rinunciare
alla
forza
.
Altrimenti
,
sempre
nuovi
assassini
offenderanno
i
loro
cittadini
e
i
loro
vicini
:
costruiranno
le
loro
montagne
di
teste
tagliate
:
si
bagneranno
nel
sangue
,
in
nome
di
ideologie
sempre
diverse
e
tutte
eguali
,
perché
"
lo
smunto
assassinio
"
sa
assumere
tutti
i
nomi
.
Giunti
alla
fine
del
ventesimo
secolo
,
mi
chiedo
se
in
futuro
potremo
usare
la
forza
con
più
saggezza
che
in
passato
.
È
soltanto
un
'
utopia
infantile
?
La
forza
non
è
che
brutalità
scatenata
,
alla
quale
è
necessario
sottometterci
?
Non
ci
resta
che
essere
succubi
e
complici
?
Penso
che
sia
possibile
usarla
e
domarla
.
Ormai
è
una
qualità
del
passato
:
noi
non
la
amiamo
,
siamo
lontanissimi
da
lei
e
dalle
sue
seduzioni
,
detestiamo
i
grandi
tiranni
e
massacratori
,
non
proviamo
nessuna
soggezione
psicologica
occulta
verso
di
loro
.
Proprio
per
questo
possiamo
studiarla
,
reimpararla
,
riapprenderla
,
come
si
tenta
di
apprendere
una
virtù
spirituale
.
È
una
specie
di
esercizio
ascetico
:
il
più
difficile
degli
esercizi
.
Lo
compiamo
contro
noi
stessi
:
odiamo
la
forza
mentre
la
usiamo
,
esecriamo
noi
stessi
che
assumiamo
le
sue
apparenze
;
non
ricorriamo
a
lei
per
imporre
il
nostro
dominio
,
ma
soltanto
per
evitare
mali
più
terribili
.
Compiamo
ogni
azione
come
un
sacrificio
,
del
quale
siamo
le
prime
vittime
.
Simone
Weil
visitò
la
Germania
giovanissima
,
l
'
anno
prima
che
Hitler
prendesse
il
potere
.
Mentre
l
'
Europa
era
cieca
e
confusa
,
mentre
nessuno
capiva
quali
drammi
e
orrori
si
andavano
preparando
,
lei
-
quasi
sola
-
comprese
cosa
avrebbe
travolto
la
Germania
di
Weimar
.
Negli
anni
successivi
,
commise
un
errore
,
di
cui
si
sentì
colpevole
per
il
resto
della
vita
.
Diventò
pacifista
.
Pensava
che
qualsiasi
male
,
persino
Hitler
,
sarebbe
stato
preferibile
alla
guerra
.
Ma
poi
espiò
quest
'
errore
;
e
via
via
che
si
avvicinava
sempre
più
al
suo
Dio
sconosciuto
,
venerando
ciò
che
è
puro
,
i
Vangeli
,
l
'
Antigone
,
Platone
,
la
Baghavadgita
,
la
musica
gregoriana
,
-
la
sua
conoscenza
dei
meccanismi
della
forza
diventò
perfetta
.
Sapeva
che
era
necessario
usare
tutta
la
forza
contro
Hitler
:
senza
limiti
,
né
compromessi
;
e
sacrificò
se
stessa
alla
necessità
tremenda
del
suo
compito
.
Possiamo
imparare
da
quest
'
Antigone
dei
tempi
moderni
.
Qualcuno
ha
già
cominciato
,
come
Emma
Bonino
o
Barbara
Spinelli
che
ci
ricorda
inflessibilmente
i
doveri
dell
'
Europa
mentre
guarda
i
quadri
di
Vermeer
e
gli
angeli
medioevali
.
Dobbiamo
esercitarci
,
stoicamente
,
freddamente
,
a
impiegare
la
forza
che
non
amiamo
.
Se
vogliamo
usarla
,
dobbiamo
domare
le
nostre
passioni
:
impedire
al
nostro
ego
di
offuscarci
lo
sguardo
:
cancellare
idee
,
interessi
,
sentimenti
e
fantasticherie
che
ci
turbano
l
'
animo
:
cercare
di
conoscere
le
diverse
situazioni
storiche
,
con
lucidità
e
precisione
assoluta
;
sapere
che
l
'
azione
deve
essere
rara
,
ma
non
conoscere
rinvii
e
compromessi
.
Solo
allora
,
essa
potrà
scendere
come
un
angelo
dell
'
Apocalisse
e
cauterizzare
il
male
e
la
ferita
.
StampaQuotidiana ,
Ci
sono
porte
destinate
a
non
aprirsi
.
Scantinati
senza
finestre
.
Luoghi
riservati
.
Letti
di
contenzione
,
sedie
per
slogare
.
È
raro
che
vengano
alla
luce
:
per
un
terremoto
,
per
un
'
eruzione
vulcanica
.
È
raro
che
se
ne
parli
:
gli
ospitati
non
ne
escono
vivi
.
È
più
facile
che
ne
parlino
i
gestori
:
si
resiste
difficilmente
alle
vanterie
,
anche
quando
possono
costare
.
Nel
Kosovo
riaperto
si
sapeva
-
purché
lo
si
volesse
sapere
-
che
si
sarebbero
trovati
forni
e
fosse
comuni
.
Non
era
facile
immaginare
lo
scantinato
della
tortura
.
Gira
in
questi
anni
una
-
detestabile
-
mostra
sugli
strumenti
di
tortura
:
la
vergine
di
Norimberga
,
le
ruote
dentate
,
genere
che
ha
i
suoi
amatori
.
Il
repertorio
interrato
che
da
Pristina
è
arrivato
sui
nostri
teleschermi
è
tecnologicamente
grossolano
,
ma
moralmente
scelto
:
i
pugni
di
ferro
,
i
coltellacci
,
i
mazzi
di
preservativi
,
il
bastone
spaccato
in
due
(
ne
sarà
stato
orgoglioso
,
o
seccato
,
quello
che
ha
dato
il
colpo
?
)
,
la
rinfusa
di
documenti
personali
dei
torturati
e
dei
giornaletti
zozzi
dei
torturatori
.
Eloquente
repertorio
:
museo
già
pronto
per
le
scolaresche
.
Resistono
stupidi
pregiudizi
sul
conto
della
tortura
,
di
cui
i
torturatori
sarebbero
i
primi
a
farsi
beffe
.
Che
serva
a
qualcosa
,
a
far
parlare
...
Ma
no
.
La
tortura
è
un
'
arte
,
è
un
piacere
,
è
gratuita
.
Deve
far
male
dentro
il
corpo
dell
'
altro
,
dell
'
altra
.
Quello
scantinato
è
altra
cosa
dall
'
assassinio
di
strada
e
dallo
stupro
compiuto
a
cielo
aperto
,
al
caso
dell
'
agguato
e
della
furia
improvvisa
.
Quello
scantinato
è
la
sala
operatoria
di
una
chirurgia
d
'
eccezione
,
in
cui
la
potenza
dell
'
odio
si
è
presa
un
ufficio
,
e
lavora
con
metodo
.
Il
paziente
è
di
preferenza
una
giovane
donna
,
e
se
no
un
uomo
su
cui
si
compiano
atti
di
effeminazione
oltraggiosa
.
Il
torturatore
è
un
uomo
:
lo
diventa
davvero
lì
dentro
.
È
un
luogo
di
iniziazione
completa
:
dal
giornaletto
porno
alla
precauzione
del
preservativo
,
dal
corpo
spogliato
e
legato
alla
carne
incisa
,
alle
ossa
frantumate
,
al
sangue
scolato
in
un
recipiente
lurido
.
Nella
camera
della
tortura
ogni
movente
mostra
la
propria
fuorviante
superfluità
.
Non
importa
più
la
divergenza
nazionale
e
religiosa
,
neanche
quella
spinta
all
'
assassinio
di
massa
o
allo
stupro
di
massa
.
C
'
è
il
rapporto
di
potere
nella
sua
essenza
:
il
corpo
a
corpo
fra
il
gruppo
di
armati
e
l
'
inerme
denudato
.
Sempre
la
tortura
prende
la
mano
ai
suoi
apprendisti
,
dovunque
,
nelle
caserme
di
polizia
,
nelle
celle
di
punizione
,
nelle
stanze
private
in
cui
uomini
piccoli
e
impazziti
si
vendicano
della
propria
paura
.
Succede
molto
,
molto
largamente
.
Ieri
era
anche
uscito
il
benemerito
rapporto
annuale
di
Amnesty
,
impressionante
:
eppure
succede
ancora
più
largamente
.
L
'
omertà
e
la
paura
tengono
ancora
chiuse
molte
cantine
.
Possiamo
fingere
di
non
saperlo
.
La
mia
generazione
ebbe
fra
le
prime
letture
civili
il
saggio
sulla
tortura
di
Henri
Alleg
:
era
il
1958
,
l
'
Algeria
.
A
nessuna
generazione
è
mancato
il
suo
addestramento
.
Ora
i
bambini
vedono
al
telegiornale
-
i
bambini
vedono
tutto
,
infatti
-
quel
pavimento
disseminato
di
ferri
e
mazze
,
in
uno
strano
disordine
;
ci
si
aspetterebbe
una
cura
diversa
,
da
uomini
d
'
ordine
per
eccellenza
come
sono
i
torturatori
.
Non
so
se
si
solleveranno
dubbi
,
sull
'
"
autenticità
"
di
questo
scantinato
.
Se
le
cose
stanno
così
-
mi
pare
di
sì
-
vorrà
forse
dire
che
gli
aguzzini
si
sono
lasciati
prendere
di
sorpresa
;
ma
anche
che
è
costato
loro
caro
staccarsi
da
quel
laboratorio
professionale
.
Si
dice
che
un
'
antica
dama
implorasse
graziosamente
:
"
Ancora
un
minuto
,
signor
boia
"
.
Qui
,
forse
,
era
il
boia
a
chiedere
per
sè
ancora
un
minuto
.
Chi
ha
percorso
in
questi
anni
la
Jugoslavia
conosce
la
scena
infinita
delle
Pompei
dei
vivi
,
delle
case
abbandonate
senza
il
tempo
di
afferrare
un
oggetto
,
di
dare
un
'
ultima
occhiata
.
A
Spalato
un
soldato
appena
reduce
dalla
"
pulizia
"
della
Krajna
di
Knin
,
bevendo
birra
un
po
'
per
festeggiare
un
po
'
per
tristezza
,
mi
disse
:
"
Si
entra
nelle
case
e
si
trova
la
vita
normale
,
due
bicchieri
di
plastica
colorata
da
bambini
,
ho
visto
un
orsacchiotto
posato
sullo
schienale
di
un
divano
esattamente
come
ce
n
'
è
uno
a
casa
mia
...
Questa
è
la
cosa
più
dolorosa
.
Poi
ho
finito
anch
'
io
col
prendermi
una
targa
d
'
auto
,
come
hanno
fatto
tutti
"
.
Un
altro
mi
volle
regalare
una
bomba
a
mano
serba
,
declinai
,
e
accettai
una
banconota
datata
Knin
1992
.
Neanche
i
soldi
avevano
fatto
in
tempo
a
portarsi
via
.
Nella
cantina
di
Pristina
non
hanno
fatto
in
tempo
a
raccogliere
i
machete
,
né
i
preservativi
.
Bisogna
tener
ferme
le
distinzioni
.
Riconoscere
,
dietro
la
fisionomia
comune
della
violenza
fisica
,
della
violazione
corporale
,
della
tortura
,
i
tratti
speciali
di
ogni
nuova
impresa
.
Pristina
è
Pristina
:
non
solo
un
altro
nome
da
aggiungere
alla
mappa
della
tortura
nel
mondo
.
A
Pristina
la
"
polizia
"
serbista
ha
dovuto
fuggire
all
'
improvviso
,
questo
ci
dicono
le
immagini
dell
'
ispezione
imprevista
.
Ma
ci
dicono
anche
che
avevano
avuto
molto
tempo
.
Per
78
giorni
lo
scantinato
è
stato
un
quieto
riparo
antiaereo
,
nel
quale
fare
il
lavoro
.
Per
78
giorni
noi
abbiamo
fissato
un
buco
nero
che
si
chiamava
Kosovo
,
senza
vederne
se
non
i
bordi
,
persone
schizzate
fuori
a
suon
di
minacce
botte
sparatorie
e
bombe
.
Abbiamo
gremito
il
cielo
,
e
perso
di
vista
la
terra
.
Ci
siamo
chiesti
che
cosa
stesse
succedendo
,
per
terra
,
sotto
la
terra
.
Si
lavorava
,
nella
cantina
di
Pristina
.
È
doloroso
,
oggi
,
guardare
il
corteo
vilipeso
o
esasperato
di
serbi
che
abbandonano
a
loro
volta
il
Kosovo
:
era
diventato
fatale
.
Ma
è
commovente
vedere
il
corteo
di
ritorno
dei
kosovari
albanesi
cacciati
fuori
dai
confini
.
Mai
,
che
mi
ricordi
,
una
popolazione
deportata
ha
fatto
ritorno
alle
sue
case
-
alle
sue
macerie
:
si
possono
amare
le
proprie
macerie
-
per
effetto
del
soccorso
dei
potenti
.
Non
certo
dopo
la
Seconda
guerra
,
e
tanto
meno
per
i
suoi
scampati
ebrei
.
Bisogna
esultare
per
questo
rientro
,
ed
esserne
grati
.
Bisogna
dire
che
l
'
incriminazione
di
Milosevic
e
i
suoi
all
'
Aia
non
ha
affatto
dilazionato
la
resa
,
ma
l
'
ha
accelerata
:
e
sarebbe
stata
comunque
giusta
.
Bisogna
riconoscere
in
sé
il
rischio
orribile
del
negazionismo
e
della
minimizzazione
di
fronte
alla
misura
e
alla
profondità
di
una
persecuzione
,
in
nome
di
diffidenze
e
di
partiti
presi
.
Bisogna
congratularsi
che
la
nostra
parte
di
mondo
,
a
differenza
che
per
la
Bosnia
,
non
si
sia
lasciata
piegare
dall
'
antipatia
per
l
'
anagrafe
musulmana
della
maggioranza
della
gente
kosovaro
-
albanese
.
Tuttavia
,
si
deve
tornare
all
'
inizio
della
questione
.
Perché
una
ottusità
politica
indusse
a
chiedersi
se
si
dovesse
o
no
intervenire
a
difesa
dei
kosovari
,
piuttosto
che
come
intervenire
.
Anche
dopo
l
'
inizio
dell
'
intervento
,
quando
le
milizie
serbiste
hanno
risposto
con
l
'
inaudita
deportazione
di
centinaia
di
migliaia
di
persone
,
e
nessuno
avrebbe
dovuto
più
esitare
ad
affrontare
quella
tragedia
,
qualunque
giudizio
si
desse
sulla
sua
origine
.
Oggi
ci
si
congratula
dello
scampato
maggior
pericolo
,
e
si
rischia
di
barattare
la
"
vittoria
"
-
com
'
era
possibile
che
una
"
vittoria
"
non
arrivasse
?
-
con
la
rassegnazione
al
modo
in
cui
è
stata
ottenuta
.
Credo
che
non
dovrebbe
succedere
.
Né
per
questa
volta
,
né
per
le
prossime
,
che
purtroppo
ci
saranno
.
Non
si
può
lasciare
per
tanto
tempo
una
gente
indifesa
in
balia
degli
scannatori
.
Non
si
può
tenersi
il
cielo
,
e
abbandonare
loro
il
suolo
e
gli
scantinati
.
Risparmiare
le
"
nostre
"
vite
è
un
proposito
lodevole
,
purché
non
manchi
il
soccorso
.
Non
è
con
quel
proposito
che
agiscono
le
forze
di
polizia
,
o
i
vigili
del
fuoco
:
perché
dev
'
essere
altrimenti
per
la
strapotenza
militare
del
soccorso
internazionale
?
Qualunque
conclusione
si
raggiunga
sull
'
efficacia
di
interventi
militari
nel
corso
della
seconda
guerra
mondiale
,
resta
imperdonabile
l
'
omissione
,
vile
o
rassegnata
,
di
qualunque
tentativo
per
anni
,
mentre
si
sapeva
dello
sterminio
,
dei
suoi
modi
,
dei
suoi
luoghi
.
Altri
paragoni
troppo
ravvicinati
sono
impropri
,
ma
questo
confronto
è
difficile
da
eludere
.
Chi
di
noi
non
ha
ceduto
al
sarcasmo
nei
confronti
delle
armi
"
intelligenti
"
,
e
degli
imbecilli
che
le
hanno
chiamate
così
?
Ma
è
un
fatto
che
una
delle
obiezioni
-
non
la
peggiore
-
all
'
invocazione
di
bombardare
Auschwitz
-
Birkenau
durante
la
guerra
riguardava
l
'
imprecisione
delle
armi
.
L
'
obiezione
principale
fu
che
nessuna
energia
andava
distolta
dalla
vittoria
nella
guerra
,
e
che
quella
sarebbe
coincisa
con
il
salvataggio
delle
vittime
.
Col
Kosovo
,
non
poteva
essere
ripetuta
.
Bisognava
soccorrere
le
vittime
,
non
"
vincere
la
guerra
"
.
Mi
dispiace
del
fraintendimento
che
mi
procurerò
,
ma
voglio
fare
un
altro
paragone
.
I
nazisti
si
servirono
della
guerra
,
che
aveva
i
suoi
propri
fini
,
per
spingersi
alla
soluzione
finale
del
problema
ebraico
-
per
sterminare
gli
ebrei
.
Anche
per
questo
la
posizione
degli
Alleati
-
vincere
la
guerra
per
salvare
le
vittime
dello
sterminio
-
era
fuori
luogo
.
In
un
certo
senso
,
questo
spostamento
si
è
ripetuto
nella
vicenda
del
Kosovo
:
la
Nato
ha
trattato
come
una
guerra
il
suo
intervento
,
e
ha
affidato
alla
ripetizione
della
strategia
aerea
la
"
vittoria
"
.
Il
regime
serbo
ha
usato
della
"
guerra
"
come
dell
'
occasione
per
liquidare
il
problema
kosovaro
:
cioè
decimare
con
gli
assassinii
la
popolazione
maschile
,
deportare
quanta
più
gente
possibile
,
e
ridurre
un
popolo
in
gran
maggioranza
numerica
e
in
forte
crescita
demografica
a
una
proporzione
"
accettabile
"
:
la
metà
.
I
deportati
che
non
torneranno
,
gli
uccisi
che
riempiono
le
fosse
comuni
o
i
pozzi
di
miniera
,
sono
un
risultato
acquisito
.
L
'
intervento
della
Nato
non
l
'
ha
impedito
,
l
'
ha
in
parte
involontariamente
favorito
.
E
la
scoperta
del
sotterraneo
della
tortura
ha
divaricato
fino
al
paradosso
la
distanza
fra
il
pilota
cui
era
interdetto
scendere
sotto
i
5000
metri
,
e
il
perseguitato
nel
sottosuolo
.
La
camera
della
tortura
di
Pristina
è
un
di
più
,
un
lusso
che
la
pulizia
etnica
si
è
regalata
,
nei
suoi
attori
più
scelti
.
Come
ogni
impresa
gratuita
,
ha
rivelato
a
perfezione
il
fondo
della
contesa
.
L
'
attaccamento
all
'
odio
,
al
potere
,
al
sangue
versato
,
all
'
abiezione
inflitta
in
gruppo
a
ciascuno
degli
altri
.
La
morte
del
nemico
,
nella
tortura
,
diventa
un
'
appendice
,
un
effetto
finale
,
se
non
addirittura
un
infortunio
:
la
cosa
sta
nella
sottomissione
e
nell
'
agonia
protratta
,
nel
dolore
distillato
,
nello
spettacolo
offerto
dal
suppliziato
al
macellaio
.
Le
vittime
sono
comunque
inermi
:
alla
tortura
ci
si
addestra
tormentando
una
lucertola
,
sbatacchiando
furiosamente
un
neonato
che
piange
.
Alla
vista
del
locale
e
dei
suoi
utensili
abbandonati
,
non
riesco
a
vedere
né
a
sentire
le
vittime
,
perché
non
voglio
.
Da
quella
cantina
non
si
sentiva
il
rombo
dei
bombardieri
della
Nato
:
figurarsi
se
si
potessero
sentire
dal
nostro
cielo
le
urla
e
i
gemiti
dei
tormentati
.
Mute
,
le
vittime
.
Quella
camera
improvvisamente
spalancata
non
deve
mostrar
loro
,
né
farle
immaginare
con
paura
o
con
raccapriccio
.
Deve
far
vedere
gli
aguzzini
,
il
loro
spalleggiarsi
,
le
loro
risate
ubriache
,
i
loro
giornaletti
e
le
loro
tre
dita
levate
.
Restituire
i
jingle
politici
-
la
nazione
serba
,
la
battaglia
sacra
di
Lazar
,
i
monasteri
magnifici
e
la
fraternità
panslava
-
alla
loro
dimensione
personale
,
alla
libertà
senza
confini
di
mettere
alla
prova
se
stessi
sul
corpo
dell
'
altro
.
Sono
scappati
a
gambe
levate
,
quegli
artigiani
efferati
:
lungo
la
strada
avranno
alzato
le
tre
dita
,
incrociando
i
carri
russi
,
o
le
telecamere
di
ogni
parte
.
A
Belgrado
,
o
in
un
'
altra
loro
città
,
in
un
'
osteria
o
in
una
caserma
,
non
resisteranno
al
piacere
di
raccontare
che
cos
'
hanno
fatto
a
Pristina
.
Troveranno
altri
come
loro
cui
le
cose
si
possono
dire
.
Il
bello
di
essere
poliziotti
-
o
paramilitari
,
è
lo
stesso
,
anzi
meglio
:
parastatali
della
brutalità
-
in
tempo
di
guerra
patriottica
è
che
si
può
fare
tutto
per
una
causa
superiore
.
Sarebbe
la
dimostrazione
finale
del
fatto
che
il
male
è
più
forte
del
bene
,
fra
gli
animali
umani
,
se
non
si
ricevesse
ogni
volta
di
nuovo
la
prova
che
resta
nei
torturatori
e
nei
massacratori
il
fondo
di
una
paura
e
una
vergogna
,
la
foga
di
cancellare
le
tracce
.
Qualcuno
di
noi
l
'
aveva
temuto
:
i
serbisti
tiravano
per
le
lunghe
solo
per
avere
il
tempo
di
cancellare
le
tracce
.
La
stessa
cosa
era
successa
ai
nazisti
.
Quando
lo
sterminio
passò
dalle
fucilazioni
di
massa
alle
camere
a
gas
,
fu
anche
per
smaltire
le
scorie
nei
forni
.
I
nazisti
(
e
tanti
altri
)
seppellirono
e
riesumarono
tante
loro
vittime
per
riseppellirle
o
bruciarle
:
come
hanno
appena
fatto
bande
serbe
.
Dicevano
,
gli
altruisti
carnefici
nazisti
:
il
mondo
non
è
ancora
preparato
a
capire
.
Non
si
può
lavorare
alla
luce
del
sole
.
Anche
i
serbisti
devono
aver
pensato
così
.
Il
mondo
non
è
ancora
preparato
,
e
anzi
ha
incaricato
un
tribunale
di
occuparsene
:
benché
non
lo
prenda
ancora
abbastanza
sul
serio
.
StampaQuotidiana ,
In
queste
settimane
di
guerra
nei
Balcani
due
parole
mi
tornano
alla
mente
.
La
prima
è
di
Bertolt
Brecht
al
termine
del
suo
lavoro
teatrale
:
La
resistibile
ascesa
di
Arturo
Ui
:
"
E
voi
imparate
che
occorre
vedere
e
non
guardare
in
aria
;
occorre
agire
e
non
parlare
.
Questo
mostro
stava
,
una
volta
,
per
governare
il
mondo
.
I
popoli
lo
spensero
,
ma
ora
non
cantiamo
vittoria
troppo
presto
,
il
grembo
da
cui
nacque
è
ancora
fecondo
"
.
Questa
metafora
del
grembo
ancora
fecondo
evoca
una
delle
cause
di
quanto
sta
avvenendo
.
C
'
è
una
matrice
dalla
quale
sono
stati
generati
molti
stermini
,
fino
alla
Shoah
.
Essa
continua
a
generarne
.
I
conflitti
nelle
terre
dell
'
ex
Jugoslavia
,
la
"
pulizia
etnica
"
,
l
'
esodo
forzato
delle
genti
del
Kosovo
lo
attestano
,
come
pure
tanti
altri
conflitti
in
altre
regioni
del
mondo
che
,
pur
drammaticamente
vivi
,
non
fanno
notizia
.
Tutto
questo
non
è
lontano
da
noi
.
Anche
il
nostro
Paese
ha
conosciuto
vergognose
"
leggi
razziali
"
.
Altre
"
notti
feroci
"
gravano
sull
'
Europa
,
come
Primo
Levi
ci
aveva
avvertiti
.
Avevamo
sperato
in
un
sempre
più
diffuso
e
radicato
costume
democratico
e
invece
di
nuovo
rinascono
forme
di
dittatura
,
di
violenta
privazione
della
libertà
.
Questo
millennio
si
avvia
alla
conclusione
tra
incursioni
aeree
,
bombardamenti
,
stragi
.
La
seconda
parola
a
cui
ripenso
in
questi
giorni
è
stata
pronunciata
dall
'
Assemblea
delle
chiese
cristiane
europee
a
Basilea
nel
maggio
1989
:
"
Abbiamo
causato
guerre
e
non
siamo
stati
capaci
di
sfruttare
tutte
le
opportunità
di
dialogo
e
di
riconciliazione
:
abbiamo
accettato
e
spesso
giustificato
con
troppa
facilità
le
guerre
"
.
Questa
parola
ci
ricorda
le
responsabilità
che
portiamo
anche
come
cristiani
.
Sulle
ragioni
possibili
di
alcuni
atti
di
guerra
(
cioè
sul
tema
di
una
eventuale
"
guerra
giusta
"
)
,
si
è
ragionato
a
lungo
nei
due
millenni
cristiani
.
Sant
'
Agostino
scriveva
:
"
Fare
la
guerra
è
una
felicità
per
i
malvagi
,
ma
per
i
buoni
una
necessità
...
è
ingiusta
la
guerra
fatta
contro
popoli
inoffensivi
,
per
desiderio
di
nuocere
,
per
sete
di
potere
,
per
ingrandire
un
impero
,
per
ottenere
ricchezze
e
acquistare
gloria
.
In
tutti
questi
casi
la
guerra
va
considerata
un
"
brigantaggio
in
grande
stile
"
"
(
De
Civitate
Dei
,
IV
,
6
)
.
Ma
Giovanni
XXIII
nella
Pacem
in
terris
,
afferma
:
"
Nell
'
era
atomica
è
irrazionale
(
alienum
est
a
ratione
)
pensare
che
la
guerra
possa
essere
utilizzata
come
strumento
di
riparazione
dei
diritti
violati
"
.
Il
concetto
di
"
guerra
giusta
"
viene
così
superato
.
E
il
Concilio
,
che
per
lo
più
non
ha
voluto
pronunciare
anatemi
,
ha
tuttavia
su
questo
punto
un
parola
ferma
e
dura
:
"
Ogni
atto
di
guerra
che
indiscriminatamente
mira
alla
distruzione
di
intere
città
o
di
vaste
regioni
e
dei
loro
abitanti
,
è
delitto
contro
Dio
e
contro
la
stessa
umanità
e
con
fermezza
e
senza
esitazione
deve
essere
condannato
"
.
Tra
le
ragioni
che
hanno
portato
al
superamento
della
dottrina
della
guerra
giusta
,
accanto
alla
percezione
dei
danni
incalcolabili
prodotti
dalle
"
moderne
armi
scientifiche
"
,
vi
è
la
progressiva
adesione
alla
struttura
politica
di
tipo
democratico
,
con
il
riconoscimento
dell
'
opinione
pubblica
come
istanza
di
controllo
e
di
guida
nella
gestione
del
potere
politico
.
Anche
sul
piano
internazionale
,
il
progressivo
consolidarsi
di
una
istanza
sovranazionale
costituisce
una
(
sia
pur
gracile
)
alternativa
alla
guerra
mediante
la
mediazione
politica
.
Con
la
condanna
del
ricorso
alla
guerra
,
la
coscienza
cristiana
va
progressivamente
superando
anche
la
logica
della
deterrenza
.
La
deterrenza
,
afferma
il
Concilio
,
"
non
è
via
sicura
per
conservare
saldamente
la
pace
...
le
cause
di
guerre
anziché
venire
eliminate
da
tale
corsa
minacciano
piuttosto
di
aggravarsi
gradatamente
...
mentre
si
spendono
enormi
ricchezze
per
procurarsi
sempre
nuove
armi
,
diventa
poi
impossibile
arrecare
sufficiente
rimedio
alle
miserie
così
grandi
del
mondo
presente
"
.
In
queste
settimane
di
guerra
ci
ha
costantemente
guidato
il
magistero
coerente
e
coraggioso
del
papa
Giovanni
Paolo
II
.
Non
dimentico
le
sue
parole
il
mattino
del
primo
giorno
della
guerra
nel
Golfo
,
era
il
17
gennaio
1991
:
"
In
queste
ore
di
grandi
pericoli
,
vorrei
ripetere
con
forza
che
la
guerra
non
può
essere
un
mezzo
adeguato
per
risolvere
completamente
i
problemi
esistenti
tra
le
nazioni
.
Non
lo
è
mai
stato
e
non
lo
sarà
mai
.
Continuo
a
sperare
che
ciò
che
è
iniziato
abbia
fine
al
più
presto
.
Prego
affinché
l
'
esperienza
di
questo
primo
giorno
di
conflitto
sia
sufficiente
per
far
comprendere
l
'
orrore
di
quanto
sta
succedendo
e
far
capire
la
necessità
che
le
aspirazioni
e
i
diritti
di
tutti
i
popoli
della
regione
siano
oggetto
di
un
particolare
impegno
della
comunità
internazionale
.
Si
tratta
di
problemi
la
cui
soluzione
può
essere
ricercata
solamente
in
un
contesto
internazionale
,
ove
tutte
le
parti
interessate
siano
presenti
e
cooperino
con
lealtà
"
.
"
Declino
dell
'
umanità
,
scacco
della
comunità
internazionale
,
attentato
ai
valori
più
cari
a
tutte
le
religioni
"
,
così
diceva
il
Papa
a
proposito
della
guerra
nel
Golfo
.
Parole
che
dobbiamo
ancora
ripetere
per
la
guerra
nei
Balcani
.
Dobbiamo
instancabilmente
cercare
,
pensare
una
alternativa
all
'
uso
delle
armi
,
anche
quando
essa
sembra
impossibile
.
Come
vescovo
avverto
l
'
urgenza
di
contribuire
ad
una
educazione
alla
pace
:
solo
scrutando
le
ragioni
misteriose
del
male
nella
storia
e
nel
cuore
dell
'
uomo
possiamo
comprendere
perché
la
pace
sia
problema
sempre
aperto
.
Il
riconoscimento
del
male
in
tutte
le
sue
forme
,
questa
immane
potenza
del
negativo
che
ha
nella
guerra
la
sua
manifestazione
più
drammatica
,
non
deve
però
indurci
al
pessimismo
paralizzando
la
fiducia
nelle
risorse
positive
dell
'
uomo
.
Nasce
di
qui
la
tensione
al
dialogo
come
via
privilegiata
alla
pace
:
"
Ogni
uomo
,
credente
o
no
,
pur
restando
prudente
e
lucido
circa
la
possibile
ostinazione
del
suo
fratello
,
può
e
deve
conservare
una
sufficiente
fiducia
nell
'
uomo
,
nella
sua
capacità
di
essere
ragionevole
,
nel
suo
senso
del
bene
,
della
giustizia
,
dell
'
equità
,
nella
sua
possibilità
di
amore
fraterno
e
di
speranza
,
mai
totalmente
pervertiti
,
per
scommettere
sul
ricorso
al
dialogo
e
sulla
sua
possibile
ripresa
"
(
Giovanni
Paolo
II
,
Messaggio
per
la
Giornata
della
pace
1983
)
.
Questa
fiducia
nell
'
uomo
è
anzitutto
fiducia
nelle
risorse
della
sua
coscienza
,
soprattutto
di
quanti
patiscono
ingiustizia
.
Bisogna
puntare
"
sulle
forze
di
pace
nascoste
negli
uomini
e
nei
popoli
che
soffrono
...
così
da
sottoporre
le
forze
oppressive
a
delle
spinte
efficaci
di
trasformazione
,
più
efficaci
di
quelle
fiammate
di
violenza
che
in
genere
non
producono
nulla
,
se
non
un
futuro
di
sofferenze
ancora
più
grandi
"
(
Messaggio
per
la
Giornata
della
pace
,
1980
)
.
Alla
forza
della
coscienza
e
non
alla
violenza
è
affidata
la
causa
della
pace
.
Sul
versante
politico
,
la
pace
richiede
strutture
politiche
sovranazionali
davvero
efficaci
nell
'
arginare
le
possibili
sopraffazioni
.
Era
già
questo
l
'
auspicio
di
Paolo
VI
nel
suo
discorso
alle
Nazioni
Unite
nel
1965
:
"
Il
bene
comune
universale
pone
ora
problemi
a
dimensioni
mondiali
che
non
possono
essere
adeguatamente
affrontati
e
risolti
che
ad
opera
di
Poteri
pubblici
aventi
ampiezza
,
strutture
e
mezzi
delle
stesse
proporzioni
,
di
Poteri
pubblici
cioè
,
che
siano
in
grado
di
operare
in
modo
efficiente
sul
piano
mondiale
.
Lo
stesso
ordine
morale
quindi
domanda
che
tali
poteri
vengano
istituiti
...
Chi
non
vede
il
bisogno
di
giungere
così
,
progressivamente
,
a
instaurare
un
'
autorità
mondiale
,
capace
di
agire
con
efficacia
sul
piano
giuridico
e
politico
?
"
.
In
questi
giorni
di
guerra
ripenso
al
lungo
,
difficile
cammino
della
coscienza
cristiana
durante
due
millenni
nel
giudicare
la
guerra
e
gli
armamenti
.
Prima
delle
armi
nucleari
e
chimiche
il
principio
della
legittima
difesa
poteva
in
certi
casi
condurre
a
parlare
di
guerra
giusta
.
Ora
invece
si
è
convinti
della
tragica
inutilità
e
moralità
di
una
guerra
condotta
con
questi
nuovi
tipi
di
armamenti
.
Dobbiamo
augurarci
che
la
coscienza
critica
dei
cristiani
e
di
ogni
uomo
faccia
ancora
dei
passi
ulteriori
.
Intanto
occorre
che
la
mobilitazione
contro
il
male
sia
accompagnata
da
un
'
opera
progettuale
,
che
dia
nuova
consistenza
alla
pace
,
alla
sicurezza
,
alla
stessa
dissuasione
.
In
tale
linea
:
una
ricerca
di
giustizia
,
di
eguaglianza
,
di
solidarietà
,
il
potenziamento
del
dialogo
,
dei
sistemi
democratici
,
degli
organismi
di
controllo
internazionali
.
La
stessa
dissuasione
dovrebbe
fondarsi
non
già
sulla
minaccia
rappresentata
dagli
arsenali
,
bensì
su
quelle
risorse
ben
più
degne
dell
'
uomo
che
sono
la
solidarietà
internazionale
,
le
sanzioni
giuridiche
,
l
'
isolamento
di
chi
fa
ricorso
alla
prepotenza
e
alla
forza
.
Rassegnarsi
alla
logica
della
guerra
o
della
dissuasione
armata
vuol
dire
accettare
la
spirale
perversa
degli
armamenti
e
finire
in
una
trappola
mortale
per
l
'
umanità
.
Dal
punto
di
vista
progettuale
,
accanto
alla
proposta
di
studiare
forme
efficaci
di
difesa
civile
non
violenta
,
sta
il
riconoscimento
del
valore
della
obiezione
di
coscienza
,
la
denuncia
di
certe
forme
di
ricerca
scientifica
subalterne
a
logiche
di
distruzione
,
lo
scandalo
rappresentato
dal
divario
crescente
Nord
-
Sud
alimentato
dal
commercio
delle
armi
.
Sta
l
'
appello
alla
mediazione
politica
come
strumento
di
composizione
dei
conflitti
;
l
'
appello
a
disarmare
gli
animi
,
armando
la
ragione
;
l
'
appello
a
credere
nella
Parola
:
"
Forgeranno
le
loro
spade
in
vomeri
,
le
loro
lance
in
falci
,
un
popolo
non
alzerà
più
la
spada
contro
un
altro
popolo
"
.
(
Isaia
,
2,4
)
.
StampaQuotidiana ,
Nel
dicembre
del
1993
si
è
svolto
alla
Sorbona
,
sotto
l
'
egida
della
Academie
Universelle
des
Cultures
,
un
congresso
sul
concetto
di
intervento
internazionale
.
C
'
erano
non
solo
giuristi
,
politologi
,
militari
,
politici
,
ma
anche
filosofi
e
storici
come
Paul
Ricoeur
o
Jacques
Le
Goff
,
medici
senza
frontiere
come
Bernard
Koutchner
,
rappresentanti
di
minoranze
un
tempo
perseguitate
come
Elie
Wiesel
,
Ariel
Dorfmann
,
Toni
Morrison
,
vittime
della
repressione
di
vari
dittatori
,
come
Leszek
Kolakowski
o
Bronislaw
Geremek
o
Jorge
Semprun
,
insomma
molta
gente
a
cui
la
guerra
non
piace
,
non
è
mai
piaciuta
e
non
vorrebbero
vederne
più
.
Si
aveva
paura
a
usare
parole
come
"
intervento
"
,
che
sapeva
troppo
di
ingerenza
(
anche
Sagunto
è
stato
un
intervento
,
e
ha
permesso
ai
romani
di
fare
fuori
i
cartaginesi
)
,
e
si
preferiva
parlare
di
soccorso
e
di
"
azione
internazionale
"
.
Pura
ipocrisia
?
No
,
i
romani
che
intervengono
a
favore
di
Sagunto
sono
romani
,
e
basta
.
In
quel
convegno
invece
si
stava
parlando
di
comunità
internazionale
,
di
un
gruppo
di
paesi
che
ritengono
che
la
situazione
,
in
un
punto
qualsiasi
del
globo
,
abbia
raggiunto
l
'
intollerabile
,
e
decidono
di
intervenire
per
porre
fine
a
quello
che
la
coscienza
comune
definisce
un
delitto
.
Ma
quali
paesi
fanno
parte
della
comunità
internazionale
,
e
quali
sono
i
limiti
della
coscienza
comune
?
Si
può
certo
sostenere
che
per
ogni
civiltà
uccidere
sia
un
male
,
ma
solo
entro
certi
limiti
.
Noi
europei
e
cristiani
ammettiamo
per
esempio
l
'
omicidio
per
legittima
difesa
,
ma
gli
antichi
abitanti
del
Centro
e
Sud
America
ammettevano
il
sacrificio
umano
rituale
,
e
gli
attuali
abitanti
degli
Stati
Uniti
ammettono
la
pena
di
morte
.
Una
delle
conclusioni
di
quel
tormentatissimo
convegno
era
stata
che
,
come
avviene
in
chirurgia
,
intervenire
significa
agire
energicamente
per
interrompere
o
eliminare
un
male
.
La
chirurgia
vuole
il
bene
,
ma
i
suoi
metodi
sono
violenti
.
È
consentita
una
chirurgia
internazionale
?
Tutta
la
filosofia
politica
moderna
ci
dice
che
,
per
evitare
la
guerra
di
tutti
contro
tutti
,
lo
Stato
deve
esercitare
una
certa
violenza
sugli
individui
.
Ma
quegli
individui
hanno
sottoscritto
un
contratto
sociale
.
Che
cosa
avviene
tra
stati
che
non
hanno
sottoscritto
un
contratto
comune
?
Di
solito
una
comunità
,
che
si
ritiene
depositaria
di
valori
molto
diffusi
(
diciamo
i
paesi
democratici
)
stabilisce
i
limiti
di
ciò
che
essa
giudica
intollerabile
.
Non
è
tollerabile
condannare
a
morte
per
reati
d
'
opinione
.
Non
è
tollerabile
il
genocidio
.
Non
è
tollerabile
l
'
infibulazione
(
almeno
,
se
praticata
a
casa
nostra
)
.
Pertanto
si
decide
di
difendere
coloro
che
sono
danneggiati
ai
limiti
dell
'
intollerabile
.
Ma
sia
chiaro
che
quell
'
intollerabile
è
intollerabile
per
noi
,
non
per
"loro".Chi
siamo
noi
?
I
cristiani
?
Non
necessariamente
,
cristiani
rispettabilissimi
,
anche
se
non
cattolici
,
appoggiano
Milosevic
.
Il
bello
è
che
questo
"
noi
"
(
anche
se
è
definito
da
un
trattato
,
come
quello
nord
-
atlantico
)
è
un
Noi
impreciso
.
È
una
Comunità
che
si
riconosce
su
alcuni
valori
.
Dunque
quando
si
decide
di
intervenire
in
base
ai
valori
di
una
Comunità
,
si
fa
una
scommessa
:
che
i
nostri
valori
,
e
il
nostro
senso
dei
limiti
tra
tollerabile
e
intollerabile
,
siano
giusti
.
Si
tratta
di
una
sorta
di
scommessa
storica
non
diversa
da
quella
che
legittima
le
rivoluzioni
,
o
i
tirannicidi
:
chi
mi
dice
che
io
abbia
diritto
di
esercitare
la
violenza
(
e
che
violenza
,
talora
)
per
ristabilire
quella
che
ritengo
una
giustizia
violata
?
Non
c
'
è
nulla
che
legittimi
una
rivoluzione
,
per
chi
l
'
avversa
:
semplicemente
chi
vi
si
impegna
crede
,
scommette
,
che
ciò
che
fa
sia
giusto
.
Non
diversamente
accade
per
la
decisione
di
un
intervento
internazionale
.
È
questa
situazione
quella
che
spiega
l
'
angoscia
che
afferra
tutti
in
questi
giorni
.
C
'
è
un
male
terribile
a
cui
opporsi
(
la
pulizia
etnica
)
:
è
l
'
intervento
bellico
lecito
o
no
?
Si
deve
fare
una
guerra
per
impedire
una
ingiustizia
?
Secondo
giustizia
sì
.
E
secondo
carità
?
Ancora
una
volta
si
ripropone
il
problema
della
scommessa
:
se
con
una
violenza
minima
avrò
impedito
una
ingiustizia
enorme
,
avrò
agito
secondo
carità
,
come
fa
il
poliziotto
che
spara
al
pazzo
assassino
per
salvare
la
vita
a
molti
innocenti
.
Ma
la
scommessa
è
duplice
.
Da
un
lato
si
scommette
che
noi
siamo
in
accordo
col
senso
comune
,
che
quello
che
vogliamo
reprimere
è
qualche
cosa
di
universalmente
intollerabile
(
e
peggio
per
chi
non
lo
capisce
e
ammette
ancora
)
.
Dall
'
altro
si
scommette
che
la
violenza
che
giustifichiamo
riuscirà
a
prevenire
violenze
maggiori
.
Sono
due
problemi
assolutamente
diversi
.
Ora
provo
a
dare
per
scontato
il
primo
,
che
scontato
non
è
,
ma
vorrei
ricordare
a
tutti
che
questo
non
è
un
trattato
di
etica
,
bensì
un
articolo
di
giornale
,
sordidamente
ricattato
da
esigenze
di
spazio
e
di
comprensibilità
.
In
altre
parole
,
il
primo
problema
è
così
grave
,
e
angoscioso
,
che
non
può
,
anzi
non
deve
essere
trattato
sulle
gazzette
.
Diciamo
allora
che
è
giusto
,
per
impedire
un
delitto
come
la
pulizia
etnica
(
foriero
di
altri
delitti
e
di
altre
atrocità
che
il
nostro
secolo
ha
conosciuto
)
,
ricorrere
alla
violenza
.
Ma
la
seconda
domanda
è
se
la
forma
di
violenza
che
esercitiamo
possa
davvero
prevenire
violenze
maggiori
.
Qui
non
siamo
più
di
fronte
a
un
problema
etico
bensì
a
un
problema
tecnico
,
il
quale
ha
tuttavia
un
risvolto
etico
:
se
l
'
ingiustizia
a
cui
mi
piego
non
prevenisse
l
'
ingiustizia
maggiore
,
sarebbe
stato
lecito
usarla
?
Questo
equivale
a
fare
un
discorso
sulla
utilità
della
guerra
,
nel
senso
di
guerra
guerreggiata
,
di
guerra
tradizionale
,
che
ha
per
fine
l
'
annientamento
finale
del
nemico
e
la
vittoria
del
vincitore
.
Il
discorso
sulla
inutilità
della
guerra
è
difficile
perché
pare
che
chi
lo
fa
parli
in
favore
dell
'
ingiustizia
che
la
guerra
cerca
di
sanare
.
Ma
questo
è
un
ricatto
psicologico
.
Se
qualcuno
per
esempio
dicesse
che
tutti
i
guai
della
Serbia
derivano
dalla
dittatura
di
Milosevic
,
e
che
se
i
servizi
segreti
occidentali
riuscissero
a
uccidere
Milosevic
tutto
si
risolverebbe
in
un
giorno
,
questo
qualcuno
criticherebbe
la
guerra
come
strumento
utile
per
risolvere
il
problema
del
Kosovo
,
ma
non
sarebbe
pro
-
Milosevic
.
D
'
accordo
?
Perché
nessuno
adotta
questa
posizione
?
Per
due
ragioni
.
Una
,
che
i
servizi
segreti
di
tutto
il
mondo
sono
per
definizione
inefficienti
,
non
sono
stati
capaci
di
fare
ammazzare
né
Castro
né
Saddam
ed
è
vergognoso
che
si
consideri
ancora
giusto
sperperare
per
essi
pubblico
denaro
.
L
'
altro
è
che
non
è
affatto
vero
che
quello
che
fanno
i
serbi
sia
dovuto
alla
follia
di
un
dittatore
,
ma
dipende
da
odi
etnici
millenari
,
che
coinvolgono
e
loro
e
altre
etnie
balcaniche
,
il
che
rende
il
problema
ancora
più
drammatico
.
Torniamo
allora
al
discorso
sulla
utilità
della
guerra
.
Qual
è
stato
nel
corso
dei
secoli
il
fine
di
quella
che
chiameremo
paleo
-
guerra
?
Sconfiggere
l
'
avversario
in
modo
da
trarre
un
beneficio
dalla
sua
perdita
.
Questo
imponeva
tre
condizioni
:
che
al
nemico
dovessero
essere
tenute
segrete
le
nostre
forze
e
le
nostre
intenzioni
,
in
modo
da
poterlo
prendere
di
sorpresa
;
che
ci
fosse
una
forte
solidarietà
nel
fronte
interno
;
che
infine
tutte
le
forze
a
disposizione
fossero
utilizzate
per
distruggere
il
nemico
.
Per
questo
nella
paleo
-
guerra
(
compresa
la
guerra
fredda
)
si
stroncavano
coloro
che
dall
'
interno
del
fronte
amico
trasmettevano
informazioni
al
fronte
nemico
(
fucilazione
di
Mata
Hari
,
i
Rosenberg
sulla
sedia
elettrica
)
,
si
impediva
la
propaganda
del
fronte
avverso
(
si
metteva
in
prigione
chi
ascoltava
Radio
Londra
,
McCarthy
condannava
i
filocomunisti
di
Hollywood
)
,
e
si
punivano
coloro
che
,
dall
'
interno
del
fronte
nemico
,
lavoravano
contro
il
proprio
paese
(
impiccagione
di
John
Amery
,
segregazione
a
vita
di
Ezra
Pound
)
perché
non
si
doveva
fiaccare
lo
spirito
dei
cittadini
.
E
infine
si
insegnava
a
tutti
che
il
nemico
andava
ucciso
,
e
i
bollettini
di
guerra
esultavano
quando
le
forze
nemiche
venivano
sterminate
.
Queste
condizioni
sono
entrate
in
crisi
con
la
prima
neo
-
guerra
,
quella
del
Golfo
,
ma
si
attribuiva
ancora
la
smagliatura
alla
stupidità
dei
popoli
di
colore
,
che
ammettevano
i
giornalisti
americani
a
Bagdad
,
forse
per
vanità
,
o
per
corruzione
.
Ora
non
ci
sono
più
equivoci
,
l
'
Italia
invia
aerei
in
Serbia
ma
mantiene
relazioni
diplomatiche
con
la
Jugoslavia
,
le
televisioni
della
Nato
comunicano
ora
per
ora
ai
serbi
quali
aerei
Nato
stanno
lasciando
Aviano
,
agenti
serbi
sostengono
le
ragioni
del
governo
avversario
dagli
schermi
della
televisione
di
stato
,
giornalisti
italiani
trasmettono
da
Belgrado
con
l
'
appoggio
delle
autorità
locali
.
Ma
è
guerra
questa
,
col
nemico
in
casa
che
fa
propaganda
per
i
suoi
?
Nella
neo
-
guerra
ciascun
belligerante
ha
il
nemico
nelle
retrovie
e
,
dando
continuamente
la
parola
all
'
avversario
,
i
media
demoralizzano
i
cittadini
(
mentre
Clausewitz
ricordava
che
condizione
della
vittoria
è
la
coesione
morale
di
tutti
i
combattenti
)
.
D
'
altra
parte
,
quand
'
anche
i
media
fossero
imbavagliati
,
le
nuove
tecnologie
della
comunicazione
permettono
flussi
d
'
informazione
inarrestabili
-
e
non
so
quanto
Milosevic
possa
bloccare
non
dico
Internet
ma
le
trasmissioni
radio
da
paesi
nemici
.
Tutte
le
cose
che
ho
detto
sembrano
contraddire
il
bell
'
articolo
di
Furio
Colombo
su
Repubblica
del
19
aprile
scorso
,
dove
si
sostiene
che
il
Villaggio
Globale
di
McLuhaniana
memoria
sarebbe
morto
il
13
aprile
1999
,
quando
in
un
mondo
di
media
,
cellulari
,
satelliti
,
spie
spaziali
e
così
via
,
si
dovette
dipendere
dal
telefonino
da
campo
di
un
funzionario
di
agenzia
internazionale
,
incapace
di
chiarire
se
davvero
fosse
avvenuta
una
infiltrazione
serba
in
territorio
albanese
.
"
Noi
non
sappiamo
nulla
dei
serbi
.
I
serbi
non
sanno
nulla
di
noi
.
Gli
albanesi
non
riescono
a
vedere
sopra
il
mare
di
teste
che
li
sta
invadendo
.
La
Macedonia
scambia
i
profughi
per
nemici
e
li
massacra
di
botte
"
.
Ma
allora
,
questa
è
una
guerra
dove
ciascuno
sa
tutto
degli
altri
o
dove
nessuno
sa
niente
?
Tutte
e
due
le
cose
.
Il
fronte
interno
è
trasparente
,
mentre
la
frontiera
è
opaca
.
Gli
agenti
di
Milosevic
parlano
nelle
trasmissioni
di
Gad
Lerner
,
mentre
sul
fronte
,
là
dove
i
generali
di
un
tempo
esploravano
col
binocolo
,
e
sapevano
benissimo
dove
si
appostava
il
nemico
,
oggi
non
si
sa
niente
.
Questo
accade
perché
,
se
il
fine
della
paleo
-
guerra
era
distruggere
quanti
più
nemici
fosse
possibile
,
pare
tipico
della
neo
-
guerra
cercare
di
ucciderne
il
meno
possibile
,
perché
a
ucciderne
troppi
si
incorrerebbe
nella
riprovazione
dei
media
.
Nella
neo
-
guerra
non
si
è
ansiosi
di
distruggere
il
nemico
,
perché
i
media
ci
rendono
vulnerabili
di
fronte
alla
sua
morte
-
non
più
evento
lontano
e
impreciso
,
ma
evidenza
visiva
insostenibile
.
Nella
neo
-
guerra
ogni
armata
si
muove
all
'
insegna
del
vittimismo
.
Milosevic
accusa
orribili
perdite
(
Mussolini
se
ne
sarebbe
vergognato
)
,
e
basta
che
un
aviatore
della
Nato
caschi
a
terra
che
tutti
si
commuovono
.
Insomma
,
nella
neo
-
guerra
perde
,
di
fronte
all
'
opinione
pubblica
,
chi
ha
ammazzato
troppo
.
E
dunque
è
giusto
che
alla
frontiera
nessuno
si
affronti
e
nessuno
sappia
niente
dell
'
altro
.
In
fondo
la
neo
-
guerra
è
all
'
insegna
della
"
bomba
intelligente
"
,
che
dovrebbe
distruggere
il
nemico
senza
ammazzarlo
,
e
si
capiscono
i
nostri
ministri
che
dicono
:
noi
,
scontri
col
nemico
?
ma
niente
affatto
!
Che
poi
un
sacco
di
gente
muoia
lo
stesso
è
tecnicamente
irrilevante
.
Anzi
,
il
difetto
della
neo
-
guerra
è
che
muore
della
gente
,
ma
non
si
vince
.
Ma
possibile
che
nessuno
sappia
condurre
una
neo
-
guerra
?
Nessuno
,
è
naturale
.
L
'
equilibrio
del
terrore
aveva
preparato
gli
strateghi
a
una
guerra
atomica
ma
non
a
una
terza
guerra
mondiale
,
dove
si
dovessero
spezzare
le
reni
alla
Serbia
.
É
come
se
i
migliori
laureati
del
Politecnico
fossero
stati
tenuti
per
cinquant
'
anni
a
fare
videogiochi
.
Vi
fidereste
a
lasciargli
fare
ora
un
ponte
?
Ma
infine
,
l
'
ultima
beffa
della
neo
-
guerra
non
è
che
non
ci
sia
nessuno
oggi
in
servizio
che
sia
vecchio
abbastanza
da
avere
imparato
a
fare
una
guerra
-
e
non
ci
potrebbe
essere
in
ogni
caso
,
perché
la
neo
-
guerra
è
un
gioco
dove
per
definizione
si
perde
sempre
,
anche
perché
la
tecnologia
che
viene
usata
è
più
complessa
del
cervello
di
coloro
che
la
manovrano
e
un
semplice
computer
,
benché
fondamentalmente
idiota
,
può
giocare
più
scherzi
di
quanti
ne
immagini
colui
che
lo
manovra
..
Bisogna
intervenire
contro
il
delitto
del
nazionalismo
serbo
,
ma
forse
la
guerra
è
un
'
arma
spuntata
.
Forse
l
'
unica
speranza
è
nell
'
avidità
umana
.
Se
la
vecchia
guerra
ingrassava
i
mercanti
di
cannoni
,
e
questo
guadagno
faceva
passare
in
secondo
piano
l
'
arresto
provvisorio
di
alcuni
scambi
commerciali
,
la
neo
-
guerra
,
se
pure
permette
di
smerciare
un
surplus
di
armamenti
prima
che
diventino
obsoleti
,
mette
in
crisi
i
trasporti
aerei
,
il
turismo
,
gli
stessi
media
(
che
perdono
pubblicità
commerciale
)
e
in
genere
tutta
l
'
industria
del
superfluo
.
Se
l
'
industria
degli
armamenti
ha
bisogno
di
tensione
,
quella
del
superfluo
ha
bisogno
di
pace
.
Prima
o
poi
qualcuno
più
potente
di
Clinton
e
di
Milosevic
dirà
basta
,
e
tutti
e
due
ci
staranno
a
perdere
un
poco
di
faccia
,
pur
di
salvare
il
resto
.
È
triste
,
ma
almeno
è
vero
.
StampaPeriodica ,
Un
partito
politico
attivo
e
vitale
come
il
Partito
socialista
è
obbligato
a
pigliar
posizione
di
fronte
a
tutte
le
correnti
politiche
che
si
formano
nel
paese
.
Non
è
quindi
inopportuno
fissare
l
attenzione
dei
lettori
su
un
movimento
,
iniziato
a
Roma
da
un
giornale
settimanale
,
la
Terza
Italia
,
e
dalla
Federazione
mazziniana
di
Terni
,
allo
scopo
di
ricondurre
il
Partito
repubblicano
alla
tradizione
cosiddetta
intransigente
della
parte
mazziniana
.
Il
programma
di
questo
movimento
,
che
io
reputo
a
priori
capace
di
una
certa
diffusione
,
date
le
speciali
condizioni
politiche
del
paese
,
non
è
ben
definito
se
non
da
un
lato
solo
,
quello
negativo
,
essendo
esso
rivolto
contro
i
metodi
parlamentari
,
recentemente
adottati
dal
Partito
repubblicano
.
Non
esclusa
la
fisima
antiparlamentare
,
i
neo
-
mazziniani
di
oggi
non
valgono
più
di
quelli
di
ieri
:
non
sanno
quello
che
vogliono
.
Nel
che
sta
il
vero
pericolo
del
movimento
.
Ragionando
per
filo
di
ipotesi
più
o
meno
fondate
,
la
risurrezione
mazziniana
non
può
proporsi
che
uno
scopo
solo
:
far
proseliti
in
mezzo
al
Partito
repubblicano
ufficiale
.
Fuori
l
àmbito
di
questo
partito
gli
è
per
logica
naturale
di
cose
interdetta
ogni
possibile
diffusione
di
principi
.
Il
neo
-
movimento
mazziniano
,
essendo
in
fondo
una
semplice
critica
in
azione
del
Partito
repubblicano
ufficiale
,
non
può
vivere
che
su
di
questo
,
come
il
parassita
non
può
vivere
che
sull
organismo
da
esso
sfruttato
.
Non
applicandosi
la
critica
mazziniana
né
agli
altri
partiti
,
né
alla
generale
condizione
del
paese
,
essa
non
può
agire
,
ove
abbia
veramente
forza
diffusiva
il
che
è
possibile
,
entro
certo
limiti
,
anche
per
le
tradizioni
schiettamente
rivoluzionarie
dei
repubblicani
italiani
che
come
un
movimento
di
secessione
ed
un
tentativo
di
frazionamento
.
Perché
la
critica
mazziniana
non
si
applichi
alle
condizioni
del
paese
,
né
abbia
speranza
di
successo
in
mezzo
agli
altri
partiti
radicali
,
si
dirà
in
appresso
.
Quanto
al
pericolo
che
essa
operi
come
un
movimento
di
secessione
,
il
pericolo
è
già
evidente
passando
in
rassegna
i
pochi
numeri
sinora
pubblicati
della
Terza
Italia
.
Lasciando
stare
i
soliti
vanitosi
,
capricciosi
ed
inconcludenti
,
che
ad
ogni
nuova
pubblicazione
sentono
il
bisogno
di
notificare
ai
popoli
un
qualche
nuovo
progresso
del
loro
spirito
,
sta
in
fatto
che
una
tendenza
va
pronunciandosi
presso
alcune
frazioni
sin
qui
aderenti
al
Partito
repubblicano
ufficiale
,
di
proporre
in
seno
al
prossimo
congresso
del
partito
un
ritorno
ai
metodi
di
papa
Celestino
,
tanto
cari
ai
repubblicani
italiani
sino
al
1890
o
giù
di
lì
.
La
necessità
di
propugnare
il
ritorno
all
integrale
programma
di
Mazzini
è
consigliata
dalla
federazione
di
Terni
ai
mazziniani
aderenti
al
Partito
repubblicano
ufficiale
,
a
proposito
dell
imminente
congresso
del
partito
.
Ma
,
di
fronte
a
questo
congresso
,
la
federazione
di
Terni
serba
un
atteggiamento
anche
più
sprezzante
.
Essa
lo
considera
come
inutile
ai
fini
specifici
del
mazzinianismo
,
e
già
si
propone
di
indire
un
contro
-
congresso
.
Cosicché
è
alle
viste
la
costituzione
di
un
nuovo
partito
repubblicano
italiano
.
Troppa
grazia
!
È
questo
il
vero
pericolo
al
quale
accennavo
testé
.
Ma
è
bene
spiegarci
chiaramente
.
Che
,
essendovi
dei
mazziniani
nel
paese
,
questi
sentano
il
bisogno
di
unirsi
e
diffondere
le
loro
idee
,
è
cosa
perfettamente
naturale
e
della
quale
siamo
i
primi
a
rallegrarci
.
La
diffusione
di
qualsiasi
idea
,
per
quanto
falsa
o
giudicata
immorale
alla
stregua
della
moralità
del
tempo
,
non
può
riuscire
che
benefica
al
corso
generale
dell
evoluzione
di
un
paese
.
Politicamente
e
moralmente
noi
abbiamo
però
il
dovere
di
combattere
tutte
le
idee
e
tutte
le
correnti
che
giudichiamo
dannose
.
Nessun
altro
appello
deve
esser
fatto
in
questa
disputa
fuorché
alle
armi
della
ragione
.
È
indegno
di
servire
la
scienza
chiunque
in
una
disputa
teorica
fa
entrare
un
appello
alla
forza
del
governo
o
alla
violenza
personale
.
Ora
,
rompere
la
compagine
del
Partito
repubblicano
italiano
non
torna
dannoso
allo
sviluppo
di
tutti
gli
altri
partiti
popolari
?
Il
ritorno
all
anarchismo
mazziniano
,
rispetto
ai
metodi
,
quando
il
Partito
repubblicano
deve
i
suoi
successi
ad
un
metodo
opposto
,
non
è
creare
un
nuovo
ostacolo
all
evoluzione
degli
altri
partiti
popolari
,
spingendo
risolutamente
all
indietro
le
forze
di
uno
degli
alleati
?
Ed
a
vantaggio
di
che
si
fa
poi
questa
conversione
del
repubblicanismo
al
mazzinianismo
?
Su
di
una
cosa
i
neo
-
mazziniani
sono
perfettamente
in
chiaro
:
sulla
opportunità
di
respingere
l
uso
dei
mezzi
parlamentari
.
Ciò
che
essi
propugnano
in
modo
risoluto
ed
esplicito
è
l
astensione
dalle
lotte
elettorali
politiche
;
e
poiché
essi
sono
repubblicani
e
quindi
non
negano
,
come
gli
anarchici
,
il
male
indispensabile
dello
Stato
indispensabile
almeno
entro
limiti
di
tempo
abbastanza
ampi
ed
ammettono
pienamente
il
metodo
rappresentativo
,
il
loro
astensionismo
altro
non
è
se
non
legittimismo
repubblicano
.
In
fondo
,
chi
esamini
la
psicologia
intima
dell
astensionismo
elettorale
propugnato
dal
Mazzini
,
vi
riscontrerà
lo
sdegno
e
la
protesta
dell
antico
triumviro
,
sostituito
al
potere
da
un
usurpatore
.
L
amore
davvero
mistico
con
cui
il
Mazzini
circondò
il
nome
di
Roma
,
l
ardore
religioso
con
il
quale
seppe
vantarne
una
pretesa
missione
storica
,
e
la
pagina
insigne
,
scritta
col
sacrificio
di
tanti
,
nel
nome
repubblicano
dell
Urbe
degenere
,
conferirono
a
fargli
credere
legata
al
suo
nome
ed
a
quello
da
esso
inseparabile
della
futura
repubblica
italiana
le
sorti
di
Roma
.
Mazzini
considerò
la
dinastia
occupatrice
come
rea
di
usurpazione
.
Il
papa
laico
e
il
papa
cattolico
consigliarono
ai
fedeli
delle
due
chiese
la
stessa
condotta
:
l
astensione
dalle
lotte
politiche
.
L
astensionismo
mazziniano
era
una
protesta
,
tale
e
quale
come
quello
papalino
.
Mazzini
aveva
scritto
tante
volte
che
la
risurrezione
unitaria
dell
Italia
non
poteva
essere
se
non
repubblicana
,
e
,
quando
vide
che
i
fatti
lo
smentivano
,
non
volle
già
credere
ad
una
necessità
storica
operante
al
di
là
dei
disegni
volontari
della
mente
umana
,
ma
ad
un
intrigo
riuscito
per
la
forza
stessa
dell
inganno
.
La
sua
irreconciliabile
avversione
al
nuovo
regime
,
cui
credeva
di
poter
rimproverare
l
inganno
e
l
usurpazione
,
prese
corpo
e
sostanza
nella
costante
predicazione
dell
astensionismo
politico
,
ed
egli
si
illuse
di
poter
così
concorrere
a
demolire
quel
regime
.
Ma
,
uomo
del
resto
del
più
alto
senso
politico
,
capì
che
la
lotta
negativa
dell
astensione
non
bastava
,
ed
occorreva
attaccare
il
regime
combattuto
in
modo
più
diretto
.
Mazzini
fu
astensionista
dalle
lotte
elettorali
per
la
assai
semplice
ragione
che
egli
fu
cospiratore
.
Finché
il
Partito
repubblicano
si
fuse
e
si
confuse
con
il
mazzinianismo
,
la
cospirazione
fu
il
naturale
complemento
della
propaganda
pubblica
.
L
Alleanza
repubblicana
universale
,
istituita
dal
Mazzini
e
che
ebbe
esistenza
ufficiale
sin
verso
il
1890
,
benché
menasse
vita
stentata
e
poverissima
,
era
un
associazione
cospiratoria
a
molteplici
gradi
di
iniziazione
.
Lo
sfacelo
dell
Alleanza
,
avvenuto
per
processo
di
naturale
ed
intima
dissoluzione
,
senza
alcun
concorso
né
della
violenza
,
né
dell
inganno
governativo
,
è
la
miglior
critica
che
dei
metodi
cospiratori
possa
farsi
in
un
paese
che
,
anche
senza
possedere
una
libertà
di
stampa
,
di
riunione
e
di
associazione
molto
sicura
e
generale
,
si
regge
a
sistema
rappresentativo
.
Il
cospiratorismo
hoffenbacchiano
dell
Alleanza
,
durato
,
come
ho
detto
,
sino
a
data
recentissima
,
si
sfasciava
nella
incoerenza
della
propria
ragione
di
essere
.
Mazzini
,
naturalmente
,
non
è
responsabile
di
queste
assurdità
.
Egli
moriva
nel
1872
,
diciotto
mesi
dopo
l
entrata
in
Roma
della
monarchia
,
e
la
vicinanza
del
periodo
rivoluzionario
vero
e
proprio
poteva
ancora
persuadere
metodi
cospiratori
ed
insurrezionali
:
anzi
a
dire
la
verità
,
la
logica
era
tutta
dalla
parte
di
questi
metodi
.
Ma
chiuso
il
periodo
dell
agitazione
,
inauguratosi
il
periodo
dell
organizzazione
,
il
Partito
repubblicano
doveva
mutar
via
.
La
suggestione
e
la
superstizione
dei
vecchi
metodi
aduggiò
invece
il
campo
.
Ne
avvenne
quel
che
doveva
avvenire
.
Siccome
non
è
possibile
differire
all
infinito
la
realizzazione
di
un
fine
,
i
cui
mezzi
implichino
una
tensione
permanente
dei
nervi
,
come
il
metodo
cospiratorio
,
che
involge
un
pericolo
permanente
,
il
partito
si
sfasciò
.
L
astensionismo
e
la
cospirazione
lo
facevano
a
brandelli
.
La
salute
,
infatti
,
non
venne
che
dall
uso
del
metodo
opposto
,
e
questo
non
vedono
i
redattori
della
Terza
Italia
.
Dal
1885
al
1892
la
storia
del
Partito
repubblicano
italiano
è
la
storia
del
proprio
sfacelo
.
La
riforma
della
legge
elettorale
manda
alla
Camera
rinforzato
il
numero
dei
deputati
che
si
qualificano
repubblicani
;
ma
,
mentre
essi
svolgono
un
azione
qualunque
nella
Camera
,
sono
smentiti
dal
proprio
partito
organizzato
.
Le
Società
operaie
affratellate
,
sotto
il
qual
nome
è
compresa
l
organizzazione
pubblica
del
Partito
repubblicano
,
non
fanno
che
lacerarsi
in
lotte
intestine
.
Dopo
aver
descritto
fondo
all
universo
nei
loro
innumerevoli
congressi
,
non
sanno
mai
indicare
la
via
per
cui
le
cose
votate
si
hanno
da
applicare
.
L
assoluta
indipendenza
elettorale
delle
società
stesse
toglie
al
partito
ogni
fisionomia
di
partito
.
La
cospirazione
e
l
astensionismo
uccidono
,
nella
loro
evidente
incongruenza
,
un
partito
floridissimo
e
ricco
di
memorie
storiche
gloriose
.
La
risurrezione
cominciò
solo
quando
i
lombardi
indussero
il
partito
nelle
vie
elettorali
e
dell
agitazione
pubblica
.
Ora
si
può
anche
,
come
chi
scrive
,
non
essere
infetto
dalla
superstizione
parlamentare
,
non
dividere
per
i
metodi
sinceramente
rivoluzionari
tutto
l
orrore
evoluzionistico
e
scientifico
di
alcuni
compagni
nostri
,
e
tuttavia
scorgere
l
assurdo
della
posizione
entro
cui
si
dibatte
il
neo
-
mazzinianismo
.
Mazzini
almeno
era
logico
.
All
astensionismo
elettorale
egli
univa
la
cospirazione
politica
;
ma
poiché
l
epoca
nostra
è
manifestamente
ripugnante
,
per
necessità
di
cose
,
e
nello
stesso
interesse
dei
fini
rivoluzionari
,
dai
metodi
cospiratori
,
e
la
evidenza
di
questa
osservazione
non
può
non
imporsi
agli
stessi
mazziniani
,
ne
deriva
che
essi
sono
condannati
alla
impotenza
assai
più
facilmente
che
non
i
loro
predecessori
.
Dovendo
rinunziare
all
azione
cospiratoria
e
volendosi
interdire
quella
parlamentare
,
quali
mezzi
d
azione
restano
al
nuovo
partito
?
Non
quelli
della
legale
conquista
della
maggioranza
parlamentare
;
non
quelli
della
settaria
insurrezione
e
di
colpi
di
mano
;
dunque
soltanto
la
mistica
aspettazione
,
accompagnata
dalla
innocua
e
sterile
diffusione
di
principi
astratti
,
avulsi
dal
terreno
della
lotta
quotidiana
.
Che
per
tal
via
essi
possano
esercitare
un
azione
qualunque
sul
Partito
socialista
appare
impossibile
sin
da
principio
.
Noi
siamo
il
partito
dei
lavoratori
ed
abbiamo
la
responsabilità
della
difesa
dei
loro
interessi
quotidiani
.
Poiché
noi
non
pensiamo
attuabile
il
socialismo
,
ovverossia
la
generica
società
dell
eguaglianza
,
uno
ictu
,
ma
anzi
per
opera
di
successive
conquiste
,
sino
all
espropriazione
totale
e
definitiva
della
borghesia
,
ci
è
giuocoforza
ottenere
dai
parlamenti
borghesi
tutto
quel
massimo
di
riforme
di
cui
essi
sono
capaci
.
Anche
senza
essere
profondamente
ammalati
di
infatuamento
parlamentare
,
la
tattica
dei
parlamenti
ci
si
impone
per
necessità
di
cose
.
La
forma
della
setta
non
ci
si
addice
affatto
.
Ecco
perché
i
mazziniani
non
possono
sperare
di
esercitare
una
azione
qualunque
su
di
noi
.
E
allora
torniamo
al
punto
di
partenza
.
Il
neo
-
mazzinianismo
sarà
costretto
ad
esercitarsi
a
spesa
del
Partito
repubblicano
vero
e
proprio
,
di
cui
la
parte
meno
socialmente
definibile
,
e
più
portata
per
temperamento
ai
facili
entusiasmi
del
rivoluzionarismo
verbale
,
cadrà
nella
sfera
d
influenza
del
mazzinianismo
.
L
esistenza
di
due
partiti
repubblicani
quello
anarchico
e
quello
parlamentare
scomunicantisi
in
nome
della
stessa
idea
,
non
contribuirà
ad
accrescere
prestigio
alla
soluzione
repubblicana
.
L
epoca
della
confusione
propagandistica
risorgerà
ancora
una
volta
per
il
Partito
repubblicano
,
e
con
essa
le
conseguenze
dissolventi
di
un
tempo
.
Alberto
Mario
scrisse
una
volta
che
il
Partito
repubblicano
avrà
allora
forma
ed
importanza
veramente
politica
,
quando
la
tradizione
settaria
del
mazzinianismo
sarà
completamente
scomparsa
.
È
probabile
che
il
Mario
,
facile
alle
ire
polemiche
,
esagerasse
;
ma
non
è
negabile
che
,
in
tutto
il
periodo
posteriore
all
unificazione
d
Italia
,
la
tradizione
dei
metodi
mazziniani
non
è
stata
propizia
alle
sorti
del
Partito
repubblicano
.
Il
nuovo
tentativo
già
si
annunzia
gravido
di
dissensioni
.
Ecco
perché
io
penso
che
la
condotta
del
Partito
socialista
debba
essere
deliberatamente
ostile
di
fronte
all
iniziativa
della
Terza
Italia
e
della
federazione
di
Terni
.
Miscellanea ,
16
ottobre
1943
Fino
a
poche
settimane
prima
,
ogni
venerdì
sera
,
all
'
accendersi
della
prima
stella
,
si
spalancavano
tutte
grandi
le
grandi
porte
della
Sinagoga
,
quelle
verso
la
piazza
del
Tempio
.
Perché
le
grandi
porte
,
invece
delle
bussole
laterali
e
un
po
'
recondite
come
tutte
le
altre
sere
?
Perché
invece
degli
sparuti
candelabri
a
sette
bracci
,
quello
sfavillare
di
tutte
quante
le
luci
,
che
traeva
fiamme
dagli
ori
,
splendore
dagli
stucchi
-
-
gli
stemmi
di
Davide
,
i
nodi
di
Salomone
,
le
Trombe
del
Giubileo
-
-
e
sontuosi
bagliori
dal
broccato
della
cortina
appesa
davanti
all
'
Arca
Santa
,
all
'
Arca
del
Patto
col
Signore
?
Perché
ogni
venerdì
,
all
'
accendersi
della
prima
stella
,
si
celebrava
il
ritorno
del
Sabbato
.
Non
la
macilenta
salmodia
del
cantore
sperduto
sul
lontano
altare
;
ma
dall
'
alto
della
cantoria
,
nella
romba
osannante
dell
'
organo
,
il
coro
dei
fanciulli
gloriava
un
cantico
di
sacra
tenerezza
,
l
'
inno
dell
'
antico
cabbalista
,
«
Lehà
Dodì
Lichrà
Calà
»
:
Vieni
,
o
amico
,
vieni
incontro
al
Sabbato
...
Era
il
mistico
invito
ad
accogliere
il
Sabbato
che
giunge
,
che
giunge
come
una
sposa
.
Giungeva
invece
nell
'
ex
Ghetto
di
Roma
,
la
sera
di
quel
venerdì
15
ottobre
,
una
donna
vestita
di
nero
,
scarmigliata
,
sciatta
,
fradicia
di
pioggia
.
Non
può
esprimersi
,
l
'
agitazione
le
ingorga
le
parole
,
le
fa
una
bava
sulla
bocca
.
È
venuta
da
Trastevere
di
corsa
.
Poco
fa
,
da
una
signora
presso
la
quale
va
a
mezzo
servizio
,
ha
veduto
la
moglie
di
un
carabiniere
,
e
questa
le
ha
detto
che
il
marito
,
il
carabiniere
,
ha
veduto
un
tedesco
,
e
questo
tedesco
aveva
in
mano
una
lista
di
200
capi
famiglia
ebrei
,
da
portar
via
con
tutte
le
famiglie
.
Gli
ebrei
di
rione
Regola
hanno
conservato
l
'
abitudine
di
coricarsi
per
tempo
.
Poco
dopo
scesa
la
sera
,
sono
già
tutti
in
casa
.
Forse
la
memoria
di
un
antico
coprifuoco
è
rimasta
nel
loro
sangue
;
di
quando
,
al
cadere
delle
tenebre
,
i
cancelli
del
Ghetto
stridevano
con
una
inveterata
monotonia
che
forse
l
'
abitudine
aveva
resa
familiare
e
dolce
,
a
rammentare
che
la
notte
non
era
per
gli
ebrei
,
che
per
loro
la
notte
era
pericolo
di
essere
presi
,
multati
,
imprigionati
,
battuti
.
Così
questi
ebrei
,
accusati
di
tramare
nell
'
ombra
contro
l
'
ordine
e
la
sicurezza
del
mondo
,
sono
invece
da
tempo
delle
creature
diurne
.
Di
primo
mattino
,
non
appena
un
barlume
di
giorno
,
viscido
e
grigio
come
le
loro
case
,
comincia
a
far
leva
sui
cornicioni
,
come
un
apriscatole
,
per
incidersi
uno
spiraglio
sui
vicoli
sottostanti
,
già
li
trovi
tutti
per
via
,
questi
ebrei
,
e
berciano
,
e
si
chiamano
a
gran
voce
per
nome
,
e
combinano
,
e
litigano
,
e
discutono
,
e
intavolano
trattative
e
negozi
,
e
si
danno
un
gran
da
fare
,
quantunque
quei
loro
discorsi
e
mercati
non
abbiano
nulla
di
urgente
.
Ma
questi
ebrei
amano
la
vita
:
quella
vita
da
cui
la
notte
li
ha
esclusi
,
sentono
il
bisogno
che
irrompa
in
loro
.
Anche
quella
sera
le
famiglie
erano
già
tutte
raccolte
nelle
case
.
Qualche
madre
accendeva
la
lampada
sabbatica
-
-
non
quella
bella
,
ch
'
era
stata
nascosta
ai
primi
furti
tedeschi
-
-
mentre
i
vecchi
con
la
teffilà
sui
ginocchi
recitavano
le
benedizioni
,
e
passavano
dal
borbottio
della
preghiera
all
'
invettiva
iraconda
e
chioccia
contro
i
nipotini
disturbatori
.
Così
la
donna
scarmigliata
non
ebbe
difficoltà
a
radunare
un
gran
numero
di
ebrei
per
avvertirli
del
pericolo
.
Ma
nessuno
volle
crederci
,
tutti
ne
risero
.
Sebbene
abiti
in
Trastevere
,
la
Celeste
ha
parenti
nel
Ghetto
ed
è
ben
nota
all
'
intera
cheilà
.
Tutti
sanno
che
è
una
chiacchierona
,
un
'
esaltata
,
una
fanatica
:
basta
vedere
come
gesticola
quando
parla
,
con
gli
occhi
spiritati
sotto
quei
capelli
di
crine
vegetale
.
E
poi
si
sa
che
in
famiglia
sua
sono
tutti
un
po
'
tocchi
;
chi
non
conosce
il
suo
figlio
grande
,
quello
di
24
anni
,
magro
,
peloso
,
nero
e
strambo
,
con
una
aria
da
haham
mancato
,
e
si
dice
perfino
che
abbia
il
mal
caduco
?
Come
si
fa
a
dare
ascolto
alla
Celeste
?
«
Credetemi
!
scappate
,
vi
dico
!
»
supplicava
la
donna
.
«
Vi
giuro
che
è
la
verità
!
sulla
testa
dei
miei
figli
!
»
La
verità
?
Chi
sa
che
cosa
le
avranno
detto
,
chi
sa
che
cosa
avrà
capito
.
Quelle
risate
,
quell
'
incredulità
la
esasperano
.
Comincia
a
dare
in
escandescenze
e
in
male
parole
,
come
se
la
minaccia
,
invece
che
i
tedeschi
,
fosse
stata
lei
a
farla
,
e
ora
si
offenda
di
non
vederla
presa
sul
serio
.
Se
sapesse
cosa
inventare
,
aggraverebbe
la
dose
per
vendicarsi
,
per
riuscire
finalmente
a
far
paura
.
Grida
,
scongiura
,
si
fa
venire
le
lacrime
agli
occhi
,
mette
le
mani
sul
capo
dei
bambini
,
come
per
proteggerli
lei
.
«
Ve
ne
pentirete
!
Se
fossi
una
signora
mi
credereste
.
Ma
perché
non
ho
una
lira
,
perché
porto
questi
stracci
...
»
e
nel
mostrarli
rabbiosamente
,
li
straccia
ancora
di
più
.
Ormai
tredici
mesi
sono
passati
,
e
molti
dei
testimoni
di
quella
sera
sono
disposti
a
riconoscere
che
forse
,
se
la
Celeste
fosse
stata
una
signora
e
non
la
poveraccia
che
è
...
Però
quella
sera
risalirono
alle
loro
case
,
si
rimisero
a
sedere
intorno
alla
tavola
,
a
cenare
,
commentando
quella
storia
senza
sugo
.
Era
chiaro
che
cosa
fosse
passato
per
la
testa
della
pazza
:
una
ventina
di
giorni
prima
,
il
Maggiore
Kappler
aveva
minacciato
al
presidente
della
Comunità
,
comm
.
Foà
,
e
a
quello
dell
'
Unione
,
dott
.
Almansi
,
di
prelevare
200
ostaggi
ebrei
.
Le
cifre
corrispondevano
,
e
di
lì
l
'
equivoco
:
la
povera
gente
sa
sempre
le
cose
in
ritardo
e
di
traverso
,
ma
quel
poco
che
arrivano
a
sapere
credono
sempre
che
sia
oro
colato
.
Ormai
la
minaccia
dei
200
ostaggi
era
scongiurata
.
I
tedeschi
saranno
dei
rascianìm
,
ma
sono
gente
d
'
onore
.
Contrariamente
all
'
opinione
diffusa
,
gli
ebrei
non
sono
diffidenti
.
Per
meglio
dire
:
sono
diffidenti
,
allo
stesso
modo
che
sono
astuti
,
nelle
cose
piccole
,
ma
creduli
e
disastrosamente
ingenui
in
quelle
grandi
.
Verso
i
tedeschi
furono
,
e
si
mostrarono
,
ingenui
quasi
con
ostentazione
.
I
motivi
che
se
ne
possono
dare
sono
parecchi
.
Persuasi
da
secolari
esperienze
che
il
loro
destino
sia
di
essere
trattati
come
cani
,
gli
ebrei
hanno
un
disperato
bisogno
di
simpatia
umana
:
e
per
accattarla
,
la
offrono
.
Fidarsi
della
gente
,
abbandonarvisi
,
credere
alle
loro
promesse
,
è
appunto
una
prova
di
simpatia
.
Si
comportarono
così
anche
coi
tedeschi
?
Sì
,
purtroppo
.
Coi
tedeschi
poi
giocava
anche
il
classico
atteggiamento
degli
ebrei
di
fronte
all
'
Autorità
.
Fin
da
prima
della
caduta
di
Gerusalemme
,
l
'
Autorità
ha
esercitato
sugli
ebrei
un
potere
di
vita
e
di
morte
assoluto
,
arbitrario
,
imperscrutabile
.
Questo
ha
fatto
sì
che
nelle
loro
teste
e
nel
loro
stesso
inconscio
,
l
'
Autorità
si
configurasse
come
un
nume
onnipotente
,
esclusivo
e
geloso
.
Diffidarne
,
quando
essa
promette
,
sia
per
male
che
per
bene
,
è
cadere
in
un
peccato
,
che
presto
o
tardi
si
sconterà
,
se
anche
questo
peccato
non
si
manifesti
e
rimanga
soltanto
un
'
intenzione
o
una
mormorazione
.
E
finalmente
:
l
'
idea
madre
del
giudaismo
è
quella
di
giustizia
.
Portare
questa
idea
nella
civiltà
di
Occidente
è
stata
la
missione
degli
ebrei
.
Renan
se
ne
fa
addirittura
il
tema
fondamentale
per
interpretare
tutta
la
storia
d
'
Israele
,
fino
ai
grandi
annunzi
escatologici
,
fino
all
'
attesa
messianica
,
fino
alla
promessa
di
quel
Giorno
del
Signore
che
,
domani
o
chi
sa
quando
,
accenderà
la
sua
alba
sul
vertice
dei
millenni
per
ricondurre
appunto
il
regno
della
giustizia
su
questa
terra
.
Per
tutti
questi
motivi
gli
ebrei
di
Roma
si
fidarono
,
in
certo
qual
modo
,
dei
tedeschi
,
anche
-
-
e
,
diremmo
,
soprattutto
-
-
dopo
quanto
era
successo
il
26
settembre
.
Si
sentivano
come
vaccinati
contro
ogni
ulteriore
persecuzione
.
Sarebbe
stata
un
'
ingiustizia
,
e
per
temperamento
non
vi
potevano
credere
.
Mostrar
di
temere
sarebbe
stato
un
polemizzare
contro
i
tedeschi
,
manifestargli
dell
'
antipatia
.
E
infine
sarebbe
stato
un
peccare
contro
l
'
Autorità
.
Perciò
,
quella
sera
,
gli
ebrei
risero
al
messaggio
della
pazza
Celeste
.
(
Chiediamo
scusa
di
questa
digressione
,
ed
eventualmente
delle
altre
in
cui
incorreremo
;
ma
per
intendere
l
'
intera
atrocità
del
dramma
che
cercheremo
di
ricostruire
,
è
opportuno
conoscere
un
po
'
meglio
i
personaggi
.
)
Effettivamente
,
la
sera
del
26
settembre
1943
,
il
presidente
della
Comunità
Israelitica
di
Roma
e
quello
dell
'
Unione
delle
Comunità
Italiane
-
-
tramite
il
dott
.
Cappa
,
funzionario
della
Questura
-
-
erano
stati
convocati
per
le
ore
18
all
'
Ambasciata
Germanica
.
Li
ricevette
,
paurosamente
cortese
e
«
distinto
»
,
il
Maggiore
delle
SS
.
Herbert
Kappler
,
che
li
fece
accomodare
e
per
qualche
momento
parlò
del
più
e
del
meno
,
in
tono
di
ordinaria
conversazione
.
Poi
entrò
nel
merito
:
gli
ebrei
di
Roma
erano
doppiamente
colpevoli
,
come
italiani
(
ma
meno
di
due
mesi
dopo
,
un
decreto
germano
fascista
,
auspici
Rahn
,
Mussolini
e
Pavolini
,
doveva
disconoscere
agli
ebrei
d
'
Italia
la
cittadinanza
italiana
;
e
allora
Maggiore
Kappler
?
)
,
come
italiani
per
il
tradimento
contro
la
Germania
,
e
come
ebrei
perché
appartenenti
alla
razza
degli
eterni
nemici
della
Germania
.
Perciò
il
governo
del
Reich
imponeva
loro
una
taglia
di
50
chilogrammi
d
'
oro
,
da
versarsi
entro
le
ore
11
del
successivo
martedì
28
.
In
caso
di
inadempienza
,
razzia
e
deportazione
in
Germania
di
200
ebrei
.
Praticamente
:
poco
più
di
un
giorno
e
mezzo
per
trovare
50
chili
d
'
oro
.
Alle
difficoltà
che
i
due
rappresentanti
ebrei
cercarono
di
opporgli
,
il
Maggiore
ribatté
che
,
a
titolo
di
agevolazione
,
avrebbe
fornito
lui
gli
automezzi
e
gli
uomini
per
la
ricerca
dell
'
oro
.
I
due
Herren
non
accettavano
?
Sta
bene
,
come
non
detto
.
Ma
,
in
via
sempre
di
largheggiare
,
prorogava
di
un
'
ora
il
termine
di
consegna
.
Gli
fu
domandato
quale
fosse
la
valutazione
dell
'
oro
in
lire
.
Il
Kappler
capì
subito
l
'
antifona
:
di
lire
italiane
-
-
rispose
-
-
il
Grande
Reich
non
ne
aveva
bisogno
e
comunque
-
-
sorrise
quando
gliene
occorressero
,
poteva
sempre
stamparle
.
Poi
credette
opportuno
di
completare
la
propria
presentazione
,
illustrando
che
con
lui
non
era
il
caso
di
recalcitrare
,
se
no
si
sarebbe
incaricato
personalmente
della
razzia
e
a
lui
,
in
parecchie
altre
circostanze
similari
,
questo
genere
di
operazioni
era
sempre
riuscito
benissimo
.
Col
che
gli
argomenti
parvero
esauriti
,
e
la
seduta
fu
tolta
.
La
Questura
italiana
,
subito
informata
dell
'
imposizione
,
non
rispose
.
Si
riscrisse
,
si
andò
,
si
telefonò
:
il
silenzio
,
per
una
crudele
allusione
,
era
più
che
mai
d
'
oro
.
Allora
nella
serata
stessa
e
nella
successiva
mattina
si
radunarono
i
maggiorenti
della
Comunità
insieme
con
le
persone
ritenute
più
esperte
di
affari
e
facoltose
.
Ci
si
desolò
,
si
discusse
,
si
dichiarò
che
la
cosa
non
era
fattibile
.
Ma
i
più
energici
prevalsero
,
sicché
per
tempo
fu
dato
inizio
alla
raccolta
dell
'
oro
.
La
voce
era
già
corsa
tra
gli
ebrei
;
tuttavia
sulle
prime
le
offerte
giungevano
lentamente
,
con
una
specie
di
perplessità
.
Fu
in
quelle
ore
che
il
Vaticano
fece
ufficiosamente
sapere
che
teneva
a
disposizione
degli
ebrei
15
chilogrammi
d
'
oro
per
sopperire
agli
eventuali
ammanchi
.
Frattanto
però
le
cose
avevano
cominciato
a
mettersi
meglio
.
Ormai
tutta
Roma
aveva
saputo
del
sopruso
tedesco
,
e
se
ne
era
commossa
.
Guardinghi
,
come
temendo
un
rifiuto
,
come
intimiditi
di
venire
a
offrir
dell
'
oro
ai
ricchi
ebrei
,
alcuni
«
ariani
»
si
presentarono
.
Entravano
impacciati
in
quel
locale
adiacente
alla
Sinagoga
,
non
sapendo
se
dovessero
togliersi
il
cappello
o
tenere
il
capo
coperto
,
come
notoriamente
vuole
l
'
uso
rituale
degli
ebrei
.
Quasi
umilmente
domandavano
se
potevano
anche
loro
...
se
sarebbe
stato
gradito
...
Purtroppo
non
lasciarono
i
nomi
,
che
si
vorrebbero
ricordare
per
i
momenti
di
sfiducia
nei
propri
simili
.
Torna
a
mente
,
e
par
bella
,
una
parola
ripetuta
anche
da
George
Eliot
:
«
il
latte
dell
'
umana
bontà
»
.
Il
centro
di
raccolta
era
stato
stabilito
in
un
ufficio
della
Comunità
.
La
Questura
,
che
da
quest
'
orecchio
tornava
finalmente
a
sentirci
,
aveva
disposto
un
servizio
d
'
ordine
e
di
vigilanza
.
L
'
affluenza
,
infatti
,
era
cominciata
a
diventare
notevole
.
Al
tavolo
sedeva
una
persona
di
fiducia
della
Comunità
;
accanto
a
lui
un
orafo
saggiava
le
offerte
e
un
altro
le
pesava
.
Subito
era
stato
fatto
circolare
l
'
avviso
che
non
erano
ammessi
i
contributi
in
denaro
.
Questo
avrebbe
impigrito
l
'
afflusso
del
metallo
:
gli
oggetti
d
'
oro
rappresentano
spesso
dei
cari
ricordi
,
che
tendono
a
diventare
più
ricordi
e
più
cari
nel
momento
di
separarsene
;
inoltre
l
'
oro
,
in
tempi
di
guerra
e
di
calamità
,
suole
considerarsi
la
migliore
e
più
portatile
risorsa
per
i
frangenti
estremi
.
Denaro
invece
ne
sarebbe
venuto
parecchio
,
e
rapidamente
;
ma
avrebbe
creato
il
problema
,
nonché
il
rischio
,
di
trovare
tutto
quell
'
oro
sul
mercato
clandestino
.
Peraltro
il
metallo
già
cominciava
a
far
mucchio
,
molte
persone
si
erano
presentate
a
offrire
dell
'
oro
in
vendita
,
quindi
si
cominciò
ad
accettare
anche
il
contante
e
a
fare
degli
acquisti
,
sulla
base
di
prezzi
assai
oscillanti
.
Di
grande
aiuto
in
questa
incetta
fu
la
giornalaia
di
Ponte
Garibaldi
.
Il
martedì
mattina
,
prima
delle
11
,
il
quantitativo
era
stato
raggiunto
,
con
anzi
un
residuo
di
oltre
due
milioni
liquidi
,
che
furono
accantonati
nella
cassaforte
della
Comunità
.
La
sala
di
raccolta
venne
chiusa
a
chiave
:
davanti
la
porta
,
con
gli
agenti
di
P.S.
,
si
sedettero
gli
orafi
e
alcuni
rappresentanti
della
Comunità
.
Qualche
tedesco
melomane
colturale
e
spiritoso
avrebbe
forse
scherzato
su
questi
Fafner
a
guardia
del
tesoro
.
Invece
quella
brava
gente
,
siccome
le
mogli
avevano
portato
loro
da
mangiare
,
lungi
dal
vomitare
fiamme
,
si
misero
a
far
colazione
in
pace
.
Avevano
la
coscienza
a
posto
.
C
'
erano
stati
i
momenti
di
angoscia
,
le
consultazioni
febbrili
dell
'
orologio
;
ma
tutto
sommato
si
era
fatto
un
buon
lavoro
.
Fu
telefonato
all
'
Ambasciata
Germanica
,
per
ottenere
una
dilazione
di
qualche
ora
.
Era
una
cautela
ad
evitare
che
,
visto
il
pronto
successo
,
si
aumentassero
le
pretese
.
Santa
ingenuità
degli
astuti
:
come
se
i
tedeschi
non
avessero
avuto
spie
.
Comunque
,
si
ottenne
che
la
scadenza
fosse
protratta
fino
alle
18
:
ora
in
cui
tre
automobili
,
dal
Lungotevere
Sanzio
,
si
avviarono
con
l
'
oro
,
i
due
presidenti
,
i
due
orafi
e
una
scorta
di
agenti
,
sempre
guidati
dal
dott
.
Cappa
,
alla
volta
di
Villa
Wolkonski
.
Non
che
abbassarsi
alla
formalità
di
ricevere
,
di
«
incassare
»
quell
'
oro
,
il
Kappler
non
degnò
neppure
mostrarsi
.
Fece
dire
in
anticamera
,
da
una
segretaria
,
che
la
taglia
doveva
essere
versata
in
via
Tasso
.
Forse
è
questa
la
prima
apparizione
di
via
Tasso
nella
cronaca
gialla
e
nera
dell
'
occupazione
tedesca
.
Il
convoglio
riparte
da
Villa
Wolkonski
,
svolta
l
'
angolo
,
giunge
alla
via
malfamata
.
In
via
Tasso
gli
ebrei
si
trovarono
di
fronte
a
un
certo
Capitano
Schultz
,
certo
più
crudele
che
lo
Schultz
della
nostra
vecchia
grammatica
latina
.
Costui
era
assistito
da
un
orafo
e
da
un
pesatore
tedeschi
.
L
'
oro
era
stato
sistemato
in
dieci
di
quei
raccoglitori
di
cartone
,
a
foggia
di
grosse
scatole
,
che
negli
uffici
si
adoperano
per
conservare
la
corrispondenza
.
Dieci
erano
,
ripetiamo
,
e
ciascuno
conteneva
cinque
chilogrammi
di
metallo
.
Pesare
e
controllare
doveva
essere
la
cosa
più
spedita
del
mondo
.
Ma
le
20
erano
trascorse
da
un
pezzo
,
e
né
i
presidenti
né
gli
orafi
avevano
ancora
fatto
ritorno
alle
loro
abitazioni
.
Il
tic
tac
degli
orologi
,
nel
silenzio
di
quelle
case
,
era
come
il
tarlo
dell
'
angoscia
,
scandiva
per
i
familiari
il
passo
delle
congetture
di
minuto
in
minuto
più
moleste
.
Un
trillo
assurdo
del
telefono
:
ma
non
erano
loro
,
erano
gli
amici
,
quelli
che
più
si
erano
adoperati
per
la
ricerca
dell
'
oro
,
e
adesso
si
ritiravano
dall
'
apparecchio
con
parole
che
volevano
essere
di
fiducia
,
e
invece
erano
già
di
compianto
.
Finalmente
i
quattro
uomini
rientrarono
.
Era
in
loro
quel
misto
di
sollievo
e
di
collasso
,
che
subentra
in
tutta
la
persona
al
termine
di
una
grandissima
fatica
.
Il
senso
,
un
po
'
,
di
chi
torna
dall
'
avere
accompagnato
al
cimitero
una
persona
cara
,
per
un
cammino
lungo
e
una
giornata
inclemente
,
quando
si
è
già
estenuati
da
notti
di
veglia
e
di
affanno
.
Ristorarsi
,
buttarsi
in
letto
,
tentare
di
non
pensarci
più
.
Che
cosa
era
successo
?
Loro
stessi
non
riuscivano
a
spiegarselo
bene
.
Fatto
un
primo
controllo
,
i
germanici
,
su
un
tono
che
non
ammetteva
repliche
,
avevano
eccepito
che
le
scatole
erano
soltanto
nove
.
Come
non
immaginarselo
che
gli
ebrei
avrebbero
tentato
di
frodare
il
Reich
?
Per
ritemprare
la
spada
di
Brenno
,
il
ferro
non
manca
mai
.
Discussioni
lunghe
,
cavillose
,
drammatiche
:
il
Capitano
Schultz
ricusava
ogni
riscontro
.
Sin
che
poi
,
alla
fine
,
rifatti
quasi
di
prepotenza
i
conti
e
le
pesate
,
le
scatole
erano
risultate
innegabilmente
dieci
,
il
quantitativo
ineccepibile
,
anzi
eccedeva
di
parecchi
grammi
.
Senonché
il
Capitano
Schultz
si
era
rifiutato
di
rilasciarne
ricevuta
.
Perché
?
Si
pensò
che
i
tedeschi
non
volessero
lasciare
documenti
del
sopruso
.
Ma
i
tedeschi
hanno
lasciato
e
lasciano
ben
altri
documenti
:
nelle
fosse
,
nei
carnai
,
nelle
opere
fatte
saltare
con
le
mine
,
nei
saccheggi
;
a
ogni
loro
passo
ne
hanno
lasciati
e
ne
lasciano
,
e
tali
che
rimangono
incisi
,
e
per
decenni
rimarranno
,
sulla
crosta
dell
'
Europa
.
O
forse
nessuno
osava
mettere
personalmente
la
firma
sotto
un
simile
documento
?
Gli
accordi
di
Mosca
sulle
responsabilità
e
la
punizione
dei
delitti
di
guerra
non
dovevano
essere
stipulati
che
parecchie
settimane
appresso
:
ma
nella
coscienza
dei
criminali
c
'
è
sempre
il
senso
di
una
fatalità
del
castigo
.
Più
verosimilmente
la
spiegazione
del
rifiuto
va
cercata
nei
fatti
che
seguirono
,
ammesso
che
per
i
tedeschi
,
inventori
della
teoria
della
«
carta
straccia
»
,
possa
una
qualunque
ricevuta
o
scrittura
costituire
vincolo
o
impegno
.
Sapeva
già
il
Capitano
Schultz
quello
che
si
preparava
per
l
'
indomani
?
Indubbiamente
lo
sapeva
il
Maggiore
Kappler
delle
SS
.
,
perché
furono
reparti
delle
SS
.
quelli
che
la
mattina
dopo
,
29
settembre
,
si
presentarono
alla
Comunità
e
asportarono
archivi
,
documenti
,
registri
,
tutto
quanto
trovarono
,
compresi
naturalmente
i
2
milioni
liquidi
avanzati
dalla
raccolta
dell
'
oro
.
A
parte
questo
,
la
visita
non
fu
molto
fruttuosa
:
gli
arredi
del
Tempio
e
gli
oggetti
di
pregio
erano
già
stati
messi
in
salvo
.
Che
fu
,
crediamo
,
una
delle
pochissime
precauzioni
prese
dagli
ebrei
.
Una
strana
figura
,
sulla
quale
si
vorrebbero
avere
più
ampi
ragguagli
,
appare
l'11
ottobre
nei
locali
della
Comunità
.
Accompagnato
anche
lui
da
una
scorta
di
SS
.
,
al
vederlo
si
direbbe
un
ufficiale
tedesco
come
tutti
gli
altri
,
con
quel
più
di
arroganza
che
gli
dà
l
'
appartenere
a
una
«
specialità
»
privilegiata
e
tristemente
famosa
.
Tutto
divisa
,
anche
lui
,
dalla
testa
ai
piedi
:
quella
divisa
attillata
,
di
un
'
eleganza
schizzinosa
,
astratta
e
implacabile
,
che
inguaina
la
persona
,
il
fisico
ma
anche
e
soprattutto
il
morale
,
con
un
ermetismo
da
chiusura
lampo
.
È
la
parola
verboten
tradotta
in
uniforme
:
proibito
l
'
accesso
all
'
individuale
passato
che
vive
in
lui
,
che
è
la
sua
storia
e
la
sua
più
vera
«
specialità
»
di
creatura
di
questo
mondo
;
proibito
vedere
altro
che
questo
suo
«
presente
»
rigoroso
,
automatico
,
intransigentemente
reciso
.
Mentre
i
suoi
uomini
cominciano
a
buttare
all
'
aria
la
biblioteca
del
Collegio
Rabbinico
e
quella
della
Comunità
,
l
'
ufficiale
con
mani
caute
e
meticolose
,
da
ricamatrice
di
fino
,
palpa
,
sfiora
,
carezza
papiri
e
incunaboli
,
sfoglia
manoscritti
e
rare
edizioni
,
scartabella
codici
membranacei
e
palinsesti
.
La
varia
attenzione
del
tocco
,
la
diversa
cautela
del
gesto
sono
subito
proporzionate
al
pregio
del
volume
.
Quelle
opere
,
per
la
maggior
parte
,
sono
scritte
in
remoti
alfabeti
.
Ma
ad
apertura
di
pagina
,
l
'
occhio
dell
'
ufficiale
si
fissa
e
si
illumina
,
come
succede
a
certi
lettori
particolarmente
assistiti
,
che
subito
sanno
trovare
il
punto
sperato
,
lo
squarcio
rivelatore
.
Tra
quelle
mani
signorili
,
come
sottoposti
a
una
tortura
acuta
e
incruenta
,
di
un
sottilissimo
sadismo
,
i
libri
hanno
parlato
.
Più
tardi
si
seppe
che
l
'
ufficiale
delle
SS
.
era
un
egregio
cultore
di
paleografia
e
filologia
semitica
.
La
biblioteca
del
Collegio
Rabbinico
di
Roma
,
e
più
ancora
quella
della
Comunità
,
contenevano
insigni
raccolte
ed
esemplari
di
eccezione
,
alcuni
dei
quali
unici
.
Una
completa
esplorazione
e
un
catalogo
non
erano
ancora
stati
fatti
:
forse
avrebbero
rivelato
altri
tesori
.
Per
quel
che
ci
consta
,
vi
erano
custoditi
documenti
copiosissimi
e
cronache
,
manoscritte
e
a
stampa
,
della
diaspora
nel
bacino
mediterraneo
,
oltre
tutte
le
fonti
autentiche
di
tutta
la
storia
,
dalle
origini
,
degli
ebrei
di
Roma
,
i
più
vicini
e
diretti
discendenti
dell
'
antico
giudaismo
.
Profili
ancora
ignoti
,
da
intentate
prospettive
,
della
Roma
dei
Cesari
,
degli
Imperatori
e
dei
Papi
si
nascondevano
sotto
quelle
scritture
.
E
generazioni
che
parevano
passate
su
questa
terra
veramente
come
la
schiatta
delle
foglie
,
attendevano
dal
fondo
di
quelle
carte
che
qualcuno
le
facesse
parlare
.
Un
colpo
secco
della
chiusura
lampo
,
e
la
divisa
ha
rinserrato
il
semitologo
,
che
è
ridivenuto
un
ufficiale
delle
SS
.
Ordina
:
se
qualcuno
tocca
,
o
nasconde
,
o
asporta
uno
solo
di
questi
libri
,
sarà
passato
per
le
armi
,
secondo
la
legge
di
guerra
tedesca
.
Se
ne
va
.
I
suoi
tacchi
scandiscono
gli
scalini
.
Poco
dopo
,
sulla
linea
tranviaria
della
Circolare
Nera
,
giungono
tre
carrozzoni
merci
.
Le
SS
.
vi
caricano
le
due
biblioteche
.
I
carrozzoni
ripartono
.
Libri
,
manoscritti
,
codici
e
pergamene
hanno
preso
la
strada
di
Monaco
di
Baviera
.
Chi
sa
se
saranno
gli
stessi
carrozzoni
a
cui
toccherà
,
tra
breve
,
di
portare
in
Germania
altro
,
e
ben
altrimenti
vivo
,
carico
.
Il
tempo
per
l
'
andata
e
ritorno
c
'
è
stato
:
cinque
giorni
.
E
ancora
,
per
l
'
ultima
volta
,
come
se
ancora
questo
interrogativo
potesse
dare
l
'
allarme
a
chi
tocca
,
ci
domandiamo
:
ma
se
le
angherie
duravano
così
,
perché
non
pensare
a
salvarsi
?
Ebbene
,
il
furto
dei
libri
non
era
un
'
angheria
per
la
gente
del
Ghetto
,
che
di
libri
non
si
intendeva
.
E
viceversa
erano
proprio
loro
,
quelli
di
«
piazza
Giudìa
»
,
che
più
avrebbero
dovuto
avvertire
la
minaccia
,
perché
loro
erano
destinati
a
fornire
il
più
vasto
bottino
di
vittime
.
Ma
avrebbero
poi
dato
retta
a
quell
'
allarme
?
Erano
pigri
,
attaccati
ai
loro
luoghi
.
L
'
ebreo
errante
ormai
si
sente
stanco
,
ha
troppo
camminato
,
non
ce
la
fa
più
.
La
fatica
di
tanti
esilii
e
fughe
e
deportazioni
,
di
quelle
tante
strade
percorse
dagli
avi
per
secoli
e
secoli
,
ha
finito
con
l
'
intossicare
i
muscoli
dei
figli
;
le
loro
gambe
si
rifiutano
di
trascinare
ancora
i
piedi
piatti
.
E
poi
c
'
era
,
c
'
è
stata
certamente
,
una
quinta
colonna
,
che
lavorava
a
«
spargere
fiducia
»
.
Per
esempio
,
il
9
ottobre
parecchi
ebrei
erano
stati
arrestati
.
Molti
si
sgomentarono
,
poteva
essere
l
'
inizio
di
una
persecuzione
contro
le
persone
.
Subito
,
di
rimando
,
fu
fatta
circolare
la
notizia
rassicurante
(
ed
elementi
responsabili
della
Comunità
,
senza
dubbio
a
fin
di
bene
,
contribuirono
a
diffonderla
)
:
quegli
arresti
costituivano
casi
eccezionali
e
qualificati
,
si
trattava
di
persone
già
tutte
segnalate
per
attività
antifascista
.
L
'
attività
era
stata
colpita
in
loro
,
non
la
razza
.
I
tedeschi
continuavano
a
mostrarsi
discreti
,
quasi
umani
.
Con
la
loro
forza
così
schiacciante
,
con
la
loro
autorità
così
assoluta
,
avrebbero
potuto
fare
assai
di
peggio
.
E
viceversa
...
No
,
non
c
'
erano
speciali
motivi
di
diffidare
,
di
prendere
le
cose
al
tragico
.
E
gli
ebrei
dormivano
nei
loro
letti
verso
la
mezzanotte
del
venerdì
15
ottobre
,
allorché
dalle
strade
cominciarono
a
udirsi
schioppettate
e
detonazioni
.
Dal
25
luglio
,
quando
Badoglio
aveva
messo
il
coprifuoco
,
e
più
ancora
dall'8
settembre
,
quasi
ogni
notte
si
sentivano
spari
per
le
vie
e
si
diceva
ch
'
erano
contro
la
gente
che
circolava
oltre
l
'
ora
senza
permesso
.
Ma
quegli
spari
abituali
rimanevano
isolati
,
come
i
rintocchi
dell
'
ora
,
e
di
rado
giungevano
così
vicini
,
e
mai
così
insistenti
.
Questi
invece
si
intensificano
,
si
stringono
,
si
sovrappongono
,
diventano
una
vera
sparatoria
.
E
fossero
solo
spari
,
ma
qualche
cosa
di
più
sinistro
vi
si
mescola
:
colpi
che
partono
secchi
,
per
propagarsi
poi
quasi
ondulati
e
fare
dentro
il
buio
un
cratere
cupo
e
svasato
.
Barúch
dajàn
emèd
,
sembra
di
stare
in
mezzo
a
una
battaglia
.
Qualcuno
si
alza
a
sedere
sul
letto
.
Ma
dell
'
avviso
portato
sul
far
della
sera
dalla
pazza
di
Trastevere
,
nessuno
si
ricorda
più
.
I
coraggiosi
si
avvicinano
alle
finestre
.
Pallottole
e
schegge
sibilano
e
guaiscono
a
pochi
centimetri
dalle
persiane
,
si
piantano
nei
vecchi
intonachi
delle
facciate
.
Attraverso
le
persiane
chiuse
,
si
vedono
nella
via
,
sotto
la
pioggia
fine
e
viscida
,
tra
i
bagliori
della
fucileria
e
gli
sprazzi
dei
petardi
,
drappelli
di
soldati
che
sparano
in
aria
e
lanciano
bombe
a
mano
verso
i
marciapiedi
.
Dagli
elmetti
,
si
direbbe
che
sono
tedeschi
;
ma
l
'
occhiata
è
stata
rapida
,
non
è
prudente
rimanere
presso
la
finestra
.
Ora
i
jorbetìm
si
sono
messi
anche
a
urlare
e
schiamazzare
:
voci
e
grida
squarciate
,
colleriche
,
sarcastiche
,
incomprensibili
.
Che
vogliono
?
con
chi
ce
l
'
hanno
?
dove
vanno
?
Nelle
case
ormai
tutti
sono
in
piedi
.
I
vicini
si
riuniscono
per
farsi
coraggio
,
e
viceversa
non
riescono
che
a
farsi
paura
a
vicenda
.
I
bambini
strillano
.
Che
si
può
dire
ai
bambini
per
azzittarli
,
quando
non
si
sa
che
dire
a
se
stessi
?
Stai
buono
,
ora
vanno
a
Monte
Savello
,
vanno
a
Piazza
Cairoli
,
tra
poco
tutto
finisce
,
vedrai
.
Ma
non
finisce
affatto
.
Quelli
,
pare
che
si
allontanino
,
e
poi
rieccoli
,
e
intanto
la
sparatoria
non
è
mai
cessata
.
Facessero
qualche
cosa
,
sfondassero
una
porta
,
una
saracinesca
,
una
bottega
,
almeno
si
capirebbe
il
perché
.
Ma
no
,
sparano
,
urlano
,
nient
'
altro
.
È
come
il
mal
di
denti
,
che
non
si
sa
quanto
può
durare
,
quanto
può
peggiorare
.
Questo
non
capire
è
il
peggiore
degli
incubi
.
Una
donna
che
si
è
sgravata
da
poche
ore
non
resiste
più
all
'
ossessione
,
si
butta
giù
dal
letto
,
afferra
il
neonato
,
corre
nel
tinello
di
una
vicina
,
ma
lì
si
sviene
.
Le
donne
la
soccorrono
:
il
cognac
,
la
borsa
calda
,
questa
almeno
è
la
vita
di
tutti
i
giorni
,
sono
i
mali
di
cui
si
sa
il
rimedio
.
Ma
quelli
giù
sparano
sempre
e
urlano
da
due
ore
,
da
tre
ore
,
da
più
di
tre
ore
.
Ogni
anno
,
alla
mensa
pasquale
-
-
chi
ha
fame
venga
e
mangi
-
-
si
ripone
una
mezza
azzima
.
Una
credenza
tramandata
da
chi
sa
che
antico
tempo
,
forse
da
quando
gli
ebrei
facevano
ancora
gli
agricoltori
,
vuole
che
un
boccone
di
quell
'
azzima
,
buttato
dalla
finestra
,
acqueti
gli
uragani
,
le
tempeste
,
le
grandinate
,
che
distruggono
il
pane
,
spogliano
le
viti
e
gli
ulivi
,
portano
la
carestia
e
forse
la
morte
.
Chi
sa
se
quella
notte
qualcuno
pensò
di
estrarre
dal
cassetto
l
'
azzima
avanzata
dalla
Pasqua
precedente
-
-
da
quando
,
per
l
'
ultima
volta
,
si
era
commemorata
l
'
uscita
dall
'
Egitto
,
la
liberazione
dai
Faraoni
-
-
e
di
lanciarla
contro
quel
finimondo
.
Il
grano
era
mietuto
,
le
viti
vendemmiate
;
ma
un
altro
raccolto
era
da
salvare
,
quella
progenitura
di
Israele
,
che
ai
Patriarchi
era
stata
promessa
numerosa
come
la
rena
del
mare
.
Ma
se
da
una
finestra
fosse
caduta
l
'
azzima
innocente
,
i
tedeschi
avrebbero
mirato
coi
moschetti
e
i
mitragliatori
,
avrebbero
scagliato
le
bombe
a
mano
contro
quella
finestra
.
Loro
soli
sapevano
la
ragione
di
quell
'
inferno
.
E
forse
la
vera
ragione
era
proprio
che
non
ce
ne
fosse
nessuna
:
l
'
inferno
gratuito
,
perché
riuscisse
più
misterioso
,
e
perciò
più
intimidatorio
.
La
gente
lì
per
lì
suppose
che
volesse
essere
un
dispetto
,
una
beffa
contro
gli
ebrei
.
Più
tardi
,
con
la
logica
e
il
senno
del
poi
,
si
pensò
che
i
tedeschi
si
proponessero
di
spaventare
la
gente
di
Ghetto
e
-
-
caso
mai
qualcosa
fosse
trapelato
dei
progetti
per
l
'
indomani
-
-
costringerla
a
tapparsi
in
casa
,
per
prenderla
tutta
.
Verso
le
quattro
del
mattino
,
la
sparatoria
si
placò
.
Faceva
freddo
,
l
'
umidità
della
notte
piovosa
attraversava
i
muri
.
Nella
levataccia
,
tutti
erano
rimasti
in
camicia
e
ciabatte
,
con
appena
qualche
scialletto
o
pastrano
sulle
spalle
.
I
letti
abbandonati
avevano
forse
custodito
un
po
'
di
tepore
.
Stanchi
,
con
quel
senso
di
cavo
e
di
disseccato
che
lascia
dentro
le
orbite
una
grossa
emozione
,
con
le
ossa
peste
,
battendo
i
denti
,
ciascuno
tornò
alla
sua
casa
,
nel
proprio
letto
.
Tra
due
ore
sarebbe
stato
giorno
,
qualche
cosa
si
sarebbe
finalmente
saputa
.
E
poi
,
a
ripensarci
,
non
era
capitato
niente
.
Pare
che
il
primo
allarme
l
'
abbia
dato
una
donna
di
nome
Letizia
,
che
il
vicinato
chiama
Letizia
l
'
Occhialona
:
una
grossa
ragazza
attempata
,
tutta
tumida
di
tratti
e
di
forme
,
con
gli
occhi
fissi
e
i
labbroni
all
'
infuori
,
che
le
immobilizzano
sulla
faccia
un
sorriso
inerte
e
senza
comunicativa
.
Dal
quale
esce
una
voce
assente
,
contrariata
,
estranea
a
ciò
che
dice
.
Verso
le
5
,
costei
fu
udita
gridare
:
«
Oh
Dio
,
i
mamonni
!
»
«
Mamonni
»
in
gergo
giudìo
romanesco
significa
gli
sbirri
,
le
guardie
,
la
forza
pubblica
.
Erano
infatti
i
tedeschi
che
,
col
loro
passo
pesante
e
cadenzato
(
conosciamo
persone
per
cui
questo
passo
è
rimasto
il
simbolo
,
lo
spaventoso
equivalente
auditivo
del
terrore
tedesco
)
,
cominciavano
a
bloccare
strade
e
case
del
Ghetto
.
Il
proprietario
di
un
piccolo
caffè
del
Portico
di
Ottavia
-
-
un
«
ariano
»
che
,
dalla
posizione
privilegiata
del
suo
locale
,
ha
potuto
assistere
a
tutto
lo
svolgersi
delle
operazioni
-
-
era
giunto
poco
prima
da
Testaccio
,
dove
abita
.
Transitando
per
Monte
Savello
e
per
il
Portico
,
non
aveva
notato
nulla
di
anormale
.
(
Ci
sarebbe
stato
il
tempo
per
salvarsi
,
dopo
la
sparatoria
?
o
il
quartiere
era
già
circondato
?
)
Dice
che
i
passi
cadenzati
,
lui
cominciò
a
sentirli
verso
le
5
e
mezzo
(
sulle
ore
non
è
stato
possibile
mettere
d
'
accordo
i
testimoni
;
quel
tempo
di
sciagura
deve
essere
stato
terribilmente
elastico
,
soggetto
a
valutazioni
soltanto
psicologiche
)
.
Non
aveva
ancora
aperto
la
bottega
,
stava
mettendo
sotto
pressione
la
macchina
dell
'
espresso
:
socchiuse
un
battente
,
e
vide
.
Vide
lungo
i
marciapiedi
due
file
di
tedeschi
:
a
occhio
e
croce
,
forse
un
centinaio
.
Nel
mezzo
della
via
stavano
gli
ufficiali
,
che
disposero
sentinelle
armate
a
tutti
i
canti
di
strada
.
I
radi
passanti
si
fermavano
a
guardare
.
I
tedeschi
non
si
interessavano
di
loro
.
Solo
più
tardi
cominciarono
ad
acciuffare
chi
portasse
involti
o
valigie
,
indizi
di
tentata
fuga
.
Noi
seguiteremo
a
parlare
del
Ghetto
,
perché
fu
l
'
epicentro
della
razzia
.
Ma
in
altri
punti
della
città
il
lavoro
si
era
iniziato
parecchie
ore
prima
.
Risulta
,
per
esempio
,
che
un
avvocato
,
Sternberg
Monteldi
,
da
Trieste
,
era
stato
preso
fin
dalle
23
della
sera
precedente
all
'
Albergo
Vittoria
,
dove
abitava
con
la
moglie
.
Qui
cominciano
gli
interrogativi
sui
criteri
e
sul
modo
come
la
razzia
venne
regolata
.
L
'
avvocato
e
la
signora
erano
muniti
di
passaporto
svizzero
,
quindi
non
figuravano
sui
registri
della
popolazione
romana
;
non
avevano
fatto
denunce
razziali
,
quindi
non
risultavano
ebrei
.
Come
giunsero
i
loro
nomi
alle
SS
.
?
Quanto
alla
procedura
,
si
sa
che
in
questo
caso
il
fermo
venne
intimato
in
maniera
durissima
:
i
coniugi
furono
costretti
a
vestirsi
alla
presenza
dei
militi
che
tenevano
le
armi
puntate
su
di
loro
.
Questo
inizio
anticipato
avrebbe
potuto
gravemente
pregiudicare
i
piani
tedeschi
.
Sarebbe
bastato
che
la
notizia
se
ne
propalasse
,
come
avvenne
la
mattina
successiva
,
che
subito
,
non
appena
cominciata
l
'
azione
in
grande
,
corse
tutta
la
città
,
permettendo
ad
amici
e
perfino
a
commissari
di
P.S.
di
avvertire
parecchi
interessati
,
quelli
almeno
a
cui
si
poteva
telefonare
.
Giunto
la
sera
prima
,
un
simile
allarme
avrebbe
svuotato
una
buona
metà
delle
case
ebraiche
.
Invece
l
'
arresto
degli
Sternberg
,
quantunque
effettuato
in
un
albergo
,
rimase
segreto
,
le
chiacchiere
dei
camerieri
e
del
portiere
di
notte
non
bastarono
a
farlo
trapelare
,
nemmeno
gli
uffici
di
Polizia
,
a
quanto
si
dice
,
ne
ebbero
sentore
;
sicché
la
mattina
dopo
i
tedeschi
poterono
operare
ordinatamente
,
secondo
i
piani
prestabiliti
e
col
più
ampio
successo
.
Entriamo
ora
in
una
casa
di
via
S
.
Ambrogio
,
nel
Ghetto
.
Potremo
seguire
la
razzia
in
tutte
le
sue
fasi
.
Verso
le
5
(
ora
psicologica
,
ripetiamo
)
,
la
signora
Laurina
S
.
viene
chiamata
dalla
strada
.
È
una
nipote
che
le
grida
:
«
Zia
,
zia
,
scendi
!
I
tedeschi
portano
via
tutti
!
»
Questa
ragazza
,
qualche
momento
prima
,
uscendo
di
casa
in
via
della
Reginella
,
aveva
veduto
portar
via
una
intera
famiglia
con
sei
bambini
,
la
maggiore
dei
quali
di
dieci
anni
.
La
signora
S
.
si
affaccia
alla
finestra
.
Vede
ai
lati
del
portoncino
due
tedeschi
,
armati
di
moschetto
(
o
di
mitra
,
non
sa
specificare
)
.
Qui
si
domanderà
come
abbia
potuto
la
nipote
gridare
così
dalla
via
,
e
parole
tanto
esplicite
,
alla
presenza
di
due
tedeschi
(
la
via
è
angosciosamente
stretta
,
un
budello
)
.
Ripetiamo
che
i
tedeschi
,
in
massima
,
non
rastrellarono
la
gente
per
via
:
fuor
di
casa
furono
presi
soltanto
quelli
che
,
infelici
,
vollero
farsi
prendere
.
Né
bisogna
credere
che
la
tragedia
si
sia
svolta
in
un
'
atmosfera
di
muta
e
trasecolata
solennità
:
le
persone
seguitavano
a
parlare
tra
di
loro
,
a
gridarsi
degli
avvisi
,
delle
raccomandazioni
,
come
nella
vita
di
tutti
i
giorni
.
La
fatalità
svolgeva
il
suo
lavoro
sostanzioso
,
senza
preoccuparsi
del
cerimoniale
,
senza
badare
alle
inezie
di
forma
.
Il
dramma
entrava
nella
vita
,
vi
si
mescolava
con
una
spaventosa
naturalezza
,
che
lì
per
lì
non
lasciava
campo
nemmeno
allo
stupore
.
Dapprima
la
signora
S
.
suppose
,
come
tutti
,
che
i
tedeschi
fossero
venuti
a
portar
via
gli
uomini
per
il
«
servizio
del
lavoro
»
.
Questa
idea
,
sparsa
probabilmente
ad
arte
,
fu
la
rovina
di
molte
famiglie
,
che
non
pensarono
a
mettere
in
salvo
vecchi
donne
e
bambini
.
Comunque
,
fidando
nella
presunta
immunità
delle
donne
,
la
S
.
si
rifà
cuore
,
si
veste
alla
meglio
,
prende
carte
annonarie
e
borsa
della
spesa
,
poi
scende
per
cercare
di
capire
di
che
si
tratti
.
Qualche
giorno
prima
è
caduta
,
trascina
una
gamba
ingessata
.
Giunta
per
via
,
si
avvicina
ai
tedeschi
di
sentinella
,
offre
loro
da
fumare
,
quelli
accettano
.
Dei
due
,
l
'
uno
poteva
avere
un
venticinque
anni
,
l
'
altro
ne
dimostrava
una
quarantina
.
Come
in
tutte
le
Mie
Prigioni
c
'
è
sempre
un
carceriere
buono
,
così
in
questa
razzia
ci
saranno
le
SS
.
di
gran
cuore
:
questi
due
,
per
esempio
.
La
leggenda
formatasi
poi
nel
Ghetto
ha
deciso
che
fossero
due
austriaci
.
«
Portare
via
tutti
ebrei
...
»
risponde
il
più
anziano
alla
donna
.
Costei
si
batte
la
palma
sull
'
ingessatura
:
«
Ma
io
gamba
rotta
...
Andare
via
con
la
mia
famiglia
...
ospedale
...
»
«
Ja
,
ja
»
annuisce
l
'
«
austriaco
»
,
e
con
la
mano
le
fa
cenno
di
svignarsela
.
Mentre
aspetta
la
famiglia
,
la
S
.
pensa
di
mettere
a
frutto
la
sua
amicizia
con
i
due
soldati
per
veder
di
salvare
qualche
vicino
.
Chiama
anche
lei
dalla
strada
:
«
Sterina
!
Sterina
!
»
«
Che
c
'
è
?
»
fa
quella
dalla
finestra
.
«
Scappa
,
che
prendono
tutti
!
»
«
Un
momento
,
vesto
pupetto
,
e
vengo
.
»
Purtroppo
vestire
pupetto
le
fu
fatale
:
la
signora
Sterina
fu
presa
con
pupetto
e
con
tutti
i
suoi
.
Dalla
via
del
Portico
di
Ottavia
giungono
lamenti
mischiati
con
grida
.
La
signora
S
.
si
affaccia
all
'
angolo
della
via
S
.
Ambrogio
col
Portico
.
Com
'
è
vero
che
prendono
tutti
,
ma
proprio
tutti
,
peggio
di
quanto
si
potesse
immaginare
.
Nel
mezzo
della
via
passano
,
in
fila
indiana
un
po
'
sconnessa
,
le
famiglie
rastrellate
:
una
SS
.
in
testa
e
una
in
coda
sorvegliano
i
piccoli
manipoli
,
li
tengono
suppergiù
incolonnati
,
li
spingono
avanti
coi
calci
dei
mitragliatori
,
quantunque
nessuno
opponga
altra
resistenza
che
il
pianto
,
i
gemiti
,
le
richieste
di
pietà
,
le
smarrite
interrogazioni
.
Già
sui
visi
e
negli
atteggiamenti
di
questi
ebrei
,
più
forte
ancora
che
la
sofferenza
,
si
è
impressa
la
rassegnazione
.
Pare
che
quell
'
atroce
,
repentina
sorpresa
già
non
li
stupisca
più
.
Qualche
cosa
in
loro
si
ricorda
di
avi
mai
conosciuti
,
che
erano
andati
con
lo
stesso
passo
,
cacciati
da
aguzzini
come
questi
,
verso
le
deportazioni
,
la
schiavitù
,
i
supplizi
,
i
roghi
.
Le
madri
,
o
talvolta
i
padri
,
portano
in
braccio
i
piccini
,
conducono
per
mano
i
più
grandicelli
.
I
ragazzi
cercano
negli
occhi
dei
genitori
una
rassicurazione
,
un
conforto
che
questi
non
possono
più
dare
:
ed
è
anche
più
tremendo
che
dover
dire
:
«
non
ce
n
'
è
»
ai
figli
che
chiedono
pane
.
D
'
altronde
è
questione
di
tempo
:
se
non
li
uccidono
prima
,
verrà
l
'
ora
anche
per
questo
.
Taluno
bacia
le
proprie
creature
:
un
bacio
che
cerca
di
nascondersi
ai
tedeschi
,
un
ultimo
bacio
tra
quelle
vie
,
quelle
case
,
quei
luoghi
che
li
hanno
veduti
nascere
,
sorridere
per
la
prima
volta
alla
vita
.
E
certi
padri
tengono
la
mano
sul
capo
dei
figlioli
,
col
medesimo
gesto
con
cui
nei
giorni
solenni
hanno
impartito
la
Birchàd
Choanìm
:
«
Ti
benedica
il
Signore
e
ti
protegga
...
»
-
-
quella
che
invoca
,
per
i
figli
di
Israele
,
e
promette
la
pace
.
Nella
fila
la
signora
S
.
vide
anche
zia
Chele
,
una
vecchia
di
ottant
'
anni
mezza
andata
di
mente
:
si
trascinava
tra
gli
altri
,
come
un
po
'
saltellando
,
senza
capire
che
cosa
le
facessero
fare
,
e
rispondeva
con
saluti
e
sorrisi
ebeti
e
perfino
un
po
'
fatui
agli
sguardi
della
gente
;
ma
poi
trasaliva
d
'
improvviso
e
si
spaventava
,
biascicando
frammenti
di
preghiere
,
quando
i
tedeschi
si
rimettevano
a
urlare
.
Urlavano
senza
un
motivo
,
probabilmente
solo
per
tenere
desto
il
terrore
e
vivo
il
senso
della
loro
autorità
,
affinché
non
nascessero
intoppi
e
le
cose
fossero
sbrigate
alla
svelta
.
Passa
un
'
altra
vecchia
di
ottantacinque
anni
,
sorda
e
malata
.
Passa
un
paralitico
,
portato
a
braccia
sulla
sua
sedia
.
Una
donna
con
un
lattante
in
collo
si
slaccia
la
camicetta
,
estrae
la
mammella
e
la
spreme
per
mostrare
al
soldato
che
non
ha
più
latte
per
la
creatura
:
ma
quello
le
punta
il
mitragliatore
contro
il
fianco
perché
cammini
.
Un
'
altra
afferra
la
mano
di
un
tedesco
e
gliela
bacia
piangendo
,
per
impietosirlo
,
per
chiedergli
chi
sa
quale
grazia
da
nulla
,
forse
solo
perché
gli
è
riconoscente
,
dal
profondo
dell
'
umiliazione
,
che
non
l
'
abbia
maltrattata
di
più
.
Una
percossa
le
risponde
,
e
un
urlo
.
Ai
lati
della
via
,
immobili
,
allibiti
,
impotenti
a
prestare
soccorso
,
i
passanti
stanno
a
guardare
;
ma
poi
i
tedeschi
non
ne
vogliono
più
sapere
di
questi
spettatori
e
minacciosamente
intimano
di
riprendere
la
circolazione
.
Un
giovanotto
si
stacca
dalla
fila
:
ha
ottenuto
di
andare
a
prendere
un
caffè
,
sotto
la
sorveglianza
di
una
SS
.
,
che
però
non
accetterà
di
«
tenergli
compagnia
»
.
Deglutisce
rumorosamente
,
la
tazzina
gli
trema
nelle
mani
,
e
anche
le
gambe
gli
ballano
sotto
.
Gira
gli
occhi
smarriti
verso
i
tavolini
,
dove
si
è
seduto
a
giocare
a
carte
nelle
sere
che
avevano
ancora
un
indomani
.
Con
una
specie
di
sorriso
timido
e
stanco
,
domanda
al
caffettiere
:
«
Che
faranno
di
noi
?
»
Queste
povere
parole
sono
tra
le
poche
lasciateci
da
coloro
nell
'
andarsene
.
Ci
fanno
sentire
la
voce
di
un
essere
tornato
per
un
momento
nella
nostra
vita
,
tra
noi
,
quando
a
lui
vivo
la
nostra
vita
ormai
non
apparteneva
più
,
e
già
era
entrato
in
quella
nuova
esistenza
oscura
e
terribile
.
E
ci
dicono
pure
che
cosa
sia
passato
per
la
testa
di
quegli
sciagurati
nei
primi
momenti
:
una
sfiduciata
speranza
di
non
aver
capito
bene
.
Le
file
vengono
spinte
verso
la
goffa
palazzina
delle
Antichità
e
Belle
Arti
,
che
sorge
al
gomito
del
Portico
di
Ottavia
di
fronte
alla
via
Catalana
,
tra
la
Chiesa
di
Sant
'
Angelo
e
il
Teatro
di
Marcello
.
Ai
piedi
della
palazzina
si
stende
una
breve
area
di
scavi
,
ingombra
di
ruderi
,
qualche
metro
più
bassa
che
la
strada
.
Entro
questa
fossa
venivano
raccolti
gli
ebrei
,
e
messi
in
riga
ad
aspettare
il
ritorno
dei
tre
o
quattro
camion
,
che
facevano
la
spola
tra
il
Ghetto
e
il
luogo
dove
era
stabilita
la
prima
tappa
.
Quegli
autocarri
erano
coperti
da
tendoni
impermeabili
(
continuava
a
piovigginare
)
scuri
o
,
secondo
altri
,
tinti
addirittura
in
nero
;
come
pure
di
nero
,
dicono
quegli
stessi
,
sarebbero
stati
tinti
anche
i
camion
.
È
più
probabile
che
quel
nero
ce
l
'
abbiano
veduto
gli
occhi
del
dolore
e
dello
sgomento
:
in
realtà
doveva
trattarsi
di
quel
cupo
,
e
già
abbastanza
lugubre
,
color
di
melma
e
piombo
,
che
è
la
vernice
,
per
cosa
dire
,
di
uniforme
degli
automezzi
di
guerra
tedeschi
.
I
nazisti
amano
la
regìa
,
le
teatralità
,
la
solennità
nibelungica
atra
e
terrificante
;
ma
qui
la
regia
era
già
nelle
cose
stesse
:
superflua
d
'
altronde
,
perché
tutto
si
svolgeva
con
estrema
facilità
,
senza
che
occorresse
di
propiziarne
la
riuscita
con
una
particolare
messinscena
o
ricerca
di
effetti
.
Dei
camion
veniva
abbassata
la
sponda
destra
,
e
si
cominciava
a
fare
il
carico
.
I
malati
,
gli
impediti
,
i
restii
erano
stimolati
con
insulti
,
urlacci
e
spintoni
,
percossi
coi
calci
dei
fucili
.
Il
paralitico
con
la
sua
sedia
venne
letteralmente
scaraventato
sul
camion
,
come
un
mobile
fuori
uso
su
un
furgone
da
trasloco
.
Quanto
ai
bambini
,
strappati
alle
braccia
delle
madri
,
subivano
il
trattamento
dei
pacchi
,
quando
negli
uffici
postali
si
prepara
il
furgoncino
.
E
i
camion
ripartivano
,
né
si
sapeva
per
dove
;
ma
quel
loro
periodico
tornare
,
sempre
gli
stessi
,
faceva
supporre
che
non
si
trattasse
di
luogo
troppo
lontano
.
E
questo
nei
«
razziati
»
poté
forse
accendere
una
specie
di
speranza
.
Non
ci
mandano
via
da
Roma
,
ci
terranno
qui
a
lavorare
.
Continuiamo
a
seguire
la
signora
S
.
Il
suo
racconto
,
senza
dubbio
ripetuto
molte
volte
nel
corso
di
questi
mesi
,
sarà
un
po
'
ricostituito
,
con
un
ordine
nell
'
incastro
dei
fatti
e
nella
sequenza
dei
tempi
,
che
forse
la
vita
non
ebbe
;
ma
le
persone
da
lei
citate
-
-
quelle
che
si
sono
potute
interrogare
-
-
confermano
la
veridicità
degli
episodi
e
l
'
esattezza
dei
particolari
.
Giunta
con
la
famiglia
a
Largo
Argentina
-
-
varcato
ormai
il
Mar
Rosso
-
-
la
S
.
viene
a
sapere
di
un
parente
che
per
paura
di
quelle
sentinelle
alla
porta
,
è
rimasto
per
le
scale
.
(
Un
caso
purtroppo
frequente
;
per
quella
paura
,
molti
non
si
vollero
muovere
di
casa
e
vi
si
fecero
prendere
.
)
Malgrado
le
proteste
dei
suoi
,
la
S
.
decide
di
tornare
indietro
a
soccorrere
il
parente
,
se
ancora
farà
in
tempo
.
Che
può
parere
una
bravata
in
sovrappiù
,
il
troppo
che
stroppia
;
ma
c
'
è
della
gente
,
a
cui
le
congiunture
estreme
danno
una
sovrabbondanza
vitale
,
che
li
fa
credere
in
una
specie
di
invulnerabilità
.
È
il
caso
di
quegli
infermieri
che
circolano
tra
le
epidemie
con
uno
scanzonato
e
quasi
irritante
disprezzo
per
la
profilassi
,
e
sono
poi
proprio
quelli
che
se
la
scapolano
,
come
se
davvero
il
contagio
su
di
loro
non
avesse
presa
.
I
due
«
austriaci
»
sono
sempre
alla
porta
.
Un
'
occhiata
basta
alla
S
.
per
sincerarsi
che
il
tacito
patto
di
protezione
vige
sempre
ancora
.
Dal
vano
delle
scale
chiama
il
parente
.
«
Resciúd
,
Enrico
!
Ma
in
questo
momento
sette
tedeschi
sopraggiungono
:
hanno
sentito
quel
richiamo
e
,
per
quanto
non
lo
capiscano
,
a
buon
conto
il
loro
capo
appioppa
alla
S
.
uno
schiaffone
;
che
la
manda
lunga
e
distesa
attraverso
l
'
andito
.
Poi
con
incomprensibili
parole
tedesche
e
fin
troppo
chiare
minacce
col
calcio
del
mitragliatore
,
la
costringe
a
rialzarsi
da
sola
.
Due
uomini
si
mettono
davanti
a
lei
,
tre
alle
sue
spalle
,
e
le
tocca
di
salire
.
Sul
pianerottolo
,
le
porte
dei
tre
appartamenti
sono
chiuse
,
sbarrate
(
una
è
quella
dell
'
appartamento
di
S
.
,
ormai
deserto
)
.
Il
tragico
,
l
'
intensità
,
la
complicazione
dei
movimenti
che
stanno
per
avvenire
su
questo
pianerottolo
,
potrebbero
far
pensare
a
uno
spazio
adeguato
,
si
starebbe
per
dire
eschileo
:
il
che
non
risponderebbe
al
vero
.
Si
tratta
di
un
ripiano
di
pochi
palmi
,
nemmeno
due
metri
quadri
,
che
interrompe
una
scala
avvolgentesi
a
spirale
,
con
i
gradini
di
pietra
sporchi
e
ingrommati
di
decrepita
spazzatura
,
tra
due
muri
soffocanti
.
Un
abituro
-
-
se
non
sapessimo
che
era
destinato
al
dolore
,
e
quanto
dolore
lo
visitò
-
-
dove
l
'
angustia
e
la
miseria
hanno
una
desolazione
ostile
,
quasi
sinistra
.
Tutti
gli
odori
della
vita
hanno
impregnato
i
muri
,
il
legno
,
il
ferro
,
tutto
,
perfino
si
direbbe
i
vetri
delle
finestrelle
.
Tali
,
o
consimili
,
erano
le
case
dove
,
per
la
maggior
parte
,
si
acquartieravano
i
più
temibili
nemici
del
Grande
Reich
.
I
tedeschi
consultarono
un
elenco
dattilografato
.
Disgraziatamente
,
due
delle
porte
si
erano
concessa
l
'
assurda
civetteria
di
una
targa
sul
battente
.
E
i
nomi
rispondevano
a
quelli
dell
'
elenco
.
I
tedeschi
bussarono
;
poi
,
non
avendo
ricevuto
risposta
,
sfondarono
le
porte
.
Dietro
le
quali
,
impietriti
come
se
posassero
per
il
più
spaventosamente
surreale
dei
gruppi
di
famiglia
,
stavano
in
esterrefatta
attesa
gli
abitatori
,
con
gli
occhi
da
ipnotizzati
e
il
cuore
fermo
in
gola
.
L
'
allarme
era
stato
dato
da
forse
un
'
ora
:
ma
nella
concitazione
di
consultarsi
,
di
fuggire
,
di
salvare
un
po
'
di
roba
,
nella
ridda
delle
decisioni
impotenti
e
contraddittorie
,
quasi
nessuno
aveva
trovato
il
tempo
di
vestirsi
.
I
più
erano
ancora
in
camicia
,
con
un
vecchio
pastrano
o
una
frusta
gabardine
infilati
alla
meglio
.
Il
caposquadra
si
avanza
verso
di
loro
.
Ha
in
mano
una
specie
di
cartolina
scritta
a
macchina
,
di
cui
legge
il
testo
in
tedesco
.
Quelli
non
capiscono
altro
che
il
tono
perentorio
di
minaccia
.
Si
sciolgono
i
pianti
delle
donne
e
dei
bambini
.
La
S
.
ha
avuto
il
tempo
di
sbirciare
che
,
sull
'
elenco
dei
nomi
,
il
suo
non
c
'
è
.
Questo
le
dà
coraggio
:
come
a
vendicarsi
dello
schiaffo
,
strappa
di
mano
al
tedesco
la
cartolina
.
Il
testo
è
bilingue
.
È
lei
che
lo
legge
ad
alta
voce
ai
vicini
:
«
I
.
Insieme
con
la
vostra
famiglia
e
con
gli
altri
ebrei
appartenenti
alla
vostra
casa
sarete
trasferiti
.
2
.
Bisogna
portare
con
sé
:
a
)
viveri
per
almeno
8
giorni
;
b
)
tessere
annonarie
;
c
)
carta
d
'
identità
;
d
)
bicchieri
.
3
.
Si
può
portare
via
:
a
)
valigetta
con
effetti
e
biancheria
personali
,
coperte
,
ecc
.
;
b
)
denari
e
gioielli
.
4
.
Chiudere
a
chiave
l
'
appartamento
risp
.
la
casa
.
Prendere
con
sé
la
chiave
.
5
.
Ammalati
-
-
anche
casi
gravissimi
-
-
non
possono
per
nessun
motivo
rimanere
indietro
.
Infermeria
si
trova
nel
campo
.
6
.
Venti
minuti
dopo
presentazione
di
questo
biglietto
,
la
famiglia
deve
essere
pronta
per
la
partenza
.
»
Venti
minuti
:
neppure
il
tempo
per
lamentarsi
.
Meno
di
quanto
occorra
per
fare
fagotto
.
I
bicchieri
belli
è
meglio
lasciarli
a
casa
.
E
le
valigette
,
dove
trovarne
una
per
ciascuno
?
I
bambini
ne
vogliono
una
tutta
per
loro
.
Non
seccate
!
Bisogna
che
i
tedeschi
non
vedano
dove
stavano
nascosti
i
manhòd
.
Gioielli
non
ce
n
'
è
più
,
tutti
da
un
nharèl
.
Le
parole
necessarie
bisogna
dirsele
in
ebraico
,
come
si
sa
e
si
può
-
-
in
quel
gergo
che
pare
un
furbesco
e
ha
sempre
fatto
sospettare
che
gli
ebrei
complottino
come
si
fa
a
parlare
con
quei
due
soldati
entrati
in
casa
a
sorvegliare
i
preparativi
?
I
bambini
si
aggrappano
alle
gonne
,
non
lasciano
bene
avere
.
Qualcuno
si
busca
un
ceffone
.
Gli
ebrei
,
nei
rapporti
coi
figli
,
sono
pronti
di
mano
.
I
soldati
rimasti
sul
pianerottolo
si
avvicinano
alla
S
.
e
le
domandano
se
sia
parente
con
quelle
famiglie
.
No
,
non
è
parente
.
Se
sia
Juda
.
Non
è
Juda
.
Ne
dia
le
prove
:
la
signora
estrae
la
chiave
,
apre
il
proprio
appartamento
per
dimostrare
che
quella
è
casa
sua
,
che
lei
non
abita
con
gli
altri
,
che
non
ha
niente
di
comune
con
loro
.
La
cacciano
dentro
casa
,
intimandole
di
chiudere
la
porta
.
I
venti
minuti
concessi
ai
vicini
stanno
quasi
per
spirare
.
Alle
sollecitazioni
dei
tedeschi
,
ricominciano
le
grida
,
le
invocazioni
:
nella
confusione
dei
preparativi
,
si
era
quasi
dimenticato
che
erano
i
preparativi
per
essere
portati
via
.
La
S
.
non
regge
più
,
esce
sul
pianerottolo
.
I
tedeschi
fanno
per
ributtarla
dentro
;
ma
lei
torna
a
mostrare
la
gamba
ingessata
,
deve
andare
all
'
ospedale
.
Qualcuno
le
accenna
che
è
libera
,
che
fili
alla
lesta
.
In
questo
momento
,
vedendola
avviarsi
per
le
scale
,
quattro
bambini
scappano
dagli
altri
due
appartamenti
,
le
si
attaccano
alle
braccia
,
alle
vesti
:
«
Aiutaci
,
Laurina
!
Laurina
,
salvaci
!
»
Una
di
quei
quattro
è
la
bambina
Ester
P
.
,
che
aveva
allora
12
anni
.
Racconta
che
quella
notte
era
venuta
a
dormire
da
zia
,
perché
all
'
indomani
mattina
presto
doveva
andare
«
a
fare
la
fila
dell
'
erba
»
,
e
di
uscire
sola
al
buio
lei
aveva
paura
.
Appena
con
zia
furono
fuori
di
casa
,
videro
tutti
gli
angoli
di
strada
piantonati
dai
tedeschi
.
Rientrarono
subito
:
zia
pensava
(
anche
lei
)
che
i
tedeschi
fossero
venuti
per
prendere
gli
uomini
,
perciò
voleva
dare
i
soldi
al
marito
,
che
scappasse
.
Avessero
tirato
di
lungo
per
la
loro
strada
,
almeno
loro
due
si
sarebbero
salvate
:
invece
rimasero
incastrate
,
perché
di
lì
a
poco
erano
sopraggiunti
i
sette
tedeschi
.
Quando
capì
di
essere
presa
,
la
bambina
ebbe
soprattutto
paura
che
suo
padre
,
non
vedendola
tornare
,
si
arrabbiasse
.
Anche
zia
,
correndo
tra
armadio
e
cassettone
per
far
fagotto
,
le
diceva
:
«
Scappa
,
torna
a
casa
,
se
no
poi
papà
mi
strilla
!
»
Questa
idea
della
strillata
e
soprattutto
quel
«
poi
»
dicono
molte
cose
.
Loro
continuavano
a
pensare
a
un
dopo
nella
vita
di
prima
,
con
le
abitudini
di
prima
.
(
Eppure
il
biglietto
parlava
chiaro
.
)
Senza
dubbio
ci
fu
gente
più
consapevole
,
che
subito
si
rese
conto
di
quello
che
stava
capitando
.
Ma
a
quelli
di
«
piazza
Giudìa
»
,
a
una
gran
parte
almeno
,
successe
come
quando
portano
un
parente
dal
medico
,
che
fa
loro
una
diagnosi
senza
speranza
.
Per
parecchio
tempo
ripetono
il
nome
di
quella
malattia
,
ci
fanno
i
commenti
,
quasi
ci
prendono
confidenza
,
come
fosse
il
nome
di
una
delle
tante
malattie
che
già
conoscono
,
che
sono
già
state
in
casa
.
Solo
più
tardi
capiscono
che
cosa
ci
sia
dentro
quel
nome
.
La
S
.
strinse
a
sé
i
bambini
,
disse
che
erano
suoi
.
I
tedeschi
lasciarono
correre
.
Appena
in
istrada
,
i
piccoli
se
la
squagliano
.
La
signora
S
,
fa
pochi
passi
,
e
poi
sviene
.
La
soccorrono
alcuni
«
ariani
»
,
che
la
portano
al
caffè
di
Ponte
Garibaldi
.
Può
fare
specie
che
questa
donna
,
cacciatasi
così
temerariamente
nel
cuore
della
razzia
,
senza
quasi
tralasciare
occasione
di
compromettersi
,
non
sia
stata
riconosciuta
come
ebrea
,
e
portata
via
anche
lei
.
Come
pure
farà
specie
che
i
tedeschi
siano
stati
così
corrivi
nel
concederle
quei
quattro
bambini
.
S
'
è
già
detto
che
si
regolavano
soprattutto
in
base
ai
loro
elenchi
.
E
qualcuno
sarà
tentato
di
soggiungere
che
,
al
solito
,
i
tedeschi
mancano
di
intelligenza
e
di
immaginazione
:
eseguono
gli
ordini
,
senza
metterci
niente
del
loro
.
A
cui
peraltro
si
risponderebbe
che
invece
la
crudeltà
è
sempre
a
suo
modo
sagace
o
quanto
meno
sospettosa
e
all
'
erta
.
Tutto
sommato
,
rimane
l
'
impressione
che
le
SS
.
,
in
un
genere
di
operazioni
a
cui
avevano
ormai
fatto
il
callo
,
abbiano
agito
quella
mattina
con
una
sorta
di
rigore
professionale
,
di
coscienza
del
mestiere
,
piuttosto
che
stimolati
da
un
preciso
accanimento
.
La
brutalità
che
mostrarono
faceva
parte
,
si
direbbe
,
della
tecnica
e
non
divenne
,
salvo
eccezioni
,
sadismo
individuale
.
Azionato
dalla
forza
motrice
,
travolto
esso
stesso
dall
'
ingranaggio
della
macchina
,
il
volano
spiega
tutta
la
sua
forza
nello
sfracellare
il
malcapitato
che
vi
si
impiglia
;
ma
non
si
sposterà
di
un
millimetro
per
trovarsi
la
vittima
.
Così
per
quella
mattina
la
razzia
non
si
mutò
,
generalmente
parlando
,
in
una
caccia
all
'
ebreo
.
Per
esempio
,
le
famose
distribuzioni
settimanali
delle
sigarette
furono
per
una
volta
tanto
una
provvidenza
:
molti
uomini
si
salvarono
perché
si
trovavano
a
fare
la
fila
dal
tabaccaio
,
e
nessun
tedesco
si
preoccupò
di
andarveli
a
cercare
.
Parecchi
di
quelli
,
il
destino
li
teneva
in
serbo
per
le
Fosse
Ardeatine
.
(
E
molti
anche
furono
razziati
o
arrestati
in
seguito
,
massime
dopo
il
febbraio
1944
,
dagli
stessi
tedeschi
o
più
ancora
dai
fascisti
:
la
maggior
parte
andò
a
finire
in
campi
di
concentramento
dell
'
Italia
settentrionale
-
-
Modena
e
Verona
-
-
finché
poi
nell
'
aprile
furono
deportati
in
Germania
.
)
In
sostanza
,
le
SS
.
agirono
soprattutto
come
se
il
loro
incarico
fosse
di
fornire
ai
mandanti
un
certo
-
-
e
senza
dubbio
assai
cospicuo
-
-
numero
di
ebrei
.
E
,
visto
che
stavano
facilmente
raggiungendolo
,
non
si
siano
dati
la
briga
di
andare
per
il
sottile
,
di
fare
dello
zelo
supplementare
.
Ma
ci
sono
gli
esempi
in
contrario
,
che
mostrano
come
la
presunta
regola
subisse
tali
e
tante
eccezioni
,
che
finiva
col
diventare
un
inganno
per
chi
se
ne
fosse
fidato
,
un
peggiore
trabocchetto
per
chi
vi
avesse
fatto
assegnamento
.
Torto
nostro
a
voler
cercare
una
regola
nel
più
spaventoso
degli
arbitrii
.
Una
certa
N
.
si
era
rifugiata
nel
caffè
.
D
'
improvviso
sente
giungere
dalla
strada
voci
più
alte
e
concitate
.
Era
un
giovanotto
-
-
qualificatosi
poi
come
«
giornalista
italiano
»
-
-
che
stava
discutendo
in
tedesco
con
una
SS
.
per
cercar
di
strappare
,
dalla
fila
già
avviata
verso
i
camion
,
una
donna
incinta
.
La
N
.
riconosce
in
essa
la
propria
sorella
,
di
cui
ignorava
la
sorte
.
Non
può
nascondere
un
gesto
di
sbigottito
dolore
.
Un
tedesco
se
ne
avvede
,
arguisce
la
parentela
,
si
precipita
sulla
N
.
,
la
porta
via
con
la
figlioletta
che
le
stava
accanto
.
Un
'
altra
donna
si
credeva
ormai
in
salvo
:
le
avevano
portato
via
il
marito
,
male
nascostosi
nel
cassone
dell
'
acqua
;
lei
con
i
quattro
bambini
,
di
cui
due
ammalati
di
difterite
con
febbre
altissima
,
stava
fuggendo
ed
era
già
arrivata
a
Ponte
Garibaldi
.
Vede
passare
un
camion
carico
di
parenti
,
caccia
un
urlo
.
I
tedeschi
le
volano
addosso
,
la
agguantano
,
lei
e
i
figli
.
Un
«
ariano
»
interviene
e
riesce
a
salvare
una
delle
bambine
,
protestando
che
è
sua
.
Ma
quella
si
mette
a
piangere
che
vuole
stare
con
mamma
,
e
viene
rastrellata
anche
lei
.
Abbiamo
più
volte
parlato
dei
famosi
elenchi
.
Anche
questi
erano
quanto
di
più
arbitrario
si
possa
immaginare
,
con
inclusioni
e
omissioni
egualmente
inspiegabili
.
Come
siano
stati
compilati
,
e
su
quali
indicazioni
,
nessuno
è
ancora
riuscito
a
sapere
.
È
da
escludere
intanto
che
i
nominativi
siano
stati
prelevati
dalle
carte
rubate
nell
'
archivio
della
Comunità
:
quelli
erano
ruoli
di
contribuenti
,
mentre
sugli
elenchi
tedeschi
figuravano
in
prevalenza
famiglie
che
non
avevano
mai
pagato
contributi
.
Altri
dice
che
ai
gruppi
rionali
fascisti
esistevano
liste
complete
dei
«
cittadini
di
razza
ebraica
»
abitanti
nella
giurisdizione
del
gruppo
;
ma
quegli
enti
avevano
subito
gli
assalti
degli
antifascisti
in
seguito
al
25
luglio
;
inoltre
le
lacune
e
le
aggiunte
delle
liste
tedesche
fanno
dubitare
che
quella
possa
essere
stata
la
fonte
.
Idem
per
i
Commissariati
di
P.S.
,
muniti
anch
'
essi
di
repertori
del
genere
,
dei
quali
in
tempo
fascista
si
erano
valsi
per
le
piccole
angherie
agli
ebrei
(
chiamate
ad
audiendum
verbum
,
sequestro
degli
apparecchi
radio
,
visite
per
controllare
se
si
tenessero
domestici
di
razza
ariana
,
ecc
.
)
.
O
forse
i
tedeschi
saranno
ricorsi
alla
Direzione
della
Demografia
e
Razza
presso
il
Ministero
dell
'
Interno
?
Ma
allora
si
domanda
:
perché
dopo
il
25
luglio
,
finita
la
campagna
razziale
,
non
si
pensò
di
eliminare
quei
registri
e
schede
,
divenuti
superflui
?
e
se
non
dopo
il
25
luglio
,
perché
non
almeno
dopo
l'8
settembre
,
come
in
altri
ministeri
si
fece
per
altri
documenti
?
La
negligenza
del
luglio
diventa
nel
settembre
criminosa
responsabilità
.
Nei
giorni
precedenti
la
razzia
,
i
tedeschi
avevano
a
lungo
frequentato
gli
uffici
dell
'
Annona
,
rovistando
schedari
e
facendo
rilievi
,
col
pretesto
dell
'
imminente
distribuzione
delle
nuove
tessere
alimentari
.
Sarebbero
venuti
di
lì
gli
elenchi
?
Ma
sulle
carte
annonarie
nessuno
ha
mai
visto
annotazioni
razziali
,
e
i
tedeschi
avrebbero
quindi
dovuto
fare
lunghi
e
scomodi
raffronti
coi
loro
prontuari
di
cognomi
ebraici
.
Chi
scrive
questo
resoconto
passò
la
mattinata
del
16
ottobre
in
casa
di
una
vicina
.
Costei
si
lasciò
sfuggire
che
la
razzia
era
preveduta
:
infatti
un
suo
conoscente
,
impiegato
all
'
Anagrafe
,
le
aveva
confidato
giorni
prima
che
si
erano
dovuti
ammazzare
di
lavoro
per
certi
elenchi
di
ebrei
,
che
bisognava
approntare
per
i
tedeschi
.
Di
ritorno
a
Roma
nel
luglio
successivo
,
cercammo
di
ripigliare
il
discorso
,
ma
non
ci
fu
verso
:
la
vicina
cadeva
dalle
nuvole
,
non
si
ricordava
,
di
avere
mai
saputa
,
e
tanto
meno
detta
,
una
simile
notizia
.
Il
tempo
che
si
era
mantenuto
per
tutta
la
mattina
fradicio
e
basso
,
verso
le
11
ebbe
una
breve
remissione
.
Un
poco
di
sole
brillò
sulle
selci
del
Portico
di
Ottavia
,
dove
da
ore
si
trascinavano
quei
poveri
piedi
,
quei
piedi
piatti
così
derisi
,
già
stanchi
,
già
dolenti
prima
di
iniziare
il
viaggio
.
Nei
Sabbati
ormai
lontani
,
quel
raggio
di
sole
attraversava
le
vetrate
della
Sinagoga
,
andava
ad
accendere
le
canne
dell
'
organo
,
che
gli
rispondeva
nel
registro
più
d
'
oro
.
E
lo
riversava
,
quel
raggio
,
sui
fedeli
in
concenti
di
giubilazione
,
in
uno
sfolgorare
di
santa
allegrezza
.
I
fanciulli
cantavano
:
Santo
,
Santo
,
Santo
,
il
Dio
degli
Eserciti
,
della
Sua
gloria
tutta
la
terra
è
colma
.
Ora
,
dal
fondo
della
fossa
in
cui
stanno
aspettando
di
essere
deportati
,
quei
fanciulli
non
levano
altro
che
pianto
,
un
pianto
che
non
fa
coro
,
che
non
si
innalza
al
cielo
come
il
fumo
dei
sacrifizi
;
che
il
cielo
tornato
basso
sembra
respingere
,
far
ricadere
sulle
loro
spalle
.
Quanti
anni
ancora
dovranno
passare
,
prima
che
quel
pianto
diventi
il
cantico
dei
fanciulli
nella
fornace
?
Prima
che
il
Dio
degli
Eserciti
li
ascolti
,
nuovamente
rapiti
nel
celebrare
la
Sua
gloria
?
La
razzia
si
protrasse
fino
verso
le
13
.
Quando
fu
la
fine
,
per
le
vie
del
Ghetto
non
si
vedeva
più
anima
,
vi
regnava
la
desolazione
della
Gerusalemme
di
Geremia
:
quomodo
sedet
sola
civitas
...
Tutta
Roma
era
rimasta
allibita
.
Negli
altri
quartieri
,
il
rastrellamento
si
era
svolto
con
la
stessa
procedura
che
nel
Ghetto
,
ma
naturalmente
più
alla
spicciolata
.
La
città
era
stata
divisa
in
parecchi
settori
:
per
ciascuno
era
adibito
un
camion
,
che
andava
a
fermarsi
via
via
presso
i
portoni
segnati
sull
'
elenco
.
Di
primo
mattino
,
quando
li
trovavano
ancora
chiusi
,
le
SS
.
se
li
facevano
aprire
da
poliziotti
italiani
.
Di
solito
un
graduato
rimaneva
di
guardia
al
camion
,
mentre
due
militi
salivano
nelle
case
.
Se
l
'
appartamento
era
di
aspetto
borghese
o
agiato
,
per
prima
cosa
quei
militi
si
facevano
indicare
il
telefono
e
ne
strappavano
i
fili
.
Si
racconta
che
in
Prati
un
operaio
,
avendo
notato
una
momentanea
distrazione
del
graduato
di
guardia
,
saltò
su
un
camion
e
a
tutta
velocità
lo
portò
via
con
tutto
il
carico
,
che
insperatamente
si
trovò
liberato
.
(
Però
di
questi
miracolati
non
ci
è
riuscito
personalmente
di
vederne
nessuno
.
)
Le
SS
.
che
compirono
questa
razzia
appartenevano
a
un
reparto
specializzato
,
giunto
dal
Nord
la
sera
prima
,
all
'
insaputa
di
tutte
le
altre
truppe
tedesche
di
stanza
a
Roma
.
Non
erano
pratici
della
città
,
e
non
ebbero
tempo
di
compiere
sopraluoghi
nei
punti
in
cui
dovevano
operare
,
tanto
è
vero
che
uno
dei
reparti
comandati
al
Ghetto
si
fermò
sulla
via
del
Mare
ad
aspettare
dei
passanti
,
rari
in
quell
'
ora
mattutina
,
che
gli
indicassero
dov
'
era
via
della
Raganella
.
(
Intendevano
:
della
Reginella
.
)
A
taluni
di
quei
giovanotti
non
sembrò
vero
di
poter
disporre
di
un
automezzo
,
sia
pure
carico
di
ebrei
razziati
,
per
fare
un
po
'
di
giro
turistico
della
città
.
Sicché
,
prima
di
raggiungere
il
luogo
di
concentramento
,
i
disgraziati
che
stavano
nell
'
interno
dovettero
subire
le
più
capricciose
peregrinazioni
,
sempre
più
incerti
sul
loro
destino
e
,
ad
ogni
nuova
svolta
,
ad
ogni
nuova
via
che
infilassero
,
assaliti
da
diverse
e
tutte
inquietanti
congetture
.
Naturalmente
,
la
meta
più
ambita
di
quei
turisti
era
Piazza
S
.
Pietro
,
dove
parecchi
dei
camion
stazionarono
a
lungo
.
Mentre
i
tedeschi
secernevano
i
wunderbar
da
costellarne
il
racconto
che
si
riservavano
di
fare
,
in
patria
,
a
qualche
Lilì
Marlén
,
dal
di
dentro
dei
veicoli
si
alzavano
grida
e
invocazioni
al
Papa
,
che
intercedesse
,
che
venisse
in
aiuto
.
Poi
i
camion
ripartivano
,
e
anche
quell
'
ultima
speranza
era
svanita
.
Gli
ebrei
furono
ammassati
nel
Collegio
Militare
.
I
camion
entravano
,
andavano
a
fermarsi
davanti
al
porticato
di
fondo
.
Le
operazioni
di
scarico
si
svolgevano
con
la
stessa
ruvidezza
e
sommarietà
con
cui
erano
avvenute
quelle
di
carico
.
I
nuovi
arrivati
erano
fatti
schierare
per
tre
,
a
qualche
distanza
da
gruppi
consimili
,
che
già
stazionavano
sotto
la
sorveglianza
di
numerose
sentinelle
tedesche
armate
fino
ai
denti
.
Tra
un
gruppo
e
l
'
altro
,
con
burbanzoso
cipiglio
di
ispettori
e
aria
soddisfatta
da
giorno
di
sagra
,
furono
veduti
circolare
alcuni
fascisti
repubblicani
.
A
partire
da
una
certa
ora
,
vennero
formate
delle
squadre
che
,
separati
gli
uomini
dalle
donne
,
furono
convogliate
nelle
aule
del
Collegio
.
Regnava
in
queste
una
oscurità
da
limbo
,
perché
le
imposte
erano
state
ermeticamente
chiuse
.
Fin
dal
cortile
-
-
dove
per
tutto
il
giorno
durò
la
massima
confusione
-
-
si
udivano
le
grida
di
affanno
e
le
lugubri
vociferazioni
di
pena
che
si
mescolavano
in
quelle
aule
.
Ogni
tanto
un
ordine
minaccioso
,
urlato
in
italiano
,
ristabiliva
un
momentaneo
e
quasi
più
angoscioso
silenzio
.
Poche
ore
erano
bastate
perché
,
nei
locali
stipatissimi
,
cominciasse
a
stagnare
quella
vita
infetta
,
che
è
come
il
miasma
di
tutte
le
carceri
e
luoghi
di
deportazione
.
Sentinelle
e
sorveglianti
impedivano
quasi
sempre
di
raggiungere
le
latrine
.
Il
proposito
di
umiliare
,
di
deprimere
,
di
ridurre
quella
gente
a
stracci
umani
,
senza
più
una
volontà
,
quasi
senza
più
rispetto
di
se
stessi
,
fu
subito
evidente
.
Forse
i
tedeschi
non
si
aspettavano
un
tosi
completo
successo
.
L
'
abbondanza
del
materiale
rastrellato
superò
le
previsioni
,
almeno
a
giudicare
dal
luogo
prescelto
per
ammassarlo
,
che
ben
presto
si
rivelò
insufficiente
.
E
bisognò
lasciare
sotto
il
porticato
gran
numero
di
persone
,
che
le
aule
non
potevano
più
contenere
.
Gli
uomini
più
ben
portanti
,
quelli
da
cui
c
'
era
da
temere
qualche
«
alzata
»
,
furono
messi
col
capo
volto
verso
il
muro
,
che
è
l
'
ormai
classica
posizione
,
umiliante
e
intimidatrice
,
inventata
dai
nazi
fin
dalle
prime
persecuzioni
contro
gli
ebrei
.
Se
qualche
bambino
si
provava
a
giocare
,
le
sentinelle
intimavano
alla
madre
di
farlo
smettere
,
con
la
solita
minaccia
di
fucilazione
.
Fu
stesa
qualche
branda
di
paglia
,
e
dato
l
'
ordine
di
sdraiarvisi
.
Nella
notte
due
donne
furono
prese
dalle
doglie
.
I
medici
italiani
diagnosticarono
in
entrambi
i
casi
dei
parti
difficili
,
che
richiedevano
l
'
intervento
.
La
clinica
,
per
quelle
donne
,
sarebbe
stata
la
via
della
libertà
.
Ma
i
tedeschi
non
consentirono
il
trasporto
,
e
i
due
neonati
aprirono
gli
occhi
sulle
tenebre
di
quel
malaugurato
cortile
.
Quali
nomi
saranno
stati
dati
a
questi
due
primogeniti
di
una
nuova
schiavitú
di
Babilonia
?
(
Gheresciòm
aveva
chiamato
Mosè
il
figlio
della
servitú
,
«
pellegrino
in
terra
straniera
»
,
natogli
da
Sipporà
,
ma
i
due
nati
di
quella
notte
senza
Mosè
erano
pellegrini
verso
le
camere
dei
gas
.
)
Si
ottenne
invece
di
operare
in
ospedale
un
ragazzo
che
presentava
un
ascesso
suppurato
.
Ma
i
tedeschi
rimasero
presenti
all
'
atto
chirurgico
e
,
subito
che
fu
terminato
,
si
ripresero
il
ragazzo
.
Così
trascorsero
la
notte
del
sabato
,
la
giornata
della
domenica
,
la
notte
della
domenica
.
In
città
e
nel
Ghetto
si
era
intanto
saputo
dove
gli
sciagurati
erano
stati
condotti
.
I
parenti
,
spacciandosi
per
amici
«
ariani
»
,
giunsero
alle
porte
del
Collegio
,
consegnarono
viveri
e
biglietti
per
i
reclusi
,
ma
non
seppero
mai
se
quei
conforti
fossero
arrivati
a
destinazione
.
Verso
l
'
alba
del
lunedì
,
i
razziati
furono
messi
su
autofurgoni
e
condotti
alla
stazione
di
Roma
Tiburtino
,
dove
li
stivarono
su
carri
bestiame
,
che
per
tutta
la
mattina
rimasero
su
un
binario
morto
.
Una
ventina
di
tedeschi
armati
impedivano
a
chiunque
di
avvicinarsi
al
convoglio
.
Alle
ore
13,30
il
treno
fu
dato
in
consegna
.
al
macchinista
Quirino
Zazza
.
Costui
apprese
quasi
subito
che
nei
carri
bestiame
«
erano
racchiusi
»
-
-
così
si
esprime
una
sua
relazione
-
-
«
numerosi
borghesi
promiscui
per
sesso
e
per
età
,
che
poi
gli
risultarono
appartenere
a
razza
ebraica
»
.
Il
treno
si
mosse
alle
14
.
Una
giovane
che
veniva
da
Milano
per
raggiungere
i
suoi
parenti
a
Roma
,
racconta
che
a
Fara
Sabina
(
ma
più
probabilmente
a
Orte
)
incrociò
il
«
treno
piombato
»
,
da
cui
uscivano
voci
di
purgatorio
.
Di
là
dalla
grata
di
uno
dei
carri
,
le
parve
di
riconoscere
il
viso
di
una
bambina
sua
parente
.
Tentò
di
chiamarla
,
ma
un
altro
viso
si
avvicinò
alla
grata
,
e
le
accennò
di
tacere
.
Questo
invito
al
silenzio
,
a
non
tentare
più
di
rimetterli
nel
consorzio
umano
,
è
l
'
ultima
parola
,
l
'
ultimo
segno
di
vita
che
ci
sia
giunto
da
loro
.
Nei
pressi
di
Orte
,
il
treno
trovò
un
semaforo
chiuso
e
dovette
fermarsi
per
una
diecina
di
minuti
.
«
A
richiesta
dei
viaggiatori
invagonati
»
-
-
è
ancora
il
macchinista
che
parla
-
-
alcuni
carri
furono
sbloccati
perché
«
chi
ne
avesse
bisogno
fosse
andato
per
le
funzioni
corporali
»
.
Si
verificarono
alcuni
tentativi
di
fuga
,
subito
repressi
con
una
nutrita
sparatoria
.
A
Chiusi
,
altra
breve
fermata
,
per
scaricare
il
cadavere
di
una
vecchia
,
deceduta
durante
il
viaggio
.
A
Firenze
il
signor
Zazza
smonta
,
senza
essere
riuscito
a
parlare
con
nessuno
di
coloro
a
cui
aveva
fatto
percorrere
la
prima
tappa
verso
la
deportazione
.
Cambiato
il
personale
di
servizio
,
il
treno
proseguì
per
Bologna
.
Né
il
Vaticano
,
né
la
Croce
Rossa
,
né
la
Svizzera
,
né
altri
Stati
neutrali
sono
riusciti
ad
avere
notizie
dei
deportati
.
Si
calcola
che
solo
quelli
del
16
ottobre
ammontino
a
più
di
mille
,
ma
certamente
la
cifra
è
inferiore
al
vero
,
perché
molte
famiglie
furono
portate
via
al
completo
,
senza
che
lasciassero
traccia
di
sé
,
né
parenti
o
amici
che
ne
potessero
segnalare
la
scomparsa
.
novembre
,
1944
StampaPeriodica ,
Verso
la
fine
del
quattrocento
grande
era
il
disordine
in
cui
s
'
aggirava
il
concetto
della
lingua
nostra
e
delle
lettere
,
che
da
un
lato
erano
declinanti
,
dall
'
altro
sentivano
se
stesse
per
anche
non
bene
mature
.
Da
noi
si
chiama
buon
secolo
della
lingua
nostra
quello
di
Dante
o
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
;
ma
gli
scrittori
in
quella
età
non
ebbero
tanta
fiducia
di
se
stessi
né
tanta
superbia
.
Il
che
si
dimostra
in
primo
luogo
dal
disputare
che
si
fece
subito
intorno
alla
lingua
,
la
quale
avendo
taccia
,
di
bassezza
non
era
,
autorevole
bastantemente
sulla
nazione
;
era
un
dialetto
venuto
su
quando
una
spinta
maravigliosa
fu
data
agli
ingegni
,
ma
senza
corredo
di
scienza
bastante
.
Sentìano
mancare
all
'
efficacia
della
lingua
l
'
arte
del
dire
;
in
quella
età
noi
cerchiamo
la
potenza
della
parola
e
della
frase
,
ma
non
vi
troviamo
bastante
evidenza
dei
costrutti
,
e
l
'
orditura
dei
periodi
si
dimostra
per
lo
più
timida
o
intralciata
.
Questo
sentivano
gli
scrittori
,
massimamente
poi
quando
ebbero
assaggiato
gli
autori
latini
:
Filippo
Villani
(
nel
Proemio
)
tace
di
Giovanni
,
e
di
Matteo
suo
padre
dice
avere
egli
usato
«
lo
stile
che
a
lui
fu
possibile
;
apparecchiando
materia
a
più
dilicati
ingegni
d
'
usare
più
felice
e
più
alto
stile
»
.
Né
avrebbe
il
Boccaccio
al
nostro
idioma
fatto
la
violenza
ch
'
egli
fece
,
so
non
avesse
egli
nella
prosa
creduto
trovarlo
come
giacente
e
da
cercare
altrove
i
modi
e
le
forme
a
dargli
grandezza
.
Le
varie
parti
della
coltura
non
avendo
le
uno
con
lo
altre
avuto
in
Italia
proporzione
sufficiente
,
quei
primi
sommi
parve
,
si
alzassero
come
giganti
per
virtù
propria
,
dopo
sé
lasciando
un
intervallo
per
cui
le
lettere
cominciassero
un
altro
corso
dove
i
primi
gradi
già
fossero
stati
con
inverso
ordine
preoccupati
.
Il
che
nelle
arti
belle
non
avvenne
,
e
quindi
poterono
esse
regolatamente
salire
alla
loro
perfezione
:
ma
le
lettere
invece
di
Giotto
ebbero
subito
Michelangelo
,
terrore
agli
altri
piuttosto
che
guida
;
ed
il
Boccaccio
avendo
trovato
la
lingua
già
bene
adulta
ma
inesperta
,
la
fece
andare
per
mala
via
:
il
solo
Petrarca
più
degli
altri
fortunato
,
lasciò
dietro
sé
lunga
e
prospera
discendenza
.
Avvenne
per
questa
mala
sorte
che
la
lingua
innanzi
di
farsi
e
di
tenersi
donna
e
madonna
come
si
conveniva
a
tali
uomini
ed
a
tale
popolo
,
non
bene
osasse
distaccarsi
dal
latino
che
stava
siccome
suo
legittimo
signore
,
talché
all
'
italiano
si
diede
per
grazia
l
'
umile
titolo
di
volgare
.
Né
questa
ignobile
appellazione
cessava
col
volger
dei
tempi
,
le
traduzioni
dal
latino
s
'
intitolavano
volgarizzamenti
ed
anche
oggi
quel
che
si
scrive
da
noi
letterati
diciamo
scrivere
in
volgare
,
Dio
ce
lo
perdoni
.
Ma
quando
pei
cercatori
dei
libri
classci
il
latino
fu
ogni
cosa
,
e
chi
non
facesse
di
quello
il
suo
unico
studio
ebbe
nome
d
'
uomo
senza
lettere
;
allora
alla
lingua
stata
compagna
,
dei
loro
affetti
mandarono
i
dotti
il
libello
del
ripudio
,
anzi
fu
cacciata
via
come
la
serva
quando
torna
la
matrona
.
Sarebbe
al
Poggio
ed
ai
suo
pari
sembrato
vergogna
scrivere
italiano
,
onde
egli
scriveva
latine
le
Istorie
dei
tempi
suoi
e
le
Lettere
e
perfino
le
Facezie
.
I
poveri
scritti
di
chi
aveva
narrato
le
cose
come
le
aveva
fatte
,
si
traducevano
in
latino
perché
si
acquistassero
un
poco
di
stima
.
Né
Pico
Della
Mirandola
fu
il
primo
che
dicesse
mancare
le
cose
al
Petrarca
e
a
Dante
le
parole
;
questi
era
stato
già
tempo
innanzi
vituperato
come
sciupatore
del
bello
classico
da
Niccolò
Niccoli
erudito
raccoglitore
di
vecchi
libri
,
che
lui
chiamava
(
così
almeno
lo
fanno
parlare
)
«
poeta
da
fornai
e
da
calzolaj
»
,
perché
non
seppe
né
bene
intendere
Virgilio
né
avviarsegli
dietro
pei
compi
floridi
della
poesia
(
Leonardi
Aretini
Dialog
.
I
Ad
Petrum
Istrum
.
Fu
già
stampato
a
Basilea
,
ed
è
manoscritto
nella
Laurenziana
)
.
Più
tardi
Cristoforo
Landino
,
che
fra
tutti
difese
la
lingua
toscana
e
la
usava
felicemente
,
sentenziò
pure
«
ch
era
mestieri
essere
latino
chi
vuole
essere
buono
toscano
»
(
Orazione
di
Cristoforo
Landino
,
Firenze
,
1853
)
.
Encomia
l
'
industria
che
Leon
Battista
Alberti
pose
a
trasferire
in
noi
l
'
eloquenza
dei
latini
;
né
certo
si
vuole
togliere
merito
a
siffatto
uomo
,
né
a
Matteo
Palmieri
né
ad
altri
lodati
con
lui
:
ma
fatto
è
poi
che
seguitare
nell
'
italiano
le
norme
latine
come
essi
fecero
,
tolse
loro
di
essere
letti
mai
popolarmente
,
così
che
si
giacquero
per
lungo
tempo
come
dimenticati
,
ed
oggi
guardandoli
a
fine
di
studio
ne
pare
di
leggere
una
lingua
morta
.
Cotesti
almeno
erano
uomini
educati
ai
buoni
studi
:
ve
n
'
erano
altri
d
'
ingegno
più
rozzo
,
i
quali
per
volere
essere
eloquenti
in
verso
ed
in
prosa
,
cercando
norme
all
'
italiano
fuori
di
se
stesso
,
facevano
certi
pasticci
di
lingua
,
né
latina
né
volgare
,
la
quale
usciva
come
per
singhiozzi
,
che
Dio
ce
ne
scampi
;
di
che
strani
esempi
potrei
allegare
se
fosse
qui
luogo
.
Ma
vale
fra
tutti
quello
di
Giovanni
Cavalcanti
,
autore
di
Storie
fiorentine
a
mezzo
il
quattrocento
:
non
fu
senza
ingegno
,
e
dove
narrando
le
cose
interne
della
repubblica
descrive
gli
umori
o
riferisce
i
parlari
dei
cittadini
,
dice
il
fatto
suo
con
evidenza
sovente
felice
;
ma
,
quando
vuol
essere
ornato
o
facondo
e
soprattutto
nelle
descrizioni
,
tenendo
dietro
agli
esempi
dei
latini
non
bene
letti
o
non
bene
intesi
,
diventa
oltremodo
fastidioso
per
lungaggini
e
peggio
ancora
per
l
'
ambizione
dei
falsi
colori
:
costui
che
avrebbe
potuto
essere
buon
cronista
,
fu
dall
'
abuso
dei
precetti
che
allora
correvano
condotto
ad
essere
malo
istorico
.
Così
andarono
le
cose
nella
repubblica
delle
lettere
fino
a
Lorenzo
dei
Medici
e
al
Poliziano
;
questi
certamente
mostrò
nelle
Stanze
scritte
da
lui
a
venticinque
anni
e
poi
non
finite
,
una
squisita
forma
di
poesia
che
annunziava
già
i
tempi
nuovi
di
cui
può
dirsi
prima
e
gentile
apparizione
.
Cionondimeno
quell
'
uomo
stesso
faceva
latini
poi
finché
visse
i
versi
e
le
prose
fino
al
racconto
della
Congiura
dei
Pazzi
,
fatto
domestico
e
tremendo
al
quale
era
stato
in
mezzo
e
che
tante
passioni
doveva
destargli
nell
'
animo
.
Nella
poesia
il
Poliziano
pareva
trovarsi
più
in
casa
sua
quando
scriveva
latino
:
più
imitatore
in
quelle
stanze
di
fina
bellezza
che
s
'
era
arrischiato
egli
a
scrivere
italiane
.
Lorenzo
dei
Medici
si
scusa
d
'
avere
in
lingua
volgare
commentato
i
suoi
Sonetti
,
tale
quale
come
Dante
se
n
'
era
scusato
dugent
'
anni
prima
.
Ma
nulla
dunque
si
era
fatto
in
quei
dugent
'
anni
quanto
all
'
uso
della
nostra
lingua
?
S
'
era
fatto
molto
ed
ogni
giorno
si
faceva
;
ma
il
male
stava
in
ciò
che
tale
uso
procedeva
bipartito
,
essendo
pel
naturale
andamento
suo
più
cólto
nei
popoli
ma
insieme
più
guasto
nei
libri
.
Un
assai
grande
numero
di
lettere
scritte
nel
quattrocento
furono
in
questi
anni
pubblicate
,
e
ne
abbiamo
noi
vedute
molte
manoscritte
;
e
molte
tratte
dagli
Archivi
di
Firenze
sono
allegate
nel
grande
Vocabolario
.
Ora
le
lettere
familiari
danno
sempre
l
'
espressione
più
naturale
e
più
immediata
del
vivo
parlare
,
e
chi
le
raffrontiad
altre
più
antiche
le
troverà
scritte
in
modo
che
annunzia
lingua
più
adulta
e
più
conforme
a
quella
che
poi
fu
la
moderna
italiana
lingua
.
Ma
nei
libri
stessi
umili
in
quel
secolo
,
sebbene
pallido
ne
sia
lo
stile
,
pure
il
discorso
procedeva
meglio
ordinato
e
più
finito
e
più
somigliante
ed
acuto
già
fatto
;
ma
non
però
bello
quanto
promettevano
le
grazie
e
il
fuoco
delle
età
prime
.
Io
pure
grido
,
studiamo
il
trecento
,
secolo
che
aveva
in
sé
certamente
quella
potenza
che
più
non
ebbe
la
lingua
nostra
;
ma
vero
è
poi
che
di
tutte
le
nazioni
gli
antichi
scrittori
si
riveriscono
come
vecchi
intanto
che
si
amano
come
fanciulli
;
si
ammirano
per
la
ingenuità
loro
e
per
la
forza
,
ma
non
si
saprebbe
né
si
vorrebbe
per
l
'
appunto
scrivere
a
quel
modo
.
Tuttociò
avviene
sempre
e
dappertutto
;
ma
fu
a
noi
tristo
privilegio
che
la
lingua
o
si
dovesse
o
si
credesse
dovere
attingere
dal
trecento
,
quasiché
in
essa
il
corso
del
tempo
facesse
il
vuoto
o
altro
non
avesse
fatto
che
guastarla
.
Negli
ultimi
anni
del
quattrocento
aveva
la
lingua
dunque
per
se
medesima
progredito
quanto
a
una
struttura
più
regolare
,
ma
dall
'
essere
usata
poco
e
trascuratamente
nei
libri
,
pareva
e
anche
oggi
a
noi
pare
,
in
fatto
essere
decaduta
da
ciò
che
ella
era
nel
secolo
precedente
.
Lorenzo
de
'
Medici
,
il
Landino
ed
altri
dicono
spesso
alla
lingua
nostra
essere
mancati
gli
uomini
e
lo
stile
di
chi
la
usasse
;
il
che
fu
vero
quanto
allo
scriverla
come
abbiamo
qui
sopra
notato
;
ma
fu
anche
vero
quanto
al
parlare
questa
lingua
in
modo
che
fosse
norma
ed
esempio
agli
scrittori
:
su
questo
punto
conviene
ora
,
un
poco
fermarsi
.
Mi
sovviene
avere
una
volta
udito
il
Foscolo
dire
nell
'
impeto
del
discorso
che
«
la
lingua
nostra
non
era
stata
mai
parlata
»
nella
quale
enfasi
di
parola
pare
a
me
stesse
il
germe
di
un
vero
che
ora
si
svolge
sotto
agli
occhi
nostri
.
Ma
il
campo
non
era
libero
a
quel
tempo
,
e
si
disputava
chi
avesse
ragione
se
il
Cesari
purista
,
o
il
Cesarotti
licenzioso
,
o
il
Perticari
con
quella
sua
lingua
che
stava
per
aria
.
Oggi
il
Manzoni
sgombrando
quel
campo
ha
dato
a
noi
terreno
fermo
col
fare
consistere
nell
uso
ogni
cosa
:
né
chi
voglia
uscire
da
quella
dottrina
può
stare
sul
vero
.
Ma
se
a
dire
lingua
si
dice
qualcosa
fuori
d
'
iena
,
semplice
nomenclatura
,
e
se
invece
si
tenga
essere
l
espressione
di
tutto
il
pensare
d
'
un
popolo
colto
,
certo
è
che
gli
usi
di
questa
lingua
sono
diversi
(
quanto
diverse
le
relazioni
cui
deve
servire
;
e
che
in
ciascuna
,
oltre
all
'
essere
disuguale
il
numero
delle
parole
che
si
adoprano
,
varia
è
anche
la
scelta
di
queste
parole
:
al
che
si
aggiunga
(
e
ciò
è
capitale
)
che
oltre
alle
parole
,
le
frasi
e
il
giro
e
i
collocamenti
di
esse
o
la
contestura
del
periodo
ed
in
certi
suoi
elementi
la
forma
di
tutto
il
discorso
che
sempre
ha
del
proprio
e
del
distinto
in
ogni
nazione
,
tutte
queste
cose
fanno
insieme
la
lingua
di
quella
nazione
.
So
che
la
lingua
in
tal
modo
intesa
dovrebbe
piuttosto
chiamarsi
linguaggio
,
ma
so
che
a
distinguere
con
secco
rigore
l
'
una
dall
'
altra
,
queste
due
parole
,
starebbe
la
lingua
tutta
intera
nei
vocabolari
dov
'
ella
si
giace
come
cosa
morta
.
Sotto
questo
aspetto
bisogna
pur
dire
che
la
lingua
che
si
parla
differisce
in
molte
sue
forme
dalla
lingua
che
si
scrive
,
secondo
che
variano
parlando
o
scrivendo
gli
intendimenti
,
le
volontà
ed
in
qualche
modo
lo
stato
degli
animi
in
chi
mette
fuori
il
suo
pensiero
,
e
in
chi
lo
ascolta
presente
o
deve
poi
da
sé
leggerlo
sulla
carta
.
Per
esempio
,
nella
rapidità
del
discorso
familiare
non
sempre
avviene
fare
periodi
che
stieno
in
gambe
come
suol
dirsi
,
perché
in
tal
caso
alla
intelligenza
molti
aiuti
provvedono
,
e
la
parola
come
alterata
da
una
concitazione
d
'
affetti
ne
diventa
spesso
più
efficace
.
Chiaro
esprimeva
questo
pensiero
Giovan
Battista
Gelli
nella
Prefazione
d
'
una
sua
Commedia
stampata
in
Firenze
l
'
anno
1550
:
«
Altra
lingua
è
quella
che
si
scrive
ne
le
cose
alte
e
leggiadre
,
e
altra
è
quella
che
si
parla
familiarmente
;
sì
che
non
sia
alcuno
che
creda
che
quella
nella
quale
scrisse
Tullio
,
sia
quella
che
egli
par
-
lava
giornalmente
»
,
questo
dice
il
Gelli
,
né
intendevano
del
comun
parlare
coloro
che
innanzi
di
lui
scrivevano
essere
mancati
gli
uomini
alla
lingua
(
Landino
,
Proemio
al
Commento
sulla
Divina
Commedia
)
Ma
se
poi
si
guardi
non
più
al
discorso
familiare
,
sibbene
a
quello
di
chi
parla
solo
ed
a
bell
'
agio
e
non
interrotto
,
in
faccia
ad
un
pubblico
o
ad
una
qualsiasi
radunanza
;
allora
il
linguaggio
s
'
avvicina
molto
allo
scrivere
,
di
cui
ben
fu
detto
non
essere
altro
che
un
pensato
parlare
:
nondimeno
chi
ponga
mente
per
non
dire
altro
al
tempo
elle
mette
generalmente
più
lungo
in
questo
pensare
l
'
uomo
che
scrive
di
colui
che
parla
,
non
che
al
discorso
che
n
'
esce
fuori
;
noterà
essere
delle
differenze
per
cui
la
parola
scritta
è
meno
viva
sempre
di
quella
ch
'
esce
parlando
quanto
mai
si
possa
pensatamente
.
Si
vede
nei
libri
quando
l
'
autore
poco
avvezzo
a
dire
le
cose
,
va
cercando
ed
esse
una
forma
che
si
adatti
ai
libri
:
nei
Greci
antichi
e
nei
Latini
ci
si
fa
innanzi
sempre
l
'
oratore
.
Imperocché
allo
scrivere
con
efficacia
è
grande
aiuto
l
'
uso
del
parlare
,
dove
uno
s
'
addestra
a
certo
artifizio
cui
più
di
rado
pervengono
le
scritture
,
dico
quella
distribuzione
sagace
di
concisione
e
di
abbondanza
e
di
facilità
e
di
sostenutezza
,
e
quei
colori
appropriati
a
'
luoghi
secondo
richiedono
i
varii
argomenti
e
le
diverse
parti
dell
'
orazione
:
s
'
imparano
queste
cose
dagli
effetti
che
in
altrui
produce
la
nostra
parola
.
Laonde
a
chi
scrive
manca
una
scuola
molto
essenziale
quando
egli
non
abbia
la
mente
già
instrutta
in
quelle
forme
per
cui
si
esprimono
parlando
le
cose
che
egli
vuole
scrivere
.
la
quale
mancanza
che
fu
in
Italia
,
dai
tempi
antichi
e
si
protrasse
poi
nei
moderni
,
ha
dato
spesso
ai
nostri
libri
certa
aridità
solenne
la
quale
ebbe
nome
di
stile
accademico
.
Da
questo
vizio
salvò
i
Francesi
la
conversazione
,
la
quale
fu
ad
essi
come
una
sorta
di
vita
pubblica
e
informò
lo
scrivere
in
ogni
qualsiasi
più
grave
argomento
;
talché
gli
scrittori
nel
tempo
medesimo
che
ne
acquistavano
maggior
vita
,
divennero
anche
più
facilmente
e
più
generalmente
popolari
,
così
da
esercitare
nella
lingua
qual
maestrato
il
quale
ha
bisogno
la
lingua
medesima
che
venga
dai
libri
.
Questa
,
sorta
di
maestrato
quale
si
sia
,
disse
tanto
bene
Vito
Fornari
in
un
recente
suo
libretto
,
chi
'
io
farei
torto
al
mio
concetto
se
non
lo
esprimessi
con
le
medesime
sue
parole
.
«
Se
egli
è
giusto
il
dire
che
il
linguaggio
non
istà
tutto
negli
scrittori
,
non
si
vorrà
per
questo
affermare
che
si
trovi
intero
fuori
degli
scrittori
.
Certi
fatti
mentali
,
e
certe
più
fine
relazioni
e
determinazioni
del
pensiero
,
non
si
vedono
distintamente
e
non
vengono
significate
,
se
non
quando
si
scrive
,
cosicché
alcuna
piccola
parte
de
'
vocaboli
o
molta
parte
de
'
modi
di
dire
o
de
'
costrutti
non
si
può
imparare
altrove
che
nelle
scritture
»
(
Lettera
stampata
nel
Propugnatore
,
Bologna
,
1869
)
.
Per
essere
in
questo
modo
imperfetta
la
lingua
nostra
poté
nel
secolo
di
cui
scriviamo
essere
accusata
«
di
viltà
e
non
capace
o
degna
di
alcuna
eccellente
materia
e
subietto
»
,
come
attesta
Lorenzo
de
'
Medici
in
quel
commento
del
quale
abbiamo
poc
'
anzi
discorso
.
Bene
egli
l
'
assolse
da
tale
accusa
,
con
argomenti
di
ragione
e
con
gli
esempi
di
Dante
e
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
.
Ma
quasi
non
fossero
per
sé
valevoli
quegli
esempi
,
afferma
al
suo
tempo
essere
la
lingua
«
tuttora
nella
adolescenza
perché
ognora
più
si
fa
elegante
e
gentile
.
E
potrebbe
facilmente
nella
gioventù
e
adulta
età
sua
venire
ancora
in
maggiore
perfezione
,
tanto
più
se
il
Fiorentino
impero
venisse
ad
ampliarsi
e
a
distendersi
maggiormente
»
(
Proemio
al
Commento
sulle
Canzoni
)
;
pensiero
nel
quale
stavano
adombrati
,
ma
certo
assai
timidamente
,
il
male
e
il
rimedio
.
Tali
erano
dunque
le
condizioni
di
questa
lingua
negli
ultimi
anni
del
quattrocento
;
l
'
abbiamo
veduta
per
l
'
andamento
suo
naturale
progredire
nelle
sue
più
familiari
ed
umili
forme
,
o
nella
opinione
dei
letterati
intanto
scadere
.
Ma
ricorrendo
ora
col
pensiero
per
tutto
quello
che
si
è
fin
qui
scritto
,
abbiamo
noi
ed
avrà
chi
legge
,
dovuto
accorgersi
che
il
discorso
nostro
non
v
'
era
mai
stato
caso
che
uscisse
fuori
dei
confini
della
Toscana
.
Di
ciò
cagione
fu
la
mancanza
non
dirò
intera
ma
poco
meno
,
di
libri
o
scritture
in
lingua
italiana
usciti
dalle
altre
provincie
d
'
Italia
.
Volere
discernere
se
dalla
cultura
dei
primi
Toscani
uscisse
la
lingua
o
dalla
lingua
la
colture
,
somiglierebbe
troppo
l
'
antica
lite
di
precedenza
che
fu
tra
l
'
ovo
e
la
gallina
;
poiché
la
lingua
essendo
una
materiale
determinazione
dei
pensieri
e
degli
affetti
che
si
produssero
dentro
a
quel
popolo
che
la
forma
,
diviene
strumento
che
rende
capace
quel
popolo
a
nuove
produzioni
del
pensiero
e
a
viepiù
estendere
la
sua
coltura
.
Oltrediché
una
lingua
è
monca
e
dappoco
finch
'
ella
non
abbia
la
sua
finitezza
negli
usi
letterarii
,
cioè
finché
non
sia
capace
ad
esprimere
le
cose
pensate
fuori
del
continuo
uso
e
prima
ordinate
dalla
lenta
opera
degli
intelletti
,
finché
non
abbia
insomma
prodotto
dei
libri
.
Ciò
avvenne
in
Toscana
subito
dopo
al
1230
,
prima
di
quel
tempo
dovendosi
credere
non
bene
compita
questa
moderna
favella
come
Dante
la
chiamava
.
Ma
ebbe
ad
un
tratto
scrittori
in
buon
numero
,
e
si
cominciò
a
tradurre
in
lingua
volgare
gli
autori
latini
;
tanta
fiducia
ebbe
acquistata
allora
il
pensiero
in
quella
sua
nuova
e
giovane
forma
.
E
furono
gli
anni
nei
quali
Firenze
,
divenuta
possente
ad
un
tratto
,
si
rivendicava
in
libertà
,
fondava
una
repubblica
popolare
,
pigliava
in
Italia
egemonia
delle
città
guelfe
,
diveniva
maestra
delle
Arti
e
produceva
il
libro
di
Dante
.
La
lingua
latina
come
noi
l
'
abbiamo
era
il
portato
di
una
solenne
elaborazione
del
pensiero
la
quale
si
fece
dentro
a
Roma
stessa
,
sovrapponendosi
alla
forma
latina
che
aveva
quivi
il
parlare
dei
greco
-
italici
:
nata
nel
fôro
e
nel
Senato
o
già
sovrana
sul
Campidoglio
,
si
distendeva
per
tutta
Italia
come
lingua
insieme
politica
e
letteraria
;
discesa
quindi
nelle
Basiliche
dei
cristiani
,
divenne
propria
della
religione
.
Nacque
il
volgare
nel
modo
stesso
ma
con
effetti
dissomiglianti
dentro
ad
un
popolo
d
'
artisti
,
ed
ebbe
tosto
una
letteratura
che
per
due
secoli
manteneva
l
'
impronta
in
se
stessa
.
della
città
che
l
'
avea
formata
.
In
quella
stavano
per
due
secoli
tutte
le
lettere
italiane
;
ma
perché
s
'
intenda
come
le
altre
provincie
nulla
a
quel
moto
partecipassero
,
vorremmo
che
studi
maggiori
si
facessero
sopra
i
vari
dialetti
d
'
Italia
,
mostrando
per
quali
più
lenti
passi
si
conducessero
anch
'
essi
ad
avere
scrittori
che
fossero
da
contare
oggi
tra
gli
Italiani
.
Allora
si
vedrebbe
fino
a
qual
punto
ciò
conseguissero
per
via
d
'
imprestiti
sopra
i
libri
d
'
autori
toscani
,
ma
né
potevano
questo
fare
né
il
farlo
sarebbe
stato
sufficiente
finché
i
dialetti
più
inferiori
avessero
tutta
serbata
l
'
antica
loro
povertà
.
E
rozzezza
.
Era
il
toscano
in
fine
dei
conti
un
italiano
più
compiuto
e
più
determinato
,
più
omogeneo
in
se
stesso
e
più
latino
,
perché
il
parlare
dell
'
antica
plebe
a
questo
più
affine
,
aveva
,
in
se
stesso
trovato
la
forma
della
lingua
nuova
a
cui
si
era
più
presto
condotto
.
Nello
altre
provincie
più
era
da
fare
,
e
quello
che
si
fece
,
rimase
dialetto
perché
le
misture
avevano
in
sé
troppo
forti
discordanze
;
i
suoni
,
gli
accenti
sempre
non
erano
italiani
.
A
mezzo
il
dugento
uno
scrittore
pugliese
Matteo
Spinelli
da
Giovinazzo
,
avrebbe
prima
dal
Malespini
in
una
sua
Cronaca
mostrato
esempio
di
lingua
italiana
che
poi
rimaneva
lungamente
solitario
.
Né
un
tale
fatto
io
seppi
mai
come
spiegarmi
:
se
non
che
adesso
da
un
erudito
tedesco
viene
accertato
,
la
Cronaca
del
pugliese
non
essere
altro
che
una
falsificazione
fatta
tre
secoli
dopo
;
il
che
era
facile
sospettare
dal
dettato
corrente
più
che
non
sia
quello
dell
'
ispido
Malespini
,
e
dove
si
scorge
sopra
una
forma
tutta
moderna
spruzzate
parole
e
desinenza
napoletane
da
chi
a
quel
gioco
s
'
era
dilettato
(
Bernardi
,
Dissertazione
,
ecc
.
,
Berlino
,
1868
)
.
Gran
tempo
corse
prima
e
uscissero
da
quello
provincie
e
meno
ancora
dalle
settentrionali
,
libi
di
prosa
scritti
in
una
lingua
la
quale
non
fosse
come
rinchiusa
nel
natio
dialetto
.
Ne
abbiamo
esempio
in
quella
vita
di
Cola
di
Rienzo
la
quale
fu
scritta
dal
romano
Fortifiocca
dopo
alla
metà
del
trecento
.
Qui
perché
siamo
nella
Italia
media
,
la
penna
corre
facile
e
sciolta
;
ma
tanto
è
ivi
del
romanesco
,
tanto
le
alterazioni
dei
suoni
e
quelle
che
a
tutto
il
resto
d
'
Italia
infino
d
'
allora
comparivano
brutture
,
da
porre
quel
libro
fuori
del
registro
dei
libri
italiani
.
Quanto
alle
letterefamiliari
un
maggiore
studio
sarebbe
da
farne
secondo
i
tempi
e
le
provincie
,
ma
,
per
via
d
'
esempio
,
quelle
clic
abbiamo
degli
Sforza
irte
e
stentate
,
fanno
contrasto
alle
bellissime
elle
allora
e
prima
scrivevano
l
'
Albizi
e
altri
Commissari
fiorentini
(
Commissioni
di
Rinaldo
degli
Albizzi
,
vol
.
I
,
2
,
Firenze
.
Il
terzo
è
in
corso
di
stampa
)
Le
cronache
in
lingua
italiana
ma
di
autori
non
toscani
che
si
hanno
dalla
metà
,
del
XIV
fino
verso
la
fine
del
XV
secolo
nulla
c
insegnano
di
quello
che
importi
al
nostro
proposito
,
perché
il
Muratori
che
lo
pubblicava
badando
ai
fatti
e
non
volendo
ml
oscurarli
con
le
rozzezze
dei
dialetti
,
né
tener
dietro
alle
ignoranze
dei
copisti
,
tradusse
(
com
'
egli
accennava
nelle
prefazioni
)
coteste
Cronache
nella
lingua
comune
al
suo
tempo
.
Generalmente
però
è
da
notare
che
appartengono
all
'
Italia
media
o
alla
Venezia
,
poche
estendendosi
verso
il
mezzogiorno
:
in
quelle
provincie
la
lingua
italiana
si
era
formata
più
(
l
'
accordo
con
se
stessa
per
la
maggiore
affinità
che
era
tra
'
popoli
primitivi
,
e
poté
quindi
salire
al
grado
di
lingua
scritta
più
presto
che
non
potessero
quelle
dov
'
erano
popoli
usciti
di
razza
celtica
od
iberica
.
Lo
versioni
dei
romanzi
di
cavalleria
generalmente
scritti
in
lingua
francese
,
dovrebbe
cercarsi
se
alle
volte
non
appartenessero
ai
luoghi
dov
'
ebbe
maggiore
entrata
questo
idioma
.
Tutto
ciò
vorrei
che
gli
eruditi
ci
dichiarassero
,
pigliando
esempio
dalla
non
mai
infingarda
curiosità
degli
uomini
tedeschi
.
Ma
si
tenga
a
monte
come
tra
l
'
uso
della
poesia
e
quello
della
prosa
le
cose
andassero
in
modo
diverso
.
La
poesia
lirica
fu
italiana
dai
suoi
primordi
e
si
mantenne
:
da
Ciullo
d
'
Alcamo
siciliano
al
Guinicelli
bolognese
ed
al
Petrarca
un
andamento
sempre
uniforme
la
conduceva
fino
al
sommo
della
perfezione
per
una
via
che
rimase
sempre
l
'
istessa
nel
corso
dei
secoli
.
Emancipatasi
dal
latino
prima
della
prosa
,
fa
in
essa
più
certo
l
'
uso
della
lingua
ed
ebbe
consenso
che
l
'
altra
non
ebbe
:
quindi
noi
troviamo
che
in
sulla
fine
del
quattrocento
v
'
era
una
lingua
nazionale
della
poesia
,
che
nulla
ha
per
noi
né
d
'
antiquato
né
di
provinciale
;
il
che
non
può
dirsi
dei
libri
di
prosa
.
Ma
quello
era
il
tempo
nel
quale
in
Europa
non
che
in
Italia
pareano
le
cose
pigliare
un
essere
tutto
nuovo
;
ciascuna
nazione
d
'
allora
in
poi
ebbe
la
propria
sua
lingua
più
o
meno
perfetta
,
ma
in
tutto
recata
a
foggia
moderna
.
Era
un
procedere
naturale
,
ma
che
in
Italia
più
vivo
che
altrove
,
doveva
estendersi
dappertutto
:
le
minori
città
meno
chiuse
in
se
medesime
poiché
avevano
perduto
ciascuna
,
la
fiera
indipendenza
municipale
,
si
aggregavano
alle
grandi
,
e
l
'
una
con
l
'
altra
più
si
mescolavano
;
la
vita
più
agiata
voleva
relazioni
più
frequenti
,
gli
Stati
col
farsi
più
vasti
creavano
nuovi
centri
di
cultura
,
le
corti
ambivano
essere
accademie
.
Intanto
lo
studio
classico
diffuso
per
tutta
l
'
Italia
valeva
molto
a
correggere
quei
volgari
ch
'
erano
rimasti
infino
allora
meno
latini
;
dal
fondo
di
ciascun
dialetto
cavava
lo
studio
dei
libri
classici
una
forma
,
la
quale
applicata
all
'
uso
colto
di
quei
dialetti
,
faceva
quest
uso
naturalmente
essere
più
italiano
e
più
capace
di
trarre
a
sé
quella
finitezza
che
prima
avevano
acquistata
i
soli
libri
dei
Toscani
:
venivano
i
suoni
a
farsi
più
molli
,
più
agevole
certa
speditezza
di
costrutti
;
molte
proprietà
di
lingua
che
i
Toscani
avevano
appreso
dall
'
uso
antico
tra
loro
,
gli
altri
imparavano
dal
latino
.
Notava
sapientemente
il
Tommaseo
come
le
etimologie
sieno
più
assai
che
non
si
crederebbe
mantenute
dall
'
uso
del
popolo
non
che
da
quello
dei
grandi
scrittori
:
ciò
era
in
Toscana
più
spesso
che
altrove
;
negli
altri
dialetti
gli
uomini
colti
le
ritrovavano
qualche
volta
per
lo
studio
dell
'
antico
latino
e
quindi
le
riconducevano
nei
libri
.
A
questo
modo
il
latino
ch
era
stato
impedimento
allo
scrivere
dei
Toscani
,
condusse
nelle
altre
provincie
i
dialetti
a
meglio
rendersi
italiani
.
In
questo
tempo
era
trovata
la
stampa
,
dal
che
la
parola
aveva
acquistato
come
un
nuovo
organo
a
diffondersi
.
In
tutti
i
tempi
fino
allora
ed
in
tutti
i
luoghi
chi
si
metteva
a
scrivere
un
libro
sapeva
bene
che
sarebbe
andato
in
mano
di
pochi
;
cercavano
quindi
il
loro
teatro
a
così
dire
nella
posterità
:
di
qui
è
che
i
libri
ne
uscivano
più
pensati
e
meno
curanti
di
essere
popolari
;
questo
vantaggio
hanno
i
libri
classici
e
quindi
più
servono
alla
disciplina
del
pensiero
.
Mia
lasciando
stare
queste
cose
,
gli
autori
toscani
,
eccetto
i
poeti
,
scrivevano
fino
allora
per
la
provincia
loro
,
né
credeano
essere
intesi
nelle
altre
:
quindi
è
che
i
libri
che
apparissero
meritevoli
venivano
tradotti
in
lingua
latina
per
dare
ad
essi
,
così
dicevano
,
maggiore
divulgazione
.
Quando
poi
si
cominciò
a
stampare
(
com
è
naturale
)
quei
libri
ch
erano
più
cercati
,
ebbe
il
Petrarca
la
prima
edizione
l
'
anno
1470
,
e
la
ebbe
il
Boccaccio
nel
tempo
medesimo
;
nel
1472
tre
non
delle
non
maggiori
città
d
'
Italia
si
onoravano
pubblicando
ciascuna
il
Poema
di
Dante
che
usciva
a
Napoli
poi
nel
1473
,
ed
aveva
ben
tosto
l
'
aggiunta
,
di
nuovi
commenti
,
ma
in
lingua
latina
.
D
'
altri
toscani
antichi
non
mi
pare
che
avesse
edizioni
in
quei
primi
anni
altri
che
il
Cavalca
sparsamente
per
l
'
Italia
ma
per
tutte
quasi
le
varie
sue
opere
;
e
oltre
lui
pochi
degli
ascetici
:
stamparono
questi
perché
erano
i
soli
elle
avessero
faina
allora
in
Italia
.
Nel
mentre
che
autori
delle
altre
provincie
pubblicavano
commentato
in
lingua
latina
il
libro
di
Dante
,
un
toscano
che
da
principio
soleva
scrivere
latina
ogni
cosa
,
Cristoforo
Landino
,
poneva
le
mani
a
stenderne
un
molto
ampio
commento
in
lingua
italiana
.
Di
già
i
vecchi
commentatori
del
trecento
pareano
a
lui
essere
un
poco
antiquati
ed
io
per
me
credo
che
senza
la
stampa
non
avrebbe
egli
pensato
un
lavoro
il
quale
intendeva
riuscisse
,
come
ora
si
direbbe
,
popolare
.
Lo
stesso
Landino
avea
pubblicato
l
'
anno
1476
una
versione
dell
'
Istoria
naturale
di
Plinio
,
dov
'
entra
un
numero
stragrande
di
voci
;
questa
ed
il
Commento
che
fu
stampato
nel
1481
io
credo
non
poco
servissero
agli
scrittori
tuttora
inesperti
che
ebbero
in
quei
libri
un
esemplare
di
lingua
vivente
ma
non
toscana
soverchiamente
,
perché
il
Landino
per
antico
abito
disdegnava
quei
modi
di
scrivere
che
a
lui
sapessero
di
plebeo
.
Nello
stesso
anno
1481
usciva
il
Morgante
di
Luigi
Pulci
,
e
insieme
i
tre
libri
non
poco
servirono
a
rendere
meglio
familiare
l
'
uso
dello
scrivere
in
lingua
comune
.
Imperocché
il
Pulci
che
sollevava
l
'
ottava
rima
dalla
pesantezza
del
Boccaccio
e
dalle
bassezze
degli
altri
,
scrittore
di
vena
copiosa
e
facile
,
ha
in
sé
qualcosa
quanto
alla
lingua
,
di
meglio
compito
nella
struttura
del
discorso
,
di
più
andante
nei
periodi
,
qualcosa
insomma
di
più
avanzato
e
più
universale
di
quello
che
fosse
generalmente
negli
autori
del
trecento
e
che
annunzia
maggiore
coltura
.
Lorenzo
de
'
Medici
e
Angiolo
Poliziano
ebbero
fama
e
non
del
tutto
immeritata
come
restauratori
del
buono
scrivere
italiano
.
Lorenzo
promosse
l
'
uso
di
questa
lingua
e
lo
difese
dandone
egli
stesso
in
verso
e
in
prosa
pregiati
esempi
.
Seguendo
il
genio
suo
nativo
che
lo
conduceva
bene
all
'
acquisto
della
grandezza
,
cercò
egli
essere
popolare
;
la
conversazione
lo
avea
formato
più
che
lo
studio
dei
libri
greci
e
de
'
latini
che
a
lui
erano
passatempo
:
si
atteneva
quindi
assai
di
buon
grado
all
'
uso
fiorentino
in
quelle
minori
poesie
,
le
quali
o
sacre
o
sollazzevoli
,
bramava
che
fossero
cantate
dal
popolo
;
facea
versi
anche
po
'
contadini
.
Per
tutto
questo
meritò
bene
della
lingua
più
ancora
che
non
facesse
il
classico
Poliziano
il
quale
insegnava
a
trarre
la
forma
della
poesia
italiana
dai
greci
autori
e
dai
latini
.
Finiva
il
secolo
,
e
la
lingua
toscana
pareva
che
già
s
'
avviasse
a
farsi
italiana
.
Alle
altre
provincie
secondo
che
divenivano
più
cólte
,
non
bastava
l
'
uso
di
quei
volgari
plebei
a
cui
rimase
nome
di
dialetti
;
perché
a
cotesto
uso
mancavano
spesso
non
che
le
voci
per
cui
si
esprimono
idee
non
pensate
dagli
uomini
rozzi
,
ma
più
ancora
le
frasi
o
locuzioni
e
il
giro
e
la
forma
di
quel
discorso
più
condensato
che
si
chiama
scelto
,
più
breve
e
rapido
perché
cerca
comprendere
un
maggior
numero
d
'
idee
;
forma
che
serve
generalmente
a
chi
si
mette
a
scrivere
un
libro
.
Non
so
che
i
dialetti
fossero
insegnati
nelle
scuole
,
né
che
si
pensasse
molto
a
coltivarli
come
lingua
letteraria
.
Ciò
tanto
è
vero
che
il
fare
libri
nel
dialetto
proprio
agli
autori
non
toscani
cominciò
tardi
e
fu
per
gioco
e
come
una
sorta
di
prova
non
tanto
facile
,
perché
lo
scrittore
deve
in
quel
suo
dialetto
cacciare
e
costringere
le
frasi
e
i
costrutti
ch
'
egli
era
solito
pigliare
da
un
uso
più
colto
e
più
universale
.
Ma
per
contrario
,
quando
nel
primo
tempo
l
'
autore
avvezzo
al
suo
dialetto
voleva
innalzarlo
fino
a
quella
lingua
,
ch
'
era
intesa
da
tutti
,
ne
aveva
in
sé
il
germe
che
la
coltura
vi
avea
già
posto
:
e
il
nuovo
processo
veniva
spontaneo
,
essendo
per
molta
parte
il
compimento
di
quell
'
antico
suo
parlare
.
È
stato
già
detto
che
a
scrivere
bene
in
lingua
italiana
,
la
meglio
è
cercarla
in
ciascuno
nel
fondo
del
suo
dialetto
,
perché
a
correggere
o
a
dirozzare
questo
si
vede
uscirne
fuori
quella
lingua
,
comune
di
cui
la
lingua
toscana
già
diede
agli
altri
dialetti
la
forma
e
che
n
'
è
il
fiore
e
la
perfezione
.
Ma
questi
dialetti
poiché
non
bastavano
a
quell
'
uso
più
ampio
e
più
scelto
,
chiunque
,
volesse
parlare
o
scrivere
in
tal
modo
,
non
poteva
pigliarne
le
forme
da
un
altro
dialetto
,
perché
non
s
'
intendono
questi
fra
loro
;
poteva
bene
da
quel
linguaggio
e
da
quell
'
uso
più
accettabile
universalmente
,
che
vivo
in
Toscana
corregge
da
per
tutto
i
plebei
parlari
perché
più
italiano
di
ciascuno
d
'
essi
.
Ciò
veramente
poteva
in
qualche
parte
dirsi
opera
di
traduzione
,
ma
non
di
quella
che
si
fa
pigliando
parole
e
forme
da
lingua
straniera
;
e
questo
fu
il
caso
di
quei
primi
non
toscani
,
i
quali
sul
finire
del
secolo
XV
cominciarono
a
scrivere
libri
in
lingua
toscana
.
Vorremmo
allegare
qui
alcuni
di
quelli
sparsi
documenti
che
a
noi
fu
lecito
di
raccogliere
da
varie
provincie
d
'
Italia
,
se
fosse
qui
luogo
a
minute
ricerche
o
se
quelle
che
abbiamo
fatte
ci
apparissero
comprendere
tutta
la
vasta
materia
.
Crediamo
però
che
i
pochi
esempi
sieno
conferma
di
quello
che
abbiamo
sopra
accennato
quanto
alla
difficoltà
che
avevano
maggiore
o
minore
le
altre
provincie
a
farsi
nello
scrivere
italiane
,
secondo
le
varie
qualità
delle
misture
ch
'
erano
entrate
in
ciascun
dialetto
.
Abbiamo
un
Testamento
politico
di
Ludovico
il
Moro
scritto
sulla
fine
del
quattrocento
in
lingua
milanese
che
vorrebb
'
essere
italiana
(
Documenti
di
storia
italiana
,
copiati
a
Parigi
da
G
.
Molini
,
tom
.
I
in
fine
)
;
e
nella
città
stessa
abbiamo
l
'
istoria
di
Bernardino
Corio
che
finisce
al
primo
entrare
del
secolo
susseguente
:
qui
sembra
il
dialetto
nascondersi
affatto
,
ma
lo
stile
duro
e
faticato
ha
proprio
l
aspetto
d
'
un
nuovo
e
non
sempre
felice
sforzo
che
l
'
autore
fece
usando
una
lingua
che
tutti
leggessero
.
Questa
,
e
l
'
istoria
napoletana
di
Pandolfo
Collenuccio
da
Pesaro
credo
sieno
i
primi
libri
dove
il
toscano
fosse
cercato
da
scrittori
non
toscani
:
il
Corio
di
molto
sopravanzò
l
'
altro
per
la
materia
,
ma
il
Pesarese
più
franco
e
sicuro
in
quanto
alla
lingua
,
scrive
anche
in
modo
assai
più
scorrevole
.
Generalmente
gli
uomini
più
meridionali
e
su
su
venendo
quelli
della
sponda
dell
'
Adriatico
,
si
erano
prima
fidati
più
degli
altri
al
natio
dialetto
così
da
usarlo
anche
nello
scrivere
.
I
Veneziani
,
etruschi
d
'
origine
,
come
hanno
dialetto
meno
degli
altri
discordante
,
così
lo
usarono
sebbene
con
qualche
temperamento
sino
al
finire
della
repubblica
nelle
arringhe
che
si
facevano
in
Senato
o
nella
sala
del
Gran
Consiglio
,
tanto
che
v
'
era
un
'
eloquenza
in
veneziano
,
quale
non
credo
che
fosse
nemmeno
in
Firenze
dove
il
Gran
Consiglio
durò
poco
e
prima
era
scarso
l
uso
del
parlare
in
modo
solenne
.
La
vita
e
la
lingua
qui
erano
nel
popolo
,
da
cui
venivano
come
a
scuola
gli
scrittori
quando
al
principio
del
cinquecento
l
'
urto
straniero
ci
ebbe
insegnato
a
rendere
cose
quanto
si
poteva
nazionali
,
la
vita
almeno
civile
e
la
lingua
.
Pochi
anni
prima
di
quel
tempo
Fra
Girolamo
Savonarola
venuto
giovane
da
Ferrara
dove
il
parlare
aveva
qualcosa
del
veneto
,
cominciò
in
Firenze
a
predicare
.
«
Da
principio
diceva
ti
e
mi
,
di
che
gli
altri
Frati
si
ridevano
»
(
Cambi
,
Storia
di
Firenze
,
anno
1498;
sta
nelle
Delizie
,
ecc
.
del
P
.
Ildefonso
)
.
Divenne
poi
grande
oratore
avendo
appreso
qui
la
correttezza
e
la
proprietà
della
favella
,
senza
mai
troppo
cercare
addentro
nell
'
uso
più
familiare
di
questo
popolo
Fiorentino
.
Dal
quale
poi
trasse
non
poco
un
altro
Ferrarese
,
l
'
Ariosto
,
ma
con
quel
fino
e
squisito
gusto
ch
'
era
a
lui
proprio
;
e
se
io
dovessi
dire
quali
autori
allora
o
poi
meglio
adoprassero
nelle
scritture
quell
'
idioma
che
solo
era
degno
di
essere
nazionale
,
porrei
senza
fallo
il
nome
dell
'
Ariosto
accanto
a
quelli
di
due
Toscani
,
che
sono
il
Berni
ed
il
Machiavelli
.
Lo
scrivere
andante
si
poteva
bene
imparare
anche
da
due
poeti
come
questi
,
perciò
infine
la
lingua
della
poesia
viene
dalla
lingua
della
prosa
,
di
cui
non
è
altro
che
un
uso
più
libero
.
Cosi
alla
fine
questo
volgare
che
aveva
data
ne
'
suoi
primordii
una
promessa
poco
attenuta
,
che
fu
negletto
per
oltre
un
secolo
,
o
rinnegato
da
chi
teneva
il
latino
essere
tuttavia
l
'
idioma
illustre
della
nazione
,
questo
volgare
divenne
allora
quel
che
non
era
ma
prima
stato
,
lingua
italiana
.
A
questo
effetto
andavano
tutte
insieme
le
cose
allora
in
Italia
:
già
la
coltura
diffondendosi
agguagliava
presso
a
poco
l
intera
nazione
ad
un
comune
livello
,
intantoché
le
armi
forestiere
distruggevano
in
un
con
le
forze
provinciali
e
cittadine
quanto
nei
piccoli
Stati
soleva
in
antico
essere
di
splendore
e
di
bellezza
;
l
'
idea
,
nazionale
che
allora
spuntava
cominciò
a
farsi
strada
nella
lingua
.
Ma
era
troppo
tardi
:
gli
ingegni
fiorivano
,
le
lettere
e
le
arti
toccavano
il
colmo
,
l
Italia
insegnava
alle
altre
nazioni
fino
alle
eleganze
e
alle
corruttele
della
vita
;
possedeva
una
esperienza
accumulata
d
uomini
e
di
cose
tale
che
una
piccola
città
italiana
aveva
in
corso
più
idee
che
non
fossero
allora
in
tutto
il
resto
d
'
Europa
;
di
scienza
politica
ve
n
'
era
anche
troppa
.
Ma
quando
poi
sopravvennero
i
tempi
duri
,
questo
tanto
sfoggiare
d
'
ingegni
non
approdò
a
nulla
,
perché
le
volontà
in
Italia
,
erano
o
guaste
o
consumate
dall
'
abuso
,
o
vôlte
a
male
.
Quegli
anni
che
diedero
i
grandi
scrittori
passarono
in
mezzo
a
guerre
straniere
dove
gli
Italiani
da
sé
nulla
fecero
,
nulla
impedirono
;
e
come
ne
uscisse
acconcia
l
'
Italia
non
occorre
dire
.
Dopo
le
guerre
o
dopo
i
primi
trent
'
anni
del
cinquecento
,
erano
i
tempi
ed
il
pensare
ed
il
sentire
di
questa
nazione
tanto
mutati
da
mostrare
il
vuoto
che
era
sotto
a
quella
civiltà
splendida
ma
incompiuta
;
da
quelli
anni
in
poi
calava
il
nostro
valore
specifico
(
se
dirlo
sia
lecito
)
,
e
il
nostro
livello
a
petto
alle
altre
nazioni
d
'
Europa
venne
a
discendere
ogni
giorno
.
Mancò
nel
pensiero
,
perché
era
mancato
prima
nella
vita
,
l
'
incitamento
ad
ogni
cosa
che
non
fosse
chiusa
dentro
ad
un
cerchio
molto
angusto
;
manco
la
fiducia
che
all
uomo
deriva
dall
aperto
consentire
insieme
di
molti
:
v
'
era
in
Italia
poco
da
fare
.
Né
ai
tanti
padroni
che
aveva
essa
dentro
andava
,
a
genio
che
si
facesse
,
ma
già
la
stanchezza
o
una
mala
sorta
d
'
incuranza
disperata
menavano
all
'
ozio
,
interrotto
solamente
da
quelle
passioni
che
non
hanno
scusa
nemmen
dal
motivo
;
la
conversazione
tra
gente
svogliata
o
avvilita
o
malcontenta
non
pigliava
vigore
né
ampiezza
dai
gravi
argomenti
;
i
libri
meno
che
per
l
innanzi
andavano
al
fondo
nelle
cose
della
vita
:
dice
il
Fornari
molto
bene
che
«
tra
'
letterati
e
lettori
non
v
'
era
in
Italia
quella
comunicazione
intima
e
piena
»
per
cui
la
vita
,
la
lingua
,
le
lettere
tra
loro
s
'
ajutano
.
Noi
crediamo
che
nei
libri
qualcosa
debba
essere
che
sia
imparata
fuori
dei
libri
,
perché
altrimenti
lo
scrivere
viene
quasi
a
pigliare
la
forma
d
'
un
gergo
necessariamente
arido
e
meno
efficace
,
da
cui
s
'
aliena
,
il
comune
dei
lettori
.
Ciò
avvenne
bentosto
in
Italia
,
e
fu
in
quel
tempo
quando
la
lingua
più
si
voleva
rendere
universale
e
n
'
era
essa
stessa
,
divenuta
più
capace
avendo
perdute
allora
le
asprezze
d
'
un
uso
ristretto
,
e
nel
diffondersi
la
coltura
avendo
acquistato
migliore
esercizio
nelle
arti
della
composizione
.
Ma
giusto
in
quel
tempo
questa
lingua
per
certi
rispetti
più
accuratamente
scritta
,
fu
meno
parlata
;
e
la
parola
meno
di
prima
fu
espressione
di
forti
pensieri
ed
autorevoli
e
accetti
a
molti
:
vennero
fuori
i
letterati
,
sparve
il
cittadino
;
scrivea
per
il
pubblico
chi
nella
,
vita
non
era
avvezzo
parlare
ad
altri
che
alla
sua
combriccola
:
quindi
l
'
eloquenza
cercò
appropriarsi
all
'
uso
delle
accademie
le
quali
erano
una
sorta
di
sparse
chiesuole
.
Mancò
alla
lingua
,
un
centro
comune
perché
mancava
alla
nazione
:
ne
avevano
entrambe
lo
stesso
bisogno
che
appunto
allora
cominciò
ad
essere
più
sentito
,
sebbene
in
modo
confuso
ed
incerto
;
nulla
si
poteva
quanto
alla
nazione
,
rimedii
alla
lingua
si
cercavano
in
più
modi
,
varii
,
discordanti
e
quasi
a
tentone
.
Un
snodo
semplice
vi
sarebbe
stato
,
ed
era
l
'
attingere
copiosamente
da
quel
dialetto
ch
'
era
il
più
finito
;
ma
questo
invece
di
tenere
sugli
altri
l
'
impero
,
vedeva
in
quel
tempo
scadere
non
poco
o
farsi
dubbia
,
l
'
autorità
sua
.
Al
solo
pregio
della
lingua
molti
sdegnavano
ubbidire
:
condizioni
tutte
differenti
sarebbonsi
allora
volute
in
Italia
perché
tante
voci
,
tante
locuzioni
,
tante
figure
con
l
acquistare
sanzione
solenne
potessero
farsi
moneta
corrente
pel
comune
uso
degli
scrittori
.
Avrebbe
la
sede
naturale
della
lingua
dovuto
almeno
stare
in
alto
cosicché
tutte
le
parti
d
'
Italia
a
quella
guardassero
,
e
che
al
toscano
fossero
toccate
lo
condizioni
dell
'
idioma
parigino
;
«
perché
il
toscano
(
dice
il
Manzoni
da
pari
suo
)
faceva
dei
discepoli
fuori
dei
suoi
confini
,
il
francese
si
creava
dei
sudditi
;
quello
era
offerto
,
questo
veniva
imposto
»
.
A
questo
modo
solamente
potea
l
'
ossequio
delle
altre
provincie
essere
necessario
o
inavvertito
,
perché
non
venissero
tra
'
letterati
a
sorgere
le
contese
che
nate
una
volta
non
hanno
mai
fine
.
Se
(
come
fu
detto
)
lo
stile
è
l
'
uomo
,
la
lingua
può
dirsi
che
sia
la
nazione
:
quindi
all
'
esservi
una
linguaggio
bisognava
,
ci
fosse
una
Italia
,
né
altrimenti
poteva
cessare
l
'
eterna
lagnanza
che
il
linguaggio
scritto
si
allontanasse
troppo
dai
modi
che
si
adoprano
favellando
;
né
bene
potesse
fare
sue
le
grazie
e
gli
ardimenti
del
volgar
nostro
,
il
quale
da
molti
ignorato
ebbe
anche
taccia
,
di
abbietto
e
triviale
(
Alcune
parole
di
questo
discorso
erano
scritte
fino
dal
1826
,
e
sono
stampate
negli
Atti
dell
Accademia
della
Crusca
)
.
Cotesta
accusa
molto
antica
tutti
parevano
confermare
contro
alla
povera
nostra
lingua
,
che
ci
avea
colpa
meno
di
tutti
.
Poco
badando
all
uso
vivo
,
nelle
scuole
di
lettere
insegnavano
per
tutta
Italia
dopo
ai
latini
quei
pochi
autori
toscani
che
allora
fossero
conosciuti
,
cercando
alla
meglio
di
mettere
insieme
su
questi
esemplari
una
sorta
di
linguaggio
comune
che
fosse
atto
alle
scritture
.
Un
letterato
molta
solenne
,
Gian
Giorgio
Trissino
da
Vicenza
,
poneva
in
credito
il
linguaggio
illustre
con
la
versione
da
lui
fatta
del
libro
De
Vulgari
Eloquio
;
Baldassarre
Castiglione
mantovano
,
uomo
e
scrittore
di
bella
fama
,
sebbene
dichiari
la
lingua
essere
una
consuetudine
,
biasima
l
'
andare
sulle
pedate
dei
toscani
sia
vecchi
,
sia
nuovi
:
sentenziò
il
Bembo
che
l
'
antica
lingua
stava
nel
Boccaccio
,
di
cui
gli
piacevano
le
grandi
cadenze
;
tutti
i
chiarissimi
dell
'
Italia
,
per
ben
tre
secoli
dopo
lui
accettarono
la
sentenza
.
Ma
della
comune
popolare
come
in
Firenze
si
parlava
e
si
scriveva
,
niuno
voleva
sapere
:
negli
anni
stessi
del
Bembo
,
cioè
verso
il
1530
,
Marino
Sanudo
scriveva
in
una
lettera
stampata
«
che
Leonardo
Aretino
trasse
(
l
'
Istoria
di
Firenze
)
da
un
Giovanni
Villani
il
quale
scrisse
in
lingua
rozza
,
toscana
»
(
Estratti
del
sig
.
Rawdon
Brown
,
Tomo
III
,
p
.
318
)
.
Il
Bembo
era
il
solo
autore
vivente
di
cui
s
'
innalzasse
non
contestata
l
autorità
:
basta
ciò
solo
a
dimostrare
come
si
vivesse
in
fatto
di
lettere
,
quando
gli
Spagnuoli
furono
rimasti
padroni
d
'
Italia
.
Al
Machiavelli
nella
sua
patri
istessa
nuoceva
la
vita
,
gli
nocque
più
tardi
,
quanto
al
numero
dei
lettori
,
l
'
essere
all
'
Indice
;
l
'
Istoria
,
del
Guicciardini
fu
lasciata
,
stampare
,
ed
anche
mutilata
,
solamente
nel
1561
,
due
anni
dopo
a
che
l
'
Italia
per
grande
accordo
tra
'
potentati
si
può
dire
fosse
bello
e
sotterrata
,
e
quando
la
voce
degli
italiani
ormai
più
non
faceva
,
paura
a
nessuno
(
Nel
1559
il
Trattato
di
Castel
Cambrese
aveva
finito
le
guerre
d
Italia
;
ma
in
quell
anno
stesso
dal
piè
delle
Alpi
si
preparava
il
1859
,
tre
secoli
tondi
e
date
che
importano
la
storia
della
lingua
)
.
Frattanto
era
disputa
più
volte
rinnovata
se
si
dovesse
dire
lingua
italiana
o
toscana
o
fiorentina
:
chi
affermava
la
lingua
essere
in
Firenze
facea
nondimeno
poca
stima
degli
autori
che
ivi
nascessero
;
in
certe
parole
recate
dal
Bembo
si
va
fino
a
dire
che
«
a
scrivere
bene
la
lingua
italiana
,
meglio
è
non
essere
fiorentino
»
.
E
in
questa
medesima
città
noi
vedemmo
quante
incuranze
o
quanti
dispregi
soffrisse
la
lingua
nei
più
eminenti
tra
'
suoi
cultori
:
la
Divina
Commedia
non
vi
ebbe
più
quasi
edizioni
,
e
verso
il
1520
certi
maestri
di
scuola
vietavano
agli
scolari
leggere
il
Petrarca
.
Questa
ed
altre
cose
che
stanno
a
dimostrare
la
confusione
dominante
tra
'
letterati
sono
a
disteso
esposte
in
un
libro
di
qualche
pregio
e
di
molta
noja
che
ha
per
titolo
l
'
Ercolano
;
autore
di
esso
fu
Benedetto
Varchi
il
quale
pel
vario
ingegno
non
ebbe
chi
lo
agguagliasse
dentro
a
quella
età
che
scendeva
.
In
quel
medesimo
suo
libro
si
vede
come
allora
molto
dominassero
i
grammatici
ai
quali
avviene
quel
che
ai
fisiologi
,
perché
entrambi
avvezzi
a
tenere
fermo
il
pensiero
sopra
le
minute
particelle
delle
cose
,
riescono
spesso
corti
o
disadatti
a
quelli
studj
più
comprensivi
che
bene
in
antico
nella
loro
massima
estensione
ebbero
nome
di
umanità
.
Consente
il
Varchi
prudenzialmente
al
Bembo
:
ma
solo
nelle
apparenze
;
confessa
la
lingua
in
Firenze
essere
trascurata
,
ma
vuole
si
cerchi
nel
fondo
dell
'
uso
,
mettendo
egli
fuori
per
via
,
d
'
esempi
gran
copia
di
voci
e
soprattutto
di
locuzioni
familiari
,
dovizie
nascoste
da
farne
a
chi
scrive
ricco
patrimonio
(
Varchi
,
Ercolano
,
Padova
,
1744
,
in
4°
,
pag
.
84
e
segg
.
357
e
segg
.
446
e
segg
.
508
e
in
molti
luoghi
)
.
In
questo
avrebbe
egli
dato
nel
segno
,
né
vi
è
anch
'
oggi
da
fare
di
meglio
,
tantoché
sarebbe
alla
unità
della
lingua
mezzo
utilissimo
un
Vocabolario
com
'
è
proposto
dal
Manzoni
.
Ma
il
guajo
stava
in
ciò
che
non
erano
i
più
di
quei
modi
entrati
abbastanza
nell
'
uso
comune
;
molti
erano
figure
che
un
tempo
ebbero
qualche
voga
,
capricci
d
'
un
popolo
arguto
e
faceto
,
e
spesso
allusioni
a
cose
locali
:
cotesti
Firenze
non
avea
diritto
d
'
imporre
all
'
Italia
.
Inoltre
non
era
,
più
questo
popolo
quello
che
aveva
creato
una
lingua
educatrice
di
tanti
ingegni
;
meno
operando
inventava
meno
,
e
fatto
più
inerte
anche
nell
'
animo
,
i
suoi
discorsi
andavano
spesso
a
cose
da
ridere
.
I
letterati
seguendo
in
queste
nuove
condizioni
l
'
antico
genio
popolare
e
avendo
qui
molto
in
uggia
il
sussiego
recato
dagli
Spagnuoli
,
si
dilettavano
oltre
al
giusto
di
certe
bassezze
da
essi
chiamalo
grazie
della
lingua
:
così
tra
le
bassezze
e
nobiltà
false
viveano
le
lettere
poi
tutto
quel
secolo
.
Ma
dentro
a
quegli
anni
nacque
Galileo
.
Le
scienze
matematiche
e
le
fisiche
hanno
questo
,
che
l
'
uomo
le
pensa
dentro
a
se
medesimo
,
si
tengono
fuori
dal
corso
vivo
degli
umani
eventi
,
e
vanno
da
sé
per
la
via
loro
qualunque
si
sieno
le
cose
all
'
intorno
.
Galileo
che
pure
in
mezzo
all
'
sperimentare
minuto
e
sottile
teneva
lo
sguardo
volto
all
'
universo
,
portò
nella
fisica
,
l
'
ampiezza
d
'
una
filosofia
,
degna
li
questo
nome
,
e
fu
in
secolo
di
decadenza
,
scrittore
sommo
,
perché
al
bell
'
ordine
del
discorso
unisce
la
copia
e
una
dignitosa
naturalezza
.
Continuava
da
cento
anni
in
Firenze
la
scuola
fondata
da
Galileo
e
di
sé
lasciava
traccie
indelebili
nelle
scienze
fisiche
;
da
quella
uscirono
anche
uomini
dotti
nelle
razionali
,
e
assai
le
lettere
se
ne
avvantaggiarono
nella
seconda
metà
del
seicento
.
Ma
quando
la
lingua
,
o
le
idee
francesi
predominarono
e
quando
poi
gli
eccitamenti
nuovi
destarono
gli
animi
degli
Italiani
a
cercare
almeno
in
fatto
di
lingua
l
'
unione
vietata
,
la
Toscana
sofferse
rimproveri
dalle
altre
provincie
quasi
ella
fosse
gelosa
,
ma
inutile
custoditrice
di
quel
tesoro
che
aveva
in
casa
ma
non
lo
adoprava
.
Più
grave
è
fatto
il
nostro
debito
ora
in
tempi
di
sorti
mutate
,
di
sorti
maggiori
ma
più
difficili
a
portare
;
noi
siamo
venuti
ad
esse
non
preparati
,
e
s
'
io
dovessi
quanto
alle
future
condizioni
della
lingua
fare
un
pronostico
,
direi
senz
'
altro
:
la
lingua
in
Italia
sarà
quello
che
sapranno
essere
gli
Italiani
.
StampaQuotidiana ,
POTREBBE
essere
un
racconto
di
Pirandello
.
Il
racconto
di
un
uomo
sempre
controcorrente
,
che
sul
marciare
controvento
ha
costruito
una
clamorosa
e
onoratissima
carriera
diventando
il
simbolo
stesso
della
demolizione
delle
regole
e
del
rovesciamento
degli
schemi
,
che
tuttavia
non
riesce
ad
ammettere
-
neanche
per
un
attimo
,
nemmeno
con
se
stesso
-
la
prima
e
la
più
assoluta
delle
sue
trasgressioni
:
l
'
adesione
a
una
"
causa
sbagliata
"
,
poi
diventata
nell
'
arco
degli
anni
un
autentico
tabù
sociale
e
storico
.
Potrebbe
essere
un
racconto
di
Pirandello
,
e
invece
è
la
vicenda
di
Dario
Fo
,
tornata
d
'
attualità
sull
'
onda
della
polemica
sulle
"
confessioni
"
di
Roberto
Vivarelli
riguardo
all
'
adesione
alla
Rsi
.
Anche
Dario
Fo
vestì
la
divisa
della
Rsi
.
Anche
lui
è
stato
interpellato
di
recente
sui
motivi
di
quella
scelta
.
A
oltre
cinquantanni
di
distanza
,
da
uno
così
uno
che
sul
"
coraggio
di
dire
di
no
"
ha
costruito
una
carriera
da
Nobel
,
ci
si
poteva
aspettare
un
fulminante
"
outing
"
.
E
vero
,
l
'
ho
fatto
.
Invece
è
arrivato
un
deprimente
contorcimento
.
Deprimente
sia
per
il
compagno
di
"
Guerra
di
popolo
in
Cile
"
sia
per
il
camerata
di
"
Battaglioni
del
Duce
battaglioni
"
.
"
A
differenza
di
Vivarelli
che
,
sebbene
per
poco
,
ci
credette
-
ha
spiegato
Dario
Fo
al
"
Corriere
"
-
io
aderii
alla
Rsi
per
ragioni
molto
più
pratiche
:
cercare
di
imboscarmi
,
portare
a
casa
la
pelle
"
.
Fo
dice
di
aver
scelto
l
'
artiglieria
contraerea
di
Varese
perché
tanto
"
non
aveva
cannoni
"
ed
era
facile
prevedere
che
gli
arruolati
sarebbero
presto
stati
rimandati
a
casa
.
Quando
capì
che
invece
rischiava
di
essere
spedito
in
Germania
"
a
sostituire
gli
artiglieri
tedeschi
massacrati
dalle
bombe
"
,
trovò
un
'
altra
scappatoia
.
Si
arruolò
nella
scuola
paracadutisti
di
Tradate
.
Frequentò
il
corso
.
E
"
finito
l
'
addestramento
,
fuga
finale
.
Tornai
nelle
mie
valli
,
cercai
di
unirmi
a
qualche
gruppo
di
partigiani
,
ma
non
ne
era
rimasto
nessuno
"
.
E
'
una
versione
ben
differente
da
quella
che
lo
stesso
Fo
fornì
vent
'
anni
fa
,
e
di
cui
diamo
conto
nell
'
articolo
qui
a
fianco
.
All
'
epoca
il
giullare
di
"
Mistero
buffo
"
sosteneva
addirittura
di
essere
entrato
nella
Rsi
su
incarico
di
formazioni
partigiane
.
Smentito
in
processo
,
è
stato
probabilmente
costretto
a
"
emendare
"
i
suoi
ricordi
.
Resta
da
chiedersi
come
mai
nemmeno
dopo
mezzo
secolo
,
nemmeno
dopo
il
Nobel
,
nemmeno
dopo
l
'
incrinatura
del
tabù
che
ha
ossessionato
due
generazioni
di
italiani
,
un
pluri
-
settantenne
del
calibro
di
Fo
,
ormai
al
riparo
dalle
intemperie
della
discriminazione
,
riesca
a
riconciliarsi
con
le
scelte
della
sua
giovinezza
.
Delle
due
l
'
una
:
o
la
gabbia
creata
dalle
vestali
del
"
politicamente
corretto
"
è
infrangibile
,
o
è
molto
fragile
-
debole
,
succubo
conformista
-
lui
.