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LE PENNE DELLA EDISON ( Bianciardi Luciano , 1955 )
StampaPeriodica ,
È in distribuzione , in questi giorni , il numero speciale , natalizio , di Colloqui . E il numero 8 : sin dallo scorso aprile la rivista è giunta nelle case milanesi gratuitamente , una bella rivista , con molte fotografie e scritti interessanti . Piacciono soprattutto , al pubblico , gli articoli dedicati alla vita cittadina , alla Milano di un tempo , agli spettacoli lirici e di prosa . Spesso il pubblico si chiede anche chi invia gratuitamente il fascicolo ogni mese , ma non ha mai trovato una risposta definitiva ; non riesce nemmeno a spiegarsi chi possa avere dato nomi e indirizzi alla direzione . Il valore di mercato dell ' omaggio ( trentaquattro pagine a colori ) non dovrebbe essere di molto inferiore alle cinquanta lire : il suo pubblico comprende almeno duecento o forse trecentomila persone , praticamente tutte le famiglie che usufruiscono dei servizi di luce e gas della Edison . Gli indirizzi , evidentemente , son quelli delle bollette mensili , ed il presunto omaggio ha in realtà un costo invisibile , ma nascosto proprio dentro le sibilline colonne della bolletta . In realtà anche il lettore attento stenta a comprendere la provenienza di Colloqui . Il nome della Edison , con l ' avvertenza che la rivista non è in vendita , compare solo , in minuti caratteri , in fondo al sommario , in seconda di copertina . Al massimo può accadere di imbattersi ( e nel numero 2 ) in una lettera del direttore ad Antonietta , figlia di alluvionati calabresi , una lettera che ricorda le scoperte che la bambina ha fatto « allora » : « la minestra di riso , le magliette di lana azzurra , le docce ( che emozione la prima volta ! ) , i libri delle favole , il cinematografo » . Dove , quando , perché queste scoperte ? Una minuta didascalia , in fondo alla pagina , avverte : « La società Edison ha ospitato , nella sua colonia di Suna , 200 bambini provenienti dalle zone alluvionate della Calabria » . Una caratteristica importante della rivista , dunque , è l ' abilità con cui i finanziatori evitano di mostrarsi allo scoperto , quasi per invitare il lettore a far da sé la sua scoperta , a poco a poco . Anche le connessioni dirette con la precedente attività della Edison , son molto larghe ed approssimative . Un articolo sull ' ufficio reti della Edison ( è nel numero 6 ) , oltre a non citare mai la società , è condotto col tono della cronaca di varietà , vivace , con qualche civetteria letteraria . Ogni numero contiene del resto uno scritto sull ' elettricità o sul gas , e la pagina dell ' arredamento insiste spesso sui criteri e sui mezzi migliori di illuminare la casa : luci indirette , paralumi a parabola e tubi catodici . Ma tutto a piccole dosi e non più di quanto all ' argomento dedichino i normali settimanali illustrati , dei quali Colloqui segue quasi costantemente la falsariga . E la ragione è chiara : il direttore , Enzo Biagi , è anche caporedattore di Epoca e della maggior rivista segue costantemente schemi e criteri . La caratterizzazione specifica è data , semmai , da un più accentuato tono cittadino , non manca mai ( anzi , è quasi sempre quello d ' apertura ) l ' articolo sulla vita di Milano , sulla storia della città , sugli spettacoli alla Scala o negli altri teatri . Ogni numero contiene una novella , di solito ben illustrata . I nomi che ricorrono son piuttosto grossi , sicuri : Corrado Alvaro , Achille Campanile , Alba De Cespedes , e , fra i giovani , Michele Prisco , Vittorio Pozzo e Bruno Roghi hanno lo sport , Domenico Meccoli il cinema , Eligio Possenti il teatro . Gli articoli di cronaca portano firme come quelle di Titta Rosa , Orio Vergani , Giovanni Comisso , Filippo Sacchi , Giorgio Vecchietti , Enrico Emanuelli e , naturalmente , Indro Montanelli . Nell ' ultima pagina c ' è una rubrica fissa , infortunistica . Si intitola Le avventure di Elettrino , un pupazzetto costantemente alle prese con cavi e apparecchi elettrici . Per mezzo di sei o sette vignette con didascalia ritmata si spiega all ' utente , poniamo , che è pericoloso cacciar le dita in una presa di corrente , o addormentarsi con il gas aperto . In questi ultimi tempi i giornali della sera son stati pieni di notizie su gente intossicata dal gas , e la causa , che tutti ammettevano , era una sola : il cattivo stato delle tubazioni , ormai vecchie di decenni . Vero è che quei giornali evitavano di nominare la società che distribuisce il gas ; ma l ' opinione pubblica è , a dir poco , risentita contro la Edison , la quale deve in qualche modo far fronte alle pretese sempre più decise del pubblico . Ma ci son forse altre ragioni , meno contingenti , non dissimili da quelle che hanno indotto molti industriali del nord a farsi mecenati di cultura , a comperare giornali in pura perdita , a elargire premi agli artisti . È insieme un abbozzo di politica culturale , di tipo chiaramente riformistico , e un « magnificent hobby » : i nuovi principi che non possono più comprarsi un blasone , comprano una squadra di calcio , o un mazzetto di intellettuali , per farsene una corte . Da qui il tono generale della rivista . Il lettore non è mai infastidito da problemi veri : anche quando si parla di scienza , il piano è quello della divulgazione piacevole e brillante ; i consigli sulla casa e sull ' allevamento dei bambini hanno un sottinteso fondo ottimistico ; i cenni a esperimenti , scoperte , innovazioni straniere , son sempre scelti dall ' industria e dalla scienza americana . L ' America , anche qui , è il paese di Dio . Quanto all ' altra parte del mondo , non se ne parla mai . La rivistina avrà senza dubbio uno sviluppo , uscirà dalla genericità di oggi , prenderà posizione , abbiamo sempre visto questo cammino , nei vari « digest » ( la formula fondamentale è quella ) ; ma non è facile dire , per ora , quale sarà il suo effetto sugli utenti .
StampaPeriodica ,
Abbiamo avuto , e si protrarrà ancora sino a novembre , una annata ciclistica di intensità particolare . Non è mancato il lavoro ai nostri professionisti , ai dilettanti e categorie minori . Non siamo stati fortunati ai Campionati del Mondo è vero , ma abbiamo già spiegato che ci sono state delle ragioni e delle contingenze di assoluto sfavore per noi in questo caso . A parte s ' intende , il valore altissimo di avversari , che nel loro clima e nei loro percorsi avevano pure il diritto di dire la loro parola . Né può essere la mancata affermazione sul Velodromo di Amsterdam e sul Circuito di Valkenburg a distruggere il valore e l ' eco delle affermazioni azzurre nei Giri di Francia e di Svizzera . Con ogni probabilità una scelta più indovinata degli elementi da portare alla massima competizione mondiale ci avrebbe consentito soddisfazioni anche a Valkenburg ; specie nei dilettanti troppi valori di primo piano sono stati trascurati : la riprova l ' abbiamo nel G . P . Libero Ferrario , dove si marcia con disinvoltura a media di40 all ' ora . Ma , del senno di poi ... Comunque l ' attività eccezionale che abbiamo avuto in casa , sia di carattere internazionale , come nazionale o di zona , non mancherà di procurare frutti saporosi per l ' avvenire . Si è indubbiamente seminato in profondità e su vasta superficie ; non farà difetto a suo tempo il buon raccolto . Ma quello che ha degnamente coronato l ' attivissima annata che ormai volge al termine , è stato il Giro dei Tre Mari . Questa nuova competizione a tappe ha conquistato di colpo la sua laurea di avvenimento nazionale , è diventato popolare come il più acceso e celebrato dei Giri d ' Italia . Ne è il suo complemento naturale e necessario . Si è avvertita questa funzione del Giro dei Tre Mari sin dalla sua enunciazione . Dobbiamo essere ben grati a Bruno Mussolini e a quella magnifica associazione di energie e di organizzatori , che è la S.S. Parioli da lui presieduta ed animata , della ideazione e della realizzazione di una prova del genere . Alla quale non ha potuto recare la più lieve menomazione neanche l ' assenza giustificata in alcuni casi degli astri maggiori del nostro ciclismo , ottimamente sostituiti dai Mollo , Generati e compagni , e dagli stranieri di ' autentico valore in gara . Alla quale , inoltre , ha conferito la consacrazione più clamorosa e definitiva il popolo intero dell ' Italia meridionale , che ha salutato la carovana schierato lungo un tracciato meraviglioso di panorami , di centri operosi e fecondi , di località solo ricordate nella storia , ma quasi sconosciute al turismo . Il Giro dei Tre Mari è valso a far conoscere questi meravigliosi luoghi . Esso si è inoltrato dove mai è arrivato il Giro d ' Italia classico . Questo era arrivato sino a Napoli , sino a Foggia , sino a Bari ; ma il resto della Penisola generosa ne rimaneva escluso . Del resto non era impresa di facile soluzione arrivare sino a Palermo . Troppo lontana era la base di partenza . Non può farsene una colpa ai valenti organizzatori milanesi . Ma era anche tempo che l ' iniziativa , e in grande stile , partisse da Roma . Necessità sentita , in fin dei conti , sia nello sport come nell ' industria , tanto più che oggi il centro - meridione dispone , per diretto intervento del Regime , di una rete stradale eccellente e sempre in ulteriore sviluppo ; e necessità che non poteva non trovare nella sensibilità e nell ' intuito di Bruno Mussolini , giovane di azione , di sport e di pensiero , la interpretazione esatta e felice . L ' entusiasmo suscitato dal passaggio della volante carovana in Italia centro - meridionale , sino sulle strade della contegnosa Sicilia , è stato indescrivibile . Stavolta sì che il Mezzogiorno si sentiva partecipe vivo e pulsante della grande Italia dello sport fascista . La bicicletta , la lieve ed elegante regina della strada ha traversato lo stretto , ha visitato le meraviglie della Conca d ' Oro e della costiera da Messina a Catania , s ' è abbeverata della luce del Jonio . E peccato che la Sila leggendaria l ' abbia soltanto sfiorata alle falde . Ma l ' anno venturo , il Giro non lascerà da parte nessuna delle gemme turistiche di regioni troppo a lungo conosciute solo attraverso la descrizione delle guide del Touring , del Baedeker o di articoli di terza pagina ... Le tappe siciliane , per esempio , saranno raddoppiate . Abbiamo detto : l ' anno venturo . E gli anni venturi appresso . Il vecchio Giro d ' Italia non bastava più . Non può bastare . Il vecchio Giro d ' Italia avrà un complemento ; assai di più : un fratello . Di pari grado , di altrettanta efficacia sportiva , sociale , turistica , commerciale . Commerciale poi ... Basti pensare che i corridori meridionali che hanno preso parte al Giro , e che si sono comportati per giunta magnificamente leggi Aliberti , D ' Amore , Patti marciavano con certi carrettini che facevano sbellicare dalle risa i loro più fortunati camerati della media ed alta Italia . Se dei corridori di professione usano di simili cavalcature , immaginarsi che specie di velocipedi devono essere in giro e in uso per le campagne e per i centri rurali . E di biciclette ci sarà sempre più bisogno ora che le condizioni della viabilità in mezzogiorno sono di tanto migliorate e di tanto miglioreranno ancora ... Si era ventilata da qualche parte l ' idea , dopo il superbo bilancio del primo esperimento di questa « Tre Mari » , di abbinare senz ' altro il giro del sud a quello del nord e farne un unico giro . E chi era per il traguardo d ' arrivo e di partenza per Milano , e chi per Roma . Non poteva non essere errore far disputare i due Giri in una sola tirata e del resto di questo parere s ' è dimostrata la Federazione Ciclistica Italiana nella sua ultima riunione . Lunghissima , esasperante per gli organizzatori e forse ingenerante stanchezza nel pubblico , nonché massacrante per i corridori . Una tirata di oltre 4000 chilometri . E il giro di Francia ? e quello della Svizzera ? Logico ( dal punto di vista tecnico - organizzativo , spettacolare , propagandistico ) che i due Giri siano stati distinti . Traguardo per il vecchio e glorioso Giro resta Milano , e l ' Urbe è il traguardo di partenza e d ' arrivo per il nuovo . E a date differenti , ben distanti tra loro . Come già senza volerlo , si è fatto quest ’ anno . Il vecchio Giro d ' Italia disputato in maggio , lascia , come ha lasciato , margine libero per la partecipazione ( o meno ! ) al Giro di Francia . Terminato questo , e disputati in agosto Giro della Svizzera e Campionati del mondo , il Giro del Tre Mari viene a riservarsi il mese di settembre e , forse con vantaggio , più la seconda metà che la prima . Ed anche con alcune tappe di più di quelle quest ' anno disputate . Verrebbe così a poter raccogliere molti assi reduci da uno o magari tutti i Giri precedenti e dai Campionati del mondo ; e a costituire un banco di rivincite tanto più clamorose in quanto certe vittorie e certe vicende nell ' ambiente surriscaldato del mezzogiorno hanno degli effetti e delle ripercussioni che ormai non si verificano più in ambienti oggidì saturi di ciclismo e di corse . Certo , il Giro dei Tre Mari ha suonato la sveglia decisiva per l ' Italia strettamente peninsulare . Con risultati profondi non solo per ciò che riguarda lo sport e l ’ uso della bicicletta , ma le altre forme di attività sportiva , così come è stato per tutto il resto d ' Italia , per merito del vecchio giro di marca milanese . E non solo per ciò che concerne le forme di pretto carattere sportivo . Ma anche per quelle interessanti quel turismo generico , che può andare dalla escursione montana , dalle manifestazioni invernali sulle nevi , ai soggiorni climatici , alle gite collettive , al movimento turistico stagionale od occasionale . Ed infine , per necessità di cose , ad un generale miglioramento e progresso delle condizioni dell ' ambiente ; al perfezionamento della organizzazione alberghiera , che del resto , ovunque , abbiamo trovato bene attrezzata e aggiornata . E non si dovrebbero incontrare difficoltà di sorta per iniziative del genere . Lo spirito di ospitalità delle genti del meridione è così sentito , franco e spontaneo , e la « Tre Mari » ha suscitato tanti entusiasmi che siamo certi di trovare ben presto il più modesto paesino appennino , silano o delle Madonie attrezzato alla ... dolomitica invernale . Con in più l ' impagabile vantaggio di trovarsi , per esempio , sulla Sila , autenticamente al cospetto dei Tre Mari , alla divinità del Mediterraneo che solo la poesia di Omero e di Virgilio seppero cantare .
Prodi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Raramente mi è successo di raccogliere tante lodi e tanti rimproveri come per aver scritto che a me Prodi va bene . Mi si rimprovera di cancellare cuore e ragioni della sinistra appiattendola a un cattolico democratico , mi si elogia perché finalmente avrei smesso di essere una massimalista che insegue il tanto peggio tanto meglio . Mi voglio rovinare : tutte chiacchiere , andiamo al sodo . Che cosa sono oggi le sinistre ? Che cosa vogliono ? Se non riescono a proporre un proprio candidato capace di raccogliere dal 40 al 50 per cento dei voti è perché non hanno una risposta sul dove vorrebbero che andasse il paese . Berlusconi non ha vinto perché era un Grande comunicatore , ma perché comunicava a un ' Italia con il Pci in caduta libera e il Caf in galera che l ' avrebbe portata sulla via liberista . Prodi comunica che si può avere un sano liberismo , ma corretto da misure di solidarietà , perché , differentemente da Berlusconi , non racconta che il processo sarà indolore . Che proporrebbe invece l ' ipotetico candidato delle sinistre ? Fino a dieci anni fa quel che la sinistra voleva era abbastanza chiaro , e per questo , pur non superando mai il 30 per cento , influiva su alleati e avversari , pesava sulla bilancia delle decisioni . Quando il Polo strilla che i comunisti erano e sono dovunque e dovunque vanno sradicati , esprime un abito mentale fascistoide , per cui chiunque fino a ieri era agente di Mosca oggi lo sarebbe di D ' Alema , ma evidenzia una verità : un senso comune di sinistra ha avuto una vera egemonia in questo paese . In che consisteva ? In politica , in un ' idea forte della rappresentanza , nella persuasione che potevano e dovevano avere una voce tutti e sempre , non solo al momento delle elezioni . In tema di società , in un ' idea forte della cittadinanza , per cui ogni italiano aveva diritto a lavorare , a essere istruito e curato , e doveva esserne assicurato nei mezzi per farlo . Nessuna delle due cose era venuta da sé , c ' erano volute la crisi del 1929 e una guerra . Non andava da sé che fossimo un paese di ricche contraddizioni , donne e uomini , deboli e forti , ricchi e poveri , cattolici e laici o altre religioni , Nord e Sud : e che queste differenze si esprimessero anche in conflitti , condotti dalle rappresentanze politiche ma anche da quelle sociali dirette . Né che esse volta a volta trovassero un provvisorio punto di arrivo , o avanzata , o sconfitta , o mediazione in una società articolata che non delegava tutti i poteri a una oligarchia verificata ogni quattro o cinque anni , e in una idea del « pubblico » , statale o comunale o regionale , che fungesse anche come compensatore degli squilibri . Era la democrazia partecipata , il « non americanismo » italiano . Questi princìpi hanno retto l ' Italia dal dopoguerra agli anni ottanta e in essi la sinistra - assai poco « comunista » nel senso filologico della parola - è cresciuta , e ha funzionato anche da frusta dello sviluppo , tanto è vero che siamo nel club riservato dei G-7 . Questi stessi princìpi sono andati in crisi nel corso degli anni ottanta e il 27 marzo scorso si è tentato di abbatterli . Ma quale partecipazione ? Ci vuole un esecutivo forte e un cittadino che vota ogni quattro o cinque anni per dire sì o no e per il resto non disturbi il manovratore . Ma quali diritti sociali o di cittadinanza ? I diritti sono solo politici ; per il resto il diritto dei diritti , il pilastro della società è l ' impresa , e lavoro casa scuola assistenza sono sue variabili dipendenti . Lo Stato , il « pubblico » come luogo di compensazione , garante di una qualche uguaglianza sui beni essenziali , si tolga di mezzo . La sinistra ha subìto questa ondata , non difende l ' ottica di prima e per questo ha perduto , se non voti , la capacità di essere un riferimento anche oltre il proprio ambito . Perciò si divide , non solo tra Pds e Rifondazione e soggetti politici minori , ma anche fra soggetti sociali maggiori , che in qualche modo hanno tentato di declinare in forme diverse quei princìpi e quei bisogni - vale anche per il pensiero delle donne - e per questo non c ' è oggi un candidato delle sinistre . Perché è avvenuto ? È una storia di errori o tradimenti , come mi scrivono alcuni compagni ? È una modernizzazione fatale , come pensano altri ? Io non credo né ai tradimenti né alle fatalità . Credo che ci sia stato un franamento del terreno sul quale la sinistra della mia generazione è cresciuta . Era il terreno dello sviluppo , magari cattivo ma certo , in cui ormai stavamo e nel quale i nostri diritti , politici e sociali , erano in qualche misura garantiti . Mi spiego . Eravamo persuasi che il capitalismo comportava una crescita allargata di beni , dunque di lavoro , dunque di consumi . Ci dividevamo dopo : i comunisti la trovavano brutale , a prezzi sociali troppo elevati , con inuguaglianze feroci ; i riformisti ritenevano di poterle alleviare con forme pubbliche di redistribuzione all ' interno e aiuti al terzo mondo e all ' estero ; i nuovi soggetti degli anni settanta ne contestavano la natura di per sé alienante , consumista , gerarchica , maschilista . Ma sviluppo era e , con morti e feriti , andava unificando il mondo . Oggi non lo è più . Oggi la crescita di produzione e di merci si fa per un mercato alto e ristretto , quindi come non mai competitivo , cui la mondializzazione permette di reclutare manodopera a prezzi stracciati e la tecnologia di risparmiarne una grande quantità . L ' Europa sta diventando un continente senza lavoro . Vorrei sommessamente pregare la sinistra di partire da qui . Non è problema « economico » , di « economicismo » , o come dicono i miei amici ex operaisti di « lavorismo » ; le democrazie moderne fondano la pienezza della cittadinanza non più sulla proprietà ma su un possesso di sé , una non dipendenza , che piaccia o non piaccia nel capitalismo passa per l ' accesso a una remunerazione del lavoro . Il resto è capitale , rendita o dipendenza , come quella della donna che non lavora o dei bambini . E infatti chi non lavora è tendenzialmente un escluso . Vorrei sempre sommessamente aggiungere che l ' Italia è arrivata a questa stretta in una condizione paradossale : negli anni in cui gli altri paesi si omogeneizzavano relativamente nella crescita , noi siamo rimasti con larghe zone deindustrializzate , che si riproducono tuttora in un Nord e Nordest fortemente dinamico e in un Sud immobile , per cui il lavoro cessa di estendersi prima di essere arrivato a riempire il bacino del paese . Ma avevamo una forte sinistra , con una forte combattività , e lo Stato ha funzionato non solo da mediatore dei conflitti ma da compensatore nelle sacche che le tendenze proprie del mercato o dell ' impresa lasciavano fuori . Non è molto intelligente deridere l ' industria di Stato o la pubblica amministrazione come mero clientelismo , senza capire che hanno svolto un ruolo di supplenza a uno sviluppo inuguale e manchevole . Si potrebbe , anzi si dovrebbe analizzarne le conseguenze , ma va capito da dove è venuto il nostro specifico compromesso sociale , e perché a un certo punto è diventato un terreno da un lato di paralisi e dall ' altro di corruzione . Questo modello la destra lo vuole abbattere . Ma non estendendo la crescita , per brutale che sia : non può più , se vuole restare mondialmente competitiva . Punta dunque a una progressiva separazione tra parti trainanti e parti , per così dire , in perdita , lasciate indietro . Le scelte del Polo - per esempio niente tasse , riduzione del peso del lavoro , dei contributi e delle pensioni , l ' estensione della spesa pubblica - sono andate in questa direzione , seguendo il percorso già delineato da Amato - Ciampi . La Lega nord è una formazione spuria ma dentro a un ' ipotesi nordista ; non raccontiamoci che è un interessante invito all ' autogoverno , è la presa d ' atto che l ' unificazione del tessuto nazionale sotto il profilo produttivo non c ' è stata , e il rifiuto di porla come obiettivo . Ma la sinistra come la mette ? Mi pare che neppure ne parli . Ne parlano in Germania , Francia e Gran Bretagna , pure meno squilibrati di noi , ma in Italia è il silenzio . Non parlarne significa stare alla scelta dei G-7 , che è la scelta abbozzata da Amato e Ciampi e portata avanti da Berlusconi . Il Pds non riesce a dirci in che cosa se ne differenzierebbe . Rifondazione dice che si batterà con tutti coloro che questa scelta umilia offende ed esclude . Ma vogliamo dirci per quale crescita o sviluppo , oppure non - crescita siamo ? Come pensiamo di condizionare o modificare il trend attuale ? Alzando dei grandi muri fra l ' Italia e il resto del mondo o facendo uso di strumenti politici radicali per stare nel mondo ma contrastare le tendenze che abbiamo di fronte ? Che cosa pensiamo dell ' attuale conglomerato sociale , come distinguiamo le corporazioni dalle classi , i ceti , i bisogni ? A chi proponiamo di aggregarsi e su quale obiettivo ? Come la mettiamo con l ' Europa ? Come la mettiamo con il debito pubblico in presenza di una rendita diffusa e di una circolazione di capitali del tutto incontrollata ? Non mi si risponda che tutto è chiaro . Non è chiaro nulla , per questo metto ostinatamente al centro questo problema e mi inquieta una sinistra , vecchia o nuova , che non lo veda . Per questo non mi appassionano i calcoli sulle leggi elettorali , non perdo i sensi sui sondaggi e non mi va di arricciare il naso perché Prodi non è un rivoluzionario . Non vedo molti rivoluzionari in giro . Mi basta che non mi rompa le ossa e non neghi che oggi il dilemma centrale , e ormai quasi mortale , che l ' Europa ha davanti è questo . Sta a noi affrontarlo , di tempo se n ' è perduto fin troppo .
Ingrao ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Ingrao ? Un perdente . È la battuta degli ex figiciotti , dei cinquantenni del Pds o Rifondazione , dei democratici convinti che senza Pci l ' Italia sarebbe stata meglio , e di molti , di tutte le età , risentiti di sognare sogni minori . Perdente , dicono soprattutto coloro che gli rimproverano un surplus di politica . Eppure , se non è questa che conta , è difficile immaginare un uomo più « riuscito » , per quanto si possa riuscire nella personale esistenza . Eccolo a ottant ' anni come se ne avesse venti di meno , appena avvertito che il tempo si restringe . Risparmiato da troppe sciagure nel corpo e negli affetti . Povero , ma non ha conosciuto miserie e la sobrietà è la sua misura . Ha una importante compagna di vita , moglie e amica , figlie belle e impegnate , né identiche né lontane , un figlio arrivato tardi , allegro complice in una casa a dominante femminile . Gli Ingrao sono una tribù , con relative radici in un Lazio roccioso come loro . E poi , l ' Ingrao giovane che voleva ? Conoscere il mondo e farsene conoscere , e così è stato . Battersi con e per gli altri , e ha avuto il più grande partito comunista d ' Occidente . Conosce il linguaggio del comizio e quello dei versi , e la musica è il suo giardino . Nessuno nella sinistra è rispettato come lui anche dagli avversari . Che può avere di più un uomo ? Ha perso sul comunismo , borbottano i realisti . Non che sia colpa sua la crisi del marxismo o il crollo dell ' Urss , che sono cosa del secolo , ma il Pci , quello sì era roba sua . Ce l ' hanno con lui coloro per i quali esso non poteva non finire e quelli che pensano che è stato tradito . Il comunismo è uno spettro rimproverante , e il rimprovero si sposta su Ingrao . Può sorriderne , ma sa di essere solo . Per un comunista essere soli non è un incidente esistenziale , è una radicale messa in questione . È vero che in tema di comunismo i conti non tornano , anche se le vittorie e le sconfitte epocali non si misurano sui giornali , e le lacerazioni del mondo possono rimandare a quel che Luporini definiva « il comunismo come orizzonte » . Come il 1789 , forse anche il 1917 ha un destino carsico . Ma ora ? Non basta fare le scelte giuste per vincere ; figurarsi se sono state sbagliate . Al contrario di quel che si dice , la storia si fa con i « se » : prima di compiere quel gesto , un altro era possibile , e se il battito delle ali di una farfalla a Pechino sta a monte del terremoto di San Francisco , un ' azione fatta o non fatta , e tanto più se pubblica , una distrazione , una difficoltà elusa , presenteranno i loro conti . Solo un narcisista se ne assolve , ma il narcisismo è l ' ultimo difetto che a Ingrao si possa imputare . Visto da fuori , vien da chiedersi in che cosa si sia scontrato Pietro Ingrao se non in quello che più era e resta suo . Prima di tutto sulla questione della « rivoluzione italiana » , non la rivoluzione in genere , quella specifica che si riapriva negli anni sessanta . Vige oggi una sorta di progressismo alla rovescia , un hegelismo da bar per cui quel che avviene è il reale e il reale è razionale , e si accompagna a un furioso oscuramento di quel che è stato . Quel che è stato è che il Pci non fu affatto « rivoluzionario » dal dopoguerra a poco fa . Non avrebbe neppure potuto . È tornato a pensarsi come soggetto di un rivoluzionamento sociale , dentro o forse fuori dal patto politico , soltanto nei primi anni sessanta - lo pensò Ingrao , e questo fu l ' ingraismo . Prima di allora l ' ha da venì Baffone degli umili si coniugò non oltre che con la « democrazia avanzata » . Ma quando la guerra fredda cessa di essere la grande discriminante delle coscienze europee , la ricostruzione è compiuta , una generazione è uscita di scena e un ' altra è entrata , in Italia ci sono nuovi proletari e la prima massa studentesca , e il centrismo va in crisi , Ingrao si domanda , e non lui solo , che cosa possiamo diventare . Gliela farei volentieri un ' intervista su che cosa era , vista da oggi , questa « rivoluzione italiana » . Certo più Gramsci che Lenin . Certo si delineò un qualcosa che prima non c ' era , e Amendola , che era un uomo acuto , da allora avversò Ingrao tenacemente . Non so come avrebbe arbitrato Togliatti ; Longo e Berlinguer scelsero Amendola . Non sembra che abbiano veduto molto lontano , quella fu la prima svolta del Pci , il resto venne a seguire . Ma Ingrao era ben fermo a porre le sue domande non a se stesso né ad altri che non fosse il suo partito . E per chiunque sia anche vagamente marxista o non regredisca a una teoria delle élites , il come si esprime il soggetto del movimento storico nella modernità , resta « il » problema . Chi , come me , pensò nel 1969 che la maturazione era tale da non avere più bisogno di una forma - perché la forma è frutto di qualcosa che poi tende a immobilizzare - sbagliava : gli anni settanta e quel che è seguito ci dicono che senza una sua forma , una sua organizzazione , e capace di mutare con il suo soggetto , la contraddizione non si fa soggetto . Si può scegliere di essere invece che di fare , ma non è la stessa cosa . Oggi la società è in sofferenza , ma anche le sue voci più autentiche sono azzittite , quando non integrate ; e atomizzazione e omologazione mettono a rischio fin le identità individuali . Difficile dire quale sarebbe stata per Ingrao una scelta vincente nel breve riemergere della « rivoluzione italiana » : forse la risposta non sarebbe molto dissimile per coloro che la intravidero , molti e divisi , negli anni sessanta , e quando venne in scena nel 1968 . È storia da archiviare o altro ? E se altro , dove si è mancato ? Che cosa occorreva e non ci fu ? Ingrao registrò subito il recedere del Pci . Non so che cosa pensasse del 1976 , ma quando per la prima volta Berlinguer parlò della « produzione come bene in sé » vide l ' inversione di rotta , che sarebbe apparsa enorme con il Lama del 1977 e del 1978 . Ma noi , sinistra extraparlamentare , non dico i gruppi armati , non lo persuademmo - che avevamo a che fare , così drastici e grevi , con un Gramsci messo a giorno ? È vero che eravamo approssimativi , ma chi ti nega in non poca misura ti determina . È stata lunga l ' interruzione del dialogo fra Ingrao e quelli che gli erano rimasti amici anche dopo il 1969 . Lui si rintanava , prima nelle istituzioni , e poi , quando andò a dire al Partito che non ci sarebbe più stato perché occorreva studiare e rimettere a giorno la bussola , gli risposero : giusto , studia e togliti di mezzo . Non so come votasse sulla Nato . Non si agitò sulle leggi speciali . Da fuori chiedevamo , dov ' è Ingrao ? Anche quando scriveva , pareva che lo facesse da lontano . Più agevole capire che cosa sia stato per lui il Partito , strumento e gabbia . Perfino per gli avversari , il fascino di Ingrao sta nell ' aver sempre separato politica da potere . Il Partito era la comunità che o maturava tutta o periva , non lo forzò mai , tanto meno fece uso di una sua autorità - e i suoi , che si sono sentiti abbandonati , glielo rimproverano . Come se quella virtù fosse anche un difetto . Ricordo 1'XI congresso , il primo dissenso esplicito nel Pci : Ingrao se lo assunse da solo , raccomandando agli ingraiani - strano oggetto , compagni che non somigliassero neanche da lontano a una frazione - di starsene buoni . Perdette e perdemmo . Ricordo l ' estate del 1968 , fra il maggio e la Cecoslovacchia , il Partito in sommovimento , alcuni di noi che volevano un affondo e Ingrao , che pur ci aveva sperato , che mi dice : Il Partito non è maturo . È la primavera del 1969 : comunico a Berlinguer che faremo la nostra eretica rivista , gli chiedo : Credi che ci saranno sanzioni ? No , risponde Berlinguer . Sì , risponde Ingrao . E non senza risentimento , perché facevamo di testa nostra , lo lasciavamo . Nella discussione che precede la radiazione del « manifesto » , il suo fu un grande silenzio . Poi restò una voce a parte , il presidente della Camera che andava a Castellanza , il compagno che nel Comitato centrale si differenziava . Nessuno è più amato in un partito comunista di una sinistra che non mette in causa la segreteria . Se ti metti a rischio , mi metti a rischio ; compagno Ingrao , non lo fare , grazie di non farlo . Qual è il momento in cui si può / deve lasciare un ' impresa in cui hai messo la vita , senza essere sconfitti ? Se nel 1969 Ingrao avesse detto : se cacciate quelli del « manifesto » esco con loro , la storia del Pci sarebbe stata diversa ? Se a Firenze non avesse abbracciato Occhetto che gli tendeva una mano ? Pochi giorni prima mi aveva detto : O sto nel Partito o divento un testimone , tu ti contenti della testimonianza . Poi la Bolognina , poi Arco - se Ingrao ... I compagni ne rientrarono furiosi , io lo difesi . Fu un errore , sì , già si era fuori dei tempi massimi . E che aveva a che vedere la Rifondazione di Cossutta con lui ? Gli restò la battaglia sulla guerra del Golfo , l ' ultima . Poi se ne andò , neanche con altri . Da solo . Pensava ancora di coagulare , da fuori , un polo della sinistra non capitalista . E credeva che il « manifesto » potesse esserne il catalizzatore . Ma il « manifesto » non era , non è , fuori della crisi della sinistra , del marxismo , del comunismo , come che si voglia chiamare . Tiene fermo con qualche eroismo un minimo , non poco , non abbastanza . Arrivava Ingrao e non sapeva che dirgli . Quando egli propose almeno un laboratorio di ricerca , il giornale non seppe , non volle , non poté , era altro - ma che contano i conti e le ragioni ? Siamo tutti un po ' poveri . Quell ' uomo fortunato non ha più casa . Perdente , dunque ? Forse sì . Ritirato , giubilato , selvatico nel senso di Leonardo : chi è selvatico si salva ? Ma non è vero , nessuno si salva , non c ' è più un ' altra terra . Ma in quella che c ' è e dove siamo stati sconfitti non ci sono né pace , né ricomposizione , né vero dominio - ci sono le urla e la lacerazione che avevamo a tentoni intravisto nei sessanta , nei settanta . Le avevamo viste con lui e grazie a lui : poi ne traemmo altre conclusioni . Ma chi si aspetta che Ingrao taccia , si sbaglia . È di quelli che preferiscono essere fatti a pezzi che tornare a casa .
Encicliche ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Sarà modesta la sorte ecclesiale dell ' enciclica Evangelium vitae . I teologi o ne tacciono o la giudicano severamente . E gli umili pastori d ' anime sanno bene che per parlare e farsi ascoltare dalle coscienze inquiete della gente dovranno regolarsi come se non ci fosse . Essere papa è una dura prova per un uomo . Isolato , senza più una vera comunicazione , esaltato e sovraccaricato dall ' esser la voce di Cristo in terra , dovrebbe avere grande capacità di ascolto e grande saggezza di parola . Erano le virtù di Giovanni XXIII . Karol Wojtyla non le possiede o le ha perdute , e più le sue forze declinano più smisurata diventa in lui l ' idea , o la tentazione , di avere una funzione secolare immensa , del contare nel mondo in nome di un potere più che umano . È fin inquietante a vedersi , scavato , ammalato , in piedi con fatica , mentre legge con voce tremante un foglietto sorretto da mani tremanti per ribadire l ' interpretazione autentica della profluvie di encicliche , lettere apostoliche , discorsi vari e « statements » con i quali si affanna a statuire , a impedire , a chiudere porte e tirar su paletti davanti a qualcosa che incalza . Stavolta a incalzare sono le nuove minacce della morte alla vita - quella morte che « entra nel mondo a causa dell ' invidia del diavolo e del peccato dei progenitori » . Di quale morte parla ? Non inganniamoci . Non è l ' angoscia che ci ha colti con Hiroshima , quando per la prima volta abbiamo pensato che il pianeta poteva finire . Né il timore per l ' Aids , moderna pestilenza , né per l ' impulso distruttivo che sembra infuriare in violenze cieche e in guerre illeggibili . L ' Evangelium vitae non ha al centro la conservazione della specie alla soglia del terzo millennio né le guerre né le calamità naturali : il Vaticano sa bene che mai gli uomini sono stati in così grande numero , che in meno di un secolo l ' umanità si è quadruplicata e si è raddoppiata la speranza di vita . Sa anche che per la prima volta nella storia da un capo all ' altro del pianeta ci si interroga in qualche modo sui « diritti umani » ai quali fino a ieri l ' altro nessuno o ben pochi facevano caso . Sulle calamità naturali non ha nulla da dire , e quanto alle guerre stavolta appena si attarda a nominarle , essendo state rigettate alla periferia di quell ' Occidente che di questa enciclica è il vero interlocutore . In esso infatti egli vede covare il nemico : la morte per così dire privata , quella che si annida nel più intimo dei rapporti , la famiglia , nel vicino più prossimo da persona a persona . Non tanto la morte di un solo , ma la morte o la non - vita o la , vita - a - certe - condizioni - per Wojtyla sono quasi sinonimi - la vita insomma non come fatalità ma come scelta . Così egli non spende troppe parole sull ' omicidio , antica interdizione , e neppure sulla pena di morte ; e non solo perché la Chiesa non ama intrattenersi troppo sul biblico « Nessuno tocchi Caino » o è avvezza a patteggiare con i poteri costituiti . Stavolta non patteggia , minaccia . Chiama anzi alla disubbidienza civile , cosa rarissima , su quel che più di ogni cosa le preme : la vita degli « innocenti » . Chi sono gli « innocenti » ? Coloro che non sono ancora venuti alla luce , non ancora persone , ma vita nascente , vita possibile , i purissimi non nati e , quasi altrettanto inermi , i sofferenti terminali che vorrebbero morire . Creatura nella quale la volontà non c ' è ancora o non è più in senso pieno ; questo è il « debole » , sul quale preme la minaccia dei più vicini , i genitori , la madre , la famiglia . Per egoismo o per pietà costoro non lo metteranno alla luce o ne accelereranno la morte . Per egoismo o per pietà decideranno quando e come far nascere . Aiutati da inedite possibilità della scienza e della tecnologia . Questa è la nuova morte , il vero nemico . Il come della riproduzione non è problema di poca grandezza : investe al fondo la questione della persona e della libertà . Meritava , se enciclica doveva essere , una vera riflessione su questioni primarie dell ' etica del nostro tempo . Non l ' ha avuto ; l ' Evangelium vitae non ritiene che ci sia dilemma né una inedita problematica della coscienza ; tutto è sempre lo stesso ed è chiaro . Si tratta di ribadire il già noto nelle due occasioni cruciali , che datano quest ' ultima enciclica : la conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione appena avvenuta al Cairo e quella sulla donna che avrà luogo dalla fine di agosto ai primi di settembre a Pechino . Sulla popolazione , il Vaticano aveva incaricato una sua commissione di stendergli un rapporto , e si è trovato di fronte la proposta di dichiarare lecita la contraccezione . È stato un colpo . Wojtyla , Ratzinger e la curia di Roma hanno abbattuto la commissione pontificia e al Cairo i loro incaricati si sono battuti fino all ' ultimo non solo contro l ' aborto ma contro il controllo delle nascite , e hanno incontrato due scacchi . Primo , la defezione dell ' Islam che ha lasciato libera la contraccezione . Secondo , e più preoccupante , l ' alleanza delle donne - si può dire di tutte le donne , del Nord del Sud dell ' Est e dell ' Ovest - per il diritto al controllo delle nascite . Era la prima volta che paesi del Sud del mondo non si limitavano a dire a quelli del Nord « non immischiatevi nelle nostre faccende , cresciamo quanto ci pare » . Le donne hanno detto basta , la vita passa attraverso il nostro corpo e hanno preso il problema dalle mani degli uni e degli altri , ne hanno fatto una questione del loro essere , della loro persona e libertà , e non solo per la gestazione ma per il nutrimento , la crescita , l ' orizzonte di chi viene al mondo . Hanno identificato il proprio problema in una idea forte di sviluppo . Fra qualche mese esse torneranno a Pechino . Non è una lettura maliziosa vedere nell ' Evangelium vitae un sussulto di timore della più autorevole comunità monosessuale , comprensibilmente e miseramente sessuofoba , la Chiesa di Roma , davanti all ' insorgere inaspettato di un soggetto mondiale femminile . La donna , antico tramite del diavolo e oggi tramite della « nuova » morte . Wojtyla non è neppure in grado di parlarne , se non come matrice , grembo , luogo di maturazione dell ' embrione , contenitore di una vita che in lei viene transitoriamente immessa . Si commuove evocando le sole parole che gli vengono nella penna , quella della madre dei Maccabei davanti ai figli spenti : « Non so come siate apparsi nel mio seno , non io vi ho dato lo spirito e la vita , non io ho dato forma alle membra di ognuno di voi . Ma il creatore del mondo , che ha plasmato l ' origine e l ' uomo e ha provveduto alla generazione di tutti » . Come potrebbe lo sgorgare della vita - postilla Giovanni Paolo II - essere lasciato in balia della specie umana ? La vita le è data da Dio attraverso il corpo della donna . È l ' antica tradizione occidentale , sublimata dal principio del maschile - divino . Ogni intervento , ogni assunzione di libertà su questo punto è violazione della legge santa di Dio e il seme di avventure totalitarie . Si comincia col decidere se avere un figlio o no , poi se portare avanti la gravidanza o no , e a quale età , e se nell ' utero proprio o altrui , sole o con un uomo ; domani se ne sceglieranno il sesso , le fattezze , lo si clonerà , o gli si imporrà un Dna con vita a termine . Nella donna che vuol decidere di una maternità c ' è in nuce un Mengele . Qui sta la chiave e la povertà dell ' enciclica . Il problema della riproduzione umana è arrivato a più di una svolta . Una di esse è il problema della libertà e del corpo femminile ; complesso , non semplice . Un altro è quello delle possibilità di intervento indotte dalla scienza , che sono molte e inducono il dilemma del fin dove e del come . Ma l ' Evangelium vitae annulla ogni problema di scelta , azzera ogni dilemmatica morale : non c ' è di che discutere né interrogarsi né decidere . Da una parte ci sono Dio e la Natura , quasi sinonimi , e dall ' altra il demonio . Dio ha parlato una volta per tutte attraverso la Chiesa , che è sovrumana custode della sua parola quindi delle leggi dell ' universo . Non resta che seguirla , il resto è crimine e sacrilegio . La semplificazione culturale è immensa e desolante ; è davvero un toccare il fondo del cattolicesimo , il quale da tempo , del resto , lasciava al luteranesimo la tragedia della persona , l ' etico , lo stesso interrogarsi sul senso della vita nel disegno di Dio , che poi è il fondamento della libertà per un credente . Domani saranno cinquant ' anni precisi da che a Flossenburg veniva impiccato Dietrich Bonhoeffer , che sembra più lontano da Karol Wojtyla del Gran Muftì di Gerusalemme . Egli aveva osato parlare di un mondo adulto , che non ha più bisogno di un signore o giudice o consolatore , « un mondo senza Dio in presenza di Dio » , non parentesi , non breve transito , ma luogo decisivo dove si giocano il senso e la salvezza . L ' Evangelium vitae torna a disegnarci un mondo dove velocemente si passa , segmento insignificante , specie di prova d ' esame in vista della vita vera , che verrà « dopo » . È l ' antica tesi autoritaria , assieme pedagogica e consolatoria , che ha permesso alla Chiesa tutte le repressioni e tutti i compromessi ; oggi la rende muta davanti a ogni domanda sulla concretezza della libertà . E paradossalmente perfino sull ' obbedienza . Wojtyla non sa più parlare neppure nel severo ambito dell ' epistola di san Paolo ai Romani - fra lo sconvolgente commento di Karl Barth , traversato da tutta la modernità , e i testi di Giovanni Paolo II c ' è un abisso . Non è un bene neanche per chi non è cattolico . Dal tema della vita come scelta propria e altrui la Chiesa si ritira , si dimette , lasciando scoperti i credenti . Non a caso le rispondono zelantemente soltanto i politici , i medici e i farmacisti .
Stragi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Un silenzio di piombo ha accolto l ' inchiesta del giudice Salvini sulle stragi da piazza Fontana in avanti . Lo stesso per il verbale riservatissimo della riunione del governo dopo la strage di Bologna nell ' agosto del 1980 . Scrupolo di accertare questa o quella responsabilità penale ? Certo no , gli scrupoli non sono la specialità dei media e dei leaders . È scelta di tacere su quanto già si supponeva e ora è accertato , l ' ampiezza devastante delle responsabilità dei governi dagli anni sessanta a ieri . Dunque il più estremista dei volantini estremisti degli anni settanta restava al di sotto della verità . Pensarono tutti , pensammo tutti , che nei servizi segreti fossero infiltrati personaggi o lobbies o gruppi che agivano in un loro disegno , ma marginale rispetto alle scelte dell ' esecutivo , una carta matta imprudentemente usata e che finiva con il ricattare i governi , i quali prima tacevano poi periodicamente cercavano di liberarsene . Non era così . I servizi segreti operarono con l ' accordo dei governi e dell ' arma dei carabinieri nell ' uso della manovalanza che già avevano o trovavano nell ' area missina . Quando , negli anni sessanta , in fabbrica si dovettero dismettere le schedature e i movimenti della sinistra avanzarono impetuosamente e si modificarono gli equilibri centristi , i governi , costretti ad « aprirsi » , allargarono d ' accordo con la Nato i compiti delle strutture clandestine destinate a fare fronte non già a del tutto improbabili invasioni sovietiche ma a un mutamento di indirizzi , una vera « alternanza » in Italia . Furono così lasciati fare attentati e stragi , anzi suggeriti e garantiti di copertura , ventisei anni di tritolo e cadaveri , dal 1960 in poi . Per agitare una presunta instabilità e seminare il dubbio e la divisione sul movimento che potentemente avanzava , specie dopo il '68 e il '69 , accusandolo di portare il terrore dentro di sé . Di questa laida operazione i governi erano al corrente , conoscevano la mappa di chi operava e la copersero . Non copersero solo le stragi interne . Il presidente Cossiga ci invia uno stupefacente verbale dal quale si desume che il suo governo aveva motivo di sapere che l ' aereo dell ' Itavia precipitato a Ustica era stato colpito da un missile della Nato che voleva liberarsi del colonnello Gheddafi ma sbagliò obiettivo . È il5 agosto 1980 , a due giorni dalla strage alla stazione di Bologna , ne deduceva trattarsi di una vendetta dei libici . Chi legge il verbale - c ' erano Cossiga , Colombo , Bisaglia , Morlino , gli inevitabili Sisde e Sismi e capi della polizia , ma anche Formica , Andreatta e Giorgio La Malfa - non ne trae alcuna certezza che siano stati i libici , ma che questi signori considerarono l ' ipotesi sufficientemente valida da dover essere nascosta , dati gli interessi libici in Italia oltre che la figura della Nato . E che decisero di discorrerne con i servizi segreti della Libia e di tacerne con gli inquirenti italiani , che per quindici anni si sono dibattuti tra falsi di ogni genere , finendo con l ' inseguire quei Nar che c ' era ragione di ritenere non entrassero nella strage di Bologna affatto . Intanto i presidenti della repubblica ricevevano periodicamente le famiglie assicurando che si sarebbe fatta giustizia . E fino a quando dura questa sanguinosa commedia ? Ancora nel 1992 il governo mente alla camera sulla struttura Gladio , che deve ammettere ma di cui consegna soltanto l ' involucro esterno , 622 nomi di poco conto destinati a nascondere la vera struttura di fiducia , quei « Nuclei di difesa dello Stato » che , per quanto ne sappiamo , scorrazzano anche ora . Non si liquida in un giorno un piccolo esercito protetto dai carabinieri e quei servizi che , infatti , sembra difficile processare anche se colti con le mani nel sacco . I ricatti si sprecano . Dunque non singoli personaggi deviati ma i regolari servizi dello Stato hanno utilizzato esplosivi , sparatorie e missili , con l ' accordo dei governi e della Nato , hanno schedato il mezzo milione di italiani ( e le schede ci sono ancora ) e hanno allenato supercentrali operative , reclutando i tipi più fidati nel Movimento sociale italiano . Dove ogni tanto uno come Vinciguerra si innervosiva di essere usato dai corpi della Repubblica invece che per la rivoluzione fascista , come gli assicurava Rauti che gestiva in buona armonia con Giorgio Almirante , mentore di Gianfranco Fini , le due facce del partito . Il tutto nel quadro di intese interne e internazionali del tutto illegali , del tutto incostituzionali e del tutto accettate . Perché , ebbe a dire Francesco Cossiga , che c ' era di strano ? Noi , l ' Occidente democratico governavamo in Italia un paese di frontiera che doveva tenersi pronto all ' invasione delle armate russe e iugoslave , come è noto impazienti di occupare l ' Europa , mentre voi avevate il partito e le masse pronti a consegnare il paese a Breznev . Noi ci servimmo dei nostri servizi e delle nostre bombe , voi avevate le Brigate rosse e i loro revolver . C ' era una guerra , ora non c ' è più per decesso dell ' Urss e possiamo chiudere la partita . Quelli di noi che gettarono un urlo si sentirono dire anche da Norberto Bobbio che erano gli incerti della situazione geopolitica : ovvio che fossimo in libertà vigilata dal 1945 al 1989 . Sennonché nessun esercito sovietico si preparava a dilagare in Europa , dove Mosca aveva rinunciato anche all ' idea di rivoluzione dopo gli anni venti . Tanto meno dopo Yalta . E infatti la Nato operava in tutta l ' Europa occidentale , ma nessun altro paese ha chiesto o subìto condizioni simili . La Stay behind più « Gladio » è un esempio della creatività italiana , armata dai governi centristi quando temettero che quella grossa socialdemocrazia , popolare e moderatamente avanzata che era il Pci , si conquistasse quell ' alternanza della cui mancanza si dolgono gli stessi che tacciono sui mezzi con cui fu impedita . La storia d ' Italia prende davvero , alla luce dei fatti , una strana fisionomia . Guardo i nomi dei presidenti della Repubblica negli annidi fuoco , Pertini e Cossiga , uomini diametralmente opposti , mi chiedo come venne eletto l ' uno , che cosa sapeva , come venne usato , e come venne eletto l ' altro , quello che sapeva tutto degli apparati e sa dove cercare i documenti quando gli viene in mente di illuminare gli storici . E che cosa sa Scalfaro , del passato e del presente ? Quali dilemmi i migliori di loro hanno avuto ma tengono per sé ? Guardo i nomi dei presidenti del Consiglio , e mi fa impressione che Andreotti sia perseguito per un improbabile bacio a Riina e non per aver inviato a « sfoltire » di nomi i dossiers delle stragi nel 1974 . Penso alla lista dei ministri della Difesa e agli armadi di quelli degli Interni , cui i servizi facevano pervenire rapporti più che espliciti . Penso ai capi della polizia , fedeli servitori dello Stato , come quello che vidi mentire tranquillo sotto giuramento al processo 7 aprile . In nome dell ' anticomunismo in Italia fu ovvio , implicito , consentito fare di tutto , compreso l ' ammazzamento di cittadini che si trovavano per caso in una banca , in una piazza , in un treno o una stazione . In tema di atlantismo , il nostro è un record . Penso anche all ' opposizione , che esce da questo quadro beffata e sciocca . Nel 1964 , quando si preparava il colpo del generale De Lorenzo nel silenzio - assenso del presidente Segni , Pietro Nenni sentì fragore di sciabole e fece marcia indietro invece che chiamare i carabinieri - forse dubitando che sarebbero volati in suo soccorso . Negli anni settanta , preso atto del Cile , Enrico Berlinguer fece sapere allo Stato nel quale desiderava entrare che non avrebbe cercato di modificare nessuno degli equilibri militari , né interni né internazionali . E infatti . Quale fastidio diede ai servizi il Pci ? Nel 1969 cadde col naso in avanti nella tesi della pista rossa , non vide altro che un pericolo a sinistra , ottenendo in tutto e per tutto una coda di paglia grande come una casa per essersi appiattito a quell ' impresentabile stato . Che ne dice oggi Ugo Pecchioli , da una vita nel comitato parlamentare che doveva controllare i servizi ? Di lui devono aver riso molto un bel mucchio di mascalzoni . Per quindici anni comunisti e progressisti hanno chiuso gli occhi su coloro che li stavano facendo fuori , per inseguire l ' eversione di sinistra che la loro debolezza aveva provocato , e ora apriva la propria sanguinosa , perdente guerra privata con gli apparati della polizia e dell ' esercito . Rivedo gli editoriali di « l ' Unità » , e di Valiani e di Scalf ari , che accusavano le Brigate rosse di mettere a repentaglio le istituzioni repubblicane . Intendevano dire che eravamo già così occupati da colonnelli e armigeri fascisti che non bisognava eccitarli oltre ? Che su tutto questo , oggi squadernato , Gianfranco Fini taccia , si capisce : la sua svolta è avvenuta sotto il ritratto di Almirante . E si capisce che dunque ne taccia il Polo . Che tacciano i popolari è meno chiaro : l ' esame di coscienza della Dc , i Bianco , i Martinazzoli e Rosy Bindi lo devono fare . Ma perché la sinistra tace ? Perché dovremmo tacere noi ? Sento persone piene di saggezza ammonirmi : lasciamo perdere , non ci si attarda sulla malattia quando si è guariti , la vita deve continuare ; e che puoi dire ai giovani ? Che i governi della Repubblica avevano qualche intesa con la mafia , e poi hanno anche rubato , e infine che sono stati un po ' assassini ? Meglio guardare avanti . No . Non si guarda avanti se non si vede chiaro ieri , se non si sa dove il marcio è arrivato , se si assolvono uomini , mezzi e fini , se si racconta che di fascisti non ce n ' è stati più dal 1945 e che se avessimo avuto meno comunisti saremmo da un pezzo una splendida democrazia . I miei amici giovanissimi mi guardano e sussurrano : avete lasciato un cumulo di macerie , non seccare con la politica , preferiamo un ' esistenza senza le sue ambizioni ma senza i suoi orrori . Debbo dirgli che in fondo , sì , siamo in un sistema trasparente , il conflitto non è poi grande e avviene ad armi pari , sotto i fari d ' una stampa coraggiosa e veritiera ? Non è vero . Non sono uguali le responsabilità , le colpe , i fini e i mezzi . Ci hanno scassato a colpi di bombe , fucilate , complotti e bugie . Quelli che vengono dopo di noi costruiranno mattone per mattone il proprio destino , ma noi dobbiamo loro la verità .
ProsaGiuridica ,
ART . 1 . I beni immobili devoluti e da devolversi alla cassa ecclesiastica in virtù della legge sarda 29 maggio 855 , e dei decreti 11 dicembre 1860 del regio commissario straordinario dell ' Umbria , 3 gennaio 1861 dell ' altro regio commissario straordinario nelle Marche , e 17 febbraio 1861 del luogotenente generale del re nelle provincie napoletane , passano al demanio dello Stato a misura della determinazione della loro rendita colle norme stabilite all ' articolo 3 . ART . 2 . In correspettivo di questa cessione il governo inscriverà in nome della cassa ecclesiastica una rendita del cinque per cento sul Gran libro del debito pubblico uguale alla rendita dei beni che passeranno al demanio . ART . 3 . II ministro delle Finanze , unitamente al ministro di Grazia e giustizia e dei culti , determineranno questa rendita , udito il parere della commissione provinciale per l ' accertamento del valore dei beni demaniali , colle norme dei contratti , dei registri regolari e dei catasti , e in caso di mancanza o anche d ' insufficienza di tali elementi , con perizie sommarie di cui il sistema verrà fissato dal regolamento . ART . 4 . Fino a nuova legge rimane sospesa l ' esecuzione dell ' alinea 3° dell ' art . 15 dei due decreti dei regi commissari straordinari delle Marche e dell ' Umbria indicati all ' articolo 1 , non che dell ' alinea 3° dell ' articolo 23 dell ' altro decreto luogotenenziale ivi pure citato . ART . 5 . Quelli degli edifizi monastici che sono da assegnarsi ai comuni delle provincie napoletane , secondo l ' art . 25 della legge del 17 febbraio 1861 . non saranno compresi nel passaggio di che all ' art . 1 , e verranno dal governo assegnati effettivamente ai comuni . Le disposizioni , di cui nell ' articolo 25 della legge 17 febbraio 1861 vigente nelle provincie napoletane , sono estese a tutte le provincie del Regno , ove è istituita la cassa ecclesiastica . ART . 6 . Oltreciò il governo del re è autorizzato ad alienare ai comuni , a trattative private , i fabbricanti urbani posti nel loro rispettiva territorio dei quali avessero bisogno per uso proprio , e dei quali faran richiesta nel termine di sei mesi dalla presa di possesso dei detti fabbricati . ART . 7 . Tutti gli altri beni immobili , eccettuati quelli riversibili , come al l ' art . 4 del decreto 11 dicembre 1860 , e 3 gennaio 1861 , e 5 del decreto 17 febbraio 1861 , o quelli sui quali havvi contestazione , fino a che questa non sia risoluta , verranno alienati colle stesse leggi e norme che regolano la vendita degli altri beni demaniali . ART . 8 . Gli oneri inerenti ai beni , di cui all ' art . 1 della presente legge , s ' intendono trasferiti sulla rendita di cui all ' articolo 2 . ART . 9 . Con un regolamento approvato per regio decreto sarà provveduto alla esecuzione della presente legge .
Mettere al mondo ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Non facciamo confusione : non sono la stessa cosa un ' interruzione di gravidanza e l ' intervento genetico sulla riproduzione della specie . Nel primo caso una donna si chiede se mettere al mondo un figlio o no ; una donna , quella persona / corpo che non regge una maternità , e decide per il no . Nel secondo , il genere umano si trova a decidere il sì o il no di manipolazioni e mutazioni , financo donazioni o differenziazioni perverse , che decidono dell ' umano futuro . E interpellano alle radici culture , etiche , princìpi di identità . E infatti la prima è un ' antica vicenda , la seconda del tutto inedita . Da sempre le donne hanno ricorso a erbe e strumenti e tecniche abortive quando non potevano mettere al mondo e tenere al mondo una creatura . A rischio della vita . Uomini e società lo sanno , non c ' è testo di scienza naturale che non ne parli . Non c ' è stata legislazione demografica che lo abbia impedito . Le grida sull ' aborto che si levano periodicamente sono bugiarde e perverse . Lo scrive Gustavo Zagrebelski : « Un punto che dovrebbe essere pacifico in ogni discussione in buona fede è che tutti i divieti legali , siano essi rimessi nelle mani del giudice penale che condanna , o del medico che rifiuta l ' intervento , o del genitore che nega l ' assenso , o del padre che impone la sua volontà generatrice , si risolvono concretamente non nell ' impedimento dell ' aborto ma nella ricerca dell ' aborto clandestino ... non la difesa della vita del nascituro ma il pericolo della vita della donna e la discriminazione fra donne ricche e povere : due conseguenze entrambe incostituzionali » . Non penso che su questo si debba elucubrare , tanto è tristemente noto e chiaro . Si può chiedersi il perché del periodico risorgere d ' una maledizione su pratiche acquisite dal sapere comune e dalla medicina semplice - penso al trattato « sulle malattie delle donne » di Trotula de Ruggiero - e che fecero riflettere con più problematicità di ora la Chiesa delle origini . È come se qualcosa spingesse uomini o Chiese o Stati a inchiodare il corpo femminile sul margine fra vita e morte nel quale per secoli lo hanno cacciato e il parto ( fino all ' asepsi ) e l ' aborto . Là dovrebbe restare o essere riportata la maledetta sessualità femminile ? Si può anche capire il problema del credente , per il quale sono sacri qualsiasi tempo di vita come qualsiasi distruzione « naturale » perché Dio disegnerebbe il correre dell ' universo , e l ' uomo non avrebbe il diritto di intervenirvi . Ma quale fondamento può avere una etica laica , se non il doppio principio della libertà e delle responsabilità ? In questa ottica appare bizzarro che quel che di più importante si può fare , cioè mettere una creatura al mondo , non sia libero , deciso . Neppure la più folle delle legislazioni , salvo una segreta pratica nazista , osa enunciare l ' obbligo di generare . Ma se scelta è , è scelta in prima istanza e in ultima della donna . Qualsiasi uomo che abbia saputo dalla donna - lui non può saperlo - di averne fecondato un ovulo , sa quel che accadrà in se stesso e in lei : in lui , nulla , in lei , una rivoluzione . Il corpo di lei è investito , rovesciato il ciclo , l ' embrione cresce nei suoi tessuti , partecipa della sua circolazione sanguigna e respiratoria , è difeso dalle sue difese immunitarie , non potrà in nessun caso vivere se se ne separa prima di sei mesi , verrà a maturazione piena a nove e sarà espulso « nel dolore » . Poi la madre lo raccoglierà , pulirà , medicherà , alimenterà , mentre le si rinchiude quel grembo lacerato di cui , fino a meno di quarant ' anni fa , ancora rischiava di morire . Ma dovrà proteggere il piccolo cranio ancora aperto . Il cucciolo umano nasce assai più fragile d ' un gattino , e gli ci vorranno tre anni per cavarsela senza perire . E se la madre non gli sarà stata accanto nel suo pauroso precipitare in un mondo così diverso dall ' alveo materno , l ' angoscia sarà tale da incrinare il suo passaporto per l ' esistenza . La maternità è un evento globale e lungo che investe una esistenza femminile , scompone ogni altro programma di realizzazione , ed esige mediazioni perché uno dei due , madre e figlio / a , non ne esca mutilato . Quale comune misura ha questo con la paternità ? Sul piano fisico nessuna . La paternità è un ' acquisizione mentale , affettiva , non percepita nel corpo . È sulla vita di relazione ? Va da sé che la madre restringa le sue relazioni per privilegiare quelle con la sua creatura , va da sé che l ' uomo sviluppi le sue relazioni , un padre essendo chiamato ad essere più di prima un individuo sociale . La dissimetria è patente , la fisiologia si riproietta e moltiplica in ruoli apparentemente obbligati . Di questo dovremmo pur parlarci , fra uomini e donne . Io ho molti e carissimi amici fra gli uomini , ma non ne fanno parola . Credo neanche fra loro . Forse ogni uomo ha in fondo a sé , oscuramente , la percezione di questo scompenso , che ha battuto fin dalle origini il fantasma della Grande Madre , quella che veniva prima che si riuscisse a legare sessualità e riproduzione , quella ancora presente in Esiodo , la terra generatrice di tutto , anche del cielo . Lui , il maschio , ha potuto accedere alla filiazione , in lei così visibile , soltanto sequestrandone il corpo , e imponendo alla creatura un simbolo di proprietà , il nome . Ma ha dovuto fare della donna un soggetto secondo , meno libero . Si può capire . Credo che dovremmo ascoltare la fragilità del maschio , il sapersi un corpo che non si riproduce , che finisce , che disperde il seme . E nel medesimo tempo sapersi meno esposto , confessa Winnicott : per millenni il parto è stato un rischio di vita . Di fronte all ' invidia - timore che le donne avrebbero del pene , c ' è l ' invidia - timore del maschio per la femminilità sdoppiantesi , sola signora della genealogia . Si può anche capire che quando il sapere medico ci mette nella possibilità di decidere il sì o il no della maternità senza rischiare la vita , il nostro potere appaia enorme , inammissibile . Che altro traspare dalle parole di un uomo , abitualmente problematico e colto come Giuliano Amato ? « Lei » non sa , è egoista , immatura , incapace di veder oltre se stessa . Decido io al posto suo . Diverso il problema di fronte agli interventi genetici che investono la riproduzione della specie . Ma proprio perché essi riguardano l ' intera umanità , divisa in ruoli di inuguale potere prima di tutto fra i sessi , va detto forte che non se ne deciderà senza la determinazione della parola femminile . Io sono grata al centro Virginia Woolf per averlo scritto e proposto alla firma di tutte , al di là di ogni appartenenza . Il « che cosa » poter o dover fare in tema di procreazione esige una decisione d ' urgenza , perché già troppo si è avanzati senza una regola , e dove le regole non ci sono , conta il più forte , in saperi , denari , poteri . Su questo terreno si può giungere a mostruosità , come sappiamo , e anche dove sogni perversi di eugenetica fossero evitati , nessuna mutazione sarà cosa da poco . E non di poca tentazione : se intervenendo sul Dna abbattessimo alcune fatali malattie ? Per salvare e per salvarsi si possono compiere atrocità . Ma anche fosse tutto per il meglio , questo meglio va lungamente meditato e comunemente deciso . E la decisione varrà se ambedue i sessi , al punto in cui sono le riflessioni su di sé e l ' altro , e le identità , e le prospettive , vi si riconosceranno . Questo è l ' ammonimento dell ' appello firmato da migliaia di donne . Altro che domanda « corporativa » ( ammesso che sia pensabile ridurre un sesso anche alla più vasta delle corporazioni ) . Quel che è sicuro è che finora non ambedue i sessi ma solo il genere maschile ha parlato e legiferato . L ' altro , noi , abbiamo taciuto o subìto o privatamente mediato o ci siamo fatte complici : sono complicati , ben poco trasparenti , i rapporti fra uomini e donne . Lo schema maschile ha funzionato da schema unico , oggettivo e neutrale . Ma come potrebbe esserlo ? Anche chi , come me , non rinuncerebbe ai saperi d ' un mondo cui le donne hanno subalternamente partecipato , dubita che sul terreno della sessualità e della procreazione gli uomini possano attingere a pretese di universalismo . Si tratta d ' una frontiera limite , dolente e problematica , dove ogni sesso è forzato a una sua parzialità . Di più , il corpo non si dice in parole , è sentito , ne scriviamo per geroglifici . Sull ' esperienza del corpo siamo rimandati al massimo del « dato » e al massimo dell ' « irripetibile » , a leggi fisse prima e dopo di noi e alla solitudine delle differenze . La comunicazione va costruita . Fra le donne e fra i generi . E questo significa cambiare ordini , simboli , valori , poteri . Agli uomini , signori delle parole , restituirei quella competenza sui sentimenti che , tenendosi per sé i saperi , sembrano averci consegnato rimuovendoli da sé . Non credo alla divisione dell ' intelligere e del sentire , pati , patire . A certi testi femminili restituirei l ' inclinazione opposta , una sapienza come antilogos , che già ci ha funestato negli anni settanta . Come se si potesse pensare , elaborare , riflettere , senza astrarre , e non si potesse astrarre senza ordinare , né ordinare senza coartare . Come se potessimo eludere la sfera dei diritti , dei conflitti , di scarse ma essenziali leggi e del loro mutare nella storia . Ma questa è strada da fare . Se credevamo di aver tempo , perché qualcosa era sicuramente raggiunto e garantito , ci siamo sbagliate .
Tribunali/Confusioni ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Come si fa a rendere non credibile una democrazia ? Si fa come in Italia . E infatti altri paesi esitano a seguirci , pur avendo problemi non così dissimili dai nostri . Non c ' è istituzione che non vacilli alla prima onda matta che le si infranga addosso . Le istituzioni sono destinate a mutare sotto l ' impatto della storia . Tutti i movimenti , quando emergono , nella istituzione incontrano un limite , lo denunciano , tendono a travalicarla . La differenza fra destra e sinistra - una delle differenze - sta nel fatto che i movimenti di sinistra tendono a riappropriarsi di quella partecipazione che la formalità della rappresentanza appiattisce , allargando per così dire il sistema circolatorio e immettendovi sangue fresco ; i movimenti di destra , invece , tendono a restringerla . La tanto esaltata « rivoluzione italiana » del 1993 ha questo segno , anche se nessuno dei molti che sulle prime l ' hanno esaltata lo riconosce . Crollato il Caf , è la destra che conduce la danza , puntando al discredito di ogni forma di partecipazione politica e di separazione dei poteri , in modo da liberare lo spazio al « niente Stato , tutto mercato » . Adesso nel macinatutto sta il referendum . Come si fa a svuotarlo di senso ? Se ne presentano dodici . Ha ragione Stefano Rodotà , quando ricorda ( su « Repubblica » di ieri ) che non dovrebbe esservi istituto più immediato e chiaro di quello che affida ai cittadini di decidere d ' un dilemma di linea o di coscienza civile che il parlamento non è in grado di risolvere , o che è essenziale verificare in un contesto più ampio . E infatti così sono i referendum all ' estero , e così sono stati da noi i grandi referendum su monarchia e repubblica , così è stato per legge Reale , aborto e divorzio , nucleare e tossicodipendenze , e così in qualche misura ancora per la legge elettorale . Anche se , osserva Rodotà , l ' ultimo dei grandi referendum ha , più che « abrogato » , ritagliato una legge su misura dei proponenti , è innegabile che esso rispondeva a una spinta d ' opinione , che la sinistra non aveva né sollecitato né era in grado di guidare . Ma che cosa ha a che vedere con queste scadenze , sia pur di meno in meno solenni , la miscela fra quesiti grandi e minuscoli che si affolleranno domenica in dodici schede ? La maggioranza della gente non lo sa . Non solo per la difficoltà dei quesiti , che in queste ultime settimane ci si è sforzati di dipanare e cui dovrebbe soccorrere la numerazione , una titolazione approssimativa e il diverso colore delle schede , ma per la dimensione così diversa delle questioni . Davvero occorreva ricorrere per tutte a una consultazione così massiccia ? Il dubbio toglie all ' appuntamento dell ' 1 r giugno il connotato di grande scelta popolare , per farne terreno di scorribande e manipolazione degli umori o delle corporazioni . Se si aggiunge che fino all ' ultimo personaggi come Veltroni e Confalonieri fanno sapere che per l ' oggetto maggiore del contendere , la posizione della Fininvest nel sistema televisivo , sarebbe possibile mettersi d ' accordo , e sostanzialmente lo si farà , bisogna dire che si è fatto di tutto per confondere le idee . E infatti il Polo , fallita un ' intesa alle sue condizioni , gioca le carte di una propaganda che più bugiarda non si può : votate No su tutto , anche a costo di scaricare i referendum di Pannella , perché qui si vuol diminuire la vostra scelta televisiva . Non è vero , ma che importa ? Inversamente , dove non ci sono interessi diretti dell ' impresa , come nei referendum sui sindacati , si corre fra due impossibilità : senza la scossa del referendum il sindacato non ha ascoltato la domanda di maggiore democrazia e rappresentatività , ma nel referendum decideranno anche le massaie che , salvo il rispetto , non c ' entrano niente . L ' elettore è confuso e teme di confondersi : quanti decideranno di astenersi su tutto perché non capiscono , quanti per convinzione , quanti su alcuni quesiti , cosa che li obbligherà a far verbalizzare dal presidente di seggio quali schede accetti e quali no , e quanti saranno in imbarazzo in cabina , preoccupati di confondere i foglietti e non scrivere la croce su una scheda sopra l ' altra sulla mensoletta che avranno davanti ? Se la gente volesse pensarci su , mettiamo , tre minuti per scheda , starebbe in cabina un ' ora . Ci vorrebbero un paio di giorni e non uno solo per votare . Penso a me stessa , che voterò Sì ai due quesiti che mirano all ' abolizione della Mammì e No a quello sulla partecipazione dei privati alla Rai , Sì ai due quesiti sindacali sull ' allargamento della rappresentanza , No a quello che vuol trasformare in pubblico la possibilità di non far trattenere le quote sindacali sulla busta paga , e poi No all ' estensione del maggioritario ai grandi comuni e poi ci penserò ... Faccio politica da una vita , ma forse nella fretta mi aiuterò con i numeri e i colori . Sarebbe questo il grande appuntamento popolare ? Tocco con mano che siamo fuori e contro il senso che volemmo dare nel dopoguerrra al referendum . Un ' altra confusione , e più grave , arruffa istituti e spirito pubblico . È la confusione fra politica , giustizia e morale nella quale sguazziamo da alcuni anni e oggi precipita nel caso di Antonio Di Pietro . L ' aver consegnato alla magistratura un contenzioso politico più che maturo , già fradicio , perché non si sapeva o voleva affrontarlo in sede politica , sta diventando un boomerang per la politica . E anche per la magistratura che ha avuto l ' imprudenza di accettare un compito non suo . Non sono una incondizionale del pool di Mani Pulite , e questo mi è costato qualche impopolarità anche fra i miei amici . Non amo ridurre tutto a fattispecie penale , né lasciare ai pubblici ministeri che mi trovino , costi quel che costi , una verità che per colpa o errore o omissione ho permesso si producesse sotto il mio naso . Non apprezzo il carcere preventivo , non apprezzo il patteggiamento . Non apprezzo i magistrati che esternano in tv parole e silenzi . Non apprezzo gli avvisi di garanzia che trapelano dai giornali . Eccetera . Ma è indecente la corrida che oggi è aperta su Antonio di Pietro , un giorno colpevole e indagato e l ' altro no , un giorno nella polvere e l ' altro sugli altari . Per quel che leggo , e magari il giorno dopo viene smentito , è un uomo qualsiasi che ha fatto anche un debito con chi non doveva e lo ha pagato - sono affari suoi . Che ha stretto qualche mano non candida - sono affari suoi . Che ha raccomandato o lasciato raccomandare suo figlio - si può capire . Ma a me , cittadina , di Pietro deve rispondere soltanto di come ha fatto il pubblico ministero , e ha diritto di chiedere sul resto per sé quel rispetto che qualche volta non ha concesso ai suoi imputati . Questo rispetto non glielo ha chiesto nessuno , meno che mai la stampa , per gli imputati : purché acchiappi topi ogni gatto va bene . Nessuno ha obiettato , fuorché la difesa di Cusani , che a Milano si facesse un processo indiretto a tre quarti del ceto politico italiano tramite il modesto yuppie lombardo , ex nuova sinistra ed ex finanziere di corte . Di Pietro inchiodava Craxi ? Era l ' arcangelo Michele , il salvatore degli italiani , il migliore dei ministri possibili dell ' Interno , anzi dei presidenti del Consiglio e , chissà mai , dei capi di Stato . Non è da stupire che a una persona semplice e di cultura politica inesistente sia un po ' girata la testa , e che lasciata la toga si agiti molto e ci informi di tutto quel che gli passa nel cervello : le prime pagine dei giornali , anzi interi giornali , hanno portato alle stelle ogni sua parola . Adesso con lo stesso stile lo si morde : e se anche di Pietro fosse corrotto ? Vedremo , intanto spariamo i titoli . Come è successo ai suoi imputati , la vita privata , la moglie , i debiti , le difficoltà , le amicizie sono nel mirino , insinuazioni e falsi e smentite inclusi . A questo genere di vendetta plebea , consumata da professionisti , interessa che il giudice sia esaltato per poter essere poi abbattuto : e arrivederci alle regole . Che cosa di peggio poteva essere fatto alla magistratura che elevarla a supremo e unico arbitro della vicenda politica degli ultimi dieci anni ? Gettarle addosso il sospetto che sia stata anch ' essa corruttrice o corrotta . Il cerchio è chiuso . Sarò fissata , ma anche qui è una questione di mercato . Mancano grandi regolatori , grandi identità di principi o grandi conflitti , e ogni cosa finisce in tribunale . Mandare tutto in tribunale significa , oltre che attribuire ai magistrati un ruolo di arbitri della politica e della morale , che non è loro , significa dare a tutte le relazioni sociali e personali un valore di scambio . Ogni perdita subita si identifica in un prezzo o una pena , tu mi hai sottratto questo e mi devi rendere altrettanto , o in rimborso o in sofferenza . Questo secondo passaggio , barbaro , non è mai stato in auge come ora . Così il momento della giustizia funge da amministrazione pubblica dell ' etica e l ' etica si identifica in codice penale , ordine e / o vendetta . Se una Corte assolve un imputato perché non ci sono prove che sia stato lui a commettere quel delitto , i familiari della vittima , subito interrogati dai media , dichiarano che è intollerabile , non c ' è giustizia . O il contrario , se l ' imputato è un loro parente . Un piccolino è appena morto di Aids che la famiglia già informa le televisioni a quale ospedale farà causa . La società sparisce sotto i privati sentimenti e risentimenti , e i risentimenti si risarciscono . In quattrini e carcere . Altro ethos pubblico , qualche modesta regola di riferimento , altri binari , ascisse e ordinate del discorso e del giudizio , non ci sono . Sicché nel confuso menar di colpi non c ' è più neanche vera trasgressione . Mao aveva detto : « Grande è il disordine sotto il cielo e questo è bene » . Dubito che avrebbe detto : « Grande è la confusione sotto il cielo , e questo è bene » . Il disordine può essere grande , la confusione è roba piccola .
Sulla Iugoslavia ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Una guerra etnica non ha soluzioni decenti . Finché Serbia e Croazia non si saranno spartita l ' ex Iugoslavia non ci sarà tregua ; ma la spartizione non terminerà mai . Serbi e croati sono gli stessi slavi del Sud , con la stessa lingua originaria , prima divisi fra gli imperi ottomano e asburgico , poi vissuti assieme e incrociati ; e soltanto la religione differenzia gli islamici . Come sempre le radici di una guerra fra etnie sono mitiche , funzionali ad ambizioni e frustrazioni , a scompensi e interessi scaricati su disegni espansivi , simmetrici alle insicurezze . Sia in Serbia sia in Croazia c ' è chi fantastica di spazi vitali che arrivano quasi alle porte della capitale avversaria ; né agli uni né agli altri bastano le frontiere amministrative che avevano nello Stato federale . Così ogni nuovo confine resterà provvisorio ; ogni spartizione comporterà ingiustizie , deportazioni , sradicamenti . La guerra ha fatto delle diversità un abisso incolmabile : gli uccisi , i beni perduti , il trovarsi a sparare sul fratello o il cognato , hanno generato l ' odio dove non era più che diffidenza . Il conflitto riprenderà a ogni occasione , e può incendiare Kossovo e Macedonia . Per questo la comunità internazionale , che non ha prevenuto , non è in grado né di persuadere né di dissuadere . Ha assistito soddisfatta allo smembramento della Iugoslavia e non sa come controllarne le conseguenze . Dopo 1'89 il Vaticano e la Germania hanno incoraggiato la secessione della Croazia per riportarla nell ' area tedesca o austriaca assieme alla Slovenia . Dopo i tentativi di mediazione di Gorbacev , la Russia ha appoggiato la Serbia che rispondeva con le armi in nome di uno Stato federale che aveva contribuito a mandare a picco . Le Nazioni Unite riconoscono la Croazia e mettono l ' embargo alla Serbia , alimentandone il risentimento nazionalista . La miscela bosniaca fra serbi e croati e musulmani diventa esplosiva . Serbia e Croazia mirano ormai a spartirsi la Bosnia , modello di civiltà opposto al loro , puntando ciascuna sui « suoi » bosniaci , indigeni o reclutati tra i feroci ex ustascia ed ex cetnici . Sotto i colpi , la Bosnia da multietnica si va identificando con la causa dei musulmani . E forse non poteva essere diversamente : ma le scelte di Izetbegovic che chiede aiuti in tutte le direzioni per crearsi un esercito , e trova risposte dalla destra americana al mondo arabo e all ' Iran , delineano una Bosnia diversa da quella che era stata . Sarajevo , civiltà plurale , non sarà più come prima : la spaccatura ha vinto con il sangue sulla molteplicità . Si può capire l ' invettiva di Zlatko Dizdarevic : chi ha difeso quel principio ? Non le Nazioni Unite . Il piano Vance - Owen implicava la spartizione etnica , ritagliando una mappa in cui ciascuno vedeva riconosciute le ragioni per separarsi e di cui nessuno si contentava . E infatti tutte le molte tregue sono saltate . Karadzic non ha mai cessato l ' assedio di Sarajevo , l ' ultima tregua è stata violata per disperazione o provocazione dai bosniaci , i serbi hanno rilanciato sulle enclaves che le Nazioni Unite avevano incautamente dichiarato protette . L ' Onu non può proteggere quelle genti senza entrare in guerra con la Serbia , come non può proteggere i serbi della Krajina senza farlo contro la Croazia . Così i venti di guerra soffiano più forte . Chi è stato a Sarajevo o ha visto la presa di Srebreniza e le file dei deportati e ha sentito degli uccisi o violentati , vede oggi una comunità quasi inerme di fronte a un esercito spietato e chiede che siano armati i musulmani : la sequenza dell ' infernale meccanismo è dimenticata . L ' aggressore della Bosnia non sono i serbi ? « Bombardate Pale , e domani Belgrado » . Lo hanno gridato anche molti democratici , molti compagni , lo ha più che sussurrato la Chiesa , quando l ' intervento della Croazia è venuto a interdire ogni semplificazione . Due grossi nazionalismi , alimentati da destra e potenti , sono in una guerra mortale e chiedono al mondo di scegliere fra loro , perché il mondo ne ha sancito la legittimità . Poteva non farlo ? Il diritto di successione unilaterale inerisce all ' autodeterminazione dei popoli . Ma che cos ' è un ' autodeterminazione decente ? Che rispetti i diritti umani e le minoranze ? Una nazione che si definisce per identità di sangue o ceppo , scegliendo da storia e tradizione quel che più conviene al suo mito , e si pretende un solo Stato in una sola terra , che ne fa dei diritti umani ? Non li vede ; o li vede come una minaccia alla sua integrità . Così una guerra etnica non ha regole né limiti . E in uno Stato etnicamente compatto anche in pace chi non appartiene all ' etnia è negato , deportato o obbligato a proditori lealismi ; e chi vi appartiene dovrà declinare ogni libertà sul metro del nazionalismo , che essendo sacrale è assolutista , patriarcale , nemico di ogni mediazione . Galleggiamo dunque fra princìpi e cinismo , Realpolitik e impotenza . Forse è venuto il momento di interrogare l ' equazione etnia - nazione - popolo - Stato , e chiederci perché la Carta della Nazioni Unite , che aveva escluso tassativamente la guerra come mezzo di soluzione dei conflitti è violata da tutte le parti . Dalle grandi potenze , quando sono in causa i loro interessi economici e politici come nel caso dell ' Iraq o della Cecenia , e da comunità che definiamo tribali nei paesi terzi come in Somalia o in Ruanda . L ' Onu non è né garante né pacificatrice . Lo è stata ancor meno da quando è finito con il bipolarismo una reciproca messa in guardia dei campi di influenza . Nel caso iugoslavo non c ' è stata soltanto incapacità . La disgregazione del campo comunista è stata favorita dovunque e in qualsiasi modo accadesse . Né 1'Onu né le élites politico - intellettuali hanno ammonito o preteso alcuna riflessione o intesa . Si poteva essere più miopi ? I Balcani sono una delle piaghe dell ' Europa . Gli imperi asburgico e ottomano avevano diviso gli slavi , modellandone le genti sulle proprie strutture e confessioni . Al di qua della Drina i serbi si erano sanguinosamente battuti contro la Sublime Porta , dall ' altra i croati non si erano battuti contro gli Asburgo : antica querela che la seconda guerra mondiale avrebbe reso più aspra . Caduti i due imperi con la prima guerra mondiale , avveniva il terremoto . Per gli islamici furono deportazioni ed emorragie mai concluse . Ma tutto il mondo slavo , del Sud e del Nord , si trovava a doversi fare nazione e Stato , accelerando i processi che avevano dato luogo agli stati nazionali in Europa , nei quali radici e storia e memoria s ' erano lungamente elaborati in progetti di società « politiche » . Gli slavi del Sud non avevano mai avuto uno Stato . Come costituirsi in nazione senza andare in mille pezzi nelle diversità ereditate ? Dov ' era la base , la ragione di una unità o coesistenza ? Dopo l ' unificazione monarchica dei serbi Karageorgevic , il problema si pone per la prima volta in forme moderne alla resistenza antitedesca e antifascista dei partigiani di Tito . Non si legge la vicenda iugoslava fuori dagli scenari della prima e seconda guerra mondiale , la formazione della Russia dei Soviet , poi la minaccia nazista - in Croazia divenuta realtà statale - e la seconda guerra mondiale . Di qui il ruolo di quella singolare generazione comunista . Alle spalle della resistenza iugoslava stava un ' idea di unificazione , socialista , certo , che avrebbe liberato gli slavi del Sud dalla premodernità , dagli arcaismi dinastici o religiosi o patriarcali , avrebbe dato loro un progetto . Un ' idea forte , che non si consegnava a nessuno degli alleati , con sgomento prima degli inglesi poi dei sovietici . Non difendo tutto quel che fecero uomini come Tito o Djilas , Kardelj o Vlahovic o Dedijer , per parlare solo di quelli che conosco o ho incontrato ; dico che costoro , croati o sloveni o serbi o montenegrini o bosniaci , hanno perseguito un ' idea grande di società avanzata e multinazionale . Definirla , come si legge qua e là , una mera « facciata repressiva » è una sciocchezza . È stata una realtà , ha funzionato e un ' Europa saggia avrebbe dovuto aiutarla a preservarsi . E quando questo modello non riesce ad articolarsi politicamente né a risolvere i problemi posti dall ' originale tentativo fra autogestione e mercato , che le difficoltà si scaricano in un più di autonomia delle repubbliche che ne accentuerà disuguaglianze e contenziosi . E allora riprenderà fiato il nazionalismo . Non perché eredi ma perché liquidatori della Iugoslavia e nemici di Tito , Milosevic e Karadzic vogliono « tutti i serbi in un solo Stato » e Tudjman guarda alla Germania , reprime ogni opposizione e perseguita í serbi della Kraijna . I « comunisti » - penso a un colloquio con Kardelj nel 1964 e con altri a Belgrado nel 1965 - temevano fin da allora lo scenario di oggi . Su tutto questo ha taciuto la sinistra . C ' è un deficit di conoscenza e di analisi , una codardia intellettuale , un ' inclinazione a fuggire dai problemi reali per la via delle buone intenzioni , dai grandi dilemmi della modernità per la strada dei buoni sentimenti . Non abbiamo messo in guardia gli amici iugoslavi dai vaneggiamenti di Dobriga Cosic e dall ' Accademia di Belgrado , che porta responsabilità tremende , e abbiamo lasciato che quelli di Praxis rifluissero ognuno sul nazionalismo suo . Ci andava bene il piano Vance - Owen , purché tutti si calmassero . Ci siamo divisi anche noi fra le ragioni di serbi immaginari , croati immaginari e Sarajevo dissanguata . Poi piangiamo sugli eccessi : sulla gente trascinata fuori dalle case , dalla terra , dalla vita , e senza voce . Quando mai l ' Europa ha dato voce a chi non era uno Stato ? Non dovevano esigere che al tavolo delle trattative non sedessero solo coloro per i quali la guerra è un mito e un affare ? Aiutarli a essere soggetto politico visibile ? Collegare le opposizioni ai nazionalismi ? Al più , gli abbiamo dato rifugio . Saremo sempre una Croce Rossa ridotta a raccogliere vittime ? Quelle morti vengono da una malattia comune .