StampaQuotidiana ,
Nel
1961
Enzo
Bettiza
,
da
quattro
anni
corrispondente
da
Vienna
,
fu
trasferito
a
Mosca
;
e
non
senza
disappunto
abbandonò
il
prezioso
«
fossile
»
che
per
cultura
ed
estrazione
familiare
gli
era
tanto
caro
.
Nato
a
Spalato
jugoslava
,
studente
liceale
nell
'
italianissima
Zara
,
figlio
di
un
irredentista
dalmata
cittadino
italiano
e
di
una
montenegrina
,
Bettiza
si
è
sempre
considerato
un
mitteleuropeo
e
più
precisamente
un
Altósterreicher
,
sentimentalmente
legato
alla
sua
«
defunta
»
capitale
.
Alla
nuova
residenza
egli
non
giunge
tuttavia
impreparato
.
Ha
una
moglie
goriziana
,
parla
perfettamente
la
lingua
slovena
,
conosce
il
serbo
-
croato
e
il
tedesco
,
non
gli
è
difficile
impadronirsi
del
russo
.
Gli
sarà
perciò
meno
dura
quella
crisi
di
rigetto
ch
'
egli
,
confrontandosi
con
altri
suoi
colleghi
italiani
,
ci
descrive
nel
suo
nuovo
libro
Il
diario
di
Mosca
(
Longanesi
)
,
rendiconto
dei
quattro
anni
da
lui
trascorsi
in
quella
città
e
prima
parte
di
un
'
opera
che
avrà
un
seguito
.
Più
che
preparato
Bettiza
era
vaccinato
.
Ha
assistito
all
'
ingresso
dei
titoisti
a
Spalato
,
giovane
comunista
ha
contemplato
con
un
misto
di
desolazione
e
di
esultanza
l
'
impoverimento
della
famiglia
;
in
seguito
ha
lasciato
il
partito
,
definitivamente
immunizzato
dal
fideismo
marxista
.
In
che
cosa
poteva
respingerlo
la
nuova
sede
?
L
altro
pericolo
,
l
'
insabbiamento
,
a
cui
vanno
soggetti
gli
stranieri
che
si
stabiliscono
in
Russia
fu
da
lui
evitato
studiando
il
fenomeno
davvicino
,
nei
giornalisti
stranieri
che
vivono
da
molti
anni
in
quella
capitale
.
L
'
immensa
Russia
ha
una
dimensione
temporale
diversa
dalla
nostra
.
La
lentezza
,
la
monotonia
,
l
'
incolore
opacità
del
mastodonte
sovietico
possono
indurre
chi
vi
soggiace
ad
una
sorta
di
claustrofilia
.
Non
vale
la
pena
di
uscirne
,
tutto
il
resto
del
mondo
è
un
technicolor
di
cui
si
perde
anche
il
desiderio
.
Quando
Bettiza
giunge
a
Mosca
la
destalinizzazione
ha
già
compiuto
molti
passi
e
forse
sta
facendone
qualcuno
indietro
.
Tukacevski
e
quasi
tutti
i
generali
che
Stalin
ha
mandato
a
morte
sono
stati
riabilitati
;
ma
in
altri
settori
non
si
avvertono
veri
mutamenti
.
Qualcuno
trova
che
si
esagera
.
Con
Stalin
,
dichiara
confidenzialmente
un
cremlinologo
,
si
sapeva
benissimo
dove
si
andava
a
finire
;
ma
con
Kruscev
nulla
è
prevedibile
.
Dopo
tutto
Stalin
non
era
per
niente
incolto
,
afferma
un
poeta
che
recita
i
suoi
versi
dinanzi
a
folle
entusiaste
.
Narratori
e
teatranti
godono
di
qualche
maggiore
libertà
ma
accettano
i
benevoli
consigli
della
censura
.
La
più
nota
gazzetta
letteraria
è
meno
prudente
ma
manca
del
tutto
la
stampa
d
'
informazione
.
Le
notizie
,
se
ci
sono
,
si
devono
cercare
tra
le
righe
della
«
Pravda
»
.
Quel
che
conta
negli
articoli
di
quel
giornale
non
è
il
generico
ottimismo
ma
quell
'«eppure...»,
quel
«
tuttavia
»
che
sarà
il
campanello
d
'
allarme
di
qualche
alto
funzionario
periferico
.
Quel
«
tuttavia
»
permetterà
ai
cremlinologi
(
nuovo
ramo
di
una
più
vasta
scienza
,
la
sovietologia
)
di
tirare
l
'
oroscopo
.
Il
comune
lettore
sorvola
sul
«
tuttavia
»
che
di
solito
appare
nelle
ultime
righe
dell
'
articolo
;
ma
le
vere
notizie
deve
cercarle
in
qualche
giornale
straniero
(
se
lo
trova
o
se
riesce
a
leggerlo
)
.
Non
c
'
è
stata
vera
riabilitazione
neppure
per
Pasternak
.
Gli
si
riconoscono
qualità
di
poeta
ma
si
osserva
che
il
romanzo
non
era
pane
per
i
suoi
denti
.
La
sua
dacia
non
diventerà
un
museo
nazionale
.
In
un
Paese
dove
la
mummia
di
Lenin
-
tolta
dal
mausoleo
quella
di
Stalin
-
è
meta
di
un
continuo
e
adorante
pellegrinaggio
,
un
senso
d
'
incombente
mummificazione
generale
desta
l
'
attenzione
del
giornalista
che
voglia
sfuggire
al
mortale
invito
.
Bisogna
sfuggire
al
primo
click
,
dice
Frane
Barbieri
,
altro
dalmata
che
è
corrispondente
di
un
giornale
di
Zagabria
.
Come
si
difendono
gli
stranieri
?
I
francesi
vivono
in
un
mondo
a
sé
,
distaccati
.
Gli
inglesi
sono
più
curiosi
che
interessati
,
non
abbandonano
mai
il
loro
fondamentale
empirismo
,
mentre
i
tedeschi
sono
irretiti
,
imprigionati
da
quel
complesso
di
amore
-
odio
per
il
mondo
russo
che
non
sarà
una
sorpresa
per
chi
abbia
letto
il
grande
romanzo
di
Gonciarov
e
qualche
altro
classico
della
letteratura
russa
.
In
Oblomov
il
personaggio
di
Stolz
,
tedesco
,
è
l
'
eroe
positivo
,
sebbene
di
una
positività
assai
mediocre
,
e
non
mancano
esempi
in
altri
autori
.
Da
Bielinski
in
poi
,
assai
prima
che
il
pensiero
di
Marx
giungesse
in
Russia
,
la
filosofia
di
Hegel
ha
fatto
strage
nell
'
intelligenza
slava
(
molto
prima
che
in
Italia
,
sia
detto
tra
parentesi
)
.
Nessuna
inimicizia
è
così
grande
come
quella
che
scoppia
tra
lontani
parenti
,
tra
affini
.
Ed
è
proprio
su
questo
tema
che
Bettiza
ci
dà
alcune
delle
sue
pagine
migliori
,
perché
in
lui
l
'
amore
per
le
idee
è
di
gran
lunga
superiore
all
'
amore
per
gli
uomini
.
E
non
è
,
intendiamoci
,
ch
'
egli
non
sia
un
attento
osservatore
degli
uomini
;
ma
il
fatto
è
che
il
color
locale
,
la
barzelletta
,
l
'
aneddoto
sono
del
tutto
estranei
ad
un
temperamento
come
il
suo
.
Uno
scrittore
impressionistico
avrebbe
speso
molte
pagine
per
descriverci
gli
orrori
di
quell
'
hotel
Lux
dove
a
migliaia
di
uomini
furono
inflitte
mostruose
torture
per
ottenere
confessioni
di
inesistenti
congiure
,
autoaccuse
,
delazioni
;
dove
quella
«
historia
generai
de
la
infamia
»
progettata
dal
Borges
ha
scritto
una
delle
sue
vette
più
ingloriose
.
Tre
o
quattro
pagine
sole
,
plumbee
,
dure
,
senza
un
filo
di
commozione
,
ma
proprio
per
questo
tanto
più
dure
nel
giudizio
.
Ne
sanno
qualcosa
i
giovanissimi
russi
di
oggi
?
Bettiza
è
incline
a
credere
che
non
ne
sappiano
nulla
,
o
meglio
che
non
vogliano
saperne
nulla
.
D
'
altronde
,
chi
è
meglio
qualificato
a
descrivere
i
grandi
eventi
della
storia
?
Chi
li
ha
vissuti
o
colui
che
li
osserva
da
lontano
,
col
cannocchiale
,
esperto
del
prima
e
del
poi
,
delle
cause
e
delle
conseguenze
?
Il
non
comprendere
,
il
non
voler
comprendere
ciò
che
ci
sta
davanti
agli
occhi
non
è
specifico
della
mentalità
slava
,
sebbene
l
'
immensa
costellazione
sovietica
,
tanto
diversa
nelle
sue
componenti
,
abbia
avuto
un
comune
destino
:
quello
di
saltare
a
piè
pari
almeno
un
secolo
passando
da
un
'
autocrazia
feudale
a
un
tipo
di
collettivismo
anche
più
accentratore
,
non
certo
previsto
da
Marx
che
mai
nascose
la
sua
antipatia
per
il
mondo
russo
.
Né
credo
che
in
Marx
agisse
quell
'
ambivalenza
che
Bettiza
ha
posto
in
luce
con
tanta
precisione
.
Fabrizio
del
Dongo
non
si
rese
conto
di
essere
coinvolto
nella
battaglia
di
Waterloo
così
come
molti
tedeschi
e
molti
italiani
non
videro
ciò
che
stava
accadendo
sotto
i
loro
occhi
.
La
storia
che
non
si
ripete
mai
,
in
questo
si
ripete
sempre
.
Vede
chi
vuole
e
pochi
sono
nella
condizione
di
volere
.
E
sono
certo
che
anche
in
Russia
la
pietà
è
di
gran
lunga
più
forte
della
ferocia
.
Un
luogo
comune
,
accettato
da
tutti
coloro
che
conoscono
la
grande
letteratura
russa
,
è
che
in
quei
paesi
sia
vivo
e
ineliminabile
il
sentimento
religioso
.
Su
questo
punto
la
testimonianza
di
Bettiza
non
suona
discorde
.
Nella
Russia
d
'
oggi
la
religiosità
non
è
solo
fuoco
sotto
la
cenere
ma
assume
anche
forme
spettacolari
:
non
tali
però
da
mettere
in
causa
la
solidità
del
regime
.
Non
c
'
è
grande
differenza
tra
quelli
che
ascoltano
in
massa
le
poesie
di
chitarristi
stipendiati
dallo
Stato
e
coloro
che
affollano
le
cerimonie
della
Chiesa
ortodossa
e
i
culti
non
certo
clandestini
della
seconda
Chiesa
russa
,
riconosciuta
dallo
Stato
,
quella
dei
Vecchi
Credenti
,
non
riconosciuta
dall
'
Ortodossia
.
Pare
che
all
'
origine
di
questo
scisma
tardo
-
seicentesco
sia
un
diverso
modo
di
farsi
il
segno
della
croce
.
Con
tre
dita
o
con
due
(
a
pizzico
)
?
Poi
sorsero
altre
divergenze
dottrinali
che
ignoro
.
I
Vecchi
Credenti
sono
milioni
,
hanno
le
loro
chiese
,
i
loro
preti
,
una
loro
organizzazione
.
E
come
ho
già
detto
anche
l
'
orrendo
teschio
di
Lenin
esercita
una
morbosa
attrazione
mistica
sui
visitatori
che
sostano
in
fila
per
essere
ammessi
alla
beatitudine
.
Lo
spettacolo
dev
'
essere
allucinante
.
Non
è
affatto
prevedibile
una
futura
mummificazione
di
Kruscev
.
Non
lo
era
neppure
nel
'6l'62
,
quando
Bettiza
scriveva
questo
suo
diario
.
La
prova
secca
,
precisa
,
lineare
di
Bettiza
non
è
quella
del
journal
,
non
consente
citazioni
,
estrapolazioni
.
Non
vuol
essere
«
prosa
d
'
arte
»
nel
significato
più
dubbio
della
parola
.
D
'
altronde
Bettiza
considera
questo
libro
e
i
suoi
precedenti
(
tra
gli
altri
quel
Fantasma
di
Trieste
che
fu
tradotto
in
molte
lingue
)
come
il
materiale
che
dovrebbe
confluire
in
un
futuro
romanzo
mitteleuropeo
,
globale
,
sinfonico
,
«
completamente
distaccato
dagli
umori
passeggeri
dello
scrittore
»
.
Ardua
impresa
in
un
tempo
nel
quale
arte
e
scienza
tendono
piuttosto
al
micro
che
al
macroscopico
.
Ma
non
è
lecito
porre
limiti
alle
giuste
ambizioni
di
uno
scrittore
tanto
dotato
.
Può
darsi
che
un
giorno
egli
si
avveda
che
il
Diario
di
Mosca
e
quelli
che
eventualmente
seguiranno
sono
già
il
romanzo
ch
'
egli
,
in
astratto
,
vagheggiava
.
Un
romanzo
che
ha
un
solo
personaggio
:
l
'
uomo
,
il
Singolo
di
fronte
alla
Moltitudine
.
La
scomparsa
del
singolo
sarebbe
la
fine
dell
'
avventura
umana
;
e
di
questo
la
provvidenza
ci
ha
dato
già
qualche
annuncio
ma
non
la
sentenza
definitiva
.
Può
darsi
che
ce
la
risparmi
,
anche
se
non
l
'
abbiamo
meritato
.
StampaQuotidiana ,
Nei
molti
bilanci
sulle
idee
del
secolo
non
trovo
come
crinale
lo
sganciamento
delle
atomiche
su
Ilíroshima
e
Nagasaki
.
Non
in
George
Steiner
,
non
in
François
Furet
,
non
nei
molti
necrologi
del
comunismo
.
Neppure
in
Il
secolo
breve
di
Hobsbawm
,
che
pure
le
ricorda
.
Non
è
una
rimozione
?
Ricordo
l'8
agosto
1945
,
duella
per
me
è
la
data
.
La
notizia
arrivò
forse
il
7
,
ma
dilagò
quel
giorno
.
Era
un
segno
di
vittoria
;
eppure
ci
fu
una
sospensione
,
un
movimento
di
riduzione
,
un
ritrarsi
.
Era
una
bomba
speciale
,
ma
quanto
speciale
?
Non
lo
sapemmo
subito
.
Che
significava
esattamente
:
due
città
rase
al
suolo
,
ma
diversamente
da
Coventry
o
Dresda
o
Berlino
?
Neanche
gli
americani
sapevano
la
devastazione
che
avrebbero
causato
.
Eppure
dopo
quella
guerra
,
in
Italia
raddoppiata
dalla
guerra
civile
,
credevamo
di
aver
veduto
tutto
;
avevamo
una
tale
nausea
di
morte
che
ci
sentivamo
più
convalescenti
,
più
suonati
che
felici
.
Contavamo
i
nostri
morti
,
sapevamo
vagamente
di
quelli
altrui
.
Di
morte
eravamo
come
avvelenati
.
E
poi
perché
quella
bomba
adesso
?
Per
noi
la
guerra
era
finita
il
25
aprile
,
in
Germania
il
2
maggio
con
la
bandiera
rossa
che
sventolava
sul
Reichstag
;
le
date
ufficiali
non
sono
le
stesse
della
memoria
collettiva
.
L
'
Asse
non
esisteva
più
,
il
Giappone
era
parte
dell
'
Asse
,
dunque
era
finito
,
questione
di
settimane
.
Ignoravamo
di
avergli
testé
dichiarato
la
guerra
(
io
lo
apprendo
ora
,
dalla
Rai
che
contemporaneamente
mi
informa
che
Tokyo
è
stata
l
'
ultima
a
«
difendere
l
'
onore
dell
'
Asse
»
)
e
se
lo
avessimo
saputo
ci
avrebbe
fatto
ridere
.
L
'
Italia
era
mezza
morta
,
raccoglievamo
i
cocci
,
c
'
era
tutto
da
rimettere
in
piedi
,
le
nostre
esistenze
incluse
.
Così
la
bomba
su
Hiroshima
ci
lasciò
senza
fiato
.
Ne
capimmo
lentamente
la
magnitudine
,
la
catastrofe
,
non
ne
capimmo
il
senso
,
quel
che
capimmo
a
poco
a
poco
ci
ammutolì
.
La
guerra
finiva
,
la
distruzione
no
.
Nei
mesi
successivi
quel
fungo
mostruoso
continuò
a
implodere
nei
corpi
,
nei
luoghi
;
la
radioattività
entrò
nel
nostro
lessico
.
E
di
più
,
quella
non
immaginata
distruzione
era
stata
compiuta
dalla
nostra
parte
.
Avevamo
trovato
oscena
la
parola
fascista
«
coventrizzare
»
,
non
sapevamo
ancora
di
Dresda
.
L
'
atomica
era
impensata
.
Ma
l
'
impensabile
che
si
verifica
diventa
pensato
per
sempre
,
possibile
e
riproducibile
.
La
pace
cominciava
con
una
distruzione
immane
.
Era
una
pace
ambigua
.
Poco
dopo
ci
saremo
sentiti
in
guerra
fredda
,
non
ricordo
chi
per
primo
la
chiamò
così
.
Ma
in
meno
di
due
anni
l
'
avevamo
in
casa
.
In
quella
stessa
strana
estate
arrivarono
le
immagini
dei
campi
di
sterminio
.
Credo
che
le
prime
venissero
dalla
quinta
armata
di
Eisenhower
:
anch
'
esse
ci
ammutolirono
.
Avevamo
veduto
tanti
morti
,
conoscevamo
i
fronti
di
guerra
,
avevamo
alle
spalle
l
'
incalcolabile
rotta
dell
'
Armir
nel
gelo
delle
pianure
russe
,
avevamo
veduto
i
corpi
dei
fucilati
o
impiccati
dai
tedeschi
,
tenuti
per
strada
per
qualche
giorno
,
le
sentinelle
di
guardia
avanti
e
indietro
,
perché
ne
fossimo
avvisati
.
Erano
corpi
come
abbandonati
,
dislocati
in
un
sonno
a
occhi
aperti
,
il
volto
fisso
sul
cielo
o
sul
selciato
.
Non
avevamo
conosciuto
quella
morte
a
pacchi
,
quella
gigantesca
discarica
di
cadaveri
scarniti
,
già
senza
più
lineamenti
.
La
prima
guerra
mondiale
era
stata
una
macelleria
e
noi
pensavamo
ancora
in
quei
termini
,
erano
anche
quelli
che
ci
avevano
consegnato
libri
,
gli
espressionisti
,
Otto
Dix
,
poi
Picasso
con
Guernica
.
Solo
Guernica
tiene
testa
a
quel
che
apprendemmo
l
'
estate
del
1945
.
Hiroshima
e
Nagasaki
stavano
a
Coventry
come
quelle
vagonate
di
cadaveri
dei
campi
alle
membra
stanche
e
al
volto
fisso
e
riconoscibile
dei
compagni
rimasti
agli
angoli
delle
strade
.
Atomica
e
campi
non
si
contrapposero
,
si
sommarono
.
A
due
mesi
dalla
pace
,
eravamo
iniziati
a
una
dimensione
della
guerra
che
non
stava
nella
nostra
mente
.
Fatico
a
mettere
a
punto
che
cosa
fosse
per
me
,
prima
,
il
limite
della
distruzione
.
Sapevo
che
la
guerra
non
risparmia
.
le
popolazioni
civili
,
ma
per
lungo
tempo
era
sembrata
una
sbavatura
,
un
eccesso
.
Poi
l
'
ultima
guerra
aveva
colpito
«
anche
»
i
civili
.
La
bomba
su
Hiroshima
colpiva
«
soltanto
»
loro
.
Quella
su
Nagasaki
«
soltanto
»
loro
.
Il
Giappone
aveva
colpe
orrende
e
non
le
ha
mai
riconosciute
;
tuttavia
vedendo
le
immagini
di
quei
giorni
,
mi
par
di
capire
l
'
impossibilità
,
per
quelli
che
sfuggirono
e
vagarono
in
cerca
di
una
città
irriconoscibile
,
di
piegare
le
ginocchia
davanti
al
mondo
,
come
fece
Brandt
.
Non
so
se
ad
ammutolirci
fosse
la
quantità
delle
vittime
.
Furono
forse
130.000
,
ma
già
ne
contavamo
in
guerra
decine
di
milioni
.
Né
il
dolore
,
il
dolore
altrui
è
una
razionalizzazione
.
Fu
credo
l
'
impossibilità
di
raffigurarci
quell
'
evento
.
Il
volare
in
polvere
in
una
vampata
,
il
bagliore
accecante
,
poi
l
'
oscurità
e
il
silenzio
che
seguirono
.
Abbiamo
nuovamente
sentito
in
questi
giorni
il
racconto
dei
sopravvissuti
,
per
decenni
a
parte
dagli
altri
,
come
infetti
.
Ascoltiamo
ma
non
sentiamo
.
Non
si
può
,
forse
è
giusto
e
vitale
non
potere
.
Ci
sono
zone
dove
non
si
va
.
Anche
alcuni
di
loro
dicono
:
perché
parlarne
?
Non
avverrà
più
,
come
dire
:
è
quasi
non
avvenuto
.
E
ci
colpì
che
la
nostra
parte
avesse
usato
la
bomba
.
L
'
atomica
americana
doveva
venire
prima
di
quella
di
Hitler
.
Fu
accelerata
,
ci
si
misero
i
migliori
.
Si
doveva
?
Non
si
doveva
?
Fin
dove
si
può
arrivare
nello
sterminio
per
salvarsi
dallo
sterminio
?
Se
lo
chiesero
gli
scienziati
,
ma
non
ci
hanno
lasciato
molte
risposte
.
Più
tardi
vedemmo
con
un
sorriso
Stranamore
,
perché
era
un
pericoloso
deficiente
.
Ma
la
bomba
non
la
costruirono
dei
deficienti
;
non
furono
dei
pazzi
a
farla
sganciare
su
Hiroshima
e
Nagasaki
.
Se
fosse
stata
pronta
nell
'
inverno
del
1944
,
sarebbe
stata
gettata
su
Berlino
?
Nel
chiedermelo
mi
par
di
avvicinare
la
dimensione
di
quell
'
orrore
.
Un
orrore
da
perpetrare
lontano
,
non
fra
noi
,
su
«
altri
»
.
Forse
sbaglio
.
Dovemmo
prendere
atto
che
la
guerra
poteva
essere
distruzione
assoluta
.
Messa
a
rischio
della
vita
sulla
terra
.
E
che
questo
diventava
uno
strumento
della
politica
.
Non
era
stato
nel
conto
prima
.
Chi
è
nato
dopo
l
'
ha
nel
conto
.
L
'
ha
trovato
nel
suo
orizzonte
.
Per
questo
non
ci
capiamo
:
la
gente
come
me
è
quella
del
prima
e
del
dopo
.
Credo
che
mio
padre
e
mia
madre
siano
morti
giovani
perché
il
carico
della
prima
e
della
seconda
guerra
mondiale
non
era
umanamente
portabile
.
Credo
che
per
questo
oggi
la
distruzione
ci
abita
con
tanta
leggerezza
e
i
ragazzini
si
dilettano
al
computer
in
wargames
che
non
somigliano
al
gioco
degli
indiani
.
Non
credo
che
sia
un
frutto
obbligato
della
tecnica
.
Questa
è
la
tesi
del
grande
pensiero
di
destra
e
nichilista
,
ripresa
da
Heidegger
,
e
vedo
che
torna
a
rifletterci
su
«
Repubblica
»
Umberto
Galimberti
.
Credo
che
la
tecnica
abbia
sempre
seguito
la
decisione
o
il
bisogno
di
distruggere
.
Da
quando
gli
uomini
hanno
scoperto
la
techne
,
prima
della
storia
,
le
armi
sono
state
il
prodotto
più
avanzato
e
si
sono
tirate
dietro
manufatti
,
merci
,
tecnologia
,
scienza
.
La
guerra
non
è
la
continuazione
della
politica
,
viene
prima
e
ne
è
un
sostituto
.
In
quel
concetto
ormai
informe
che
chiamiamo
«
modernità
»
stava
l
'
idea
che
potessimo
costituirci
in
patti
vivibili
,
scommettere
sulla
libertà
come
fondatrice
di
un
ethos
,
di
una
economia
di
sé
e
delle
cose
.
La
seconda
guerra
mondiale
nacque
da
molti
interessi
,
ma
anzitutto
da
una
violazione
a
monte
del
patto
dei
moderni
-
l
'
arcaico
fantasma
di
dominio
del
Terzo
Reich
come
risposta
alla
crisi
e
paura
di
un
comunismo
possibile
.
La
natura
estrema
della
posta
ha
spinto
a
tecniche
estreme
di
distruzione
.
Gli
ebrei
non
furono
mandati
ad
Auschwitz
perché
esisteva
lo
Zyklon
B
,
furono
gasati
perché
erano
troppi
ad
Auschwitz
.
Il
comandante
del
campo
,
Hess
,
ha
raccontato
come
andò
.
In
altre
forme
la
soluzione
finale
prendeva
troppo
tempo
.
In
Uomini
semplici
un
giovane
storico
americano
che
lavora
sugli
archivi
tedeschi
racconta
come
le
prime
esecuzioni
degli
ebrei
deportati
dai
villaggi
polacchi
fossero
compiute
non
da
SS
ma
da
anziani
riservisti
ognuno
dei
quali
doveva
prelevare
un
ebreo
per
volta
dal
camion
,
spingerlo
fino
alla
fossa
e
sparargli
alla
nuca
.
Ci
metteva
qualche
minuto
,
lo
vedeva
in
viso
e
sangue
e
cervello
spappolato
gli
schizzavano
addosso
.
Bisognò
cambiar
sistema
.
Bisogna
ammazzare
in
fretta
,
senza
vedere
,
gente
anonima
o
resa
tale
.
Tale
è
sempre
il
nemico
nelle
guerre
moderne
.
Ma
certo
le
camere
a
gas
e
la
bomba
sganciata
dall
'
Enola
Gay
,
era
il
nome
della
madre
del
pilota
,
furono
un
gran
passo
avanti
.
Dopo
,
la
bomba
H
avrebbe
superato
in
virtualità
tutti
e
due
.
Le
generazioni
dopo
la
mia
hanno
visto
questo
paesaggio
quando
levavano
il
capo
dalle
private
faccende
.
La
pace
è
stata
per
loro
sinonimo
di
equilibrio
del
terrore
.
Quando
è
finito
non
è
stato
per
un
disarmo
bilaterale
che
della
pace
poteva
essere
una
prima
modesta
imitazione
,
ma
per
il
crollo
dell
'
Urss
,
come
se
la
fine
del
pericolo
di
guerra
fosse
legata
alla
fine
del
simbolo
,
suo
malgrado
,
d
'
una
società
altra
.
Fine
per
noi
si
intende
:
per
gli
altri
le
guerre
restano
,
anzi
le
alimentiamo
.
Anche
l
'
immaginario
è
segnato
dal
trascolorare
dei
conflitti
in
distruzione
totale
di
nemici
senza
volto
,
o
anche
zero
nemici
ma
distruzione
come
senso
ultimo
dell
'
esperienza
.
Non
vediamo
con
interesse
se
non
fiction
di
morte
.
Le
ramificazioni
del
vivere
non
esercitano
la
stessa
attrazione
,
e
il
«
bene
»
ci
imbarazza
,
ci
annoia
,
sa
di
perbenismo
,
è
melassa
.
Uscendo
da
Usual
suspects
,
come
l
'
anno
scorso
da
Natural
born
killer
,
ma
anche
dalla
più
innocente
Arma
letale
mi
dico
che
forse
prima
del
'45
non
ci
sarebbero
state
.
E
non
per
insufficienza
tecnica
.
StampaPeriodica ,
No
,
popolo
mio
,
no
e
poi
no
.
Questo
Viva
cca
non
deve
uscire
mai
dalla
tua
bocca
:
chi
te
l
ha
nsegnato
,
t
ha
ngannato
e
t
ha
voluto
tradire
.
Né
viva
chi
vence
,
né
viva
chi
perde
.
Viva
solo
chi
ha
ragione
,
o
vence
o
perde
.
La
prima
origine
di
tutt
i
tuoi
sbagli
e
perciò
di
tutte
le
cattive
e
triste
conseguenze
che
succedono
,
consiste
propria
in
questo
grandissimo
e
terribile
errore
,
di
dire
:
viva
chi
vence
.
Dimmi
na
cosa
.
Se
tu
vedissi
battere
na
povera
bestia
talmente
che
quella
povera
bestia
cadesse
morta
nterra
,
strilleresti
:
viva
chi
vence
?
neh
,
se
tu
vedessi
no
lazzarone
battere
e
uccidere
na
povera
creatura
,
dimmi
,
grideresti
:
mora
chi
perde
e
viva
chi
vence
?
No
,
no
;
giacché
certamente
diciarrisse
:
che
ragione
ncè
di
battere
na
povera
bestia
o
na
creatura
nnocente
?
Vedi
dunque
che
il
cuore
,
senza
tanta
filosofia
e
tanta
sapienza
,
ti
parla
chiaro
e
ti
espone
la
legge
,
e
te
dice
che
deve
trionfare
chi
ha
ragione
.
Dimmi
na
cosa
.
Se
viene
lo
leone
,
e
perseguita
na
vaccarella
,
che
cerca
di
fuggire
e
di
liberarsi
,
ma
lo
leone
l
arriva
,
la
sbrana
,
e
se
la
divora
senza
pietà
,
diciarrisse
:
viva
chi
vence
?
No
,
perché
chi
tene
forza
,
non
significa
che
ave
più
ragione
;
perché
allora
sarebbono
inutili
le
leggi
e
la
giustizia
:
lo
più
forte
avarria
sempre
ragione
:
allora
tu
,
popolo
basso
,
dovresti
avere
sempre
e
poi
sempre
torto
.
Se
s
ha
da
dire
:
viva
chi
vence
,
ne
viene
per
conseguenza
che
s
ha
da
aggiungere
:
e
mora
chi
perde
,
cioè
viva
chi
sta
sopra
,
e
mora
chi
sta
sotto
.
Ti
piace
?
dimmi
neh
,
te
persuade
?
No
,
no
,
no
,
popolo
basso
:
non
dire
mai
sto
viva
,
altrimenti
te
cuoci
con
lo
fuoco
tuo
stesso
.
Una
è
la
giustizia
,
una
la
legge
,
uno
lo
dritto
per
tutti
.
E
se
una
è
la
giustizia
,
la
legge
e
lo
dritto
,
è
permesso
di
dire
:
viva
chi
vence
solamente
quando
chi
vince
ha
ragione
.
Bada
bene
;
non
bisogna
mo
correre
all
eccesso
contrario
,
e
dire
sempre
viva
chi
perde
,
no
.
Senti
a
me
,
e
tienilo
a
mente
.
Se
uno
ha
ragione
e
vence
,
viva
:
se
uno
ha
ragione
e
perde
,
viva
;
e
così
,
se
uno
ha
torto
e
vence
,
mora
;
se
uno
ha
torto
e
perde
,
mora
.
Popolo
basso
,
tu
sei
debole
e
stai
sotto
;
ma
puoi
diventare
fortissimo
a
momento
.
Ora
sta
forza
tua
la
devi
usare
in
difesa
de
la
giustizia
e
della
ragione
,
e
mai
mai
in
difesa
di
chi
vince
:
giacché
può
venire
il
momento
che
tu
hai
ragione
e
stai
sotto
,
e
chi
strilla
viva
chi
vence
,
ti
uccide
,
ti
sacrifica
e
ti
assassina
.
Non
guardare
chi
trionfa
;
tieni
mente
dove
sta
la
ragione
e
dove
il
torto
.
Tu
sei
debole
e
miserabile
,
hai
tu
sempre
torto
?
no
;
li
nobili
,
li
signori
,
li
ministri
,
li
re
sono
ricchi
e
potenti
,
hanno
dunque
sempre
ragione
?
no
.
Cerca
dunque
di
non
aver
torto
e
non
già
di
vincere
,
perché
la
vincita
e
lo
trionfo
di
chi
ha
torto
,
non
dura
;
come
non
dura
la
sconfitta
e
la
perdita
di
chi
ha
ragione
.
Viva
l
Italia
,
non
perché
sta
vincendo
,
ma
perché
ha
ragione
;
viva
Vittorio
Emmanuele
e
Napoleone
quando
difendono
gl
Italiani
dai
loro
nemici
:
viva
il
popolo
,
quando
non
pretende
cose
ingiuste
;
e
mora
...
no
.
Viva
Garibaldi
che
disse
al
popolo
basso
:
Viva
l
Italia
,
e
morte
a
nessuno
.
StampaPeriodica ,
I
cari
francesi
sono
impegnati
in
una
delle
solite
loro
grandi
battaglie
di
idee
.
Si
tratta
nientemeno
che
di
Sarah
Bernardt
,
e
di
sapere
se
la
vincerà
il
ministro
che
la
vuole
decorare
o
il
consiglio
della
Legion
d
'
onore
che
non
ne
vuol
sapere
.
Per
parte
mia
,
che
non
sono
né
attore
,
né
insigne
,
né
insignito
,
non
trovo
nessun
inconveniente
nel
decorare
chi
si
maschera
sulla
scena
;
non
sono
decorate
le
maschere
più
pericolose
che
passeggian
per
la
via
?
Anzi
mi
compiaccio
che
l
'
Italia
abbia
preceduto
la
sorellastra
latina
su
questa
strada
(
mi
par
che
Tamagno
fosse
commendatore
e
Novelli
cavaliere
)
,
perché
non
c
'
è
nulla
di
più
moderno
,
di
più
sincero
,
di
più
rappresentativo
della
psiche
contemporanea
,
del
culto
votato
all
'
attore
.
Il
governo
con
il
suo
nastrino
non
fa
che
conformarsi
al
giudizio
del
pubblico
.
Da
noi
non
ci
si
cura
della
musica
,
ma
del
tenore
;
non
della
commedia
,
ma
dell
'
attore
.
Chi
è
pagato
,
premiato
,
applaudito
,
famoso
?
l
'
attore
e
il
cantante
.
Chi
ha
il
ritratto
nelle
botteghe
dei
pasticcieri
e
dei
librai
(
non
c
'
è
molta
differenza
)
?
l
'
attore
e
il
cantante
.
Chi
occupa
il
pubblico
con
i
suoi
aneddoti
,
con
le
sue
avventure
,
con
i
suoi
pranzi
,
con
i
suoi
viaggi
?
l
'
attore
e
il
cantante
.
Due
cose
-
ha
detto
Peladan
-
non
mancano
mai
nel
giornale
:
la
Borsa
e
il
Teatro
.
Sembra
che
tutta
l
'
anima
contemporanea
sia
racchiusa
fra
questi
due
limiti
.
Gli
Italiani
si
interessano
più
all
'
idiota
fornito
di
buona
gola
;
i
Francesi
si
occupano
più
dell
'
idiota
che
gestisce
bene
;
ma
nel
fondo
le
due
sorellastre
latine
sono
eguali
;
nella
loro
volgare
ammirazione
per
lo
strumento
esterno
,
per
il
mimo
e
per
l
'
istrione
che
non
sarebbero
nulla
se
non
ci
fosse
chi
prestasse
loro
un
po
'
di
anima
e
qualche
frase
.
Basta
vedere
la
scelta
dozzinale
,
quattrinaia
,
pornografica
e
scema
che
i
nostri
attori
ci
impongono
;
basta
pensare
alla
loro
vita
di
pettegolezzi
,
di
piccolezze
,
di
gelosie
,
di
schiavitù
verso
il
giornalista
;
basta
considerare
con
quanta
energia
appoggino
tutto
ciò
che
è
mediocre
,
e
come
impersonino
bene
quella
che
è
stata
detta
la
"
commedia
borghese
"
;
per
avere
un
odio
corso
e
un
disprezzo
braminico
per
questi
propagatori
della
volgarità
e
per
questi
esemplificatori
della
vita
d
'
apparenza
,
senza
fondo
di
idee
e
di
passioni
.
Uno
dei
fatti
che
più
rivelano
la
differenza
dei
due
popoli
e
di
due
arti
e
di
due
colture
è
questa
:
che
mentre
in
Germania
il
più
grande
musico
della
generazione
passata
ha
combattuto
e
soffocato
il
cantante
,
in
Italia
il
più
grande
artefice
di
parole
della
generazione
passata
ci
ha
dato
l
'
apoteosi
dell
'
attrice
e
ha
fatto
l
'
apologia
dell
'
imbellettamento
e
del
posticcio
.
WAGNER
ha
soffocato
il
cantante
;
chi
soffocherà
fra
i
latini
l
'
istrione
?
ProsaGiuridica ,
Vittorio
Emanuele
III
per
Grazia
di
Dio
e
per
la
Volontà
della
Nazione
Re
d
'
Italia
Imperatore
d
'
Etiopia
Veduto
il
R
.
decreto
-
legge
5
settembre
1938-XVI
,
n
.
1390;
Veduto
il
R
.
decreto
-
legge
23
settembre
1938-XVI
,
n
.
1630;
Veduto
il
testo
unico
delle
leggi
e
delle
norme
giuridiche
sull
'
istruzione
elementare
approvato
con
R
.
decreto
5
febbraio
1928-VI
,
n
.
877
,
e
successive
modificazioni
;
Veduto
il
R
.
decreto
-
legge
3
giugno
1938-XVI
,
n
.
928;
Veduto
l
'
art
.
3
,
n
.
2
,
della
legge
31
gennaio
1926-IV
,
n.100;
Riconosciuta
la
necessità
urgente
ed
assoluta
di
dettare
ulteriori
disposizioni
per
la
difesa
della
razza
nella
Scuola
italiana
e
di
coordinarle
in
unico
testo
con
quelle
sinora
emanate
;
Udito
il
Consiglio
dei
Ministri
;
Sulla
proposta
del
Duce
,
Primo
Ministro
Segretario
di
Stato
e
Ministro
per
l
'
interno
e
del
Nostro
Ministro
Segretario
di
Stato
per
l
'
educazione
nazionale
,
di
concerto
con
quello
per
le
finanze
;
Abbiamo
decretato
e
decretiamo
:
Art
.
1
.
A
qualsiasi
ufficio
od
impiego
nelle
scuole
di
ogni
ordine
e
grado
,
pubbliche
e
private
,
frequentate
da
alunni
italiani
,
non
possono
essere
ammesse
persone
di
razza
ebraica
,
anche
se
siano
state
comprese
in
graduatorie
di
concorsi
anteriormente
al
presente
decreto
;
nè
possono
essere
ammesse
al
conseguimento
dell
'
abilitazione
alla
libera
docenza
.
Agli
uffici
ed
impieghi
anzidetti
sono
equiparati
quelli
relativi
agli
istituti
di
educazione
,
pubblici
e
privati
,
per
alunni
italiani
,
e
quelli
per
la
vigilanza
nelle
scuole
elementari
.
Art
.
2
.
Delle
Accademie
,
degli
Istituti
e
delle
Associazioni
di
scienze
,
lettere
ed
arti
non
possono
far
parte
persone
di
razza
ebraica
.
Art
.
3
.
Alle
scuole
di
ogni
ordine
e
grado
,
pubbliche
o
private
,
frequentate
da
alunni
italiani
,
non
possono
essere
iscritti
alunni
di
razza
ebraica
.
è
tuttavia
consentita
l
'
iscrizione
degli
alunni
di
razza
ebraica
che
professino
la
religione
cattolica
nelle
scuole
elementari
e
medie
dipendenti
dalle
Autorità
ecclesiastiche
.
Art
.
4
.
Nelle
scuole
d
'
istruzione
media
frequentate
da
alunni
italiani
è
vietata
l
adozione
di
libri
di
testo
di
autori
di
razza
ebraica
.
Il
divieto
si
estende
anche
ai
libri
che
siano
frutto
della
collaborazione
di
più
autori
,
uno
dei
quali
sia
di
razza
ebraica
;
nonché
alle
opere
che
siano
commentate
o
rivedute
da
persone
di
razza
ebraica
.
Art
.
5
.
Per
i
fanciulli
di
razza
ebraica
sono
istituite
,
a
spese
dello
Stato
,
speciali
sezioni
di
scuola
elementare
nelle
località
in
cui
il
numero
di
essi
non
sia
inferiore
a
dieci
.
Le
comunità
israelitiche
possono
aprire
,
con
l
'
autorizzazione
del
Ministro
per
l
'
educazione
nazionale
,
scuole
elementari
con
effetti
legali
per
fanciulli
di
razza
ebraica
,
e
mantenere
quelle
all
'
uopo
esistenti
.
Per
gli
scrutini
e
per
gli
esami
nelle
dette
scuole
il
Regio
provveditore
agli
studi
nomina
un
commissario
.
Nelle
scuole
elementari
di
cui
al
presente
articolo
il
personale
potrà
essere
di
razza
ebraica
;
i
programmi
di
studio
saranno
quelli
stessi
stabiliti
per
le
scuole
frequentate
da
alunni
italiani
,
eccettuato
l
'
insegnamento
della
religione
cattolica
;
i
libri
di
testo
saranno
quelli
di
Stato
,
con
opportuni
adattamenti
,
approvati
dal
Ministro
per
l
'
educazione
nazionale
,
dovendo
la
spesa
per
tali
adattamenti
gravare
sulle
comunità
israelitiche
.
Art
.
6
.
Scuole
d
'
istruzione
media
per
alunni
di
razza
ebraica
potranno
essere
istituiti
dalle
comunità
israelitiche
o
da
persone
di
razza
ebraica
.
Dovranno
all
'
uopo
osservarsi
le
disposizioni
relative
all
'
istituzione
di
scuole
private
.
Alle
scuole
stesse
potrà
essere
concesso
il
beneficio
del
valore
legale
degli
studi
e
degli
esami
à
sensi
dell'art.15
del
R
.
decreto
-
legge
3
giugno
1938-XVI
n.928
,
quando
abbiano
ottenuto
di
far
parte
in
qualità
di
associate
dell
'
Ente
nazionale
per
l
'
insegnamento
medio
:
in
tal
caso
i
programmi
di
studio
saranno
quelli
stessi
stabiliti
per
le
scuole
corrispondenti
frequentate
da
alunni
italiani
,
eccettuati
gli
insegnamenti
della
religione
e
della
cultura
militare
.
Nelle
scuole
d
'
istruzione
media
di
cui
al
presente
articolo
il
personale
potrà
essere
di
razza
ebraica
e
potranno
essere
adottati
libri
di
testo
di
autori
di
razza
ebraica
.
Art
.
7
.
Per
le
persone
di
razza
ebraica
l
'
abilitazione
a
impartire
l
'
insegnamento
medio
riguarda
esclusivamente
gli
alunni
di
razza
ebraica
.
Art
.
8
.
Dalla
data
di
entrata
in
vigore
del
presente
decreto
il
personale
di
razza
ebraica
appartenente
ai
ruoli
per
gli
uffici
e
gli
impieghi
di
cui
al
precedente
art.1
è
dispensato
dal
servizio
,
ed
ammesso
a
far
valere
i
titoli
per
l
'
eventuale
trattamento
di
quiescenza
ai
sensi
delle
disposizioni
generali
per
la
difesa
della
razza
italiana
.
Al
personale
stesso
per
il
periodo
di
sospensione
di
cui
all'art.3
del
R
.
decreto
legge
5
settembre
1938-XVI
,
n
.
1390
,
vengono
integralmente
corrisposti
i
normali
emolumenti
spettanti
ai
funzionari
in
servizio
.
Dalla
data
di
entrata
in
vigore
del
presente
decreto
i
liberi
docenti
di
razza
ebraica
decadono
dall
'
abilitazione
.
Art
.
9
.
Per
l
'
insegnamento
nelle
scuole
elementari
e
medie
per
alunni
di
razza
ebraica
saranno
preferiti
gl
'
insegnanti
dispensati
dal
servizio
a
cui
dal
Ministro
per
l
'
interno
siano
state
riconosciute
le
benemerenze
individuali
o
familiari
previste
dalle
disposizioni
generali
per
la
difesa
della
razza
italiana
.
Ai
fini
del
presente
articolo
sono
equiparati
al
personale
insegnante
i
presidi
e
direttori
delle
scuole
pubbliche
e
private
e
il
personale
di
vigilanza
nelle
scuole
elementari
.
Art
.
10
.
In
deroga
al
precedente
art
.
3
possono
essere
ammessi
in
via
transitoria
a
proseguire
gli
studi
universitari
studenti
di
razza
ebraica
già
iscritti
nei
passati
anni
accademici
a
Università
o
Istituti
superiori
del
Regno
.
La
stessa
disposizione
si
applica
agli
studenti
iscritti
ai
corsi
superiori
e
di
perfezionamento
per
i
diplomati
nei
Regi
conservatori
,
alle
Regie
accademie
di
belle
arti
e
ai
corsi
della
Regia
accademia
d
'
arte
drammatica
in
Roma
,
per
accedere
ai
quali
occorre
un
titolo
di
studi
medi
di
secondo
grado
o
un
titolo
equipollente
.
Il
presente
articolo
si
applica
anche
agli
studenti
stranieri
,
in
deroga
alle
disposizioni
che
vietano
agli
ebrei
stranieri
di
fissare
stabile
dimora
nel
Regno
.
Art
.
11
.
Per
l
'
anno
accademico
1938-39
la
decorrenza
dei
trasferimenti
e
delle
nuove
nomine
dei
professori
universitari
potrà
essere
protratta
al
1í
gennaio
1939-XVII
.
Le
modificazioni
agli
statuti
delle
Università
e
degl
'
Istituti
d
'
istruzione
superiore
avranno
vigore
per
l
'
anno
accademico
1938-39
,
anche
se
disposte
con
Regi
decreti
di
data
posteriore
al
29
ottobre
1938-XVII
.
Art
.
12
.
I
Regi
decreti
-
legge
5
settembre
1938-XVI
,
n
.
1390
,
e
23
settembre
1938-XVI
,
n.1630
,
sono
abrogati
.
è
altresì
abrogata
la
disposizione
di
cui
all'art.3
del
Regio
decreto
legge
20
giugno
1935-XIII
,
n.1071
.
Art
.
13
.
Il
presente
decreto
sarà
presentato
al
Parlamento
per
la
conversione
in
legge
.
Il
Ministro
proponente
è
autorizzato
alla
presentazione
del
relativo
disegno
di
legge
.
Ordiniamo
che
il
presente
decreto
,
munito
del
sigillo
dello
Stato
,
sia
inserto
nella
raccolta
ufficiale
delle
leggi
e
dei
decreti
del
Regno
d
'
Italia
,
mandando
a
chiunque
spetti
di
osservarlo
e
di
farlo
osservare
.
Dato
a
San
Rossore
,
addì
15
novembre
1938
-
XVII
Vittorio
Emanuele
Mussolini
,
Bottai
,
Di
Revel
Visto
il
Guardasigilli
:
Solmi
StampaPeriodica ,
Carissimi
,
dovevo
proprio
raccontarvi
una
volta
o
l
'
altra
,
quel
che
ho
visto
e
quel
che
ho
capito
,
in
questi
primi
sei
mesi
milanesi
,
soprattutto
sentivo
e
sento
il
bisogno
di
esporvi
,
di
questo
bilancio
,
la
parte
negativa
,
la
più
grossa
,
di
dirvi
insomma
quel
che
non
ho
capito
,
o
addirittura
non
visto
.
Voi
sapete
bene
che
cosa
ero
e
che
cosa
facevo
,
prima
di
venire
quassù
.
Sono
nato
e
sono
vissuto
in
provincia
,
per
trent
'
anni
,
e
proprio
nel
momento
in
cui
un
uomo
sui
trent
'
anni
si
trova
di
fronte
alla
solita
inevitabile
crisi
(
di
crescenza
,
speriamo
)
ho
fatto
il
salto
,
sono
venuto
a
lavorare
quassù
.
Posso
dire
di
conoscere
e
di
aver
capito
la
mia
provincia
,
la
Maremma
.
Si
è
già
detto
che
la
provincia
,
come
campo
d
'
indagine
,
offre
notevoli
vantaggi
rispetto
alla
città
:
è
un
campo
d
'
osservazione
assai
più
semplice
e
ristretto
.
Le
sue
linee
strutturali
sono
in
genere
nette
e
schematiche
,
mentre
nella
città
esse
sono
,
innanzi
tutto
,
più
numerose
,
e
poi
intrecciate
,
accavallate
,
coincidenti
a
volte
.
Anche
per
un
uomo
sostanzialmente
comune
,
quale
io
sono
,
non
è
stato
difficile
,
nella
provincia
in
cui
sono
nato
e
cresciuto
,
capire
abbastanza
chiaramente
,
pur
senza
la
scelta
d
'
un
partito
politico
,
come
stanno
le
cose
,
in
Italia
,
chi
ha
ragione
e
chi
ha
torto
.
Nel
caso
mio
hanno
ragione
i
badilanti
,
e
hanno
ragione
i
minatori
,
hanno
torto
i
latifondisti
,
e
ha
torto
la
Montecatini
.
Basta
muoversi
appena
un
poco
,
vedere
come
questa
gente
vive
(
e
muore
)
e
la
scelta
viene
da
sé
.
Sui
libri
si
troverà
,
semmai
,
la
conferma
di
quel
che
si
è
visto
e
di
quel
che
si
è
deciso
,
e
si
stabilirà
,
da
allora
in
avanti
,
di
servirsi
dei
libri
per
aiutare
chi
ha
ragione
ad
averla
nei
fatti
,
oltre
che
nei
diritti
.
Non
c
'
è
dubbio
.
Perciò
,
quando
mi
proposero
di
venire
quassù
,
io
mi
chiesi
se
era
giusto
lasciare
i
badilanti
e
i
minatori
,
della
cui
vicinanza
sentivo
molto
il
bisogno
e
il
significato
.
Non
solo
,
pensai
anche
che
la
lotta
,
quassù
,
si
poteva
condurre
con
mezzi
migliori
,
più
affinati
,
e
a
contatto
diretto
con
il
nemico
.
Mi
pareva
anzi
che
quassù
il
nemico
dovesse
presentarsi
più
scoperto
e
visibile
.
A
Niccioleta
la
Montecatini
non
ha
altra
faccia
se
non
quella
delle
guardie
giurate
,
povera
gente
che
cerca
di
campare
,
o
quella
del
direttore
,
un
ragazzo
della
mia
età
,
che
potrebbe
aver
fatto
con
me
il
liceo
,
o
giocato
a
pallone
.
A
Milano
invece
la
Montecatini
è
una
realtà
tangibile
,
ovvia
,
cioè
si
incontra
per
strada
,
la
Montecatini
è
quei
due
palazzoni
di
marmo
,
vetro
e
alluminio
,
dieci
,
dodici
piani
,
all
'
angolo
fra
via
Turati
e
via
della
Moscova
.
A
Milano
la
Montecatini
ha
il
cervello
,
quindi
dobbiamo
anche
noi
spostare
il
nostro
cervello
quassù
,
e
cercare
di
migliorarlo
,
di
farlo
funzionare
nella
maniera
e
nella
direzione
giusta
.
Così
ragionavo
,
e
per
questo
mi
decisi
.
Mi
avevano
detto
che
avrei
trovato
una
città
dura
,
chiusa
,
serrata
.
Milano
è
forse
l
'
unica
città
d
'
Italia
in
cui
i
portoni
sulle
strade
si
chiudono
contemporaneamente
e
inderogabilmente
alle
dieci
di
sera
.
E
si
chiudono
sul
serio
,
di
dentro
e
di
fuori
,
sì
che
senza
chiave
non
solo
non
si
entra
,
ma
nemmeno
si
esce
di
casa
.
Milano
è
la
città
d
'
Italia
in
cui
forse
è
più
difficile
che
sorgano
rapporti
umani
costanti
e
profondi
:
provate
a
viverci
qualche
tempo
(
diciamo
come
me
,
sei
mesi
)
e
vedrete
quante
poche
volte
una
famiglia
di
conoscenti
vi
inviterà
a
cena
,
o
a
prendere
il
caffè
.
Anche
visivamente
:
Milano
è
una
sorta
di
labirinto
di
griglie
scure
,
fra
le
quali
scorrono
lunghe
,
eguali
,
monotone
le
strade
.
Le
strade
che
quassù
,
a
differenza
di
tutte
quelle
d
'
Italia
,
non
sono
luoghi
,
ma
strumenti
,
rotaie
su
cui
si
viaggia
a
velocità
notevole
,
è
vero
,
ma
uniforme
.
Ed
è
questa
la
ragione
per
cui
il
traffico
,
molto
più
denso
rispetto
a
quello
romano
,
finisce
col
non
avvertirsi
,
e
col
dare
la
sensazione
della
solitudine
e
del
silenzio
.
Ma
questo
è
colore
.
Altre
cose
,
e
più
importanti
,
si
vedono
assai
presto
.
L
'
assenza
,
palese
,
degli
operai
.
Gli
operai
non
ci
sono
,
almeno
in
quella
Milano
che
è
compresa
nel
raggio
del
movimento
mio
e
dei
miei
colleghi
,
non
entrano
mai
nel
nostro
rapporto
di
lavoro
.
Gli
ultimi
operai
che
ho
visto
,
nel
giugno
scorso
,
erano
quelli
di
Sesto
.
E
inatti
sono
a
Sesto
,
a
Monza
,
alla
Bovisa
,
a
Niguarda
,
non
qui
.
Qui
ci
sono
i
ragionieri
.
Guardate
bene
,
non
è
il
solito
termine
folcloristico
di
comodo
.
Voglio
dire
proprio
i
ragionieri
,
quelli
col
diploma
:
come
si
spiegherebbe
,
altrimenti
,
proprio
a
Milano
,
una
istituzione
come
l
'
Università
Bocconi
?
Provatevi
a
pensarla
a
Roma
:
a
Roma
,
semmai
,
sarebbe
pensabile
un
'
ipotetica
università
per
soli
funzionari
ministeriali
.
E
sono
questi
,
i
ragionieri
,
che
fanno
il
tono
umano
della
città
,
quelli
che
incontrate
in
tram
,
per
strada
,
la
mattina
alle
nove
,
che
camminano
allineati
e
coperti
,
con
la
loro
divisa
,
il
completo
grigio
,
la
camicia
bianca
,
la
cravatta
azzurra
.
Sono
quelli
che
,
borsa
di
pelle
sotto
il
braccio
,
la
mattina
,
accanto
a
voi
nel
bar
,
si
«
tirano
su
»
col
bicchierino
di
grappa
,
la
faccia
scavata
sotto
le
occhiaie
da
un
solco
diritto
che
raggiunge
gli
angoli
della
bocca
(
è
la
«
faccia
milanese
»
,
dicono
)
.
Ma
nessuno
di
loro
,
fra
l
'
altro
,
è
milanese
.
Anche
nel
parlare
voi
lo
avvertite
,
in
quell
'
anonimo
birignao
assai
diverso
dall
'
asciutto
e
saporito
dialetto
che
raramente
,
e
con
gioia
,
accade
di
sentire
.
Non
sono
milanesi
.
Direi
che
almeno
due
terzi
di
questo
milione
e
mezzo
di
milanesi
non
sono
nati
qua
,
sono
venuti
dalla
provincia
,
vicina
e
lontana
(
i
«
napoletani
a
Milano
»
sono
ormai
un
luogo
comune
)
e
sono
venuti
perché
a
Milano
«
gh
'
è
el
pan
,
gh
'
è
la
grana
»
,
i
soldi
,
l
'
industria
.
Loro
l
'
industria
non
la
vedranno
mai
,
faranno
parte
della
Milano
interna
(
ripeto
,
l
'
unica
che
io
e
i
miei
amici
possiamo
toccare
con
mano
,
ogni
giorno
)
,
della
Milano
che
non
produce
nulla
,
ma
vende
e
baratta
.
Questi
milanesi
di
accatto
,
che
sono
la
maggioranza
,
sono
venuti
a
costituire
la
burocrazia
del
commercio
,
una
burocrazia
assai
poco
nota
e
visibile
,
ma
molto
peggiore
di
quella
ministeriale
,
romana
,
perché
più
di
questa
superciliosa
e
arrogante
:
non
solo
,
ma
anche
superba
del
suo
mito
.
Quando
a
Roma
la
gente
,
di
tipi
simili
,
dice
«
fanatico
»
,
inavvertitamente
mette
in
chiaro
il
fondo
mentale
monologico
,
religioso
,
che
sostiene
il
loro
costume
.
Come
non
ho
visto
gli
operai
(
e
i
preti
.
Questo
anche
,
già
detto
fra
parentesi
,
vorrei
che
gli
amici
milanesi
mi
chiarissero
:
perché
a
Milano
non
si
vede
mai
un
prete
in
giro
?
Che
il
rito
ambrosiano
sia
qualcosa
di
più
di
una
particolare
liturgia
?
)
,
come
,
dicevo
,
non
ho
visto
gli
operai
,
così
non
ho
ancora
visto
gli
intellettuali
.
Li
ho
visti
,
s
'
intende
,
e
li
vedo
ogni
mattina
,
come
singoli
,
ma
mai
come
gruppo
.
Non
riescono
a
formarlo
,
e
ad
influire
come
tale
sulla
vita
cittadina
.
L
'
unico
gruppo
in
qualche
modo
compatto
è
quello
che
forma
la
desolata
«
scapigliatura
»
di
via
Brera
.
Gli
altri
fanno
i
funzionari
d
'
industria
,
chiaramente
.
Basta
vedere
come
funziona
una
casa
editrice
:
c
'
è
una
redazione
di
funzionari
,
che
organizza
:
alla
produzione
lavorano
gli
altri
,
quelli
di
via
Brera
,
che
leggono
,
recensiscono
,
traducono
,
reclutati
volta
a
volta
,
come
braccianti
per
le
«
faccende
»
stagionali
.
Vi
ho
detto
che
persino
quel
che
mi
pareva
chiaro
,
la
posizione
del
nemico
nei
palazzoni
di
dieci
piani
,
fra
via
Turati
e
via
della
Moscova
,
a
Milano
non
mi
è
parso
più
tanto
chiaro
.
Perché
qui
le
acque
si
mischiano
e
si
confondono
.
L
'
intellettuale
diventa
un
pezzo
dell
'
apparato
burocratico
commerciale
,
diventa
un
ragioniere
.
Fate
il
conto
di
quanti
scrittori
,
giornalisti
,
pittori
,
fotografi
,
lavorano
per
la
pubblicità
di
qualcosa
.
Quella
pubblicità
,
guardate
bene
,
che
insegna
che
si
ha
successo
nella
vita
,
e
negli
affari
,
usando
quel
lucido
da
scarpe
e
quel
rasoio
elettrico
,
comparendo
bene
,
presentandosi
bene
.
Appunto
perché
questa
non
è
la
Milano
che
produce
,
ma
quella
che
vende
e
baratta
,
e
in
questa
società
si
vende
e
si
baratta
proprio
presentandosi
col
volto
ben
rasato
,
le
scarpe
lucide
ecc.
Per
questo
una
delle
preoccupazioni
maggiori
degli
intellettuali
,
di
questi
intellettuali
,
è
proprio
quella
di
ben
comparire
,
di
non
fare
brutte
figure
.
Per
questo
non
si
sbilanciano
,
non
danno
giudizi
definitivi
,
non
si
aprono
,
non
dicono
sciocchezze
(
come
tutti
amiamo
fare
,
perché
è
la
maniera
,
o
almeno
una
maniera
,
per
dire
anche
qualche
cosa
seria
)
.
Per
questo
,
qui
fra
noi
,
è
così
frequente
la
figura
dell
'
autorevole
.
E
ci
sono
anche
altre
cose
,
peggiori
e
più
tristi
,
di
cui
ora
non
voglio
parlare
,
e
di
queste
cose
tristi
c
'
è
persino
la
teorizzazione
.
La
lotta
per
la
vita
,
dicono
,
il
rapporto
delle
forze
,
resistenza
come
una
grande
scacchiera
su
cui
tutti
ci
muoviamo
,
e
su
cui
è
necessario
«
mangiare
il
pezzo
»
che
sta
sulla
casella
che
piace
a
noi
.
Non
li
credo
in
malafede
,
tutt
'
altro
.
E
nemmeno
li
credo
fatui
e
privi
di
problemi
.
Anzi
!
In
questi
sei
mesi
la
parola
problema
è
quella
che
più
di
tutte
ho
sentita
dire
.
Mi
è
capitato
,
dopo
ore
di
discussione
collettiva
,
di
sentire
un
collega
intervenire
osservando
:
«
lo
penso
che
il
problema
sia
un
altro
»
.
Esiste
insomma
persino
il
problema
del
problema
.
Cioè
esiste
,
soprattutto
,
una
notevole
confusione
.
E
questo
è
male
,
perché
,
al
l
'
opposto
,
chi
dirige
la
burocrazia
commerciale
milanese
,
chi
dirige
ragionieri
e
funzionari
(
anche
gli
intellettuali
,
perciò
)
sa
invece
assai
bene
quello
che
vuole
;
non
solo
,
ma
va
a
nozze
quando
vede
la
confusione
che
c
'
è
dall
'
altra
parte
.
...
E
questo
è
male
.
È
male
perché
,
se
le
cose
continuano
così
,
là
dalle
mie
parti
i
badilanti
continueranno
a
vivere
di
pane
e
cipolla
,
i
minatori
a
morire
di
silicosi
odi
grisou
.
Ora
,
mi
pare
chiaro
che
non
può
continuare
a
essere
questa
la
nostra
funzione
.
In
termini
politici
(
e
scusate
se
li
adopero
male
,
ma
questo
non
è
il
mio
linguaggio
)
si
direbbe
:
il
capitale
milanese
agisce
in
senso
riformistico
e
provoca
il
distacco
,
non
di
rado
l
'
ostilità
aperta
fra
la
piccola
borghesia
e
la
classe
operaia
.
Compito
degli
intellettuali
moderni
,
e
veri
,
dovrebbe
essere
quello
di
tentare
la
composizione
di
queste
forze
ingiustamente
divise
.
Insomma
i
ragionieri
non
dovrebbero
più
pensare
che
i
tranvieri
o
gli
operai
di
Sesto
hanno
torto
,
quando
scioperano
.
Non
dovrebbero
più
rispondere
«
mica
male
»
quando
chiedete
loro
come
va
la
vita
.
E
toccherebbe
a
noi
far
capire
a
questa
gente
che
ha
torto
,
e
che
han
ragione
gli
altri
e
che
la
vita
va
proprio
male
.
Ma
se
noi
continuiamo
a
vivere
nel
centro
,
se
continuiamo
a
vivere
accanto
ai
ragionieri
,
come
i
ragionieri
,
mentre
gli
operai
sono
alla
Bovisa
,
o
a
Niguarda
,
come
potremo
fare
il
nostro
lavoro
?
lo
vorrei
proprio
che
voi
,
amici
romani
,
mi
spiegaste
,
più
semplicemente
che
potete
,
come
si
deve
fare
.
Vorrei
che
me
lo
spiegassero
gli
amici
milanesi
,
soprattutto
.
E
che
non
mi
rispondessero
,
per
carità
,
cominciando
a
dire
che
«
il
problema
è
un
altro
»
.
No
,
il
problema
è
proprio
questo
.
Ogni
volta
che
torno
a
Niccioleta
mi
convinco
che
è
proprio
così
.
StampaQuotidiana ,
Perché
Lamberto
Dini
non
dovrebbe
mettersi
a
disposizione
di
un
maggioranza
diretta
dal
Polo
?
È
vero
che
in
altri
paesi
sarebbe
impensabile
-
difficile
immaginare
Chirac
,
quand
'
era
premier
,
disposto
a
governare
con
i
socialisti
o
Major
per
i
laburisti
di
Tony
Blair
o
Kohl
per
la
Spd
,
e
viceversa
-
ma
l
'
eccezionalità
italiana
è
dura
a
morire
.
E
poi
Lamberto
Dini
,
entrato
in
politica
come
ministro
del
Bilancio
del
primo
governo
di
centrodestra
,
subito
dopo
ha
accettato
di
presiedere
quello
di
centrosinistra
:
il
trasferimento
è
già
avvenuto
una
volta
,
e
il
percorso
inverso
non
costituisce
novità
.
Eugenio
Scalfari
,
con
comprensibile
irritazione
,
evoca
la
malattia
nazionale
,
il
trasformismo
.
Eppure
a
pensarci
bene
in
Dini
c
'
è
più
coerenza
che
nelle
maggioranze
che
ora
lo
sostengono
ora
lo
avversano
.
Egli
esprime
linearmente
quel
che
esse
hanno
in
comune
:
sia
il
Polo
sia
l
'
Ulivo
sono
convinti
che
in
tema
di
scelte
politico
-
economiche
la
strada
è
unica
e
obbligata
:
smantellamento
dell
'
intervento
statale
nella
proprietà
della
produzione
e
dei
servizi
,
privatizzazione
crescente
di
scuole
e
sanità
,
risanamento
prioritario
del
bilancio
attraverso
tagli
della
spesa
sociale
,
appoggio
all
'
impresa
attraverso
la
flessibilizzazione
dei
salari
.
E
-
piaccia
o
non
piaccia
sentirlo
a
D
'
Alema
-
la
ricetta
raccomandata
dal
Fini
e
dall
'
Ocde
.
Da
quando
anche
il
Pds
si
è
convertito
a
questa
teoria
,
i
premier
si
sono
presentati
essenzialmente
come
gestori
del
passaggio
dell
'
Italia
al
liberismo
.
Tale
è
stato
Giuliano
Amato
,
tali
i
due
tecnici
per
eccellenza
forniti
dalla
Banca
d
'
Italia
,
Carlo
Azeglio
Ciampi
e
Lamberto
Dini
.
Il
quale
non
ha
mai
finto
di
essere
altro
,
e
quando
,
caduto
Berlusconi
per
defezione
della
Lega
,
lo
schieramento
di
centro
ha
avuto
un
'
esile
maggioranza
e
gli
ha
offerto
la
presidenza
del
Consiglio
,
accettandola
ha
dovuto
soltanto
continuare
a
mettere
in
atto
se
stesso
.
Il
problema
dunque
non
è
suo
,
e
forse
per
questo
non
ha
aperto
bocca
fino
a
ieri
,
lasciando
inevaso
l
'
appello
di
Salvi
e
Veltroni
:
no
,
non
ci
possiamo
credere
,
e
pensare
ai
sacrifici
che
abbiamo
fatto
,
anzi
fatto
fare
,
per
lui
.
(
Dunque
erano
sacrifici
?
Interessante
)
.
E
poi
di
'
almeno
che
non
sei
un
uomo
per
tutte
le
stagioni
,
un
posto
per
te
da
noi
ci
sarà
sempre
.
Ma
che
deve
dire
?
Sono
gli
altri
che
convergono
sulla
stagione
sua
,
adottano
il
suo
stesso
barometro
.
Il
problema
è
di
Prodi
e
del
Pds
.
Quando
abbiamo
scritto
,
ancora
con
qualche
sorpresa
:
ma
il
congresso
tematico
del
Pds
non
ha
nulla
da
dire
sui
rapporti
di
proprietà
e
di
produzione
,
sullo
Stato
sociale
o
sul
lavoro
,
Giuseppe
Vacca
ha
risposto
su
questo
stesso
giornale
:
infatti
per
noi
quel
che
conta
,
anzi
,
quel
che
conta
per
l
'
Italia
,
è
la
questione
istituzionale
.
Cioè
la
forma
dei
poteri
,
unificati
o
separati
,
centralizzati
o
di
tipo
federale
,
per
realizzare
la
stessa
politica
.
E
va
bene
.
Ci
sia
permesso
però
di
trovare
risibili
coloro
che
a
ogni
piè
sospinto
intonano
come
sola
garanzia
di
limpidezza
la
solfa
della
bipolarità
fra
due
schieramenti
del
tutto
distinti
e
personificati
da
uomini
del
tutto
diversi
.
In
nome
di
questa
trasparenza
è
stato
votato
a
furor
di
popolo
il
passaggio
tramite
il
sistema
maggioritario
da
una
prima
repubblica
dove
tutti
i
gatti
sarebbero
bigi
di
consociativismo
,
a
una
seconda
dove
i
gatti
sarebbero
stati
bianchi
o
neri
,
in
modo
che
il
cittadino
avrebbe
scelto
fra
due
idee
di
società
,
di
diritti
,
di
doveri
,
ogni
cinque
anni
punendo
o
premiando
la
linea
e
gli
uomini
che
avevano
governato
.
Questa
sarebbe
stata
la
modernità
vera
,
l
'
arrivo
dell
'
Italia
nella
democrazia
compiuta
e
la
personalizzazione
della
politica
contro
la
torva
burocrazia
dei
partiti
.
In
capo
a
tre
anni
eccoci
arrivati
a
uno
strano
porto
:
ci
sia
una
maggioranza
o
un
'
altra
l
'
uomo
sarà
sempre
lo
stesso
.
Piace
a
destra
,
piace
al
centro
,
piace
a
sinistra
,
Bertinotti
escluso
.
Destra
o
sinistra
hanno
votato
interiormente
per
lui
anche
quando
sembravano
votare
contro
:
era
,
e
con
la
finanziaria
,
ci
raccomandiamo
rigorosa
,
sarà
un
modo
affettuoso
per
dire
«
Dai
vieni
con
me
che
ti
troverai
meglio
»
.
Vale
il
detto
caro
a
Deng
Xiao
Ping
:
che
importa
se
un
gatto
è
bianco
o
nero
?
Se
acchiappa
i
topi
è
un
buon
gatto
.
Per
topi
,
si
intende
concordemente
meno
Stato
più
mercato
e
la
moneta
al
primo
posto
;
a
questo
fine
Dini
è
un
ottimo
gatto
.
Stento
a
capire
che
cosa
significhi
un
indulto
o
un
'
amnistia
per
i
reati
di
corruzione
e
concussione
,
quando
non
siano
stati
prima
accertati
.
Hanno
ragione
Di
Lello
e
l
'
ironico
Spazzali
(
che
«
Repubblica
»
chiama
«
l
'
avvocato
di
Cusani
»
)
:
come
le
pene
,
le
amnistie
o
gli
indulti
dovrebbero
venire
dopo
,
a
responsabilità
accertata
.
Se
no
che
cosa
si
condona
o
cancella
?
Magari
una
colpa
non
commessa
o
cinque
non
ammesse
?
Oppure
in
Italia
non
occorre
fare
processi
,
bastano
clamorosi
avvisi
di
garanzia
o
un
rinvio
a
giudizio
,
e
caso
mai
il
carcere
preventivo
-
arrivino
dove
arrivino
-
a
mo
'
di
ammonimento
per
tutti
e
poi
si
chiude
?
Questa
è
una
scelta
politica
,
non
giudiziaria
.
Chi
l
'
ha
fatta
?
E
perché
?
Per
accelerare
un
cambiamento
di
ceto
politico
,
per
togliere
il
pizzo
alle
imprese
,
per
far
passare
il
sistema
maggioritario
,
perché
il
fenomeno
è
ormai
debellato
,
perché
un
uso
normale
della
giustizia
costa
troppo
?
Insomma
per
azione
o
omissione
?
Se
fossi
un
parlamentare
,
non
avrei
pace
finché
quella
augusta
assemblea
non
si
e
mi
chiarisse
le
idee
.
Se
fossi
un
sociologo
,
mi
chiederei
invece
perché
il
sistema
della
mazzetta
continua
.
Non
mi
contenta
la
risposta
di
Di
Lello
,
ma
non
solo
lui
:
sono
sempre
gli
stessi
,
figli
,
nipoti
o
bisnipoti
riciclati
di
Craxi
.
Diamine
,
neanche
il
conte
Dracula
sarebbe
riuscito
a
fabbricare
da
solo
tanti
vampiretti
.
Forse
il
craxismo
è
dilagato
come
Berlusconi
ha
vinto
:
rispondeva
o
corrispondeva
a
qualcosa
per
cui
non
avevamo
o
abbiamo
anticorpi
.
Come
altrove
il
senso
comune
è
nazionalista
,
c
'
è
da
noi
un
senso
comune
che
premia
l
'
illegalità
privata
,
non
politica
,
non
eversiva
,
non
esposta
.
Quella
è
la
sola
trasgressione
imperdonabile
.
Per
il
resto
ci
si
arrangia
.
Parli
per
tutti
la
straordinaria
commedia
sull
'
evasione
,
c
'
è
,
non
c
'
è
,
se
c
'
è
non
ci
sono
i
responsabili
perché
la
grande
impresa
non
evade
per
definizione
,
se
la
piccola
impresa
evade
è
per
difendersi
,
se
evade
il
Sud
è
perché
non
ha
né
uno
stato
né
un
lavoro
.
Mariano
D
'
Antonio
e
Gesualdo
Bufalino
lo
affermano
in
nome
del
sud
come
se
fossero
i
disoccupati
a
eludere
l
'
Iva
.
Sembra
che
non
esista
in
Italia
un
patto
elementare
di
diritti
e
doveri
,
rispetto
al
quale
misurare
anche
l
'
iniquità
sociale
.
Siamo
furbi
e
facciamo
fessi
o
ci
lasciamo
far
fessi
,
tanto
tutti
lo
fanno
.
Poi
di
colpo
ci
indigniamo
:
cielo
,
la
corruzione
.
Dovremmo
chiederci
perché
invece
di
essere
una
comunità
civile
e
conflittiva
,
siamo
un
colabrodo
incivile
e
unanimista
.
Mi
piacerebbe
un
giornale
capace
di
titolare
il
17
agosto
:
oggi
non
ho
niente
da
dirvi
,
salvo
quel
che
è
successo
in
Bosnia
,
a
Belgrado
e
a
Zagabria
nelle
ultime
quarant
'
otto
ore
e
quanto
serve
per
capirlo
.
Non
vi
riservirò
il
piccolo
Aladdin
o
la
piccola
Leyla
.
Perciò
oggi
quattro
pagine
,
lire
cinquecento
.
Quando
ci
sarà
qualcosa
di
consistente
da
mettervi
sotto
i
denti
,
su
con
le
pagine
e
su
con
il
prezzo
.
Anche
molto
.
Perché
no
?
Tecnicamente
difficile
?
Ma
non
siamo
nell
'
era
della
qualità
-
flessibilità
totale
?
Sarebbe
un
dimagrimento
salutare
,
un
servizio
da
rendervi
.
Direi
quasi
da
offrire
a
pagamento
,
per
la
salute
mentale
del
lettore
,
e
non
solo
ad
agosto
.
Una
testata
che
vi
risparmia
una
su
due
delle
esternazioni
di
Bossi
e
D
'
Alema
,
Pannella
e
Ripa
di
Meana
,
Buttiglione
e
Fini
,
Salomone
e
Di
Pietro
;
le
riassumiamo
tutte
il
martedì
e
il
sabato
,
non
succede
niente
,
come
quando
si
perde
una
puntata
di
«
Beatiful
»
.
Una
testata
che
non
parla
di
stupri
in
mancanza
d
'
altro
,
non
scopre
d
'
inverno
che
la
famiglia
è
la
cellula
intoccabile
della
società
e
d
'
estate
che
in
famiglia
si
consumano
gli
orrori
.
E
non
riempie
le
pagine
per
dire
tutto
di
seguito
che
«
i
giovani
»
sono
svampiti
e
consumisti
,
anzi
saggi
e
adulti
,
anzi
paurosi
ed
egoisti
,
anzi
disponibili
e
solidali
.
Cadrebbero
i
tormentoni
stagionali
e
consueti
(
il
pieno
delle
vacanze
,
il
vuoto
delle
città
,
la
solitudine
dei
vecchi
)
e
quelli
d
'
annata
(
nel
1995
:
primato
dei
quarti
posteriori
femminili
ed
esordio
del
pene
in
copertina
)
.
Non
sapremo
nulla
del
sindaco
di
Capri
,
né
di
quello
di
Alassio
,
né
se
sia
colpa
del
Comune
,
dello
Stato
,
del
turista
o
della
questione
meridionale
la
condizione
di
questa
o
quella
spiaggia
calabrese
.
Ma
perché
dovremo
saperlo
?
Anzi
,
pagare
per
saperlo
?
Forse
ci
resterebbe
qualche
minuto
per
pensare
a
quel
che
abbiamo
letto
in
prima
pagina
,
invece
che
perderci
nelle
seconde
e
terze
e
quarte
e
via
di
seguito
,
dove
non
sai
più
in
quale
testata
sei
,
tanto
tutti
parlano
delle
stesse
cose
e
si
vergognano
se
non
lo
fanno
.
Non
sono
più
notizie
,
è
un
brusio
.
Nel
quale
i
giornali
rimandano
ai
giornali
,
la
tv
alla
tv
,
come
si
gonfiava
la
matassa
di
zucchero
filato
attorno
al
bastoncino
che
una
volta
si
comprava
alle
fiere
.
Poi
si
dice
che
gli
italiani
leggono
poco
i
quotidiani
.
Ma
un
quotidiano
è
una
necessità
o
non
è
.
Ormai
neppure
ci
si
avvolge
più
la
verdura
.
StampaQuotidiana ,
Rocco
Buttiglione
ha
via
via
compreso
che
Berlusconi
,
almeno
in
questa
fase
,
non
è
recuperabile
e
che
tarda
un
persuasivo
revisionismo
di
Fini
rispetto
al
fascismo
.
L
'
opposizione
del
PPI
ne
ha
tratto
vantaggio
ritrovando
un
ruolo
determinante
.
Si
apre
anche
per
questo
,
oltre
che
per
la
rottura
della
lega
e
la
disponibilità
del
PDS
,
la
possibilità
di
un
governo
di
tregua
per
aprire
una
fase
nuova
.
Il
passaggio
è
in
qualche
modo
obbligatorio
,
ma
il
futuro
della
democrazia
italiana
resta
tutto
da
definire
.
In
due
interviste
a
L
'
Unità
e
a
La
Stampa
,
Buttiglione
conferma
di
non
abbandonare
il
suo
progetto
di
uno
schieramento
di
centro
-
destra
,
alternativo
alla
sinistra
,
nella
speranza
di
realizzare
domani
il
recupero
non
praticabile
oggi
.
Non
è
la
prima
volta
che
Buttiglione
ribadisce
il
suo
possibilismo
in
tema
di
alleanze
.
Con
una
certa
civetteria
polemica
,
Buttiglione
ha
ricordato
a
più
riprese
di
considerarsi
un
conservatore
,
di
sentirsi
profondamente
uomo
di
destra
di
fronte
ad
un
certo
tipo
di
democrazia
,
di
diffidare
persino
della
parola
progressista
(
L
'
Informazione
,
4
dicembre
)
.
È
nel
suo
diritto
.
C
'
è
qualche
difficoltà
a
comprendere
come
questo
orientamento
sia
conciliabile
con
le
responsabilità
di
segretario
di
un
PPI
che
si
richiama
a
Sturzo
,
cha
ha
avallato
più
di
un
accordo
a
sinistra
per
le
elezioni
amministrative
e
che
concorre
,
attivamente
,
a
rovesciare
un
governo
sempre
più
di
destra
con
le
opposizioni
di
sinistra
.
Solleva
preoccupazioni
il
fatto
che
spieghi
le
motivazioni
del
suo
modo
di
pensare
ricorrendo
a
singolari
e
ambigui
riferimenti
alle
posizioni
di
J
.
De
Maistre
,
definito
grandissimo
filosofo
,
e
a
Papa
Gregorio
XVI
i
cui
scritti
andrebbero
,
secondo
lui
,
"
riletti
e
rivalutati
"
.
Una
prima
domanda
si
impone
:
perché
Buttiglione
evoca
De
Maistre
per
contrastare
gli
eccessi
plebiscitari
della
democrazia
con
l
'
aiuto
di
un
pensatore
storicamente
autoritario
e
antidemocratico
?
E
ancora
:
a
cosa
tende
la
rivalutazione
di
certe
idee
del
passato
in
aperto
contrasto
con
le
conquiste
dei
cattolici
liberali
dell'800
,
le
lezioni
di
Manzoni
e
di
Rosmini
,
le
battaglia
della
prima
Democrazia
cristiana
,
l
'
insegnamento
di
Sturzo
e
la
stessa
impostazione
ideale
e
politica
di
De
Gasperi
e
Moro
?
L
'
ostracismo
di
De
Maistre
alla
democrazia
che
corrompe
il
popolo
come
le
sue
visioni
teocratiche
dello
Stato
,
il
suo
rifiuto
del
metodo
liberale
,
i
suoi
obiettivi
autoritari
e
di
restaurazione
,
che
hanno
fatto
da
sfondo
al
sorgere
del
fascista
e
dei
totalitarismi
del
nostro
secolo
,
non
sono
accettabili
.
I
pericoli
di
una
soffocante
telecrazia
,
temuti
anche
da
Buttiglione
,
vengono
oggi
proprio
dalla
destra
italiana
.
Ma
singolare
è
anche
l
'
invito
a
rivalutare
taluni
insegnamenti
di
Papa
Gregorio
XVI
.
Sorge
qui
una
seconda
domanda
.
Per
quale
ragione
si
dovrebbero
ignorare
,
con
un
balzo
antistorico
alla
prima
metà
dell'800
,
l
'
evoluzione
della
Chiesa
in
rapporto
alla
democrazia
e
agli
insegnamenti
del
Concilio
Vaticano
II
in
materia
di
libertà
,
di
diritti
individuali
e
sociali
,
di
pluralismo
politico
.
Papa
Gregorio
XVI
fu
un
acceso
difensore
del
potere
temporale
ed
è
noto
,
sul
piano
dottrinale
,
per
la
condanna
delle
idee
ultime
del
Lamennais
fatta
,
pur
senza
nominarlo
,
nell
'
enciclica
"
Mirari
vos
"
del
1832
.
Il
Lamennais
fu
all
'
inizio
un
drastico
difensore
delle
posizioni
teocratiche
ed
antiliberali
di
De
Maistre
,
ma
tra
il
1821
e
il
1831
,
fondò
il
giornale
L
'
Avenir
e
divenne
razionalista
,
combattivo
democratico
,
sostenitore
a
suo
modo
di
una
democrazia
integralmente
cristiana
.
A
condanna
avvenuta
,
nel
1837
,
si
firma
,
democraticamente
,
Lamennais
.
Le
sue
tesi
ultime
vanno
nella
direzione
del
cattolicesimo
liberale
e
sociale
e
dei
primi
tentativi
di
democrazia
cristiana
.
Si
dovrebbe
rivalutare
,
con
Gregorio
XVI
,
anche
la
scomunica
del
Lamennais
?
Il
consiglio
resta
piuttosto
oscuro
.
Il
riferimento
è
incoerente
con
gli
stessi
suggerimenti
di
Buttiglione
che
,
nell
'
intervista
citata
,
pensa
giustamente
di
correggere
i
rischi
plebiscitari
e
autoritari
con
pesi
e
contrappesi
di
potere
della
democrazia
americana
che
riconducono
a
Tocqueville
più
che
ai
teorici
dell
'
integralismo
e
del
potere
temporale
.
La
richiesta
di
chiarimenti
non
è
quindi
un
diversivo
polemico
.
Buttiglione
sa
che
il
secondo
Lamennais
,
nonostante
il
suo
ingombrante
passato
,
ha
dovuto
distinguersi
da
De
Maistre
quando
ha
scelto
il
terreno
della
democrazia
.
E
non
si
può
scordare
che
i
cattolici
democratici
italiani
dispongono
da
Rosmini
a
Manzoni
,
da
Murri
a
Sturzo
,
da
De
Gasperi
a
Moro
,
dalla
"
Rerum
Novarum
"
al
Concilio
Vaticano
II
,
di
un
patrimonio
ideale
alternativo
al
pensiero
del
cattolicesimo
tradizionalista
e
di
destra
che
non
può
essere
archiviato
o
sperperato
con
ambigue
rivalutazioni
.
StampaQuotidiana ,
Chi
volesse
capire
in
concreto
cos
'
è
e
come
funziona
una
mentalità
corporativa
,
legga
-
per
favore
-
le
trentaquattro
cartelle
dell
'
ordinanza
con
cui
il
giudice
per
le
indagini
preliminari
di
Brescia
Anna
Di
Martino
ha
archiviato
la
scorsa
settimana
l
'
inchiesta
sul
giudice
Giangiacomo
Della
Torre
,
presidente
del
terzo
processo
d
'
appello
per
il
delitto
Calabresi
,
indagato
per
abuso
d
'
ufficio
.
La
conclusione
,
ampiamente
attesa
,
è
che
il
dottor
Della
Torre
è
un
irreprensibile
magistrato
,
che
la
sua
"
condotta
"
prima
del
processo
,
nel
corso
del
dibattimento
,
in
camera
di
consiglio
è
stata
ineccepibile
.
C
'
era
da
aspettarselo
,
visti
i
precedenti
della
dottoressa
Di
Martino
:
qualche
mese
fa
,
aveva
negato
persino
in
linea
teorica
la
possibilità
d
'
indagare
su
un
'
altra
stranezza
della
Calabresi
-
story
,
la
sentenza
suicida
redatta
da
un
altro
ottimo
giudice
,
Ferdinando
Pincioni
.
Carlo
Guarnieri
,
docente
di
sistemi
giudiziari
comparati
,
aveva
acutamente
definito
quello
della
Di
Martino
"
un
ragionamento
alla
Comma
22
"
,
in
base
al
quale
qualsiasi
ricorso
che
abbia
a
che
fare
con
una
sentenza
e
una
camera
di
consiglio
è
-
a
priori
-
"
impossibile
"
.
Quel
paradigma
viene
usato
anche
per
il
caso
Della
Torre
.
E
a
stupire
non
è
tanto
l
'
archiviazione
,
quanto
il
di
più
di
protervia
che
la
dottoressa
Di
Martino
mette
a
difesa
del
sacro
mestiere
del
giudice
.
Riassumiamo
,
partendo
dalla
coda
,
il
filo
del
ragionamento
dell
'
ordinanza
.
La
notizia
di
reato
-
le
presunte
pressioni
e
irregolarità
attuate
da
Della
Torre
per
arrivare
a
una
condanna
a
tutti
i
costi
-
"
è
risultata
infondata
"
.
I
giudici
popolari
che
hanno
testimoniato
che
le
pressioni
ci
furono
sono
"
inattendibili
"
.
Gli
esposti
di
Adriano
Sofri
e
Ovidio
Bompressi
contro
Della
Torre
sono
carta
straccia
:
i
due
non
avevano
neppure
titolo
a
presentarli
.
Il
pubblico
ministero
Fabio
Salamone
ha
fatto
malissimo
a
prenderli
in
considerazione
e
ha
fatto
ancor
peggio
a
sciogliere
i
giurati
dal
segreto
,
a
raccogliere
le
loro
testimonianze
sull
'
andamento
della
camera
di
consiglio
.
Il
reprobo
Salamone
ha
commesso
un
terzo
errore
:
ha
aperto
un
'
inchiesta
che
non
doveva
neppure
iniziare
,
non
essendoci
elementi
che
evidenzino
il
dolo
(
l
'
intenzione
soggettiva
di
arrecare
danno
o
vantaggio
a
qualcuno
)
da
parte
di
Della
Torre
,
senza
il
quale
non
si
configura
il
reato
di
abuso
d
'
ufficio
.
Anche
noi
,
ingenui
e
non
dottori
,
pensavamo
che
Salamone
un
errore
l
'
avesse
commesso
,
ma
di
segno
opposto
ai
tanti
che
gli
rimprovera
il
gip
Di
Martino
.
Essersi
fermato
a
metà
dell
'
indagine
,
rassegnarsi
all
'
archiviazione
senza
aver
messo
a
confronto
i
testi
,
nonostante
le
testimonianze
"
inquietanti
"
e
non
menzognere
raccolte
.
La
dottoressa
Di
Martino
,
invece
,
sostiene
che
Salamone
ha
fatto
troppo
,
non
troppo
poco
,
e
tratta
il
collega
come
un
emerito
asino
.
Lette
le
34
cartelle
,
è
difficile
stabilire
quale
sia
il
bersaglio
privilegiato
dell
'
accanimento
del
gip
:
Salamone
,
Sofri
o
i
due
giudici
popolari
che
hanno
testimoniato
contro
Della
Torre
.
Tutti
trattati
a
pesci
in
faccia
.
Guanti
di
velluto
,
invece
,
per
l
'
indagato
.
E
'
singolare
che
la
famosa
terzietà
del
gip
si
dispieghi
in
tutta
la
sua
potenza
quando
l
'
inquisito
è
un
altro
giudice
.
Questo
lo
scheletro
dell
'
ordinanza
.
Vediamone
qualche
giuntura
particolarmente
raccapricciante
.
Sull
'
abuso
d
'
ufficio
-
scrive
il
gip
-
si
registrano
due
orientamenti
in
dottrina
:
il
"
più
rigorista
"
sostiene
che
"
la
persona
offesa
"
è
esclusivamente
"
la
pubblica
amministrazione
"
;
l
'
altro
afferma
che
il
soggetto
offeso
è
anche
"
il
privato
"
cittadino
cui
l
'
abuso
abbia
recato
danno
.
La
dottoressa
Di
Martino
,
naturalmente
,
condivide
la
prima
impostazione
,
"
l
'
unica
corretta
"
,
e
da
ciò
deduce
che
Sofri
e
Bompressi
non
avrebbero
avuto
titolo
neppure
d
'
opporsi
all
'
archiviazione
.
Ma
chi
,
di
grazia
,
avrebbe
dovuto
farlo
?
La
pubblica
amministrazione
,
cioè
,
in
questo
caso
,
la
Signora
Giustizia
?
Voltiamo
pagina
ed
ecco
un
'
altra
perla
.
"
Secondo
una
minoritaria
ma
autorevole
opinione
dottrinale
,
l
'
attività
giudiziaria
sfuggirebbe
al
reato
di
abuso
d
'
ufficio
"
.
I
giudici
sarebbero
cittadini
a
parte
,
anzi
sopra
.
Purtroppo
(
per
la
dottoressa
Di
Martino
,
che
si
mette
tra
i
pochi
e
autorevoli
)
la
dottrina
prevalente
sostiene
che
anche
i
giudici
sono
mortali
e
quindi
,
"
in
astratto
"
,
possono
peccare
d
'
abuso
d
'
ufficio
.
Ma
perché
il
reato
sussista
,
incalza
il
gip
,
va
dimostrato
che
"
l
'
azione
sia
stata
ispirata
da
settarietà
,
da
prepotenza
,
da
rappresaglia
,
da
vendetta
,
da
rancore
,
o
da
altri
riprovevoli
motivi
"
.
Gli
esposti
di
Sofri
non
evidenziano
per
quale
motivo
"
egoistico
"
Della
Torre
avrebbe
commesso
un
abuso
d
'
ufficio
.
Dunque
,
gli
esposti
dovevano
finire
direttamente
nel
cestino
.
L
'
indimostrabilità
del
dolo
(
cioè
dell
'
intenzionalità
del
reato
)
è
il
filo
conduttore
dell
'
ordinanza
che
culmina
in
questa
categorica
affermazione
:
"
nel
caso
in
esame
...
risultava
,
risulta
e
risulterà
esclusa
la
possibilità
di
provare
la
componente
soggettiva
del
reato
"
.
Anche
i
digiuni
in
materia
di
diritto
sanno
che
il
dolo
è
il
classico
elemento
che
si
valuta
in
dibattimento
,
non
nella
fase
delle
indagini
dove
il
pm
concentra
la
sua
attenzione
sugli
aspetti
materiali
dell
'
ipotesi
di
reato
.
Se
si
applicasse
il
criterio
della
dottoressa
Di
Martino
,
i
rinvii
a
giudizio
subirebbero
un
crollo
verticale
(
il
che
potrebbe
anche
andar
bene
,
se
a
beneficiare
di
quel
criterio
non
fossero
solo
i
magistrati
inquisiti
)
.
Per
quanto
riguarda
i
fatti
,
la
questione
è
risolta
velocemente
:
i
giudici
popolari
Giovanni
Settimo
e
Marilena
Tuana
raccontano
cose
diverse
dagli
altri
membri
della
giuria
e
,
per
di
più
,
si
contraddicono
tra
loro
.
I
loro
sono
o
"
cattivi
ricordi
"
o
qualcosa
di
peggio
.
Il
loro
strano
procedere
(
perchè
non
hanno
spontaneamente
denunciato
le
supposte
irregolarità
di
Della
Torre
invece
di
rivolgersi
a
politici
e
giornalisti
"
assai
vicini
a
Sofri
"
?
)
è
sospetto
.
Si
"
allineano
"
alle
tesi
di
Sofri
e
questo
basta
e
avanza
,
secondo
il
gip
,
per
considerarli
"
inattendibili
"
.
Qui
siamo
al
deliro
.
Perchè
,
semmai
,
le
cose
sono
andate
esattamente
a
rovescio
:
è
stato
Sofri
ad
"
allinearsi
"
ai
due
testi
,
per
il
semplice
fatto
che
lui
in
camera
di
consiglio
non
c
'
era
,
Settimo
e
Tuana
sì
.
C
'
è
un
particolare
che
tradisce
il
partito
preso
del
gip
là
dove
interpreta
una
banale
osservazione
della
teste
Tuana
sulla
sentenza
suicida
come
una
"
maliziosa
quanto
gratuita
allusione
"
,
"
scopertamente
allineata
"
con
la
tesi
di
Sofri
.
Ma
che
quella
di
Pincioni
fosse
una
sentenza
suicida
era
arcinoto
ben
prima
che
il
processo
presieduto
da
Della
Torre
iniziasse
.
Bastava
leggere
i
giornali
,
visto
che
i
primi
a
parlare
di
sentenza
suicida
sono
stati
i
cronisti
di
palazzo
di
giustizia
(
vicini
alla
procura
)
e
non
Sofri
.
Nell
'
offensiva
osservazione
del
gip
c
'
è
un
eco
della
frase
rivolta
da
Della
Torre
alla
signora
Tuana
:
"
Cosa
le
ha
suggerito
Sofri
questa
notte
?
"
.
A
regola
di
briscola
,
c
'
è
da
meravigliarsi
che
il
gip
non
abbia
trasmesso
gli
atti
alla
procura
perché
proceda
contro
Settimo
e
Tuana
per
falsa
testimonianza
.
Forse
sarebbe
stato
troppo
,
anche
per
l
'
eccessiva
dottoressa
Di
Martino
.
L
'
orrore
suscitato
da
queste
34
cartelle
prescinde
dal
ritenere
colpevoli
o
innocenti
Sofri
,
Bompressi
e
Pietrostefani
.
Resterebbero
orribili
anche
se
fossero
colpevoli
.
Rafforzano
il
desiderio
che
questa
storia
finisca
per
ragioni
bassamente
egoistiche
(
confesso
il
dolo
)
:
poter
finalmente
girare
la
testa
dall
'
altra
parte
.
Brucia
dover
sottoscrivere
una
frase
del
'91
di
Piergiorgio
Bellocchio
:
"
Come
la
malattia
e
la
miseria
,
anche
la
cosiddetta
giustizia
è
una
sventura
che
tendiamo
irresistibilmente
a
rimuovere
dalla
coscienza
,
salvo
che
ci
colpisca
personalmente
,
o
colpisca
persone
che
amiamo
,
valori
in
cui
crediamo
"
.
Allora
non
la
condividevo
,
presumevo
molto
di
me
,
pensavo
di
potermi
occupare
di
tante
ingiustizie
.
Oggi
mi
dichiaro
vinta
:
le
mie
spalle
riescono
a
stento
a
sostenerne
solo
una
.
StampaQuotidiana ,
Caro
Dario
,
le
regole
di
questa
clausura
mi
mettono
sempre
in
ritardo
.
Dunque
l
'
andamento
-
come
al
solito
-
travolgente
dei
tuoi
movimenti
ha
accumulato
nella
mia
cella
una
quantità
di
pensieri
,
che
cerco
di
smaltire
in
parte
.
Comincio
dal
dirvi
grazie
(
mi
rivolgo
sempre
ad
ambedue
,
Franca
e
te
)
.
Che
siate
generosi
,
si
sa
.
Ma
che
arrivaste
a
buttare
fino
i
primi
momenti
della
vostra
gioia
di
qua
dai
nostri
muri
(
e
di
quelli
,
tanto
più
brutali
,
delle
galere
turche
o
algerine
)
è
un
segno
di
vera
prodigalità
.
Non
ero
stato
tanto
sorpreso
-
un
po
'
sì
,
come
te
-
dal
premio
che
ti
è
toccato
.
Grazie
a
Dio
ho
girato
un
po
'
per
il
mondo
,
e
soprattutto
ho
frequentato
molto
la
Norvegia
,
e
lì
non
c
'
è
nessuno
che
possa
reagire
alla
notizia
del
tuo
Nobel
simulando
di
non
sapere
chi
sei
.
Mi
è
anche
difficile
ammettere
che
si
possa
,
qui
da
noi
,
dolersi
del
Nobel
a
te
,
perché
si
desiderava
che
andasse
ad
altri
.
Io
per
esempio
ammiro
la
poesia
di
Luzi
e
ho
simpatia
per
lui
.
Sono
stato
molto
contento
che
la
campagna
contro
le
mine
sia
stata
premiata
,
all
'
indomani
della
grave
posizione
tenuta
a
Oslo
anche
dal
governo
degli
Usa
.
Doppiamente
contento
,
perché
c
'
è
un
versante
italiano
peculiare
della
campagna
.
Noi
siamo
gran
produttori
e
trafficanti
di
questi
giocattoli
,
e
abbiamo
fatto
tesoro
della
nostra
eredità
umanistica
per
battezzarli
con
questa
parola
atroce
:
"
antiuomo
"
.
Altri
paesi
hanno
trovato
degli
eufemismi
,
per
un
residuo
di
vergogna
:
noi
ce
ne
freghiamo
perfino
della
estrema
ipocrisia
del
lessico
.
In
compenso
la
partecipazione
italiana
alla
campagna
,
da
parte
di
associazioni
come
l
'
Emergency
del
dottor
Gino
Strada
,
di
comunicatori
come
Costanzo
,
di
politici
come
Occhetto
,
e
dello
stesso
governo
,
è
stata
importante
.
Insomma
mi
sono
rallegrato
per
questo
premio
(
mondanità
compresa
:
ce
ne
fossero
di
Audrey
Hepburn
e
di
Lady
Diana
)
,
benché
sperassi
molto
che
venisse
premiato
l
'
intellettuale
cinese
Wej
Jingsheng
,
imprigionato
da
anni
,
e
,
dalla
sua
prigionia
,
lucido
e
impavido
denunciatore
dei
despoti
del
suo
paese
.
Quando
leggerete
le
sue
lettere
-
le
conosco
grazie
a
mio
fratello
Gianni
-
ne
sarete
commossi
e
ammirati
,
e
avrete
voglia
di
fare
qualcosa
.
Questa
specie
di
scarso
patriottismo
,
diciamo
così
(
te
lo
posso
dire
dopo
che
hai
dovuto
raccogliere
dalla
polvere
l
'
elmo
di
Scipio
)
,
dell
'
accoglienza
fatta
al
tuo
Nobel
mi
ha
fatto
ripensare
-
non
so
se
altri
l
'
abbiano
già
detto
-
che
tu
sei
il
vero
contraltare
delle
sciocchezze
separatiste
lombarde
.
A
parte
il
lombardo
scritto
,
Porta
o
Gadda
o
Testori
,
il
lombardo
ascoltato
mi
arrivò
,
tanto
tempo
fa
,
dalle
tue
canzoni
e
poi
dai
tuoi
spettacoli
,
compresa
la
stessa
parola
"
padano
"
,
come
nel
tuo
(
genovese
però
)
Johan
Padân
,
in
commedie
che
usavano
dialetti
e
grammelot
per
farsi
capire
da
tutti
e
far
divertire
tutti
.
Ora
che
hai
il
Nobel
,
dovrai
provarci
tu
a
riacchiap
pare
dalla
coda
questa
pazzia
padanista
,
se
non
è
già
troppo
tardi
.
E
poi
c
'
è
il
mio
affare
,
naturalmente
.
Non
dirò
niente
sui
meriti
del
pool
contro
la
corruzione
politica
.
Non
c
'
entra
.
Ecco
invece
un
sommario
promemoria
sugli
inizi
del
mio
caso
.
La
Procura
milanese
aveva
seguito
per
moltissimi
anni
la
tesi
che
l
'
omicidio
Calabresi
fosse
stato
compiuto
da
persone
in
qualche
modo
legate
a
Lotta
Continua
,
al
suo
servizio
d
'
ordine
,
"
frange
militariste
"
,
eccetera
.
Ogni
tanto
si
avventurò
fino
a
indicare
nomi
e
cognomi
,
cedendo
a
vociferazioni
e
illazioni
incontrollate
,
per
amor
di
tesi
.
Quando
lo
fece
,
commise
un
doppio
arbitrio
,
accusando
persone
del
tutto
estranee
(
e
presto
dimostrate
tali
)
e
facendole
finire
sui
giornali
prima
di
avvisarle
:
così
nel
1981
nel
caso
di
Marco
F
.
,
indicato
in
fotografia
come
l
'
assassino
.
Non
credo
che
,
al
momento
dell
'
attentato
,
e
ancora
per
molti
anni
,
quei
magistrati
,
pur
così
affezionati
alla
loro
tesi
,
potessero
prendere
sul
serio
l
'
idea
che
un
omicidio
fosse
stato
deciso
dal
"
vertice
"
di
Lotta
Continua
,
da
una
delibera
presa
a
voto
di
maggioranza
nel
suo
Esecutivo
,
e
altre
follie
del
genere
(
oggi
sancite
dalle
sentenze
)
.
Quell
'
idea
era
allora
inconciliabile
col
senso
comune
,
che
poi
il
tempo
avrebbe
deformato
.
Ne
ho
una
conferma
indiretta
nel
fatto
che
,
nel
corso
degli
anni
,
da
qualcuno
di
questi
magistrati
mi
venne
inviata
per
interposta
persona
la
richiesta
di
aiutarli
alle
loro
indagini
con
quello
che
sapessi
:
richiesta
del
tutto
fuori
luogo
.
Era
abitudine
di
qualcuno
di
quei
magistrati
-
per
esempio
del
sostituto
Armando
Spataro
,
che
è
ripetutamente
intervenuto
,
in
aula
e
fuori
,
per
sostenere
l
'
accusa
contro
di
noi
,
e
che
ho
appena
reinvitato
a
discutere
con
me
le
prove
che
ritiene
raggiunte
a
nostro
carico
-
di
chiedere
,
spesso
fuori
verbale
,
agli
indagati
della
"
lotta
armata
"
se
avessero
sentito
qualcosa
circa
Lotta
continua
e
l
'
omicidio
Calabresi
.
Poiché
l
'
appetito
viene
mangiando
,
da
un
qualche
momento
a
quegli
interrogati
furono
fatti
anche
il
mio
nome
e
quello
di
altri
fra
i
più
noti
dirigenti
dell
'
antica
Lotta
continua
.
Dunque
quando
nell
'
estate
1988
scoppia
,
come
un
'
impresa
militare
,
la
nostra
cattura
e
incriminazione
,
non
si
tratta
affatto
dell
'
improvvisa
e
imprevedibile
rivelazione
di
un
pentito
che
venne
da
nulla
,
bensì
dell
'
inveramento
di
un
'
idea
a
lungo
perseguita
ed
elaborata
.
Fino
a
che
punto
,
lo
mostra
un
episodio
documentato
negli
atti
del
processo
,
e
ancora
oggetto
di
uno
strascico
giudiziario
derivato
:
un
anno
prima
,
nel
luglio
1987
,
Marco
Boato
mi
telefonò
da
Trento
per
farmi
gli
auguri
di
compleanno
,
e
per
dirmi
,
a
metà
tr
a
l
'
ilarità
e
lo
sdegno
,
la
seguente
storia
.
Un
imputato
veneto
di
reati
di
banda
armata
,
interrogato
anche
lui
fuori
verbale
sull
'
omicidio
Calabresi
da
un
giudice
istruttore
a
Milano
,
ne
aveva
ricavato
la
notizia
che
lo
stesso
Boato
e
io
,
Sofri
,
saremmo
stati
arrestati
quella
notte
come
responsabili
dell
'
omicidio
.
(
A
parte
me
,
pensare
Boato
corresponsabile
di
un
omicidio
è
una
pazzia
grottesca
)
.
Mi
disse
Boato
:
"
Che
cosa
pensi
di
fare
?
"
.
"
Di
cenare
e
andarmene
a
dormire
"
,
risposi
.
Dormimmo
bene
e
non
se
ne
parlò
più
:
fino
all
'
estate
successiva
.
Questo
prova
fin
dove
arrivasse
il
peccato
di
gola
di
qualche
investigatore
milanese
,
ufficialmente
un
anno
prima
che
Leonardo
Marino
andasse
a
riversare
il
suo
pentimento
in
una
caserma
dell
'
Arma
;
o
,
se
si
preferisce
,
nel
tempo
stesso
in
cui
la
coppia
Marino
-
Bistolfi
inaugurava
i
suoi
colloqui
con
avvocati
e
notabili
politici
sul
tema.Siamo
nell
'
estate
1988
.
Pubblico
ministero
è
Ferdinando
Pomarici
.
Del
quale
non
importa
se
fosse
di
sinistra
o
di
destra
,
e
quanto
:
era
il
Pm
che
aveva
deriso
gli
scettici
garantendo
di
aver
"
scarnificato
mattonella
per
mattonella
"
il
"
covo
"
Br
di
via
Monte
Nevoso
,
salvo
lasciarvi
un
arsenale
di
armi
e
carte
in
una
intercapedine
protetta
da
"
quattro
chiodini
"
.
Pomarici
aveva
l
'
aria
di
volersi
sbrigare
:
la
prima
e
unica
volta
che
mi
interrogarono
,
lui
e
il
Giudice
istruttore
Lombardi
,
mi
disse
:
"
Guardi
,
tanto
è
tutto
prescritto
,
abbiamo
amici
in
comune
,
lei
confessa
e
spiega
anche
il
contesto
storico
e
politico
,
nessuno
lo
farebbe
meglio
di
lei
"
.
E
'
durato
nove
anni
,
il
nostro
maledetto
processo
.
Lui
avrebbe
risolto
tutto
in
un
'
oretta
.
Poche
persone
hanno
detto
tante
bugie
,
dimostrate
tali
,
di
cui
nessuno
ha
mai
chiesto
conto
.
Per
un
anno
e
mezzo
Pomarici
dichiarò
di
non
aver
mai
saputo
dei
rapporti
prolungati
e
occultati
fra
Marino
e
i
carabinieri
:
poi
un
giorno
,
quasi
con
fastidio
,
disse
di
averlo
sempre
saputo
.
Quando
Marino
passava
nottate
con
l
'
allora
colonnello
(
oggi
generale
,
con
un
incarico
altissimo
nei
servizi
d
'
informazione
)
Bonaventura
,
Pomarici
stava
conducendo
con
lui
un
'
indagine
su
un
episodio
milanese
:
inoltre
aveva
lavorato
con
lui
nel
corso
degli
anni
nell
'
inchiesta
Calabresi
.
Eppure
,
lui
Pm
del
caso
,
ebbe
l
'
ardire
di
sostenere
di
non
aver
avuto
il
minimo
sentore
del
fatto
che
quel
colonnello
Bonaventura
,
che
passava
i
giorni
con
lui
a
Milano
,
passasse
le
notti
con
Marino
a
Sarzana
a
proposito
dell
'
omicidio
Calabresi
.
A
sua
volta
,
Pomarici
ritardò
inspiegabilmente
il
momento
di
investire
dell
'
inchiesta
il
Gi
Lombardi
,
che
ne
era
da
anni
il
titolare
.
Come
sia
stata
condotta
quell
'
istruttoria
,
nascondendo
alla
difesa
ogni
circostanza
dell
'
accusa
,
rattoppando
costantemente
,
fino
alla
manipolazione
,
gli
svarioni
,
le
contraddizioni
e
le
smentite
di
Marino
,
non
si
può
ridire
qui
.
Voglio
solo
ricordare
una
questione
recente
circa
il
Gi
Antonio
Lombardi
.
Nel
1993
un
ufficiale
del
Ros
dei
carabinieri
di
Trapani
consegnò
agli
atti
dell
'
indagine
trapanese
sull
'
assassinio
di
Mauro
Rostagno
un
rapporto
su
carta
intestata
e
con
tanto
di
firma
.
L
'
ufficiale
riferiva
di
essersi
incontrato
a
Milano
col
Gi
Lombardi
,
che
gli
aveva
detto
che
Rostagno
era
stato
assassinato
in
connessione
col
processo
Calabresi
,
per
impedirgli
di
denunciare
,
come
era
intenzionato
a
fare
,
i
suoi
compagni
di
un
tempo
.
Queste
e
altre
infamie
simili
-
non
solo
infami
,
ma
ridicolizzate
da
ogni
genere
di
prova
,
a
cominciare
dalla
voce
stessa
di
Mauro
che
parlava
del
nostro
arresto
e
di
me
nella
sua
televisione
-
giacquero
,
coperte
dal
segreto
,
fra
le
carte
dell
'
inchiesta
trapanese
,
finché
potei
leggerle
nel
luglio
del
1996
,
e
denunciare
quel
documento
calunnioso
e
scandaloso
.
Il
Gi
Lombardi
smentì
con
veemenza
,
a
mezzo
agenzia
,
di
aver
mai
detto
quelle
cose
:
non
mi
risulta
che
abbia
denunciato
l
'
ufficiale
,
autore
di
un
così
smaccato
falso
.
Io
denunciai
ambedue
,
e
aspetto
ancora
di
ricevere
la
minima
notizia
sull
'
itinerario
della
mia
denuncia
.
Non
c
'
è
male
,
no
?
Ogni
volta
che
cose
particolarmente
insopportabili
sono
successe
nel
corso
dei
nostri
processi
-
alla
rinfusa
:
la
descrizione
della
via
di
fuga
dall
'
attentato
madornalmente
sbagliata
da
Marino
,
e
lodata
per
iscritto
per
la
sua
"
esattezza
"
da
Pomarici
e
poi
da
Lombardi
;
la
accidentale
(
accidentale
sul
serio
,
Dario
)
rivelazione
dei
rapporti
occultati
fra
Marino
e
i
carabinieri
;
la
distruzione
sistematica
dei
corpi
di
reato
,
dopo
il
nostro
arresto
e
incriminazione
;
la
stesura
di
una
sentenza
"
suicida
"
per
rovesciare
un
verdetto
di
assoluzione
;
il
pregiudizio
dimostrato
di
un
presidente
di
corte
di
assise
d
'
appello
,
e
così
via
-
ogni
volta
,
non
una
voce
della
procura
milanese
si
è
alzata
a
criticare
,
o
anche
solo
a
manifestare
dubbio
o
rammarico
.
Al
contrario
,
molte
voci
,
a
partire
dalla
più
autorevole
,
quella
di
Borrelli
,
si
sono
alzate
a
sostenere
l
'
accusa
contro
di
noi
,
durante
e
dopo
i
processi
,
a
criticare
la
sentenza
di
annullamento
pronunciata
dalle
Sezioni
unite
della
Cassazione
(
cosa
che
D
'
Ambrosio
ha
appena
rifatto
,
sui
giornali
,
addebitandole
di
essere
entrata
"
nel
merito
"
)
,
a
criticare
la
sentenza
di
assoluzione
del
secondo
processo
di
appello
,
e
così
via
.
Ripeterò
,
non
avendo
mai
avuto
il
minimo
cenno
di
ricevuta
,
un
esempio
clamoroso
,
che
non
poteva
non
interessare
i
pareri
altrimenti
così
pronti
dei
magistrati
della
procura
.
I
due
giudici
togati
del
nostro
primo
processo
si
chiamano
Manlio
Minale
,
che
presiedeva
la
Corte
di
Appello
(
come
ti
è
stato
appena
ricordato
)
e
Galileo
Proietto
,
giudice
a
latere
.
Ebbene
,
Minale
era
al
suo
ultimo
processo
da
giudice
,
essendo
già
stato
designato
,
prima
dell
'
apertura
stessa
del
dibattimento
,
procuratore
aggiunto
,
dunque
collega
,
subalterno
di
Borrelli
,
e
superiore
in
grado
di
Pomarici
,
dei
magistrati
di
quella
procura
che
con
tanto
impegno
e
spirito
di
"
squadra
"
,
aveva
sostenuto
l
'
accusa
in
istruttoria
,
e
l
'
avrebbe
sostenuta
in
dibattimento
.
Tu
hai
notato
forse
come
in
tutti
questi
anni
io
abbia
cercato
di
tenere
un
equilibrio
,
di
non
farmi
risucchiare
dentro
schieramenti
costituiti
,
di
non
prendere
posizione
su
questioni
generali
(
comprese
le
più
spinose
,
come
l
'
uso
e
l
'
abuso
dei
"
pentiti
"
)
attraverso
il
filtro
esclusivo
della
mia
personale
vicissitudine
.
Questo
valeva
dunque
anche
per
un
tema
come
la
separazione
delle
carriere
fra
magistrati
dell
'
accusa
e
del
giudizio
,
sul
quale
conservo
un
preoccupato
dubbio
.
Esemplificando
i
paradossi
cui
può
portare
la
carriera
unica
,
si
è
spesso
evocata
la
possibilità
che
un
magistrato
finisca
col
giudicar
e
gli
stessi
imputati
di
cui
è
stato
lui
,
da
Pm
,
a
costruire
l
'
accusa
.
Bene
:
nel
mio
caso
si
è
compiuto
il
paradosso
opposto
,
col
giudice
chiamato
a
sconfessare
l
'
operato
,
particolarmente
esposto
e
discusso
,
dei
suoi
colleghi
in
pectore
.
Per
completezza
di
paradosso
,
aggiungo
che
anche
il
giudice
a
latere
,
ed
estensore
della
motivazione
della
sentenza
,
Proietto
,
è
passato
alla
procura
.
Ho
invano
aspettato
che
qualcuno
,
Borrelli
,
D
'
Ambrosio
,
Spataro
,
un
altro
a
piacere
,
dicessero
una
parola
sulla
singolarità
del
caso
.
Tanto
più
che
si
trattava
di
un
processo
,
non
dirò
importante
(
tutti
i
processi
,
avendo
in
palio
il
diritto
e
il
destino
delle
persone
,
dovrebbero
essere
importanti
)
ma
costellato
di
delicati
colpi
di
scena
,
come
la
ricordata
accidentale
scoperta
della
convivenza
notturna
taciuta
e
negata
fra
Marino
e
i
carabinieri
,
venuta
fuori
per
l
'
ingenuità
di
un
curato
di
paese
,
e
trattata
con
ineffabili
riguardi
dalla
procura
(
Pomarici
che
dichiarava
di
aver
telefonato
a
Borrelli
per
avvertirlo
della
venuta
dei
carabinieri
a
testimoniare
)
e
dal
Presidente
,
che
pure
era
stato
il
primo
menato
per
il
naso
dall
'
originaria
versione
sul
pentimento
spontaneo
e
repentino
.
E
visto
che
ci
siamo
,
e
che
D
'
Ambrosio
ti
ha
invitato
a
portare
elementi
nuovi
per
la
revisione
del
nostro
processo
,
se
ne
hai
(
chissà
perché
tu
,
a
volte
l
'
ironia
di
certe
battute
mi
sfugge
;
siamo
noi
a
cercare
di
farlo
,
com
'
è
noto
)
terrei
a
chiedergli
se
abbia
mai
pensato
,
nei
ventidue
anni
che
ci
separano
dalla
sentenza
del
1975
sul
"
malore
attivo
"
di
Pinelli
,
alla
revisione
,
o
alla
riapertura
,
di
quel
processo
.
E
'
ancora
oggi
contento
,
o
rassegnato
,
Gerardo
D
'
Ambrosio
,
a
quel
Pinelli
che
si
piroetta
oltre
la
ringhiera
per
il
malore
attivo
,
o
si
chiede
ogni
tanto
come
sia
andata
davvero
?
Non
sto
barattando
il
processo
Pinelli
con
quello
Calabresi
(
non
l
'
ho
mai
fatto
,
l
'
hanno
fatto
i
miei
nemici
,
pretendendo
di
fare
della
nostra
condanna
la
condizione
per
la
"
riabilitazione
"
del
commissario
)
,
né
facendo
una
battuta
politica
o
un
commento
morale
:
la
mia
è
un
'
osservazione
,
per
così
dire
,
strettamente
tecnica
o
giudiziaria.Calabresi
fu
ucciso
,
ma
ci
sono
parecchie
persone
che
si
trovavano
nella
stanza
da
cui
un
interrogato
fermato
illegalmente
e
innocente
uscì
a
capofitto
dalla
finestra
,
e
nessuna
di
quelle
persone
,
che
allora
mentirono
tutte
-
come
il
dottor
D
'
Ambrosio
appurò
-
ha
più
aperto
bocca
.
Io
sono
in
galera
-
ma
non
commiserarmi
troppo
:
ne
abbiamo
viste
di
peggio
-
secondo
i
procuratori
e
alcuni
giudici
,
perché
Lotta
continua
aveva
una
specie
di
struttura
illegale
che
"
non
può
non
essere
stata
"
,
come
dice
Marino
,
l
'
autrice
dell
'
omicidio
Calabresi
,
di
cui
io
"
non
posso
non
essere
stato
"
a
conoscenza
.
Oppure
:
sono
in
galera
perché
il
13
maggio
del
1972
alla
fine
di
un
mio
comizio
Pietrostefani
e
io
avvicinammo
Marino
per
comunicargli
un
mandato
a
uccidere
,
però
Pietrostefani
non
c
'
era
;
perché
alla
fine
del
comizio
andai
con
Brogi
e
Marini
in
un
bar
e
di
lì
uscii
in
strada
per
dare
a
Marino
un
mandato
a
uccidere
,
ma
Brogi
e
Marino
erano
uno
a
Genova
e
l
'
altro
a
casa
,
e
nessuno
andò
al
bar
,
e
la
gente
si
sparpagliò
perché
pioveva
forte
,
ma
Marino
si
è
dimenticato
che
piovesse
;
ricevuto
il
mandato
a
uccidere
,
Marino
mi
salutò
e
tornò
a
Torino
,
però
invece
si
fermò
a
Pisa
e
anzi
la
sera
tardi
venne
con
tanti
altri
a
casa
mia
.
E
così
via
.
Sono
in
galera
per
questo
,
e
così
i
miei
amici
.
Sono
in
galera
anche
perché
dopo
che
Pomarici
,
Lombardi
e
una
quantità
di
altri
hanno
tuonato
che
io
,
potente
e
amico
di
potenti
(
caro
Dario
,
amico
mio
)
,
non
sarei
mai
stato
toccato
,
mentre
il
solo
povero
Marino
avrebbe
pagato
per
tutti
.
Con
un
piccolo
cambio
di
ausiliare
-
aver
pagato
,
essere
pagato
-
è
andata
proprio
così
,
e
Marino
,
intervistato
,
ci
concede
benignamente
la
grazia
.
Carnevali
,
mondi
a
testa
in
giù
:
ma
che
aspettiamo
a
battergli
le
mani
.
Non
ho
alzato
la
voce
verso
quel
disgraziato
di
Marino
,
in
questi
anni
,
né
avrei
parlato
all
'
ingrosso
della
procura
di
Milano
se
tu
,
nel
tuo
modo
travolgente
,
non
avessi
fatto
venire
giù
il
loggione
.
E
'
vero
,
l
'
ultima
sentenza
milanese
si
imperniò
sul
fatto
che
il
pentimento
(
no
:
la
crisi
"
mistica
"
)
di
Marino
sono
autentici
perché
da
ragazzo
era
passato
dai
Salesiani
.
Bestemmia
che
mi
dispiace
tanto
più
,
perché
ho
simpatia
e
stima
per
molti
Salesiani
.
Non
mi
auguro
affatto
che
tu
-
né
altri
-
modifichi
la
tua
stima
per
la
magistratura
milanese
per
solidarietà
con
me
.
Mi
dispiacerebbe
perfino
.
Vorrei
che
,
tenendosi
al
mio
processo
,
di
ogni
cosa
detta
a
carico
o
a
difesa
,
si
verificasse
,
per
quanto
è
possibile
(
molto
!
)
la
fondatezza
e
la
lealtà
.
Il
17
maggio
1972
Luigi
Calabresi
fu
assassinato
.
Gli
attentatori
arrivarono
e
e
fuggirono
a
bordo
di
una
125
blu
rubata
.
Tutti
i
testimoni
in
grado
di
distinguere
riferirono
che
alla
guida
c
'
era
una
donna
.
Nell
'
auto
abbandonata
,
furono
ritrovati
sul
cruscotto
,
al
posto
di
guida
,
degli
occhiali
neri
da
donna
che
i
proprietari
dell
'
auto
non
avevano
mai
visto
.
Quando
venne
sospettato
il
neofascista
Nardi
,
fu
arrestata
una
giovane
donna
tedesca
,
Gudrun
Kiess
,
accusata
di
essere
stata
la
guidatrice
dell
'
auto
.
La
Kiess
restò
in
carcere
a
lungo
,
benché
non
avesse
mai
preso
la
patente
.
Nel
luglio
del
1988
gli
inquirenti
dichiararono
che
la
donna
al
volante
dell
'
auto
dell
'
attentato
era
Leonardo
Marino
.
Anch
'
io
non
ho
mai
preso
la
patente
.
Sono
qui
che
cammino
avanti
e
indietro
e
mi
fanno
male
i
piedi
.
La
lampadina
è
un
micidiale
doppio
tubo
al
neon
e
non
riesce
a
somigliare
alla
luna
.
Grazie
,
ciao
.