StampaPeriodica ,
È
in
distribuzione
,
in
questi
giorni
,
il
numero
speciale
,
natalizio
,
di
Colloqui
.
E
il
numero
8
:
sin
dallo
scorso
aprile
la
rivista
è
giunta
nelle
case
milanesi
gratuitamente
,
una
bella
rivista
,
con
molte
fotografie
e
scritti
interessanti
.
Piacciono
soprattutto
,
al
pubblico
,
gli
articoli
dedicati
alla
vita
cittadina
,
alla
Milano
di
un
tempo
,
agli
spettacoli
lirici
e
di
prosa
.
Spesso
il
pubblico
si
chiede
anche
chi
invia
gratuitamente
il
fascicolo
ogni
mese
,
ma
non
ha
mai
trovato
una
risposta
definitiva
;
non
riesce
nemmeno
a
spiegarsi
chi
possa
avere
dato
nomi
e
indirizzi
alla
direzione
.
Il
valore
di
mercato
dell
'
omaggio
(
trentaquattro
pagine
a
colori
)
non
dovrebbe
essere
di
molto
inferiore
alle
cinquanta
lire
:
il
suo
pubblico
comprende
almeno
duecento
o
forse
trecentomila
persone
,
praticamente
tutte
le
famiglie
che
usufruiscono
dei
servizi
di
luce
e
gas
della
Edison
.
Gli
indirizzi
,
evidentemente
,
son
quelli
delle
bollette
mensili
,
ed
il
presunto
omaggio
ha
in
realtà
un
costo
invisibile
,
ma
nascosto
proprio
dentro
le
sibilline
colonne
della
bolletta
.
In
realtà
anche
il
lettore
attento
stenta
a
comprendere
la
provenienza
di
Colloqui
.
Il
nome
della
Edison
,
con
l
'
avvertenza
che
la
rivista
non
è
in
vendita
,
compare
solo
,
in
minuti
caratteri
,
in
fondo
al
sommario
,
in
seconda
di
copertina
.
Al
massimo
può
accadere
di
imbattersi
(
e
nel
numero
2
)
in
una
lettera
del
direttore
ad
Antonietta
,
figlia
di
alluvionati
calabresi
,
una
lettera
che
ricorda
le
scoperte
che
la
bambina
ha
fatto
«
allora
»
:
«
la
minestra
di
riso
,
le
magliette
di
lana
azzurra
,
le
docce
(
che
emozione
la
prima
volta
!
)
,
i
libri
delle
favole
,
il
cinematografo
»
.
Dove
,
quando
,
perché
queste
scoperte
?
Una
minuta
didascalia
,
in
fondo
alla
pagina
,
avverte
:
«
La
società
Edison
ha
ospitato
,
nella
sua
colonia
di
Suna
,
200
bambini
provenienti
dalle
zone
alluvionate
della
Calabria
»
.
Una
caratteristica
importante
della
rivista
,
dunque
,
è
l
'
abilità
con
cui
i
finanziatori
evitano
di
mostrarsi
allo
scoperto
,
quasi
per
invitare
il
lettore
a
far
da
sé
la
sua
scoperta
,
a
poco
a
poco
.
Anche
le
connessioni
dirette
con
la
precedente
attività
della
Edison
,
son
molto
larghe
ed
approssimative
.
Un
articolo
sull
'
ufficio
reti
della
Edison
(
è
nel
numero
6
)
,
oltre
a
non
citare
mai
la
società
,
è
condotto
col
tono
della
cronaca
di
varietà
,
vivace
,
con
qualche
civetteria
letteraria
.
Ogni
numero
contiene
del
resto
uno
scritto
sull
'
elettricità
o
sul
gas
,
e
la
pagina
dell
'
arredamento
insiste
spesso
sui
criteri
e
sui
mezzi
migliori
di
illuminare
la
casa
:
luci
indirette
,
paralumi
a
parabola
e
tubi
catodici
.
Ma
tutto
a
piccole
dosi
e
non
più
di
quanto
all
'
argomento
dedichino
i
normali
settimanali
illustrati
,
dei
quali
Colloqui
segue
quasi
costantemente
la
falsariga
.
E
la
ragione
è
chiara
:
il
direttore
,
Enzo
Biagi
,
è
anche
caporedattore
di
Epoca
e
della
maggior
rivista
segue
costantemente
schemi
e
criteri
.
La
caratterizzazione
specifica
è
data
,
semmai
,
da
un
più
accentuato
tono
cittadino
,
non
manca
mai
(
anzi
,
è
quasi
sempre
quello
d
'
apertura
)
l
'
articolo
sulla
vita
di
Milano
,
sulla
storia
della
città
,
sugli
spettacoli
alla
Scala
o
negli
altri
teatri
.
Ogni
numero
contiene
una
novella
,
di
solito
ben
illustrata
.
I
nomi
che
ricorrono
son
piuttosto
grossi
,
sicuri
:
Corrado
Alvaro
,
Achille
Campanile
,
Alba
De
Cespedes
,
e
,
fra
i
giovani
,
Michele
Prisco
,
Vittorio
Pozzo
e
Bruno
Roghi
hanno
lo
sport
,
Domenico
Meccoli
il
cinema
,
Eligio
Possenti
il
teatro
.
Gli
articoli
di
cronaca
portano
firme
come
quelle
di
Titta
Rosa
,
Orio
Vergani
,
Giovanni
Comisso
,
Filippo
Sacchi
,
Giorgio
Vecchietti
,
Enrico
Emanuelli
e
,
naturalmente
,
Indro
Montanelli
.
Nell
'
ultima
pagina
c
'
è
una
rubrica
fissa
,
infortunistica
.
Si
intitola
Le
avventure
di
Elettrino
,
un
pupazzetto
costantemente
alle
prese
con
cavi
e
apparecchi
elettrici
.
Per
mezzo
di
sei
o
sette
vignette
con
didascalia
ritmata
si
spiega
all
'
utente
,
poniamo
,
che
è
pericoloso
cacciar
le
dita
in
una
presa
di
corrente
,
o
addormentarsi
con
il
gas
aperto
.
In
questi
ultimi
tempi
i
giornali
della
sera
son
stati
pieni
di
notizie
su
gente
intossicata
dal
gas
,
e
la
causa
,
che
tutti
ammettevano
,
era
una
sola
:
il
cattivo
stato
delle
tubazioni
,
ormai
vecchie
di
decenni
.
Vero
è
che
quei
giornali
evitavano
di
nominare
la
società
che
distribuisce
il
gas
;
ma
l
'
opinione
pubblica
è
,
a
dir
poco
,
risentita
contro
la
Edison
,
la
quale
deve
in
qualche
modo
far
fronte
alle
pretese
sempre
più
decise
del
pubblico
.
Ma
ci
son
forse
altre
ragioni
,
meno
contingenti
,
non
dissimili
da
quelle
che
hanno
indotto
molti
industriali
del
nord
a
farsi
mecenati
di
cultura
,
a
comperare
giornali
in
pura
perdita
,
a
elargire
premi
agli
artisti
.
È
insieme
un
abbozzo
di
politica
culturale
,
di
tipo
chiaramente
riformistico
,
e
un
«
magnificent
hobby
»
:
i
nuovi
principi
che
non
possono
più
comprarsi
un
blasone
,
comprano
una
squadra
di
calcio
,
o
un
mazzetto
di
intellettuali
,
per
farsene
una
corte
.
Da
qui
il
tono
generale
della
rivista
.
Il
lettore
non
è
mai
infastidito
da
problemi
veri
:
anche
quando
si
parla
di
scienza
,
il
piano
è
quello
della
divulgazione
piacevole
e
brillante
;
i
consigli
sulla
casa
e
sull
'
allevamento
dei
bambini
hanno
un
sottinteso
fondo
ottimistico
;
i
cenni
a
esperimenti
,
scoperte
,
innovazioni
straniere
,
son
sempre
scelti
dall
'
industria
e
dalla
scienza
americana
.
L
'
America
,
anche
qui
,
è
il
paese
di
Dio
.
Quanto
all
'
altra
parte
del
mondo
,
non
se
ne
parla
mai
.
La
rivistina
avrà
senza
dubbio
uno
sviluppo
,
uscirà
dalla
genericità
di
oggi
,
prenderà
posizione
,
abbiamo
sempre
visto
questo
cammino
,
nei
vari
«
digest
»
(
la
formula
fondamentale
è
quella
)
;
ma
non
è
facile
dire
,
per
ora
,
quale
sarà
il
suo
effetto
sugli
utenti
.
StampaPeriodica ,
Abbiamo
avuto
,
e
si
protrarrà
ancora
sino
a
novembre
,
una
annata
ciclistica
di
intensità
particolare
.
Non
è
mancato
il
lavoro
ai
nostri
professionisti
,
ai
dilettanti
e
categorie
minori
.
Non
siamo
stati
fortunati
ai
Campionati
del
Mondo
è
vero
,
ma
abbiamo
già
spiegato
che
ci
sono
state
delle
ragioni
e
delle
contingenze
di
assoluto
sfavore
per
noi
in
questo
caso
.
A
parte
s
'
intende
,
il
valore
altissimo
di
avversari
,
che
nel
loro
clima
e
nei
loro
percorsi
avevano
pure
il
diritto
di
dire
la
loro
parola
.
Né
può
essere
la
mancata
affermazione
sul
Velodromo
di
Amsterdam
e
sul
Circuito
di
Valkenburg
a
distruggere
il
valore
e
l
'
eco
delle
affermazioni
azzurre
nei
Giri
di
Francia
e
di
Svizzera
.
Con
ogni
probabilità
una
scelta
più
indovinata
degli
elementi
da
portare
alla
massima
competizione
mondiale
ci
avrebbe
consentito
soddisfazioni
anche
a
Valkenburg
;
specie
nei
dilettanti
troppi
valori
di
primo
piano
sono
stati
trascurati
:
la
riprova
l
'
abbiamo
nel
G
.
P
.
Libero
Ferrario
,
dove
si
marcia
con
disinvoltura
a
media
di40
all
'
ora
.
Ma
,
del
senno
di
poi
...
Comunque
l
'
attività
eccezionale
che
abbiamo
avuto
in
casa
,
sia
di
carattere
internazionale
,
come
nazionale
o
di
zona
,
non
mancherà
di
procurare
frutti
saporosi
per
l
'
avvenire
.
Si
è
indubbiamente
seminato
in
profondità
e
su
vasta
superficie
;
non
farà
difetto
a
suo
tempo
il
buon
raccolto
.
Ma
quello
che
ha
degnamente
coronato
l
'
attivissima
annata
che
ormai
volge
al
termine
,
è
stato
il
Giro
dei
Tre
Mari
.
Questa
nuova
competizione
a
tappe
ha
conquistato
di
colpo
la
sua
laurea
di
avvenimento
nazionale
,
è
diventato
popolare
come
il
più
acceso
e
celebrato
dei
Giri
d
'
Italia
.
Ne
è
il
suo
complemento
naturale
e
necessario
.
Si
è
avvertita
questa
funzione
del
Giro
dei
Tre
Mari
sin
dalla
sua
enunciazione
.
Dobbiamo
essere
ben
grati
a
Bruno
Mussolini
e
a
quella
magnifica
associazione
di
energie
e
di
organizzatori
,
che
è
la
S.S.
Parioli
da
lui
presieduta
ed
animata
,
della
ideazione
e
della
realizzazione
di
una
prova
del
genere
.
Alla
quale
non
ha
potuto
recare
la
più
lieve
menomazione
neanche
l
'
assenza
giustificata
in
alcuni
casi
degli
astri
maggiori
del
nostro
ciclismo
,
ottimamente
sostituiti
dai
Mollo
,
Generati
e
compagni
,
e
dagli
stranieri
di
'
autentico
valore
in
gara
.
Alla
quale
,
inoltre
,
ha
conferito
la
consacrazione
più
clamorosa
e
definitiva
il
popolo
intero
dell
'
Italia
meridionale
,
che
ha
salutato
la
carovana
schierato
lungo
un
tracciato
meraviglioso
di
panorami
,
di
centri
operosi
e
fecondi
,
di
località
solo
ricordate
nella
storia
,
ma
quasi
sconosciute
al
turismo
.
Il
Giro
dei
Tre
Mari
è
valso
a
far
conoscere
questi
meravigliosi
luoghi
.
Esso
si
è
inoltrato
dove
mai
è
arrivato
il
Giro
d
'
Italia
classico
.
Questo
era
arrivato
sino
a
Napoli
,
sino
a
Foggia
,
sino
a
Bari
;
ma
il
resto
della
Penisola
generosa
ne
rimaneva
escluso
.
Del
resto
non
era
impresa
di
facile
soluzione
arrivare
sino
a
Palermo
.
Troppo
lontana
era
la
base
di
partenza
.
Non
può
farsene
una
colpa
ai
valenti
organizzatori
milanesi
.
Ma
era
anche
tempo
che
l
'
iniziativa
,
e
in
grande
stile
,
partisse
da
Roma
.
Necessità
sentita
,
in
fin
dei
conti
,
sia
nello
sport
come
nell
'
industria
,
tanto
più
che
oggi
il
centro
-
meridione
dispone
,
per
diretto
intervento
del
Regime
,
di
una
rete
stradale
eccellente
e
sempre
in
ulteriore
sviluppo
;
e
necessità
che
non
poteva
non
trovare
nella
sensibilità
e
nell
'
intuito
di
Bruno
Mussolini
,
giovane
di
azione
,
di
sport
e
di
pensiero
,
la
interpretazione
esatta
e
felice
.
L
'
entusiasmo
suscitato
dal
passaggio
della
volante
carovana
in
Italia
centro
-
meridionale
,
sino
sulle
strade
della
contegnosa
Sicilia
,
è
stato
indescrivibile
.
Stavolta
sì
che
il
Mezzogiorno
si
sentiva
partecipe
vivo
e
pulsante
della
grande
Italia
dello
sport
fascista
.
La
bicicletta
,
la
lieve
ed
elegante
regina
della
strada
ha
traversato
lo
stretto
,
ha
visitato
le
meraviglie
della
Conca
d
'
Oro
e
della
costiera
da
Messina
a
Catania
,
s
'
è
abbeverata
della
luce
del
Jonio
.
E
peccato
che
la
Sila
leggendaria
l
'
abbia
soltanto
sfiorata
alle
falde
.
Ma
l
'
anno
venturo
,
il
Giro
non
lascerà
da
parte
nessuna
delle
gemme
turistiche
di
regioni
troppo
a
lungo
conosciute
solo
attraverso
la
descrizione
delle
guide
del
Touring
,
del
Baedeker
o
di
articoli
di
terza
pagina
...
Le
tappe
siciliane
,
per
esempio
,
saranno
raddoppiate
.
Abbiamo
detto
:
l
'
anno
venturo
.
E
gli
anni
venturi
appresso
.
Il
vecchio
Giro
d
'
Italia
non
bastava
più
.
Non
può
bastare
.
Il
vecchio
Giro
d
'
Italia
avrà
un
complemento
;
assai
di
più
:
un
fratello
.
Di
pari
grado
,
di
altrettanta
efficacia
sportiva
,
sociale
,
turistica
,
commerciale
.
Commerciale
poi
...
Basti
pensare
che
i
corridori
meridionali
che
hanno
preso
parte
al
Giro
,
e
che
si
sono
comportati
per
giunta
magnificamente
leggi
Aliberti
,
D
'
Amore
,
Patti
marciavano
con
certi
carrettini
che
facevano
sbellicare
dalle
risa
i
loro
più
fortunati
camerati
della
media
ed
alta
Italia
.
Se
dei
corridori
di
professione
usano
di
simili
cavalcature
,
immaginarsi
che
specie
di
velocipedi
devono
essere
in
giro
e
in
uso
per
le
campagne
e
per
i
centri
rurali
.
E
di
biciclette
ci
sarà
sempre
più
bisogno
ora
che
le
condizioni
della
viabilità
in
mezzogiorno
sono
di
tanto
migliorate
e
di
tanto
miglioreranno
ancora
...
Si
era
ventilata
da
qualche
parte
l
'
idea
,
dopo
il
superbo
bilancio
del
primo
esperimento
di
questa
«
Tre
Mari
»
,
di
abbinare
senz
'
altro
il
giro
del
sud
a
quello
del
nord
e
farne
un
unico
giro
.
E
chi
era
per
il
traguardo
d
'
arrivo
e
di
partenza
per
Milano
,
e
chi
per
Roma
.
Non
poteva
non
essere
errore
far
disputare
i
due
Giri
in
una
sola
tirata
e
del
resto
di
questo
parere
s
'
è
dimostrata
la
Federazione
Ciclistica
Italiana
nella
sua
ultima
riunione
.
Lunghissima
,
esasperante
per
gli
organizzatori
e
forse
ingenerante
stanchezza
nel
pubblico
,
nonché
massacrante
per
i
corridori
.
Una
tirata
di
oltre
4000
chilometri
.
E
il
giro
di
Francia
?
e
quello
della
Svizzera
?
Logico
(
dal
punto
di
vista
tecnico
-
organizzativo
,
spettacolare
,
propagandistico
)
che
i
due
Giri
siano
stati
distinti
.
Traguardo
per
il
vecchio
e
glorioso
Giro
resta
Milano
,
e
l
'
Urbe
è
il
traguardo
di
partenza
e
d
'
arrivo
per
il
nuovo
.
E
a
date
differenti
,
ben
distanti
tra
loro
.
Come
già
senza
volerlo
,
si
è
fatto
quest
anno
.
Il
vecchio
Giro
d
'
Italia
disputato
in
maggio
,
lascia
,
come
ha
lasciato
,
margine
libero
per
la
partecipazione
(
o
meno
!
)
al
Giro
di
Francia
.
Terminato
questo
,
e
disputati
in
agosto
Giro
della
Svizzera
e
Campionati
del
mondo
,
il
Giro
del
Tre
Mari
viene
a
riservarsi
il
mese
di
settembre
e
,
forse
con
vantaggio
,
più
la
seconda
metà
che
la
prima
.
Ed
anche
con
alcune
tappe
di
più
di
quelle
quest
'
anno
disputate
.
Verrebbe
così
a
poter
raccogliere
molti
assi
reduci
da
uno
o
magari
tutti
i
Giri
precedenti
e
dai
Campionati
del
mondo
;
e
a
costituire
un
banco
di
rivincite
tanto
più
clamorose
in
quanto
certe
vittorie
e
certe
vicende
nell
'
ambiente
surriscaldato
del
mezzogiorno
hanno
degli
effetti
e
delle
ripercussioni
che
ormai
non
si
verificano
più
in
ambienti
oggidì
saturi
di
ciclismo
e
di
corse
.
Certo
,
il
Giro
dei
Tre
Mari
ha
suonato
la
sveglia
decisiva
per
l
'
Italia
strettamente
peninsulare
.
Con
risultati
profondi
non
solo
per
ciò
che
riguarda
lo
sport
e
l
uso
della
bicicletta
,
ma
le
altre
forme
di
attività
sportiva
,
così
come
è
stato
per
tutto
il
resto
d
'
Italia
,
per
merito
del
vecchio
giro
di
marca
milanese
.
E
non
solo
per
ciò
che
concerne
le
forme
di
pretto
carattere
sportivo
.
Ma
anche
per
quelle
interessanti
quel
turismo
generico
,
che
può
andare
dalla
escursione
montana
,
dalle
manifestazioni
invernali
sulle
nevi
,
ai
soggiorni
climatici
,
alle
gite
collettive
,
al
movimento
turistico
stagionale
od
occasionale
.
Ed
infine
,
per
necessità
di
cose
,
ad
un
generale
miglioramento
e
progresso
delle
condizioni
dell
'
ambiente
;
al
perfezionamento
della
organizzazione
alberghiera
,
che
del
resto
,
ovunque
,
abbiamo
trovato
bene
attrezzata
e
aggiornata
.
E
non
si
dovrebbero
incontrare
difficoltà
di
sorta
per
iniziative
del
genere
.
Lo
spirito
di
ospitalità
delle
genti
del
meridione
è
così
sentito
,
franco
e
spontaneo
,
e
la
«
Tre
Mari
»
ha
suscitato
tanti
entusiasmi
che
siamo
certi
di
trovare
ben
presto
il
più
modesto
paesino
appennino
,
silano
o
delle
Madonie
attrezzato
alla
...
dolomitica
invernale
.
Con
in
più
l
'
impagabile
vantaggio
di
trovarsi
,
per
esempio
,
sulla
Sila
,
autenticamente
al
cospetto
dei
Tre
Mari
,
alla
divinità
del
Mediterraneo
che
solo
la
poesia
di
Omero
e
di
Virgilio
seppero
cantare
.
Prodi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Raramente
mi
è
successo
di
raccogliere
tante
lodi
e
tanti
rimproveri
come
per
aver
scritto
che
a
me
Prodi
va
bene
.
Mi
si
rimprovera
di
cancellare
cuore
e
ragioni
della
sinistra
appiattendola
a
un
cattolico
democratico
,
mi
si
elogia
perché
finalmente
avrei
smesso
di
essere
una
massimalista
che
insegue
il
tanto
peggio
tanto
meglio
.
Mi
voglio
rovinare
:
tutte
chiacchiere
,
andiamo
al
sodo
.
Che
cosa
sono
oggi
le
sinistre
?
Che
cosa
vogliono
?
Se
non
riescono
a
proporre
un
proprio
candidato
capace
di
raccogliere
dal
40
al
50
per
cento
dei
voti
è
perché
non
hanno
una
risposta
sul
dove
vorrebbero
che
andasse
il
paese
.
Berlusconi
non
ha
vinto
perché
era
un
Grande
comunicatore
,
ma
perché
comunicava
a
un
'
Italia
con
il
Pci
in
caduta
libera
e
il
Caf
in
galera
che
l
'
avrebbe
portata
sulla
via
liberista
.
Prodi
comunica
che
si
può
avere
un
sano
liberismo
,
ma
corretto
da
misure
di
solidarietà
,
perché
,
differentemente
da
Berlusconi
,
non
racconta
che
il
processo
sarà
indolore
.
Che
proporrebbe
invece
l
'
ipotetico
candidato
delle
sinistre
?
Fino
a
dieci
anni
fa
quel
che
la
sinistra
voleva
era
abbastanza
chiaro
,
e
per
questo
,
pur
non
superando
mai
il
30
per
cento
,
influiva
su
alleati
e
avversari
,
pesava
sulla
bilancia
delle
decisioni
.
Quando
il
Polo
strilla
che
i
comunisti
erano
e
sono
dovunque
e
dovunque
vanno
sradicati
,
esprime
un
abito
mentale
fascistoide
,
per
cui
chiunque
fino
a
ieri
era
agente
di
Mosca
oggi
lo
sarebbe
di
D
'
Alema
,
ma
evidenzia
una
verità
:
un
senso
comune
di
sinistra
ha
avuto
una
vera
egemonia
in
questo
paese
.
In
che
consisteva
?
In
politica
,
in
un
'
idea
forte
della
rappresentanza
,
nella
persuasione
che
potevano
e
dovevano
avere
una
voce
tutti
e
sempre
,
non
solo
al
momento
delle
elezioni
.
In
tema
di
società
,
in
un
'
idea
forte
della
cittadinanza
,
per
cui
ogni
italiano
aveva
diritto
a
lavorare
,
a
essere
istruito
e
curato
,
e
doveva
esserne
assicurato
nei
mezzi
per
farlo
.
Nessuna
delle
due
cose
era
venuta
da
sé
,
c
'
erano
volute
la
crisi
del
1929
e
una
guerra
.
Non
andava
da
sé
che
fossimo
un
paese
di
ricche
contraddizioni
,
donne
e
uomini
,
deboli
e
forti
,
ricchi
e
poveri
,
cattolici
e
laici
o
altre
religioni
,
Nord
e
Sud
:
e
che
queste
differenze
si
esprimessero
anche
in
conflitti
,
condotti
dalle
rappresentanze
politiche
ma
anche
da
quelle
sociali
dirette
.
Né
che
esse
volta
a
volta
trovassero
un
provvisorio
punto
di
arrivo
,
o
avanzata
,
o
sconfitta
,
o
mediazione
in
una
società
articolata
che
non
delegava
tutti
i
poteri
a
una
oligarchia
verificata
ogni
quattro
o
cinque
anni
,
e
in
una
idea
del
«
pubblico
»
,
statale
o
comunale
o
regionale
,
che
fungesse
anche
come
compensatore
degli
squilibri
.
Era
la
democrazia
partecipata
,
il
«
non
americanismo
»
italiano
.
Questi
princìpi
hanno
retto
l
'
Italia
dal
dopoguerra
agli
anni
ottanta
e
in
essi
la
sinistra
-
assai
poco
«
comunista
»
nel
senso
filologico
della
parola
-
è
cresciuta
,
e
ha
funzionato
anche
da
frusta
dello
sviluppo
,
tanto
è
vero
che
siamo
nel
club
riservato
dei
G-7
.
Questi
stessi
princìpi
sono
andati
in
crisi
nel
corso
degli
anni
ottanta
e
il
27
marzo
scorso
si
è
tentato
di
abbatterli
.
Ma
quale
partecipazione
?
Ci
vuole
un
esecutivo
forte
e
un
cittadino
che
vota
ogni
quattro
o
cinque
anni
per
dire
sì
o
no
e
per
il
resto
non
disturbi
il
manovratore
.
Ma
quali
diritti
sociali
o
di
cittadinanza
?
I
diritti
sono
solo
politici
;
per
il
resto
il
diritto
dei
diritti
,
il
pilastro
della
società
è
l
'
impresa
,
e
lavoro
casa
scuola
assistenza
sono
sue
variabili
dipendenti
.
Lo
Stato
,
il
«
pubblico
»
come
luogo
di
compensazione
,
garante
di
una
qualche
uguaglianza
sui
beni
essenziali
,
si
tolga
di
mezzo
.
La
sinistra
ha
subìto
questa
ondata
,
non
difende
l
'
ottica
di
prima
e
per
questo
ha
perduto
,
se
non
voti
,
la
capacità
di
essere
un
riferimento
anche
oltre
il
proprio
ambito
.
Perciò
si
divide
,
non
solo
tra
Pds
e
Rifondazione
e
soggetti
politici
minori
,
ma
anche
fra
soggetti
sociali
maggiori
,
che
in
qualche
modo
hanno
tentato
di
declinare
in
forme
diverse
quei
princìpi
e
quei
bisogni
-
vale
anche
per
il
pensiero
delle
donne
-
e
per
questo
non
c
'
è
oggi
un
candidato
delle
sinistre
.
Perché
è
avvenuto
?
È
una
storia
di
errori
o
tradimenti
,
come
mi
scrivono
alcuni
compagni
?
È
una
modernizzazione
fatale
,
come
pensano
altri
?
Io
non
credo
né
ai
tradimenti
né
alle
fatalità
.
Credo
che
ci
sia
stato
un
franamento
del
terreno
sul
quale
la
sinistra
della
mia
generazione
è
cresciuta
.
Era
il
terreno
dello
sviluppo
,
magari
cattivo
ma
certo
,
in
cui
ormai
stavamo
e
nel
quale
i
nostri
diritti
,
politici
e
sociali
,
erano
in
qualche
misura
garantiti
.
Mi
spiego
.
Eravamo
persuasi
che
il
capitalismo
comportava
una
crescita
allargata
di
beni
,
dunque
di
lavoro
,
dunque
di
consumi
.
Ci
dividevamo
dopo
:
i
comunisti
la
trovavano
brutale
,
a
prezzi
sociali
troppo
elevati
,
con
inuguaglianze
feroci
;
i
riformisti
ritenevano
di
poterle
alleviare
con
forme
pubbliche
di
redistribuzione
all
'
interno
e
aiuti
al
terzo
mondo
e
all
'
estero
;
i
nuovi
soggetti
degli
anni
settanta
ne
contestavano
la
natura
di
per
sé
alienante
,
consumista
,
gerarchica
,
maschilista
.
Ma
sviluppo
era
e
,
con
morti
e
feriti
,
andava
unificando
il
mondo
.
Oggi
non
lo
è
più
.
Oggi
la
crescita
di
produzione
e
di
merci
si
fa
per
un
mercato
alto
e
ristretto
,
quindi
come
non
mai
competitivo
,
cui
la
mondializzazione
permette
di
reclutare
manodopera
a
prezzi
stracciati
e
la
tecnologia
di
risparmiarne
una
grande
quantità
.
L
'
Europa
sta
diventando
un
continente
senza
lavoro
.
Vorrei
sommessamente
pregare
la
sinistra
di
partire
da
qui
.
Non
è
problema
«
economico
»
,
di
«
economicismo
»
,
o
come
dicono
i
miei
amici
ex
operaisti
di
«
lavorismo
»
;
le
democrazie
moderne
fondano
la
pienezza
della
cittadinanza
non
più
sulla
proprietà
ma
su
un
possesso
di
sé
,
una
non
dipendenza
,
che
piaccia
o
non
piaccia
nel
capitalismo
passa
per
l
'
accesso
a
una
remunerazione
del
lavoro
.
Il
resto
è
capitale
,
rendita
o
dipendenza
,
come
quella
della
donna
che
non
lavora
o
dei
bambini
.
E
infatti
chi
non
lavora
è
tendenzialmente
un
escluso
.
Vorrei
sempre
sommessamente
aggiungere
che
l
'
Italia
è
arrivata
a
questa
stretta
in
una
condizione
paradossale
:
negli
anni
in
cui
gli
altri
paesi
si
omogeneizzavano
relativamente
nella
crescita
,
noi
siamo
rimasti
con
larghe
zone
deindustrializzate
,
che
si
riproducono
tuttora
in
un
Nord
e
Nordest
fortemente
dinamico
e
in
un
Sud
immobile
,
per
cui
il
lavoro
cessa
di
estendersi
prima
di
essere
arrivato
a
riempire
il
bacino
del
paese
.
Ma
avevamo
una
forte
sinistra
,
con
una
forte
combattività
,
e
lo
Stato
ha
funzionato
non
solo
da
mediatore
dei
conflitti
ma
da
compensatore
nelle
sacche
che
le
tendenze
proprie
del
mercato
o
dell
'
impresa
lasciavano
fuori
.
Non
è
molto
intelligente
deridere
l
'
industria
di
Stato
o
la
pubblica
amministrazione
come
mero
clientelismo
,
senza
capire
che
hanno
svolto
un
ruolo
di
supplenza
a
uno
sviluppo
inuguale
e
manchevole
.
Si
potrebbe
,
anzi
si
dovrebbe
analizzarne
le
conseguenze
,
ma
va
capito
da
dove
è
venuto
il
nostro
specifico
compromesso
sociale
,
e
perché
a
un
certo
punto
è
diventato
un
terreno
da
un
lato
di
paralisi
e
dall
'
altro
di
corruzione
.
Questo
modello
la
destra
lo
vuole
abbattere
.
Ma
non
estendendo
la
crescita
,
per
brutale
che
sia
:
non
può
più
,
se
vuole
restare
mondialmente
competitiva
.
Punta
dunque
a
una
progressiva
separazione
tra
parti
trainanti
e
parti
,
per
così
dire
,
in
perdita
,
lasciate
indietro
.
Le
scelte
del
Polo
-
per
esempio
niente
tasse
,
riduzione
del
peso
del
lavoro
,
dei
contributi
e
delle
pensioni
,
l
'
estensione
della
spesa
pubblica
-
sono
andate
in
questa
direzione
,
seguendo
il
percorso
già
delineato
da
Amato
-
Ciampi
.
La
Lega
nord
è
una
formazione
spuria
ma
dentro
a
un
'
ipotesi
nordista
;
non
raccontiamoci
che
è
un
interessante
invito
all
'
autogoverno
,
è
la
presa
d
'
atto
che
l
'
unificazione
del
tessuto
nazionale
sotto
il
profilo
produttivo
non
c
'
è
stata
,
e
il
rifiuto
di
porla
come
obiettivo
.
Ma
la
sinistra
come
la
mette
?
Mi
pare
che
neppure
ne
parli
.
Ne
parlano
in
Germania
,
Francia
e
Gran
Bretagna
,
pure
meno
squilibrati
di
noi
,
ma
in
Italia
è
il
silenzio
.
Non
parlarne
significa
stare
alla
scelta
dei
G-7
,
che
è
la
scelta
abbozzata
da
Amato
e
Ciampi
e
portata
avanti
da
Berlusconi
.
Il
Pds
non
riesce
a
dirci
in
che
cosa
se
ne
differenzierebbe
.
Rifondazione
dice
che
si
batterà
con
tutti
coloro
che
questa
scelta
umilia
offende
ed
esclude
.
Ma
vogliamo
dirci
per
quale
crescita
o
sviluppo
,
oppure
non
-
crescita
siamo
?
Come
pensiamo
di
condizionare
o
modificare
il
trend
attuale
?
Alzando
dei
grandi
muri
fra
l
'
Italia
e
il
resto
del
mondo
o
facendo
uso
di
strumenti
politici
radicali
per
stare
nel
mondo
ma
contrastare
le
tendenze
che
abbiamo
di
fronte
?
Che
cosa
pensiamo
dell
'
attuale
conglomerato
sociale
,
come
distinguiamo
le
corporazioni
dalle
classi
,
i
ceti
,
i
bisogni
?
A
chi
proponiamo
di
aggregarsi
e
su
quale
obiettivo
?
Come
la
mettiamo
con
l
'
Europa
?
Come
la
mettiamo
con
il
debito
pubblico
in
presenza
di
una
rendita
diffusa
e
di
una
circolazione
di
capitali
del
tutto
incontrollata
?
Non
mi
si
risponda
che
tutto
è
chiaro
.
Non
è
chiaro
nulla
,
per
questo
metto
ostinatamente
al
centro
questo
problema
e
mi
inquieta
una
sinistra
,
vecchia
o
nuova
,
che
non
lo
veda
.
Per
questo
non
mi
appassionano
i
calcoli
sulle
leggi
elettorali
,
non
perdo
i
sensi
sui
sondaggi
e
non
mi
va
di
arricciare
il
naso
perché
Prodi
non
è
un
rivoluzionario
.
Non
vedo
molti
rivoluzionari
in
giro
.
Mi
basta
che
non
mi
rompa
le
ossa
e
non
neghi
che
oggi
il
dilemma
centrale
,
e
ormai
quasi
mortale
,
che
l
'
Europa
ha
davanti
è
questo
.
Sta
a
noi
affrontarlo
,
di
tempo
se
n
'
è
perduto
fin
troppo
.
Ingrao ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Ingrao
?
Un
perdente
.
È
la
battuta
degli
ex
figiciotti
,
dei
cinquantenni
del
Pds
o
Rifondazione
,
dei
democratici
convinti
che
senza
Pci
l
'
Italia
sarebbe
stata
meglio
,
e
di
molti
,
di
tutte
le
età
,
risentiti
di
sognare
sogni
minori
.
Perdente
,
dicono
soprattutto
coloro
che
gli
rimproverano
un
surplus
di
politica
.
Eppure
,
se
non
è
questa
che
conta
,
è
difficile
immaginare
un
uomo
più
«
riuscito
»
,
per
quanto
si
possa
riuscire
nella
personale
esistenza
.
Eccolo
a
ottant
'
anni
come
se
ne
avesse
venti
di
meno
,
appena
avvertito
che
il
tempo
si
restringe
.
Risparmiato
da
troppe
sciagure
nel
corpo
e
negli
affetti
.
Povero
,
ma
non
ha
conosciuto
miserie
e
la
sobrietà
è
la
sua
misura
.
Ha
una
importante
compagna
di
vita
,
moglie
e
amica
,
figlie
belle
e
impegnate
,
né
identiche
né
lontane
,
un
figlio
arrivato
tardi
,
allegro
complice
in
una
casa
a
dominante
femminile
.
Gli
Ingrao
sono
una
tribù
,
con
relative
radici
in
un
Lazio
roccioso
come
loro
.
E
poi
,
l
'
Ingrao
giovane
che
voleva
?
Conoscere
il
mondo
e
farsene
conoscere
,
e
così
è
stato
.
Battersi
con
e
per
gli
altri
,
e
ha
avuto
il
più
grande
partito
comunista
d
'
Occidente
.
Conosce
il
linguaggio
del
comizio
e
quello
dei
versi
,
e
la
musica
è
il
suo
giardino
.
Nessuno
nella
sinistra
è
rispettato
come
lui
anche
dagli
avversari
.
Che
può
avere
di
più
un
uomo
?
Ha
perso
sul
comunismo
,
borbottano
i
realisti
.
Non
che
sia
colpa
sua
la
crisi
del
marxismo
o
il
crollo
dell
'
Urss
,
che
sono
cosa
del
secolo
,
ma
il
Pci
,
quello
sì
era
roba
sua
.
Ce
l
'
hanno
con
lui
coloro
per
i
quali
esso
non
poteva
non
finire
e
quelli
che
pensano
che
è
stato
tradito
.
Il
comunismo
è
uno
spettro
rimproverante
,
e
il
rimprovero
si
sposta
su
Ingrao
.
Può
sorriderne
,
ma
sa
di
essere
solo
.
Per
un
comunista
essere
soli
non
è
un
incidente
esistenziale
,
è
una
radicale
messa
in
questione
.
È
vero
che
in
tema
di
comunismo
i
conti
non
tornano
,
anche
se
le
vittorie
e
le
sconfitte
epocali
non
si
misurano
sui
giornali
,
e
le
lacerazioni
del
mondo
possono
rimandare
a
quel
che
Luporini
definiva
«
il
comunismo
come
orizzonte
»
.
Come
il
1789
,
forse
anche
il
1917
ha
un
destino
carsico
.
Ma
ora
?
Non
basta
fare
le
scelte
giuste
per
vincere
;
figurarsi
se
sono
state
sbagliate
.
Al
contrario
di
quel
che
si
dice
,
la
storia
si
fa
con
i
«
se
»
:
prima
di
compiere
quel
gesto
,
un
altro
era
possibile
,
e
se
il
battito
delle
ali
di
una
farfalla
a
Pechino
sta
a
monte
del
terremoto
di
San
Francisco
,
un
'
azione
fatta
o
non
fatta
,
e
tanto
più
se
pubblica
,
una
distrazione
,
una
difficoltà
elusa
,
presenteranno
i
loro
conti
.
Solo
un
narcisista
se
ne
assolve
,
ma
il
narcisismo
è
l
'
ultimo
difetto
che
a
Ingrao
si
possa
imputare
.
Visto
da
fuori
,
vien
da
chiedersi
in
che
cosa
si
sia
scontrato
Pietro
Ingrao
se
non
in
quello
che
più
era
e
resta
suo
.
Prima
di
tutto
sulla
questione
della
«
rivoluzione
italiana
»
,
non
la
rivoluzione
in
genere
,
quella
specifica
che
si
riapriva
negli
anni
sessanta
.
Vige
oggi
una
sorta
di
progressismo
alla
rovescia
,
un
hegelismo
da
bar
per
cui
quel
che
avviene
è
il
reale
e
il
reale
è
razionale
,
e
si
accompagna
a
un
furioso
oscuramento
di
quel
che
è
stato
.
Quel
che
è
stato
è
che
il
Pci
non
fu
affatto
«
rivoluzionario
»
dal
dopoguerra
a
poco
fa
.
Non
avrebbe
neppure
potuto
.
È
tornato
a
pensarsi
come
soggetto
di
un
rivoluzionamento
sociale
,
dentro
o
forse
fuori
dal
patto
politico
,
soltanto
nei
primi
anni
sessanta
-
lo
pensò
Ingrao
,
e
questo
fu
l
'
ingraismo
.
Prima
di
allora
l
'
ha
da
venì
Baffone
degli
umili
si
coniugò
non
oltre
che
con
la
«
democrazia
avanzata
»
.
Ma
quando
la
guerra
fredda
cessa
di
essere
la
grande
discriminante
delle
coscienze
europee
,
la
ricostruzione
è
compiuta
,
una
generazione
è
uscita
di
scena
e
un
'
altra
è
entrata
,
in
Italia
ci
sono
nuovi
proletari
e
la
prima
massa
studentesca
,
e
il
centrismo
va
in
crisi
,
Ingrao
si
domanda
,
e
non
lui
solo
,
che
cosa
possiamo
diventare
.
Gliela
farei
volentieri
un
'
intervista
su
che
cosa
era
,
vista
da
oggi
,
questa
«
rivoluzione
italiana
»
.
Certo
più
Gramsci
che
Lenin
.
Certo
si
delineò
un
qualcosa
che
prima
non
c
'
era
,
e
Amendola
,
che
era
un
uomo
acuto
,
da
allora
avversò
Ingrao
tenacemente
.
Non
so
come
avrebbe
arbitrato
Togliatti
;
Longo
e
Berlinguer
scelsero
Amendola
.
Non
sembra
che
abbiano
veduto
molto
lontano
,
quella
fu
la
prima
svolta
del
Pci
,
il
resto
venne
a
seguire
.
Ma
Ingrao
era
ben
fermo
a
porre
le
sue
domande
non
a
se
stesso
né
ad
altri
che
non
fosse
il
suo
partito
.
E
per
chiunque
sia
anche
vagamente
marxista
o
non
regredisca
a
una
teoria
delle
élites
,
il
come
si
esprime
il
soggetto
del
movimento
storico
nella
modernità
,
resta
«
il
»
problema
.
Chi
,
come
me
,
pensò
nel
1969
che
la
maturazione
era
tale
da
non
avere
più
bisogno
di
una
forma
-
perché
la
forma
è
frutto
di
qualcosa
che
poi
tende
a
immobilizzare
-
sbagliava
:
gli
anni
settanta
e
quel
che
è
seguito
ci
dicono
che
senza
una
sua
forma
,
una
sua
organizzazione
,
e
capace
di
mutare
con
il
suo
soggetto
,
la
contraddizione
non
si
fa
soggetto
.
Si
può
scegliere
di
essere
invece
che
di
fare
,
ma
non
è
la
stessa
cosa
.
Oggi
la
società
è
in
sofferenza
,
ma
anche
le
sue
voci
più
autentiche
sono
azzittite
,
quando
non
integrate
;
e
atomizzazione
e
omologazione
mettono
a
rischio
fin
le
identità
individuali
.
Difficile
dire
quale
sarebbe
stata
per
Ingrao
una
scelta
vincente
nel
breve
riemergere
della
«
rivoluzione
italiana
»
:
forse
la
risposta
non
sarebbe
molto
dissimile
per
coloro
che
la
intravidero
,
molti
e
divisi
,
negli
anni
sessanta
,
e
quando
venne
in
scena
nel
1968
.
È
storia
da
archiviare
o
altro
?
E
se
altro
,
dove
si
è
mancato
?
Che
cosa
occorreva
e
non
ci
fu
?
Ingrao
registrò
subito
il
recedere
del
Pci
.
Non
so
che
cosa
pensasse
del
1976
,
ma
quando
per
la
prima
volta
Berlinguer
parlò
della
«
produzione
come
bene
in
sé
»
vide
l
'
inversione
di
rotta
,
che
sarebbe
apparsa
enorme
con
il
Lama
del
1977
e
del
1978
.
Ma
noi
,
sinistra
extraparlamentare
,
non
dico
i
gruppi
armati
,
non
lo
persuademmo
-
che
avevamo
a
che
fare
,
così
drastici
e
grevi
,
con
un
Gramsci
messo
a
giorno
?
È
vero
che
eravamo
approssimativi
,
ma
chi
ti
nega
in
non
poca
misura
ti
determina
.
È
stata
lunga
l
'
interruzione
del
dialogo
fra
Ingrao
e
quelli
che
gli
erano
rimasti
amici
anche
dopo
il
1969
.
Lui
si
rintanava
,
prima
nelle
istituzioni
,
e
poi
,
quando
andò
a
dire
al
Partito
che
non
ci
sarebbe
più
stato
perché
occorreva
studiare
e
rimettere
a
giorno
la
bussola
,
gli
risposero
:
giusto
,
studia
e
togliti
di
mezzo
.
Non
so
come
votasse
sulla
Nato
.
Non
si
agitò
sulle
leggi
speciali
.
Da
fuori
chiedevamo
,
dov
'
è
Ingrao
?
Anche
quando
scriveva
,
pareva
che
lo
facesse
da
lontano
.
Più
agevole
capire
che
cosa
sia
stato
per
lui
il
Partito
,
strumento
e
gabbia
.
Perfino
per
gli
avversari
,
il
fascino
di
Ingrao
sta
nell
'
aver
sempre
separato
politica
da
potere
.
Il
Partito
era
la
comunità
che
o
maturava
tutta
o
periva
,
non
lo
forzò
mai
,
tanto
meno
fece
uso
di
una
sua
autorità
-
e
i
suoi
,
che
si
sono
sentiti
abbandonati
,
glielo
rimproverano
.
Come
se
quella
virtù
fosse
anche
un
difetto
.
Ricordo
1'XI
congresso
,
il
primo
dissenso
esplicito
nel
Pci
:
Ingrao
se
lo
assunse
da
solo
,
raccomandando
agli
ingraiani
-
strano
oggetto
,
compagni
che
non
somigliassero
neanche
da
lontano
a
una
frazione
-
di
starsene
buoni
.
Perdette
e
perdemmo
.
Ricordo
l
'
estate
del
1968
,
fra
il
maggio
e
la
Cecoslovacchia
,
il
Partito
in
sommovimento
,
alcuni
di
noi
che
volevano
un
affondo
e
Ingrao
,
che
pur
ci
aveva
sperato
,
che
mi
dice
:
Il
Partito
non
è
maturo
.
È
la
primavera
del
1969
:
comunico
a
Berlinguer
che
faremo
la
nostra
eretica
rivista
,
gli
chiedo
:
Credi
che
ci
saranno
sanzioni
?
No
,
risponde
Berlinguer
.
Sì
,
risponde
Ingrao
.
E
non
senza
risentimento
,
perché
facevamo
di
testa
nostra
,
lo
lasciavamo
.
Nella
discussione
che
precede
la
radiazione
del
«
manifesto
»
,
il
suo
fu
un
grande
silenzio
.
Poi
restò
una
voce
a
parte
,
il
presidente
della
Camera
che
andava
a
Castellanza
,
il
compagno
che
nel
Comitato
centrale
si
differenziava
.
Nessuno
è
più
amato
in
un
partito
comunista
di
una
sinistra
che
non
mette
in
causa
la
segreteria
.
Se
ti
metti
a
rischio
,
mi
metti
a
rischio
;
compagno
Ingrao
,
non
lo
fare
,
grazie
di
non
farlo
.
Qual
è
il
momento
in
cui
si
può
/
deve
lasciare
un
'
impresa
in
cui
hai
messo
la
vita
,
senza
essere
sconfitti
?
Se
nel
1969
Ingrao
avesse
detto
:
se
cacciate
quelli
del
«
manifesto
»
esco
con
loro
,
la
storia
del
Pci
sarebbe
stata
diversa
?
Se
a
Firenze
non
avesse
abbracciato
Occhetto
che
gli
tendeva
una
mano
?
Pochi
giorni
prima
mi
aveva
detto
:
O
sto
nel
Partito
o
divento
un
testimone
,
tu
ti
contenti
della
testimonianza
.
Poi
la
Bolognina
,
poi
Arco
-
se
Ingrao
...
I
compagni
ne
rientrarono
furiosi
,
io
lo
difesi
.
Fu
un
errore
,
sì
,
già
si
era
fuori
dei
tempi
massimi
.
E
che
aveva
a
che
vedere
la
Rifondazione
di
Cossutta
con
lui
?
Gli
restò
la
battaglia
sulla
guerra
del
Golfo
,
l
'
ultima
.
Poi
se
ne
andò
,
neanche
con
altri
.
Da
solo
.
Pensava
ancora
di
coagulare
,
da
fuori
,
un
polo
della
sinistra
non
capitalista
.
E
credeva
che
il
«
manifesto
»
potesse
esserne
il
catalizzatore
.
Ma
il
«
manifesto
»
non
era
,
non
è
,
fuori
della
crisi
della
sinistra
,
del
marxismo
,
del
comunismo
,
come
che
si
voglia
chiamare
.
Tiene
fermo
con
qualche
eroismo
un
minimo
,
non
poco
,
non
abbastanza
.
Arrivava
Ingrao
e
non
sapeva
che
dirgli
.
Quando
egli
propose
almeno
un
laboratorio
di
ricerca
,
il
giornale
non
seppe
,
non
volle
,
non
poté
,
era
altro
-
ma
che
contano
i
conti
e
le
ragioni
?
Siamo
tutti
un
po
'
poveri
.
Quell
'
uomo
fortunato
non
ha
più
casa
.
Perdente
,
dunque
?
Forse
sì
.
Ritirato
,
giubilato
,
selvatico
nel
senso
di
Leonardo
:
chi
è
selvatico
si
salva
?
Ma
non
è
vero
,
nessuno
si
salva
,
non
c
'
è
più
un
'
altra
terra
.
Ma
in
quella
che
c
'
è
e
dove
siamo
stati
sconfitti
non
ci
sono
né
pace
,
né
ricomposizione
,
né
vero
dominio
-
ci
sono
le
urla
e
la
lacerazione
che
avevamo
a
tentoni
intravisto
nei
sessanta
,
nei
settanta
.
Le
avevamo
viste
con
lui
e
grazie
a
lui
:
poi
ne
traemmo
altre
conclusioni
.
Ma
chi
si
aspetta
che
Ingrao
taccia
,
si
sbaglia
.
È
di
quelli
che
preferiscono
essere
fatti
a
pezzi
che
tornare
a
casa
.
StampaQuotidiana ,
Sarà
modesta
la
sorte
ecclesiale
dell
'
enciclica
Evangelium
vitae
.
I
teologi
o
ne
tacciono
o
la
giudicano
severamente
.
E
gli
umili
pastori
d
'
anime
sanno
bene
che
per
parlare
e
farsi
ascoltare
dalle
coscienze
inquiete
della
gente
dovranno
regolarsi
come
se
non
ci
fosse
.
Essere
papa
è
una
dura
prova
per
un
uomo
.
Isolato
,
senza
più
una
vera
comunicazione
,
esaltato
e
sovraccaricato
dall
'
esser
la
voce
di
Cristo
in
terra
,
dovrebbe
avere
grande
capacità
di
ascolto
e
grande
saggezza
di
parola
.
Erano
le
virtù
di
Giovanni
XXIII
.
Karol
Wojtyla
non
le
possiede
o
le
ha
perdute
,
e
più
le
sue
forze
declinano
più
smisurata
diventa
in
lui
l
'
idea
,
o
la
tentazione
,
di
avere
una
funzione
secolare
immensa
,
del
contare
nel
mondo
in
nome
di
un
potere
più
che
umano
.
È
fin
inquietante
a
vedersi
,
scavato
,
ammalato
,
in
piedi
con
fatica
,
mentre
legge
con
voce
tremante
un
foglietto
sorretto
da
mani
tremanti
per
ribadire
l
'
interpretazione
autentica
della
profluvie
di
encicliche
,
lettere
apostoliche
,
discorsi
vari
e
«
statements
»
con
i
quali
si
affanna
a
statuire
,
a
impedire
,
a
chiudere
porte
e
tirar
su
paletti
davanti
a
qualcosa
che
incalza
.
Stavolta
a
incalzare
sono
le
nuove
minacce
della
morte
alla
vita
-
quella
morte
che
«
entra
nel
mondo
a
causa
dell
'
invidia
del
diavolo
e
del
peccato
dei
progenitori
»
.
Di
quale
morte
parla
?
Non
inganniamoci
.
Non
è
l
'
angoscia
che
ci
ha
colti
con
Hiroshima
,
quando
per
la
prima
volta
abbiamo
pensato
che
il
pianeta
poteva
finire
.
Né
il
timore
per
l
'
Aids
,
moderna
pestilenza
,
né
per
l
'
impulso
distruttivo
che
sembra
infuriare
in
violenze
cieche
e
in
guerre
illeggibili
.
L
'
Evangelium
vitae
non
ha
al
centro
la
conservazione
della
specie
alla
soglia
del
terzo
millennio
né
le
guerre
né
le
calamità
naturali
:
il
Vaticano
sa
bene
che
mai
gli
uomini
sono
stati
in
così
grande
numero
,
che
in
meno
di
un
secolo
l
'
umanità
si
è
quadruplicata
e
si
è
raddoppiata
la
speranza
di
vita
.
Sa
anche
che
per
la
prima
volta
nella
storia
da
un
capo
all
'
altro
del
pianeta
ci
si
interroga
in
qualche
modo
sui
«
diritti
umani
»
ai
quali
fino
a
ieri
l
'
altro
nessuno
o
ben
pochi
facevano
caso
.
Sulle
calamità
naturali
non
ha
nulla
da
dire
,
e
quanto
alle
guerre
stavolta
appena
si
attarda
a
nominarle
,
essendo
state
rigettate
alla
periferia
di
quell
'
Occidente
che
di
questa
enciclica
è
il
vero
interlocutore
.
In
esso
infatti
egli
vede
covare
il
nemico
:
la
morte
per
così
dire
privata
,
quella
che
si
annida
nel
più
intimo
dei
rapporti
,
la
famiglia
,
nel
vicino
più
prossimo
da
persona
a
persona
.
Non
tanto
la
morte
di
un
solo
,
ma
la
morte
o
la
non
-
vita
o
la
,
vita
-
a
-
certe
-
condizioni
-
per
Wojtyla
sono
quasi
sinonimi
-
la
vita
insomma
non
come
fatalità
ma
come
scelta
.
Così
egli
non
spende
troppe
parole
sull
'
omicidio
,
antica
interdizione
,
e
neppure
sulla
pena
di
morte
;
e
non
solo
perché
la
Chiesa
non
ama
intrattenersi
troppo
sul
biblico
«
Nessuno
tocchi
Caino
»
o
è
avvezza
a
patteggiare
con
i
poteri
costituiti
.
Stavolta
non
patteggia
,
minaccia
.
Chiama
anzi
alla
disubbidienza
civile
,
cosa
rarissima
,
su
quel
che
più
di
ogni
cosa
le
preme
:
la
vita
degli
«
innocenti
»
.
Chi
sono
gli
«
innocenti
»
?
Coloro
che
non
sono
ancora
venuti
alla
luce
,
non
ancora
persone
,
ma
vita
nascente
,
vita
possibile
,
i
purissimi
non
nati
e
,
quasi
altrettanto
inermi
,
i
sofferenti
terminali
che
vorrebbero
morire
.
Creatura
nella
quale
la
volontà
non
c
'
è
ancora
o
non
è
più
in
senso
pieno
;
questo
è
il
«
debole
»
,
sul
quale
preme
la
minaccia
dei
più
vicini
,
i
genitori
,
la
madre
,
la
famiglia
.
Per
egoismo
o
per
pietà
costoro
non
lo
metteranno
alla
luce
o
ne
accelereranno
la
morte
.
Per
egoismo
o
per
pietà
decideranno
quando
e
come
far
nascere
.
Aiutati
da
inedite
possibilità
della
scienza
e
della
tecnologia
.
Questa
è
la
nuova
morte
,
il
vero
nemico
.
Il
come
della
riproduzione
non
è
problema
di
poca
grandezza
:
investe
al
fondo
la
questione
della
persona
e
della
libertà
.
Meritava
,
se
enciclica
doveva
essere
,
una
vera
riflessione
su
questioni
primarie
dell
'
etica
del
nostro
tempo
.
Non
l
'
ha
avuto
;
l
'
Evangelium
vitae
non
ritiene
che
ci
sia
dilemma
né
una
inedita
problematica
della
coscienza
;
tutto
è
sempre
lo
stesso
ed
è
chiaro
.
Si
tratta
di
ribadire
il
già
noto
nelle
due
occasioni
cruciali
,
che
datano
quest
'
ultima
enciclica
:
la
conferenza
delle
Nazioni
Unite
sulla
popolazione
appena
avvenuta
al
Cairo
e
quella
sulla
donna
che
avrà
luogo
dalla
fine
di
agosto
ai
primi
di
settembre
a
Pechino
.
Sulla
popolazione
,
il
Vaticano
aveva
incaricato
una
sua
commissione
di
stendergli
un
rapporto
,
e
si
è
trovato
di
fronte
la
proposta
di
dichiarare
lecita
la
contraccezione
.
È
stato
un
colpo
.
Wojtyla
,
Ratzinger
e
la
curia
di
Roma
hanno
abbattuto
la
commissione
pontificia
e
al
Cairo
i
loro
incaricati
si
sono
battuti
fino
all
'
ultimo
non
solo
contro
l
'
aborto
ma
contro
il
controllo
delle
nascite
,
e
hanno
incontrato
due
scacchi
.
Primo
,
la
defezione
dell
'
Islam
che
ha
lasciato
libera
la
contraccezione
.
Secondo
,
e
più
preoccupante
,
l
'
alleanza
delle
donne
-
si
può
dire
di
tutte
le
donne
,
del
Nord
del
Sud
dell
'
Est
e
dell
'
Ovest
-
per
il
diritto
al
controllo
delle
nascite
.
Era
la
prima
volta
che
paesi
del
Sud
del
mondo
non
si
limitavano
a
dire
a
quelli
del
Nord
«
non
immischiatevi
nelle
nostre
faccende
,
cresciamo
quanto
ci
pare
»
.
Le
donne
hanno
detto
basta
,
la
vita
passa
attraverso
il
nostro
corpo
e
hanno
preso
il
problema
dalle
mani
degli
uni
e
degli
altri
,
ne
hanno
fatto
una
questione
del
loro
essere
,
della
loro
persona
e
libertà
,
e
non
solo
per
la
gestazione
ma
per
il
nutrimento
,
la
crescita
,
l
'
orizzonte
di
chi
viene
al
mondo
.
Hanno
identificato
il
proprio
problema
in
una
idea
forte
di
sviluppo
.
Fra
qualche
mese
esse
torneranno
a
Pechino
.
Non
è
una
lettura
maliziosa
vedere
nell
'
Evangelium
vitae
un
sussulto
di
timore
della
più
autorevole
comunità
monosessuale
,
comprensibilmente
e
miseramente
sessuofoba
,
la
Chiesa
di
Roma
,
davanti
all
'
insorgere
inaspettato
di
un
soggetto
mondiale
femminile
.
La
donna
,
antico
tramite
del
diavolo
e
oggi
tramite
della
«
nuova
»
morte
.
Wojtyla
non
è
neppure
in
grado
di
parlarne
,
se
non
come
matrice
,
grembo
,
luogo
di
maturazione
dell
'
embrione
,
contenitore
di
una
vita
che
in
lei
viene
transitoriamente
immessa
.
Si
commuove
evocando
le
sole
parole
che
gli
vengono
nella
penna
,
quella
della
madre
dei
Maccabei
davanti
ai
figli
spenti
:
«
Non
so
come
siate
apparsi
nel
mio
seno
,
non
io
vi
ho
dato
lo
spirito
e
la
vita
,
non
io
ho
dato
forma
alle
membra
di
ognuno
di
voi
.
Ma
il
creatore
del
mondo
,
che
ha
plasmato
l
'
origine
e
l
'
uomo
e
ha
provveduto
alla
generazione
di
tutti
»
.
Come
potrebbe
lo
sgorgare
della
vita
-
postilla
Giovanni
Paolo
II
-
essere
lasciato
in
balia
della
specie
umana
?
La
vita
le
è
data
da
Dio
attraverso
il
corpo
della
donna
.
È
l
'
antica
tradizione
occidentale
,
sublimata
dal
principio
del
maschile
-
divino
.
Ogni
intervento
,
ogni
assunzione
di
libertà
su
questo
punto
è
violazione
della
legge
santa
di
Dio
e
il
seme
di
avventure
totalitarie
.
Si
comincia
col
decidere
se
avere
un
figlio
o
no
,
poi
se
portare
avanti
la
gravidanza
o
no
,
e
a
quale
età
,
e
se
nell
'
utero
proprio
o
altrui
,
sole
o
con
un
uomo
;
domani
se
ne
sceglieranno
il
sesso
,
le
fattezze
,
lo
si
clonerà
,
o
gli
si
imporrà
un
Dna
con
vita
a
termine
.
Nella
donna
che
vuol
decidere
di
una
maternità
c
'
è
in
nuce
un
Mengele
.
Qui
sta
la
chiave
e
la
povertà
dell
'
enciclica
.
Il
problema
della
riproduzione
umana
è
arrivato
a
più
di
una
svolta
.
Una
di
esse
è
il
problema
della
libertà
e
del
corpo
femminile
;
complesso
,
non
semplice
.
Un
altro
è
quello
delle
possibilità
di
intervento
indotte
dalla
scienza
,
che
sono
molte
e
inducono
il
dilemma
del
fin
dove
e
del
come
.
Ma
l
'
Evangelium
vitae
annulla
ogni
problema
di
scelta
,
azzera
ogni
dilemmatica
morale
:
non
c
'
è
di
che
discutere
né
interrogarsi
né
decidere
.
Da
una
parte
ci
sono
Dio
e
la
Natura
,
quasi
sinonimi
,
e
dall
'
altra
il
demonio
.
Dio
ha
parlato
una
volta
per
tutte
attraverso
la
Chiesa
,
che
è
sovrumana
custode
della
sua
parola
quindi
delle
leggi
dell
'
universo
.
Non
resta
che
seguirla
,
il
resto
è
crimine
e
sacrilegio
.
La
semplificazione
culturale
è
immensa
e
desolante
;
è
davvero
un
toccare
il
fondo
del
cattolicesimo
,
il
quale
da
tempo
,
del
resto
,
lasciava
al
luteranesimo
la
tragedia
della
persona
,
l
'
etico
,
lo
stesso
interrogarsi
sul
senso
della
vita
nel
disegno
di
Dio
,
che
poi
è
il
fondamento
della
libertà
per
un
credente
.
Domani
saranno
cinquant
'
anni
precisi
da
che
a
Flossenburg
veniva
impiccato
Dietrich
Bonhoeffer
,
che
sembra
più
lontano
da
Karol
Wojtyla
del
Gran
Muftì
di
Gerusalemme
.
Egli
aveva
osato
parlare
di
un
mondo
adulto
,
che
non
ha
più
bisogno
di
un
signore
o
giudice
o
consolatore
,
«
un
mondo
senza
Dio
in
presenza
di
Dio
»
,
non
parentesi
,
non
breve
transito
,
ma
luogo
decisivo
dove
si
giocano
il
senso
e
la
salvezza
.
L
'
Evangelium
vitae
torna
a
disegnarci
un
mondo
dove
velocemente
si
passa
,
segmento
insignificante
,
specie
di
prova
d
'
esame
in
vista
della
vita
vera
,
che
verrà
«
dopo
»
.
È
l
'
antica
tesi
autoritaria
,
assieme
pedagogica
e
consolatoria
,
che
ha
permesso
alla
Chiesa
tutte
le
repressioni
e
tutti
i
compromessi
;
oggi
la
rende
muta
davanti
a
ogni
domanda
sulla
concretezza
della
libertà
.
E
paradossalmente
perfino
sull
'
obbedienza
.
Wojtyla
non
sa
più
parlare
neppure
nel
severo
ambito
dell
'
epistola
di
san
Paolo
ai
Romani
-
fra
lo
sconvolgente
commento
di
Karl
Barth
,
traversato
da
tutta
la
modernità
,
e
i
testi
di
Giovanni
Paolo
II
c
'
è
un
abisso
.
Non
è
un
bene
neanche
per
chi
non
è
cattolico
.
Dal
tema
della
vita
come
scelta
propria
e
altrui
la
Chiesa
si
ritira
,
si
dimette
,
lasciando
scoperti
i
credenti
.
Non
a
caso
le
rispondono
zelantemente
soltanto
i
politici
,
i
medici
e
i
farmacisti
.
Stragi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Un
silenzio
di
piombo
ha
accolto
l
'
inchiesta
del
giudice
Salvini
sulle
stragi
da
piazza
Fontana
in
avanti
.
Lo
stesso
per
il
verbale
riservatissimo
della
riunione
del
governo
dopo
la
strage
di
Bologna
nell
'
agosto
del
1980
.
Scrupolo
di
accertare
questa
o
quella
responsabilità
penale
?
Certo
no
,
gli
scrupoli
non
sono
la
specialità
dei
media
e
dei
leaders
.
È
scelta
di
tacere
su
quanto
già
si
supponeva
e
ora
è
accertato
,
l
'
ampiezza
devastante
delle
responsabilità
dei
governi
dagli
anni
sessanta
a
ieri
.
Dunque
il
più
estremista
dei
volantini
estremisti
degli
anni
settanta
restava
al
di
sotto
della
verità
.
Pensarono
tutti
,
pensammo
tutti
,
che
nei
servizi
segreti
fossero
infiltrati
personaggi
o
lobbies
o
gruppi
che
agivano
in
un
loro
disegno
,
ma
marginale
rispetto
alle
scelte
dell
'
esecutivo
,
una
carta
matta
imprudentemente
usata
e
che
finiva
con
il
ricattare
i
governi
,
i
quali
prima
tacevano
poi
periodicamente
cercavano
di
liberarsene
.
Non
era
così
.
I
servizi
segreti
operarono
con
l
'
accordo
dei
governi
e
dell
'
arma
dei
carabinieri
nell
'
uso
della
manovalanza
che
già
avevano
o
trovavano
nell
'
area
missina
.
Quando
,
negli
anni
sessanta
,
in
fabbrica
si
dovettero
dismettere
le
schedature
e
i
movimenti
della
sinistra
avanzarono
impetuosamente
e
si
modificarono
gli
equilibri
centristi
,
i
governi
,
costretti
ad
«
aprirsi
»
,
allargarono
d
'
accordo
con
la
Nato
i
compiti
delle
strutture
clandestine
destinate
a
fare
fronte
non
già
a
del
tutto
improbabili
invasioni
sovietiche
ma
a
un
mutamento
di
indirizzi
,
una
vera
«
alternanza
»
in
Italia
.
Furono
così
lasciati
fare
attentati
e
stragi
,
anzi
suggeriti
e
garantiti
di
copertura
,
ventisei
anni
di
tritolo
e
cadaveri
,
dal
1960
in
poi
.
Per
agitare
una
presunta
instabilità
e
seminare
il
dubbio
e
la
divisione
sul
movimento
che
potentemente
avanzava
,
specie
dopo
il
'68
e
il
'69
,
accusandolo
di
portare
il
terrore
dentro
di
sé
.
Di
questa
laida
operazione
i
governi
erano
al
corrente
,
conoscevano
la
mappa
di
chi
operava
e
la
copersero
.
Non
copersero
solo
le
stragi
interne
.
Il
presidente
Cossiga
ci
invia
uno
stupefacente
verbale
dal
quale
si
desume
che
il
suo
governo
aveva
motivo
di
sapere
che
l
'
aereo
dell
'
Itavia
precipitato
a
Ustica
era
stato
colpito
da
un
missile
della
Nato
che
voleva
liberarsi
del
colonnello
Gheddafi
ma
sbagliò
obiettivo
.
È
il5
agosto
1980
,
a
due
giorni
dalla
strage
alla
stazione
di
Bologna
,
ne
deduceva
trattarsi
di
una
vendetta
dei
libici
.
Chi
legge
il
verbale
-
c
'
erano
Cossiga
,
Colombo
,
Bisaglia
,
Morlino
,
gli
inevitabili
Sisde
e
Sismi
e
capi
della
polizia
,
ma
anche
Formica
,
Andreatta
e
Giorgio
La
Malfa
-
non
ne
trae
alcuna
certezza
che
siano
stati
i
libici
,
ma
che
questi
signori
considerarono
l
'
ipotesi
sufficientemente
valida
da
dover
essere
nascosta
,
dati
gli
interessi
libici
in
Italia
oltre
che
la
figura
della
Nato
.
E
che
decisero
di
discorrerne
con
i
servizi
segreti
della
Libia
e
di
tacerne
con
gli
inquirenti
italiani
,
che
per
quindici
anni
si
sono
dibattuti
tra
falsi
di
ogni
genere
,
finendo
con
l
'
inseguire
quei
Nar
che
c
'
era
ragione
di
ritenere
non
entrassero
nella
strage
di
Bologna
affatto
.
Intanto
i
presidenti
della
repubblica
ricevevano
periodicamente
le
famiglie
assicurando
che
si
sarebbe
fatta
giustizia
.
E
fino
a
quando
dura
questa
sanguinosa
commedia
?
Ancora
nel
1992
il
governo
mente
alla
camera
sulla
struttura
Gladio
,
che
deve
ammettere
ma
di
cui
consegna
soltanto
l
'
involucro
esterno
,
622
nomi
di
poco
conto
destinati
a
nascondere
la
vera
struttura
di
fiducia
,
quei
«
Nuclei
di
difesa
dello
Stato
»
che
,
per
quanto
ne
sappiamo
,
scorrazzano
anche
ora
.
Non
si
liquida
in
un
giorno
un
piccolo
esercito
protetto
dai
carabinieri
e
quei
servizi
che
,
infatti
,
sembra
difficile
processare
anche
se
colti
con
le
mani
nel
sacco
.
I
ricatti
si
sprecano
.
Dunque
non
singoli
personaggi
deviati
ma
i
regolari
servizi
dello
Stato
hanno
utilizzato
esplosivi
,
sparatorie
e
missili
,
con
l
'
accordo
dei
governi
e
della
Nato
,
hanno
schedato
il
mezzo
milione
di
italiani
(
e
le
schede
ci
sono
ancora
)
e
hanno
allenato
supercentrali
operative
,
reclutando
i
tipi
più
fidati
nel
Movimento
sociale
italiano
.
Dove
ogni
tanto
uno
come
Vinciguerra
si
innervosiva
di
essere
usato
dai
corpi
della
Repubblica
invece
che
per
la
rivoluzione
fascista
,
come
gli
assicurava
Rauti
che
gestiva
in
buona
armonia
con
Giorgio
Almirante
,
mentore
di
Gianfranco
Fini
,
le
due
facce
del
partito
.
Il
tutto
nel
quadro
di
intese
interne
e
internazionali
del
tutto
illegali
,
del
tutto
incostituzionali
e
del
tutto
accettate
.
Perché
,
ebbe
a
dire
Francesco
Cossiga
,
che
c
'
era
di
strano
?
Noi
,
l
'
Occidente
democratico
governavamo
in
Italia
un
paese
di
frontiera
che
doveva
tenersi
pronto
all
'
invasione
delle
armate
russe
e
iugoslave
,
come
è
noto
impazienti
di
occupare
l
'
Europa
,
mentre
voi
avevate
il
partito
e
le
masse
pronti
a
consegnare
il
paese
a
Breznev
.
Noi
ci
servimmo
dei
nostri
servizi
e
delle
nostre
bombe
,
voi
avevate
le
Brigate
rosse
e
i
loro
revolver
.
C
'
era
una
guerra
,
ora
non
c
'
è
più
per
decesso
dell
'
Urss
e
possiamo
chiudere
la
partita
.
Quelli
di
noi
che
gettarono
un
urlo
si
sentirono
dire
anche
da
Norberto
Bobbio
che
erano
gli
incerti
della
situazione
geopolitica
:
ovvio
che
fossimo
in
libertà
vigilata
dal
1945
al
1989
.
Sennonché
nessun
esercito
sovietico
si
preparava
a
dilagare
in
Europa
,
dove
Mosca
aveva
rinunciato
anche
all
'
idea
di
rivoluzione
dopo
gli
anni
venti
.
Tanto
meno
dopo
Yalta
.
E
infatti
la
Nato
operava
in
tutta
l
'
Europa
occidentale
,
ma
nessun
altro
paese
ha
chiesto
o
subìto
condizioni
simili
.
La
Stay
behind
più
«
Gladio
»
è
un
esempio
della
creatività
italiana
,
armata
dai
governi
centristi
quando
temettero
che
quella
grossa
socialdemocrazia
,
popolare
e
moderatamente
avanzata
che
era
il
Pci
,
si
conquistasse
quell
'
alternanza
della
cui
mancanza
si
dolgono
gli
stessi
che
tacciono
sui
mezzi
con
cui
fu
impedita
.
La
storia
d
'
Italia
prende
davvero
,
alla
luce
dei
fatti
,
una
strana
fisionomia
.
Guardo
i
nomi
dei
presidenti
della
Repubblica
negli
annidi
fuoco
,
Pertini
e
Cossiga
,
uomini
diametralmente
opposti
,
mi
chiedo
come
venne
eletto
l
'
uno
,
che
cosa
sapeva
,
come
venne
usato
,
e
come
venne
eletto
l
'
altro
,
quello
che
sapeva
tutto
degli
apparati
e
sa
dove
cercare
i
documenti
quando
gli
viene
in
mente
di
illuminare
gli
storici
.
E
che
cosa
sa
Scalfaro
,
del
passato
e
del
presente
?
Quali
dilemmi
i
migliori
di
loro
hanno
avuto
ma
tengono
per
sé
?
Guardo
i
nomi
dei
presidenti
del
Consiglio
,
e
mi
fa
impressione
che
Andreotti
sia
perseguito
per
un
improbabile
bacio
a
Riina
e
non
per
aver
inviato
a
«
sfoltire
»
di
nomi
i
dossiers
delle
stragi
nel
1974
.
Penso
alla
lista
dei
ministri
della
Difesa
e
agli
armadi
di
quelli
degli
Interni
,
cui
i
servizi
facevano
pervenire
rapporti
più
che
espliciti
.
Penso
ai
capi
della
polizia
,
fedeli
servitori
dello
Stato
,
come
quello
che
vidi
mentire
tranquillo
sotto
giuramento
al
processo
7
aprile
.
In
nome
dell
'
anticomunismo
in
Italia
fu
ovvio
,
implicito
,
consentito
fare
di
tutto
,
compreso
l
'
ammazzamento
di
cittadini
che
si
trovavano
per
caso
in
una
banca
,
in
una
piazza
,
in
un
treno
o
una
stazione
.
In
tema
di
atlantismo
,
il
nostro
è
un
record
.
Penso
anche
all
'
opposizione
,
che
esce
da
questo
quadro
beffata
e
sciocca
.
Nel
1964
,
quando
si
preparava
il
colpo
del
generale
De
Lorenzo
nel
silenzio
-
assenso
del
presidente
Segni
,
Pietro
Nenni
sentì
fragore
di
sciabole
e
fece
marcia
indietro
invece
che
chiamare
i
carabinieri
-
forse
dubitando
che
sarebbero
volati
in
suo
soccorso
.
Negli
anni
settanta
,
preso
atto
del
Cile
,
Enrico
Berlinguer
fece
sapere
allo
Stato
nel
quale
desiderava
entrare
che
non
avrebbe
cercato
di
modificare
nessuno
degli
equilibri
militari
,
né
interni
né
internazionali
.
E
infatti
.
Quale
fastidio
diede
ai
servizi
il
Pci
?
Nel
1969
cadde
col
naso
in
avanti
nella
tesi
della
pista
rossa
,
non
vide
altro
che
un
pericolo
a
sinistra
,
ottenendo
in
tutto
e
per
tutto
una
coda
di
paglia
grande
come
una
casa
per
essersi
appiattito
a
quell
'
impresentabile
stato
.
Che
ne
dice
oggi
Ugo
Pecchioli
,
da
una
vita
nel
comitato
parlamentare
che
doveva
controllare
i
servizi
?
Di
lui
devono
aver
riso
molto
un
bel
mucchio
di
mascalzoni
.
Per
quindici
anni
comunisti
e
progressisti
hanno
chiuso
gli
occhi
su
coloro
che
li
stavano
facendo
fuori
,
per
inseguire
l
'
eversione
di
sinistra
che
la
loro
debolezza
aveva
provocato
,
e
ora
apriva
la
propria
sanguinosa
,
perdente
guerra
privata
con
gli
apparati
della
polizia
e
dell
'
esercito
.
Rivedo
gli
editoriali
di
«
l
'
Unità
»
,
e
di
Valiani
e
di
Scalf
ari
,
che
accusavano
le
Brigate
rosse
di
mettere
a
repentaglio
le
istituzioni
repubblicane
.
Intendevano
dire
che
eravamo
già
così
occupati
da
colonnelli
e
armigeri
fascisti
che
non
bisognava
eccitarli
oltre
?
Che
su
tutto
questo
,
oggi
squadernato
,
Gianfranco
Fini
taccia
,
si
capisce
:
la
sua
svolta
è
avvenuta
sotto
il
ritratto
di
Almirante
.
E
si
capisce
che
dunque
ne
taccia
il
Polo
.
Che
tacciano
i
popolari
è
meno
chiaro
:
l
'
esame
di
coscienza
della
Dc
,
i
Bianco
,
i
Martinazzoli
e
Rosy
Bindi
lo
devono
fare
.
Ma
perché
la
sinistra
tace
?
Perché
dovremmo
tacere
noi
?
Sento
persone
piene
di
saggezza
ammonirmi
:
lasciamo
perdere
,
non
ci
si
attarda
sulla
malattia
quando
si
è
guariti
,
la
vita
deve
continuare
;
e
che
puoi
dire
ai
giovani
?
Che
i
governi
della
Repubblica
avevano
qualche
intesa
con
la
mafia
,
e
poi
hanno
anche
rubato
,
e
infine
che
sono
stati
un
po
'
assassini
?
Meglio
guardare
avanti
.
No
.
Non
si
guarda
avanti
se
non
si
vede
chiaro
ieri
,
se
non
si
sa
dove
il
marcio
è
arrivato
,
se
si
assolvono
uomini
,
mezzi
e
fini
,
se
si
racconta
che
di
fascisti
non
ce
n
'
è
stati
più
dal
1945
e
che
se
avessimo
avuto
meno
comunisti
saremmo
da
un
pezzo
una
splendida
democrazia
.
I
miei
amici
giovanissimi
mi
guardano
e
sussurrano
:
avete
lasciato
un
cumulo
di
macerie
,
non
seccare
con
la
politica
,
preferiamo
un
'
esistenza
senza
le
sue
ambizioni
ma
senza
i
suoi
orrori
.
Debbo
dirgli
che
in
fondo
,
sì
,
siamo
in
un
sistema
trasparente
,
il
conflitto
non
è
poi
grande
e
avviene
ad
armi
pari
,
sotto
i
fari
d
'
una
stampa
coraggiosa
e
veritiera
?
Non
è
vero
.
Non
sono
uguali
le
responsabilità
,
le
colpe
,
i
fini
e
i
mezzi
.
Ci
hanno
scassato
a
colpi
di
bombe
,
fucilate
,
complotti
e
bugie
.
Quelli
che
vengono
dopo
di
noi
costruiranno
mattone
per
mattone
il
proprio
destino
,
ma
noi
dobbiamo
loro
la
verità
.
ProsaGiuridica ,
ART
.
1
.
I
beni
immobili
devoluti
e
da
devolversi
alla
cassa
ecclesiastica
in
virtù
della
legge
sarda
29
maggio
855
,
e
dei
decreti
11
dicembre
1860
del
regio
commissario
straordinario
dell
'
Umbria
,
3
gennaio
1861
dell
'
altro
regio
commissario
straordinario
nelle
Marche
,
e
17
febbraio
1861
del
luogotenente
generale
del
re
nelle
provincie
napoletane
,
passano
al
demanio
dello
Stato
a
misura
della
determinazione
della
loro
rendita
colle
norme
stabilite
all
'
articolo
3
.
ART
.
2
.
In
correspettivo
di
questa
cessione
il
governo
inscriverà
in
nome
della
cassa
ecclesiastica
una
rendita
del
cinque
per
cento
sul
Gran
libro
del
debito
pubblico
uguale
alla
rendita
dei
beni
che
passeranno
al
demanio
.
ART
.
3
.
II
ministro
delle
Finanze
,
unitamente
al
ministro
di
Grazia
e
giustizia
e
dei
culti
,
determineranno
questa
rendita
,
udito
il
parere
della
commissione
provinciale
per
l
'
accertamento
del
valore
dei
beni
demaniali
,
colle
norme
dei
contratti
,
dei
registri
regolari
e
dei
catasti
,
e
in
caso
di
mancanza
o
anche
d
'
insufficienza
di
tali
elementi
,
con
perizie
sommarie
di
cui
il
sistema
verrà
fissato
dal
regolamento
.
ART
.
4
.
Fino
a
nuova
legge
rimane
sospesa
l
'
esecuzione
dell
'
alinea
3°
dell
'
art
.
15
dei
due
decreti
dei
regi
commissari
straordinari
delle
Marche
e
dell
'
Umbria
indicati
all
'
articolo
1
,
non
che
dell
'
alinea
3°
dell
'
articolo
23
dell
'
altro
decreto
luogotenenziale
ivi
pure
citato
.
ART
.
5
.
Quelli
degli
edifizi
monastici
che
sono
da
assegnarsi
ai
comuni
delle
provincie
napoletane
,
secondo
l
'
art
.
25
della
legge
del
17
febbraio
1861
.
non
saranno
compresi
nel
passaggio
di
che
all
'
art
.
1
,
e
verranno
dal
governo
assegnati
effettivamente
ai
comuni
.
Le
disposizioni
,
di
cui
nell
'
articolo
25
della
legge
17
febbraio
1861
vigente
nelle
provincie
napoletane
,
sono
estese
a
tutte
le
provincie
del
Regno
,
ove
è
istituita
la
cassa
ecclesiastica
.
ART
.
6
.
Oltreciò
il
governo
del
re
è
autorizzato
ad
alienare
ai
comuni
,
a
trattative
private
,
i
fabbricanti
urbani
posti
nel
loro
rispettiva
territorio
dei
quali
avessero
bisogno
per
uso
proprio
,
e
dei
quali
faran
richiesta
nel
termine
di
sei
mesi
dalla
presa
di
possesso
dei
detti
fabbricati
.
ART
.
7
.
Tutti
gli
altri
beni
immobili
,
eccettuati
quelli
riversibili
,
come
al
l
'
art
.
4
del
decreto
11
dicembre
1860
,
e
3
gennaio
1861
,
e
5
del
decreto
17
febbraio
1861
,
o
quelli
sui
quali
havvi
contestazione
,
fino
a
che
questa
non
sia
risoluta
,
verranno
alienati
colle
stesse
leggi
e
norme
che
regolano
la
vendita
degli
altri
beni
demaniali
.
ART
.
8
.
Gli
oneri
inerenti
ai
beni
,
di
cui
all
'
art
.
1
della
presente
legge
,
s
'
intendono
trasferiti
sulla
rendita
di
cui
all
'
articolo
2
.
ART
.
9
.
Con
un
regolamento
approvato
per
regio
decreto
sarà
provveduto
alla
esecuzione
della
presente
legge
.
StampaQuotidiana ,
Non
facciamo
confusione
:
non
sono
la
stessa
cosa
un
'
interruzione
di
gravidanza
e
l
'
intervento
genetico
sulla
riproduzione
della
specie
.
Nel
primo
caso
una
donna
si
chiede
se
mettere
al
mondo
un
figlio
o
no
;
una
donna
,
quella
persona
/
corpo
che
non
regge
una
maternità
,
e
decide
per
il
no
.
Nel
secondo
,
il
genere
umano
si
trova
a
decidere
il
sì
o
il
no
di
manipolazioni
e
mutazioni
,
financo
donazioni
o
differenziazioni
perverse
,
che
decidono
dell
'
umano
futuro
.
E
interpellano
alle
radici
culture
,
etiche
,
princìpi
di
identità
.
E
infatti
la
prima
è
un
'
antica
vicenda
,
la
seconda
del
tutto
inedita
.
Da
sempre
le
donne
hanno
ricorso
a
erbe
e
strumenti
e
tecniche
abortive
quando
non
potevano
mettere
al
mondo
e
tenere
al
mondo
una
creatura
.
A
rischio
della
vita
.
Uomini
e
società
lo
sanno
,
non
c
'
è
testo
di
scienza
naturale
che
non
ne
parli
.
Non
c
'
è
stata
legislazione
demografica
che
lo
abbia
impedito
.
Le
grida
sull
'
aborto
che
si
levano
periodicamente
sono
bugiarde
e
perverse
.
Lo
scrive
Gustavo
Zagrebelski
:
«
Un
punto
che
dovrebbe
essere
pacifico
in
ogni
discussione
in
buona
fede
è
che
tutti
i
divieti
legali
,
siano
essi
rimessi
nelle
mani
del
giudice
penale
che
condanna
,
o
del
medico
che
rifiuta
l
'
intervento
,
o
del
genitore
che
nega
l
'
assenso
,
o
del
padre
che
impone
la
sua
volontà
generatrice
,
si
risolvono
concretamente
non
nell
'
impedimento
dell
'
aborto
ma
nella
ricerca
dell
'
aborto
clandestino
...
non
la
difesa
della
vita
del
nascituro
ma
il
pericolo
della
vita
della
donna
e
la
discriminazione
fra
donne
ricche
e
povere
:
due
conseguenze
entrambe
incostituzionali
»
.
Non
penso
che
su
questo
si
debba
elucubrare
,
tanto
è
tristemente
noto
e
chiaro
.
Si
può
chiedersi
il
perché
del
periodico
risorgere
d
'
una
maledizione
su
pratiche
acquisite
dal
sapere
comune
e
dalla
medicina
semplice
-
penso
al
trattato
«
sulle
malattie
delle
donne
»
di
Trotula
de
Ruggiero
-
e
che
fecero
riflettere
con
più
problematicità
di
ora
la
Chiesa
delle
origini
.
È
come
se
qualcosa
spingesse
uomini
o
Chiese
o
Stati
a
inchiodare
il
corpo
femminile
sul
margine
fra
vita
e
morte
nel
quale
per
secoli
lo
hanno
cacciato
e
il
parto
(
fino
all
'
asepsi
)
e
l
'
aborto
.
Là
dovrebbe
restare
o
essere
riportata
la
maledetta
sessualità
femminile
?
Si
può
anche
capire
il
problema
del
credente
,
per
il
quale
sono
sacri
qualsiasi
tempo
di
vita
come
qualsiasi
distruzione
«
naturale
»
perché
Dio
disegnerebbe
il
correre
dell
'
universo
,
e
l
'
uomo
non
avrebbe
il
diritto
di
intervenirvi
.
Ma
quale
fondamento
può
avere
una
etica
laica
,
se
non
il
doppio
principio
della
libertà
e
delle
responsabilità
?
In
questa
ottica
appare
bizzarro
che
quel
che
di
più
importante
si
può
fare
,
cioè
mettere
una
creatura
al
mondo
,
non
sia
libero
,
deciso
.
Neppure
la
più
folle
delle
legislazioni
,
salvo
una
segreta
pratica
nazista
,
osa
enunciare
l
'
obbligo
di
generare
.
Ma
se
scelta
è
,
è
scelta
in
prima
istanza
e
in
ultima
della
donna
.
Qualsiasi
uomo
che
abbia
saputo
dalla
donna
-
lui
non
può
saperlo
-
di
averne
fecondato
un
ovulo
,
sa
quel
che
accadrà
in
se
stesso
e
in
lei
:
in
lui
,
nulla
,
in
lei
,
una
rivoluzione
.
Il
corpo
di
lei
è
investito
,
rovesciato
il
ciclo
,
l
'
embrione
cresce
nei
suoi
tessuti
,
partecipa
della
sua
circolazione
sanguigna
e
respiratoria
,
è
difeso
dalle
sue
difese
immunitarie
,
non
potrà
in
nessun
caso
vivere
se
se
ne
separa
prima
di
sei
mesi
,
verrà
a
maturazione
piena
a
nove
e
sarà
espulso
«
nel
dolore
»
.
Poi
la
madre
lo
raccoglierà
,
pulirà
,
medicherà
,
alimenterà
,
mentre
le
si
rinchiude
quel
grembo
lacerato
di
cui
,
fino
a
meno
di
quarant
'
anni
fa
,
ancora
rischiava
di
morire
.
Ma
dovrà
proteggere
il
piccolo
cranio
ancora
aperto
.
Il
cucciolo
umano
nasce
assai
più
fragile
d
'
un
gattino
,
e
gli
ci
vorranno
tre
anni
per
cavarsela
senza
perire
.
E
se
la
madre
non
gli
sarà
stata
accanto
nel
suo
pauroso
precipitare
in
un
mondo
così
diverso
dall
'
alveo
materno
,
l
'
angoscia
sarà
tale
da
incrinare
il
suo
passaporto
per
l
'
esistenza
.
La
maternità
è
un
evento
globale
e
lungo
che
investe
una
esistenza
femminile
,
scompone
ogni
altro
programma
di
realizzazione
,
ed
esige
mediazioni
perché
uno
dei
due
,
madre
e
figlio
/
a
,
non
ne
esca
mutilato
.
Quale
comune
misura
ha
questo
con
la
paternità
?
Sul
piano
fisico
nessuna
.
La
paternità
è
un
'
acquisizione
mentale
,
affettiva
,
non
percepita
nel
corpo
.
È
sulla
vita
di
relazione
?
Va
da
sé
che
la
madre
restringa
le
sue
relazioni
per
privilegiare
quelle
con
la
sua
creatura
,
va
da
sé
che
l
'
uomo
sviluppi
le
sue
relazioni
,
un
padre
essendo
chiamato
ad
essere
più
di
prima
un
individuo
sociale
.
La
dissimetria
è
patente
,
la
fisiologia
si
riproietta
e
moltiplica
in
ruoli
apparentemente
obbligati
.
Di
questo
dovremmo
pur
parlarci
,
fra
uomini
e
donne
.
Io
ho
molti
e
carissimi
amici
fra
gli
uomini
,
ma
non
ne
fanno
parola
.
Credo
neanche
fra
loro
.
Forse
ogni
uomo
ha
in
fondo
a
sé
,
oscuramente
,
la
percezione
di
questo
scompenso
,
che
ha
battuto
fin
dalle
origini
il
fantasma
della
Grande
Madre
,
quella
che
veniva
prima
che
si
riuscisse
a
legare
sessualità
e
riproduzione
,
quella
ancora
presente
in
Esiodo
,
la
terra
generatrice
di
tutto
,
anche
del
cielo
.
Lui
,
il
maschio
,
ha
potuto
accedere
alla
filiazione
,
in
lei
così
visibile
,
soltanto
sequestrandone
il
corpo
,
e
imponendo
alla
creatura
un
simbolo
di
proprietà
,
il
nome
.
Ma
ha
dovuto
fare
della
donna
un
soggetto
secondo
,
meno
libero
.
Si
può
capire
.
Credo
che
dovremmo
ascoltare
la
fragilità
del
maschio
,
il
sapersi
un
corpo
che
non
si
riproduce
,
che
finisce
,
che
disperde
il
seme
.
E
nel
medesimo
tempo
sapersi
meno
esposto
,
confessa
Winnicott
:
per
millenni
il
parto
è
stato
un
rischio
di
vita
.
Di
fronte
all
'
invidia
-
timore
che
le
donne
avrebbero
del
pene
,
c
'
è
l
'
invidia
-
timore
del
maschio
per
la
femminilità
sdoppiantesi
,
sola
signora
della
genealogia
.
Si
può
anche
capire
che
quando
il
sapere
medico
ci
mette
nella
possibilità
di
decidere
il
sì
o
il
no
della
maternità
senza
rischiare
la
vita
,
il
nostro
potere
appaia
enorme
,
inammissibile
.
Che
altro
traspare
dalle
parole
di
un
uomo
,
abitualmente
problematico
e
colto
come
Giuliano
Amato
?
«
Lei
»
non
sa
,
è
egoista
,
immatura
,
incapace
di
veder
oltre
se
stessa
.
Decido
io
al
posto
suo
.
Diverso
il
problema
di
fronte
agli
interventi
genetici
che
investono
la
riproduzione
della
specie
.
Ma
proprio
perché
essi
riguardano
l
'
intera
umanità
,
divisa
in
ruoli
di
inuguale
potere
prima
di
tutto
fra
i
sessi
,
va
detto
forte
che
non
se
ne
deciderà
senza
la
determinazione
della
parola
femminile
.
Io
sono
grata
al
centro
Virginia
Woolf
per
averlo
scritto
e
proposto
alla
firma
di
tutte
,
al
di
là
di
ogni
appartenenza
.
Il
«
che
cosa
»
poter
o
dover
fare
in
tema
di
procreazione
esige
una
decisione
d
'
urgenza
,
perché
già
troppo
si
è
avanzati
senza
una
regola
,
e
dove
le
regole
non
ci
sono
,
conta
il
più
forte
,
in
saperi
,
denari
,
poteri
.
Su
questo
terreno
si
può
giungere
a
mostruosità
,
come
sappiamo
,
e
anche
dove
sogni
perversi
di
eugenetica
fossero
evitati
,
nessuna
mutazione
sarà
cosa
da
poco
.
E
non
di
poca
tentazione
:
se
intervenendo
sul
Dna
abbattessimo
alcune
fatali
malattie
?
Per
salvare
e
per
salvarsi
si
possono
compiere
atrocità
.
Ma
anche
fosse
tutto
per
il
meglio
,
questo
meglio
va
lungamente
meditato
e
comunemente
deciso
.
E
la
decisione
varrà
se
ambedue
i
sessi
,
al
punto
in
cui
sono
le
riflessioni
su
di
sé
e
l
'
altro
,
e
le
identità
,
e
le
prospettive
,
vi
si
riconosceranno
.
Questo
è
l
'
ammonimento
dell
'
appello
firmato
da
migliaia
di
donne
.
Altro
che
domanda
«
corporativa
»
(
ammesso
che
sia
pensabile
ridurre
un
sesso
anche
alla
più
vasta
delle
corporazioni
)
.
Quel
che
è
sicuro
è
che
finora
non
ambedue
i
sessi
ma
solo
il
genere
maschile
ha
parlato
e
legiferato
.
L
'
altro
,
noi
,
abbiamo
taciuto
o
subìto
o
privatamente
mediato
o
ci
siamo
fatte
complici
:
sono
complicati
,
ben
poco
trasparenti
,
i
rapporti
fra
uomini
e
donne
.
Lo
schema
maschile
ha
funzionato
da
schema
unico
,
oggettivo
e
neutrale
.
Ma
come
potrebbe
esserlo
?
Anche
chi
,
come
me
,
non
rinuncerebbe
ai
saperi
d
'
un
mondo
cui
le
donne
hanno
subalternamente
partecipato
,
dubita
che
sul
terreno
della
sessualità
e
della
procreazione
gli
uomini
possano
attingere
a
pretese
di
universalismo
.
Si
tratta
d
'
una
frontiera
limite
,
dolente
e
problematica
,
dove
ogni
sesso
è
forzato
a
una
sua
parzialità
.
Di
più
,
il
corpo
non
si
dice
in
parole
,
è
sentito
,
ne
scriviamo
per
geroglifici
.
Sull
'
esperienza
del
corpo
siamo
rimandati
al
massimo
del
«
dato
»
e
al
massimo
dell
'
«
irripetibile
»
,
a
leggi
fisse
prima
e
dopo
di
noi
e
alla
solitudine
delle
differenze
.
La
comunicazione
va
costruita
.
Fra
le
donne
e
fra
i
generi
.
E
questo
significa
cambiare
ordini
,
simboli
,
valori
,
poteri
.
Agli
uomini
,
signori
delle
parole
,
restituirei
quella
competenza
sui
sentimenti
che
,
tenendosi
per
sé
i
saperi
,
sembrano
averci
consegnato
rimuovendoli
da
sé
.
Non
credo
alla
divisione
dell
'
intelligere
e
del
sentire
,
pati
,
patire
.
A
certi
testi
femminili
restituirei
l
'
inclinazione
opposta
,
una
sapienza
come
antilogos
,
che
già
ci
ha
funestato
negli
anni
settanta
.
Come
se
si
potesse
pensare
,
elaborare
,
riflettere
,
senza
astrarre
,
e
non
si
potesse
astrarre
senza
ordinare
,
né
ordinare
senza
coartare
.
Come
se
potessimo
eludere
la
sfera
dei
diritti
,
dei
conflitti
,
di
scarse
ma
essenziali
leggi
e
del
loro
mutare
nella
storia
.
Ma
questa
è
strada
da
fare
.
Se
credevamo
di
aver
tempo
,
perché
qualcosa
era
sicuramente
raggiunto
e
garantito
,
ci
siamo
sbagliate
.
StampaQuotidiana ,
Come
si
fa
a
rendere
non
credibile
una
democrazia
?
Si
fa
come
in
Italia
.
E
infatti
altri
paesi
esitano
a
seguirci
,
pur
avendo
problemi
non
così
dissimili
dai
nostri
.
Non
c
'
è
istituzione
che
non
vacilli
alla
prima
onda
matta
che
le
si
infranga
addosso
.
Le
istituzioni
sono
destinate
a
mutare
sotto
l
'
impatto
della
storia
.
Tutti
i
movimenti
,
quando
emergono
,
nella
istituzione
incontrano
un
limite
,
lo
denunciano
,
tendono
a
travalicarla
.
La
differenza
fra
destra
e
sinistra
-
una
delle
differenze
-
sta
nel
fatto
che
i
movimenti
di
sinistra
tendono
a
riappropriarsi
di
quella
partecipazione
che
la
formalità
della
rappresentanza
appiattisce
,
allargando
per
così
dire
il
sistema
circolatorio
e
immettendovi
sangue
fresco
;
i
movimenti
di
destra
,
invece
,
tendono
a
restringerla
.
La
tanto
esaltata
«
rivoluzione
italiana
»
del
1993
ha
questo
segno
,
anche
se
nessuno
dei
molti
che
sulle
prime
l
'
hanno
esaltata
lo
riconosce
.
Crollato
il
Caf
,
è
la
destra
che
conduce
la
danza
,
puntando
al
discredito
di
ogni
forma
di
partecipazione
politica
e
di
separazione
dei
poteri
,
in
modo
da
liberare
lo
spazio
al
«
niente
Stato
,
tutto
mercato
»
.
Adesso
nel
macinatutto
sta
il
referendum
.
Come
si
fa
a
svuotarlo
di
senso
?
Se
ne
presentano
dodici
.
Ha
ragione
Stefano
Rodotà
,
quando
ricorda
(
su
«
Repubblica
»
di
ieri
)
che
non
dovrebbe
esservi
istituto
più
immediato
e
chiaro
di
quello
che
affida
ai
cittadini
di
decidere
d
'
un
dilemma
di
linea
o
di
coscienza
civile
che
il
parlamento
non
è
in
grado
di
risolvere
,
o
che
è
essenziale
verificare
in
un
contesto
più
ampio
.
E
infatti
così
sono
i
referendum
all
'
estero
,
e
così
sono
stati
da
noi
i
grandi
referendum
su
monarchia
e
repubblica
,
così
è
stato
per
legge
Reale
,
aborto
e
divorzio
,
nucleare
e
tossicodipendenze
,
e
così
in
qualche
misura
ancora
per
la
legge
elettorale
.
Anche
se
,
osserva
Rodotà
,
l
'
ultimo
dei
grandi
referendum
ha
,
più
che
«
abrogato
»
,
ritagliato
una
legge
su
misura
dei
proponenti
,
è
innegabile
che
esso
rispondeva
a
una
spinta
d
'
opinione
,
che
la
sinistra
non
aveva
né
sollecitato
né
era
in
grado
di
guidare
.
Ma
che
cosa
ha
a
che
vedere
con
queste
scadenze
,
sia
pur
di
meno
in
meno
solenni
,
la
miscela
fra
quesiti
grandi
e
minuscoli
che
si
affolleranno
domenica
in
dodici
schede
?
La
maggioranza
della
gente
non
lo
sa
.
Non
solo
per
la
difficoltà
dei
quesiti
,
che
in
queste
ultime
settimane
ci
si
è
sforzati
di
dipanare
e
cui
dovrebbe
soccorrere
la
numerazione
,
una
titolazione
approssimativa
e
il
diverso
colore
delle
schede
,
ma
per
la
dimensione
così
diversa
delle
questioni
.
Davvero
occorreva
ricorrere
per
tutte
a
una
consultazione
così
massiccia
?
Il
dubbio
toglie
all
'
appuntamento
dell
'
1
r
giugno
il
connotato
di
grande
scelta
popolare
,
per
farne
terreno
di
scorribande
e
manipolazione
degli
umori
o
delle
corporazioni
.
Se
si
aggiunge
che
fino
all
'
ultimo
personaggi
come
Veltroni
e
Confalonieri
fanno
sapere
che
per
l
'
oggetto
maggiore
del
contendere
,
la
posizione
della
Fininvest
nel
sistema
televisivo
,
sarebbe
possibile
mettersi
d
'
accordo
,
e
sostanzialmente
lo
si
farà
,
bisogna
dire
che
si
è
fatto
di
tutto
per
confondere
le
idee
.
E
infatti
il
Polo
,
fallita
un
'
intesa
alle
sue
condizioni
,
gioca
le
carte
di
una
propaganda
che
più
bugiarda
non
si
può
:
votate
No
su
tutto
,
anche
a
costo
di
scaricare
i
referendum
di
Pannella
,
perché
qui
si
vuol
diminuire
la
vostra
scelta
televisiva
.
Non
è
vero
,
ma
che
importa
?
Inversamente
,
dove
non
ci
sono
interessi
diretti
dell
'
impresa
,
come
nei
referendum
sui
sindacati
,
si
corre
fra
due
impossibilità
:
senza
la
scossa
del
referendum
il
sindacato
non
ha
ascoltato
la
domanda
di
maggiore
democrazia
e
rappresentatività
,
ma
nel
referendum
decideranno
anche
le
massaie
che
,
salvo
il
rispetto
,
non
c
'
entrano
niente
.
L
'
elettore
è
confuso
e
teme
di
confondersi
:
quanti
decideranno
di
astenersi
su
tutto
perché
non
capiscono
,
quanti
per
convinzione
,
quanti
su
alcuni
quesiti
,
cosa
che
li
obbligherà
a
far
verbalizzare
dal
presidente
di
seggio
quali
schede
accetti
e
quali
no
,
e
quanti
saranno
in
imbarazzo
in
cabina
,
preoccupati
di
confondere
i
foglietti
e
non
scrivere
la
croce
su
una
scheda
sopra
l
'
altra
sulla
mensoletta
che
avranno
davanti
?
Se
la
gente
volesse
pensarci
su
,
mettiamo
,
tre
minuti
per
scheda
,
starebbe
in
cabina
un
'
ora
.
Ci
vorrebbero
un
paio
di
giorni
e
non
uno
solo
per
votare
.
Penso
a
me
stessa
,
che
voterò
Sì
ai
due
quesiti
che
mirano
all
'
abolizione
della
Mammì
e
No
a
quello
sulla
partecipazione
dei
privati
alla
Rai
,
Sì
ai
due
quesiti
sindacali
sull
'
allargamento
della
rappresentanza
,
No
a
quello
che
vuol
trasformare
in
pubblico
la
possibilità
di
non
far
trattenere
le
quote
sindacali
sulla
busta
paga
,
e
poi
No
all
'
estensione
del
maggioritario
ai
grandi
comuni
e
poi
ci
penserò
...
Faccio
politica
da
una
vita
,
ma
forse
nella
fretta
mi
aiuterò
con
i
numeri
e
i
colori
.
Sarebbe
questo
il
grande
appuntamento
popolare
?
Tocco
con
mano
che
siamo
fuori
e
contro
il
senso
che
volemmo
dare
nel
dopoguerrra
al
referendum
.
Un
'
altra
confusione
,
e
più
grave
,
arruffa
istituti
e
spirito
pubblico
.
È
la
confusione
fra
politica
,
giustizia
e
morale
nella
quale
sguazziamo
da
alcuni
anni
e
oggi
precipita
nel
caso
di
Antonio
Di
Pietro
.
L
'
aver
consegnato
alla
magistratura
un
contenzioso
politico
più
che
maturo
,
già
fradicio
,
perché
non
si
sapeva
o
voleva
affrontarlo
in
sede
politica
,
sta
diventando
un
boomerang
per
la
politica
.
E
anche
per
la
magistratura
che
ha
avuto
l
'
imprudenza
di
accettare
un
compito
non
suo
.
Non
sono
una
incondizionale
del
pool
di
Mani
Pulite
,
e
questo
mi
è
costato
qualche
impopolarità
anche
fra
i
miei
amici
.
Non
amo
ridurre
tutto
a
fattispecie
penale
,
né
lasciare
ai
pubblici
ministeri
che
mi
trovino
,
costi
quel
che
costi
,
una
verità
che
per
colpa
o
errore
o
omissione
ho
permesso
si
producesse
sotto
il
mio
naso
.
Non
apprezzo
il
carcere
preventivo
,
non
apprezzo
il
patteggiamento
.
Non
apprezzo
i
magistrati
che
esternano
in
tv
parole
e
silenzi
.
Non
apprezzo
gli
avvisi
di
garanzia
che
trapelano
dai
giornali
.
Eccetera
.
Ma
è
indecente
la
corrida
che
oggi
è
aperta
su
Antonio
di
Pietro
,
un
giorno
colpevole
e
indagato
e
l
'
altro
no
,
un
giorno
nella
polvere
e
l
'
altro
sugli
altari
.
Per
quel
che
leggo
,
e
magari
il
giorno
dopo
viene
smentito
,
è
un
uomo
qualsiasi
che
ha
fatto
anche
un
debito
con
chi
non
doveva
e
lo
ha
pagato
-
sono
affari
suoi
.
Che
ha
stretto
qualche
mano
non
candida
-
sono
affari
suoi
.
Che
ha
raccomandato
o
lasciato
raccomandare
suo
figlio
-
si
può
capire
.
Ma
a
me
,
cittadina
,
di
Pietro
deve
rispondere
soltanto
di
come
ha
fatto
il
pubblico
ministero
,
e
ha
diritto
di
chiedere
sul
resto
per
sé
quel
rispetto
che
qualche
volta
non
ha
concesso
ai
suoi
imputati
.
Questo
rispetto
non
glielo
ha
chiesto
nessuno
,
meno
che
mai
la
stampa
,
per
gli
imputati
:
purché
acchiappi
topi
ogni
gatto
va
bene
.
Nessuno
ha
obiettato
,
fuorché
la
difesa
di
Cusani
,
che
a
Milano
si
facesse
un
processo
indiretto
a
tre
quarti
del
ceto
politico
italiano
tramite
il
modesto
yuppie
lombardo
,
ex
nuova
sinistra
ed
ex
finanziere
di
corte
.
Di
Pietro
inchiodava
Craxi
?
Era
l
'
arcangelo
Michele
,
il
salvatore
degli
italiani
,
il
migliore
dei
ministri
possibili
dell
'
Interno
,
anzi
dei
presidenti
del
Consiglio
e
,
chissà
mai
,
dei
capi
di
Stato
.
Non
è
da
stupire
che
a
una
persona
semplice
e
di
cultura
politica
inesistente
sia
un
po
'
girata
la
testa
,
e
che
lasciata
la
toga
si
agiti
molto
e
ci
informi
di
tutto
quel
che
gli
passa
nel
cervello
:
le
prime
pagine
dei
giornali
,
anzi
interi
giornali
,
hanno
portato
alle
stelle
ogni
sua
parola
.
Adesso
con
lo
stesso
stile
lo
si
morde
:
e
se
anche
di
Pietro
fosse
corrotto
?
Vedremo
,
intanto
spariamo
i
titoli
.
Come
è
successo
ai
suoi
imputati
,
la
vita
privata
,
la
moglie
,
i
debiti
,
le
difficoltà
,
le
amicizie
sono
nel
mirino
,
insinuazioni
e
falsi
e
smentite
inclusi
.
A
questo
genere
di
vendetta
plebea
,
consumata
da
professionisti
,
interessa
che
il
giudice
sia
esaltato
per
poter
essere
poi
abbattuto
:
e
arrivederci
alle
regole
.
Che
cosa
di
peggio
poteva
essere
fatto
alla
magistratura
che
elevarla
a
supremo
e
unico
arbitro
della
vicenda
politica
degli
ultimi
dieci
anni
?
Gettarle
addosso
il
sospetto
che
sia
stata
anch
'
essa
corruttrice
o
corrotta
.
Il
cerchio
è
chiuso
.
Sarò
fissata
,
ma
anche
qui
è
una
questione
di
mercato
.
Mancano
grandi
regolatori
,
grandi
identità
di
principi
o
grandi
conflitti
,
e
ogni
cosa
finisce
in
tribunale
.
Mandare
tutto
in
tribunale
significa
,
oltre
che
attribuire
ai
magistrati
un
ruolo
di
arbitri
della
politica
e
della
morale
,
che
non
è
loro
,
significa
dare
a
tutte
le
relazioni
sociali
e
personali
un
valore
di
scambio
.
Ogni
perdita
subita
si
identifica
in
un
prezzo
o
una
pena
,
tu
mi
hai
sottratto
questo
e
mi
devi
rendere
altrettanto
,
o
in
rimborso
o
in
sofferenza
.
Questo
secondo
passaggio
,
barbaro
,
non
è
mai
stato
in
auge
come
ora
.
Così
il
momento
della
giustizia
funge
da
amministrazione
pubblica
dell
'
etica
e
l
'
etica
si
identifica
in
codice
penale
,
ordine
e
/
o
vendetta
.
Se
una
Corte
assolve
un
imputato
perché
non
ci
sono
prove
che
sia
stato
lui
a
commettere
quel
delitto
,
i
familiari
della
vittima
,
subito
interrogati
dai
media
,
dichiarano
che
è
intollerabile
,
non
c
'
è
giustizia
.
O
il
contrario
,
se
l
'
imputato
è
un
loro
parente
.
Un
piccolino
è
appena
morto
di
Aids
che
la
famiglia
già
informa
le
televisioni
a
quale
ospedale
farà
causa
.
La
società
sparisce
sotto
i
privati
sentimenti
e
risentimenti
,
e
i
risentimenti
si
risarciscono
.
In
quattrini
e
carcere
.
Altro
ethos
pubblico
,
qualche
modesta
regola
di
riferimento
,
altri
binari
,
ascisse
e
ordinate
del
discorso
e
del
giudizio
,
non
ci
sono
.
Sicché
nel
confuso
menar
di
colpi
non
c
'
è
più
neanche
vera
trasgressione
.
Mao
aveva
detto
:
«
Grande
è
il
disordine
sotto
il
cielo
e
questo
è
bene
»
.
Dubito
che
avrebbe
detto
:
«
Grande
è
la
confusione
sotto
il
cielo
,
e
questo
è
bene
»
.
Il
disordine
può
essere
grande
,
la
confusione
è
roba
piccola
.
StampaQuotidiana ,
Una
guerra
etnica
non
ha
soluzioni
decenti
.
Finché
Serbia
e
Croazia
non
si
saranno
spartita
l
'
ex
Iugoslavia
non
ci
sarà
tregua
;
ma
la
spartizione
non
terminerà
mai
.
Serbi
e
croati
sono
gli
stessi
slavi
del
Sud
,
con
la
stessa
lingua
originaria
,
prima
divisi
fra
gli
imperi
ottomano
e
asburgico
,
poi
vissuti
assieme
e
incrociati
;
e
soltanto
la
religione
differenzia
gli
islamici
.
Come
sempre
le
radici
di
una
guerra
fra
etnie
sono
mitiche
,
funzionali
ad
ambizioni
e
frustrazioni
,
a
scompensi
e
interessi
scaricati
su
disegni
espansivi
,
simmetrici
alle
insicurezze
.
Sia
in
Serbia
sia
in
Croazia
c
'
è
chi
fantastica
di
spazi
vitali
che
arrivano
quasi
alle
porte
della
capitale
avversaria
;
né
agli
uni
né
agli
altri
bastano
le
frontiere
amministrative
che
avevano
nello
Stato
federale
.
Così
ogni
nuovo
confine
resterà
provvisorio
;
ogni
spartizione
comporterà
ingiustizie
,
deportazioni
,
sradicamenti
.
La
guerra
ha
fatto
delle
diversità
un
abisso
incolmabile
:
gli
uccisi
,
i
beni
perduti
,
il
trovarsi
a
sparare
sul
fratello
o
il
cognato
,
hanno
generato
l
'
odio
dove
non
era
più
che
diffidenza
.
Il
conflitto
riprenderà
a
ogni
occasione
,
e
può
incendiare
Kossovo
e
Macedonia
.
Per
questo
la
comunità
internazionale
,
che
non
ha
prevenuto
,
non
è
in
grado
né
di
persuadere
né
di
dissuadere
.
Ha
assistito
soddisfatta
allo
smembramento
della
Iugoslavia
e
non
sa
come
controllarne
le
conseguenze
.
Dopo
1'89
il
Vaticano
e
la
Germania
hanno
incoraggiato
la
secessione
della
Croazia
per
riportarla
nell
'
area
tedesca
o
austriaca
assieme
alla
Slovenia
.
Dopo
i
tentativi
di
mediazione
di
Gorbacev
,
la
Russia
ha
appoggiato
la
Serbia
che
rispondeva
con
le
armi
in
nome
di
uno
Stato
federale
che
aveva
contribuito
a
mandare
a
picco
.
Le
Nazioni
Unite
riconoscono
la
Croazia
e
mettono
l
'
embargo
alla
Serbia
,
alimentandone
il
risentimento
nazionalista
.
La
miscela
bosniaca
fra
serbi
e
croati
e
musulmani
diventa
esplosiva
.
Serbia
e
Croazia
mirano
ormai
a
spartirsi
la
Bosnia
,
modello
di
civiltà
opposto
al
loro
,
puntando
ciascuna
sui
«
suoi
»
bosniaci
,
indigeni
o
reclutati
tra
i
feroci
ex
ustascia
ed
ex
cetnici
.
Sotto
i
colpi
,
la
Bosnia
da
multietnica
si
va
identificando
con
la
causa
dei
musulmani
.
E
forse
non
poteva
essere
diversamente
:
ma
le
scelte
di
Izetbegovic
che
chiede
aiuti
in
tutte
le
direzioni
per
crearsi
un
esercito
,
e
trova
risposte
dalla
destra
americana
al
mondo
arabo
e
all
'
Iran
,
delineano
una
Bosnia
diversa
da
quella
che
era
stata
.
Sarajevo
,
civiltà
plurale
,
non
sarà
più
come
prima
:
la
spaccatura
ha
vinto
con
il
sangue
sulla
molteplicità
.
Si
può
capire
l
'
invettiva
di
Zlatko
Dizdarevic
:
chi
ha
difeso
quel
principio
?
Non
le
Nazioni
Unite
.
Il
piano
Vance
-
Owen
implicava
la
spartizione
etnica
,
ritagliando
una
mappa
in
cui
ciascuno
vedeva
riconosciute
le
ragioni
per
separarsi
e
di
cui
nessuno
si
contentava
.
E
infatti
tutte
le
molte
tregue
sono
saltate
.
Karadzic
non
ha
mai
cessato
l
'
assedio
di
Sarajevo
,
l
'
ultima
tregua
è
stata
violata
per
disperazione
o
provocazione
dai
bosniaci
,
i
serbi
hanno
rilanciato
sulle
enclaves
che
le
Nazioni
Unite
avevano
incautamente
dichiarato
protette
.
L
'
Onu
non
può
proteggere
quelle
genti
senza
entrare
in
guerra
con
la
Serbia
,
come
non
può
proteggere
i
serbi
della
Krajina
senza
farlo
contro
la
Croazia
.
Così
i
venti
di
guerra
soffiano
più
forte
.
Chi
è
stato
a
Sarajevo
o
ha
visto
la
presa
di
Srebreniza
e
le
file
dei
deportati
e
ha
sentito
degli
uccisi
o
violentati
,
vede
oggi
una
comunità
quasi
inerme
di
fronte
a
un
esercito
spietato
e
chiede
che
siano
armati
i
musulmani
:
la
sequenza
dell
'
infernale
meccanismo
è
dimenticata
.
L
'
aggressore
della
Bosnia
non
sono
i
serbi
?
«
Bombardate
Pale
,
e
domani
Belgrado
»
.
Lo
hanno
gridato
anche
molti
democratici
,
molti
compagni
,
lo
ha
più
che
sussurrato
la
Chiesa
,
quando
l
'
intervento
della
Croazia
è
venuto
a
interdire
ogni
semplificazione
.
Due
grossi
nazionalismi
,
alimentati
da
destra
e
potenti
,
sono
in
una
guerra
mortale
e
chiedono
al
mondo
di
scegliere
fra
loro
,
perché
il
mondo
ne
ha
sancito
la
legittimità
.
Poteva
non
farlo
?
Il
diritto
di
successione
unilaterale
inerisce
all
'
autodeterminazione
dei
popoli
.
Ma
che
cos
'
è
un
'
autodeterminazione
decente
?
Che
rispetti
i
diritti
umani
e
le
minoranze
?
Una
nazione
che
si
definisce
per
identità
di
sangue
o
ceppo
,
scegliendo
da
storia
e
tradizione
quel
che
più
conviene
al
suo
mito
,
e
si
pretende
un
solo
Stato
in
una
sola
terra
,
che
ne
fa
dei
diritti
umani
?
Non
li
vede
;
o
li
vede
come
una
minaccia
alla
sua
integrità
.
Così
una
guerra
etnica
non
ha
regole
né
limiti
.
E
in
uno
Stato
etnicamente
compatto
anche
in
pace
chi
non
appartiene
all
'
etnia
è
negato
,
deportato
o
obbligato
a
proditori
lealismi
;
e
chi
vi
appartiene
dovrà
declinare
ogni
libertà
sul
metro
del
nazionalismo
,
che
essendo
sacrale
è
assolutista
,
patriarcale
,
nemico
di
ogni
mediazione
.
Galleggiamo
dunque
fra
princìpi
e
cinismo
,
Realpolitik
e
impotenza
.
Forse
è
venuto
il
momento
di
interrogare
l
'
equazione
etnia
-
nazione
-
popolo
-
Stato
,
e
chiederci
perché
la
Carta
della
Nazioni
Unite
,
che
aveva
escluso
tassativamente
la
guerra
come
mezzo
di
soluzione
dei
conflitti
è
violata
da
tutte
le
parti
.
Dalle
grandi
potenze
,
quando
sono
in
causa
i
loro
interessi
economici
e
politici
come
nel
caso
dell
'
Iraq
o
della
Cecenia
,
e
da
comunità
che
definiamo
tribali
nei
paesi
terzi
come
in
Somalia
o
in
Ruanda
.
L
'
Onu
non
è
né
garante
né
pacificatrice
.
Lo
è
stata
ancor
meno
da
quando
è
finito
con
il
bipolarismo
una
reciproca
messa
in
guardia
dei
campi
di
influenza
.
Nel
caso
iugoslavo
non
c
'
è
stata
soltanto
incapacità
.
La
disgregazione
del
campo
comunista
è
stata
favorita
dovunque
e
in
qualsiasi
modo
accadesse
.
Né
1'Onu
né
le
élites
politico
-
intellettuali
hanno
ammonito
o
preteso
alcuna
riflessione
o
intesa
.
Si
poteva
essere
più
miopi
?
I
Balcani
sono
una
delle
piaghe
dell
'
Europa
.
Gli
imperi
asburgico
e
ottomano
avevano
diviso
gli
slavi
,
modellandone
le
genti
sulle
proprie
strutture
e
confessioni
.
Al
di
qua
della
Drina
i
serbi
si
erano
sanguinosamente
battuti
contro
la
Sublime
Porta
,
dall
'
altra
i
croati
non
si
erano
battuti
contro
gli
Asburgo
:
antica
querela
che
la
seconda
guerra
mondiale
avrebbe
reso
più
aspra
.
Caduti
i
due
imperi
con
la
prima
guerra
mondiale
,
avveniva
il
terremoto
.
Per
gli
islamici
furono
deportazioni
ed
emorragie
mai
concluse
.
Ma
tutto
il
mondo
slavo
,
del
Sud
e
del
Nord
,
si
trovava
a
doversi
fare
nazione
e
Stato
,
accelerando
i
processi
che
avevano
dato
luogo
agli
stati
nazionali
in
Europa
,
nei
quali
radici
e
storia
e
memoria
s
'
erano
lungamente
elaborati
in
progetti
di
società
«
politiche
»
.
Gli
slavi
del
Sud
non
avevano
mai
avuto
uno
Stato
.
Come
costituirsi
in
nazione
senza
andare
in
mille
pezzi
nelle
diversità
ereditate
?
Dov
'
era
la
base
,
la
ragione
di
una
unità
o
coesistenza
?
Dopo
l
'
unificazione
monarchica
dei
serbi
Karageorgevic
,
il
problema
si
pone
per
la
prima
volta
in
forme
moderne
alla
resistenza
antitedesca
e
antifascista
dei
partigiani
di
Tito
.
Non
si
legge
la
vicenda
iugoslava
fuori
dagli
scenari
della
prima
e
seconda
guerra
mondiale
,
la
formazione
della
Russia
dei
Soviet
,
poi
la
minaccia
nazista
-
in
Croazia
divenuta
realtà
statale
-
e
la
seconda
guerra
mondiale
.
Di
qui
il
ruolo
di
quella
singolare
generazione
comunista
.
Alle
spalle
della
resistenza
iugoslava
stava
un
'
idea
di
unificazione
,
socialista
,
certo
,
che
avrebbe
liberato
gli
slavi
del
Sud
dalla
premodernità
,
dagli
arcaismi
dinastici
o
religiosi
o
patriarcali
,
avrebbe
dato
loro
un
progetto
.
Un
'
idea
forte
,
che
non
si
consegnava
a
nessuno
degli
alleati
,
con
sgomento
prima
degli
inglesi
poi
dei
sovietici
.
Non
difendo
tutto
quel
che
fecero
uomini
come
Tito
o
Djilas
,
Kardelj
o
Vlahovic
o
Dedijer
,
per
parlare
solo
di
quelli
che
conosco
o
ho
incontrato
;
dico
che
costoro
,
croati
o
sloveni
o
serbi
o
montenegrini
o
bosniaci
,
hanno
perseguito
un
'
idea
grande
di
società
avanzata
e
multinazionale
.
Definirla
,
come
si
legge
qua
e
là
,
una
mera
«
facciata
repressiva
»
è
una
sciocchezza
.
È
stata
una
realtà
,
ha
funzionato
e
un
'
Europa
saggia
avrebbe
dovuto
aiutarla
a
preservarsi
.
E
quando
questo
modello
non
riesce
ad
articolarsi
politicamente
né
a
risolvere
i
problemi
posti
dall
'
originale
tentativo
fra
autogestione
e
mercato
,
che
le
difficoltà
si
scaricano
in
un
più
di
autonomia
delle
repubbliche
che
ne
accentuerà
disuguaglianze
e
contenziosi
.
E
allora
riprenderà
fiato
il
nazionalismo
.
Non
perché
eredi
ma
perché
liquidatori
della
Iugoslavia
e
nemici
di
Tito
,
Milosevic
e
Karadzic
vogliono
«
tutti
i
serbi
in
un
solo
Stato
»
e
Tudjman
guarda
alla
Germania
,
reprime
ogni
opposizione
e
perseguita
í
serbi
della
Kraijna
.
I
«
comunisti
»
-
penso
a
un
colloquio
con
Kardelj
nel
1964
e
con
altri
a
Belgrado
nel
1965
-
temevano
fin
da
allora
lo
scenario
di
oggi
.
Su
tutto
questo
ha
taciuto
la
sinistra
.
C
'
è
un
deficit
di
conoscenza
e
di
analisi
,
una
codardia
intellettuale
,
un
'
inclinazione
a
fuggire
dai
problemi
reali
per
la
via
delle
buone
intenzioni
,
dai
grandi
dilemmi
della
modernità
per
la
strada
dei
buoni
sentimenti
.
Non
abbiamo
messo
in
guardia
gli
amici
iugoslavi
dai
vaneggiamenti
di
Dobriga
Cosic
e
dall
'
Accademia
di
Belgrado
,
che
porta
responsabilità
tremende
,
e
abbiamo
lasciato
che
quelli
di
Praxis
rifluissero
ognuno
sul
nazionalismo
suo
.
Ci
andava
bene
il
piano
Vance
-
Owen
,
purché
tutti
si
calmassero
.
Ci
siamo
divisi
anche
noi
fra
le
ragioni
di
serbi
immaginari
,
croati
immaginari
e
Sarajevo
dissanguata
.
Poi
piangiamo
sugli
eccessi
:
sulla
gente
trascinata
fuori
dalle
case
,
dalla
terra
,
dalla
vita
,
e
senza
voce
.
Quando
mai
l
'
Europa
ha
dato
voce
a
chi
non
era
uno
Stato
?
Non
dovevano
esigere
che
al
tavolo
delle
trattative
non
sedessero
solo
coloro
per
i
quali
la
guerra
è
un
mito
e
un
affare
?
Aiutarli
a
essere
soggetto
politico
visibile
?
Collegare
le
opposizioni
ai
nazionalismi
?
Al
più
,
gli
abbiamo
dato
rifugio
.
Saremo
sempre
una
Croce
Rossa
ridotta
a
raccogliere
vittime
?
Quelle
morti
vengono
da
una
malattia
comune
.