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METANOPOLI LA CITTÀ PER I TECNICI ( Bianciardi Luciano , 1957 )
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La periferia di corso Lodi si perde a poco a poco in un disordine di sterrati , depositi di rottami , piccole fabbriche di vernici , concerie , e intanto si profila , sotto la foschia del primo mattino , la campagna lombarda , intirizzita dal gelo : i campi bianchi di brina , i pioppi scheletrici , un fosso d ' acqua sporca e turbinosa , che fuma all ' aria tesa e frizzante . Quel fossaccio che poi , mi dicono , è uno dei canali di scolo delle fogne milanesi , fiancheggia la via Emilia per tutto il nostro viaggio . Il comune di San Donato , il primo fuori di Milano sulla strada di Lodi , non ha l ' aria di un vero e proprio villaggio . S ' incontrano all ' improvviso poche case raccolte attorno a una vecchia chiesa : casette vecchie e povere , uno o due piani al massimo . Una serve da municipio , a un pianterreno c ' è un negozietto che vende un po ' di tutto , dagli alimentari agli utensili domestici . Il nome sulla porta è vecchio e sbiadito . « Posteria » . Si stenta a credere che questo comune di San Donato milanese conti quasi cinquemila abitanti ; ci si chiede dove siano , dove abitino . Eppure è così . San Donato milanese è un grosso comune ; non solo , è un comune in continua crescita . Ecco come si è sviluppata la popolazione in soli cinque anni : 1951 : 2663; 1952 : 2762; 1953 : 2920; 1954 : 3255; 1955 : 3983;1956 : 4954 . Non solo ; si afferma che entro tre anni la popolazione sarà ancora moltiplicata , con l ' insediamento di 10-12 mila nuovi abitanti . Secondo previsioni attendibili , in breve tempo tutta la zona raggiungerà complessivamente i quarantamila abitanti . Qualche frazione vicina ( che un tempo era soltanto un piccolo nucleo di casupole e di cascine ) è repentinamente cresciuta , come gonfiata da un ' improvvisa idropisia edilizia : ecco la Certosa , per esempio , così simile ad una periferia di provincia , con le case che vengono su a fungaia , alte e basse , coi colori degli intonachi balordi e contraddittori , e con la solita proliferazione di baracche e di abitazioni fortunose . Ma San Donato , voglio dire il centro amministrativo , pare rimasto tale e quale . Dov ' è dunque la novità ? Non è difficile rendersene conto : basta fare due e trecento metri , ed ecco Metanopoli , che compare in mezzo alla campagna , improvvisa , come dipinta su di un fondale da un urbanista megalomane . Proprio sulla strada , sulla via Emilia , una serie di box dove sostano macchine ed autocarri carichi di bombole vuote : è , come avverte un gran cartello , la stazione di rifornimento del metano . Poi , poco più avanti , si spalanca un piazzale immenso , tutto lastricato a cubetti di porfido , che disegnano per terra , a perdita d ' occhio , una interminabile serie di volute . Il piazzale è chiuso , giù in fondo , dal basso e lunghissimo edificio che ospita la stazione di servizio per gli autocarri : aria , acqua , garage e riparazioni . E una stazione di sosta per automezzi , un ' enorme stazione , all ' uscita di Milano , dove comincia la via Emilia e dove comincerà la « Strada del sole » . Proprio lì davanti un cartello avvisa che siamo al capolinea milanese della famosa autostrada , che per ora , tuttavia , è solo un cartello , un progetto , un esiguo recinto di filo spinato , con dentro uno sterro sconvolto dai bulldozer . Sul ciglio della strada un cartello dice : « Motel : albergo ristorante Metanopoli » . C ' è tutto : mensa , alloggio , bagno , piscina , lustrascarpe . Motel è voce americana e diffusa in Italia dal film Niagara e dal diario statunitense di Simone de Beauvoir . Sta a indicare l ' albergo di transito sulle grandi strade continentali , formato da una o due stanzette , con annesso il garage per l ' auto e per la roulotte . A rigore questo dunque non è un motel , ma un normale albergo di transito , di ambiziosa fattura , con un atrio lustro e comodo , e dappertutto legno , nichel e materie plastiche . Dovrebbe essere una costruzione « moderna » ; in realtà , essa si limita ad esibire uno stile tra « tirolo » e « far - west » , del tutto incomprensibile nel paesaggio lombardo . Al ristorante si mangia abbastanza bene anche con cinquecento lire . La città è dietro il piazzale : si apre un vialone larghissimo , spalancato al vento tagliente di gennaio , coi pali della luce , che , dai due lati , incombono arditamente verso il centro . Da una parte un lunghissimo muro , dall ' altra tante costruzioni tutte uguali . Il vialone porta il nome di Alcide De Gasperi , le strade minori , fra una fila di edifici e l ' altra , s ' intitolano a Galilei , a Fermi , ai nomi di altri scienziati poco noti ai profani . Ci vuol poco a capire che da questa parte c ' è la zona operante della città . Dalle finestre infatti s ' intravedono strumenti di laboratorio , macchine , tubi . Qui la SNAM ha i suoi centri di studio , alcuni collegati con il Politecnico di Milano . Non zona industriale , dunque , ma centro di ricerca : è probabilmente una città di tecnici , non di operai , e l ' aspetto borghese della zona residenziale ce lo conferma . Percorrendo il vialone Alcide De Gasperi , si trova , in fondo , piazza Santa Barbara , protettrice , come è noto , di minatori , artiglieri , e di tutti coloro che abbiano a che fare con roba esplosiva ; anche quelli del metano , dunque . Un ' altra piazza immensa , interrotta però , questa , da brevi strisce di aiole verdi , molto curate . Ogni pochi metri ecco spuntare da terra un tubo ricurvo , dipinto in giallo ; serve , mi spiegano , per l ' irrigazione delle aiole . La piazza è dominata dalla più straordinaria chiesa che mi sia mai accaduto di vedere . È un edificio monumentale e insieme semplicissimo : una specie di capannone col timpano altissimo e acuto , come per suggerire una elevazione che di fatto non c ' è . Ai quattro lati sorgono altrettante gugliette appuntite , color verde tenero . I colori sono la cosa meno prevedibile di questo duomo di Metanopoli . Pare come se sulla facciata bianca fossero stati applicati dei pannelli rettangolari , quale verde tenero , come le guglie , quale rosa pallido , quale cinerino . Le strade dietro la chiesa , nella zona residenziale , son tutte alberate e divise da aiole verdi . Gli alberi sovente sono dei pioppi : il pioppo è la pianta tipica della pianura padana , di cui rompe la piattezza con la sua acuta spinta al cielo . Ma qui sono pioppi di trapianto in attesa che rinsaldino le radici li hanno legati con quattro filo di ferro , presto arrugginiti all ' aria umida della zona . Le case son tutte belle e tutte uguali , con pochi segni palesi di vita interna . In mezzo alle case , quasi in fondo a via Soresina , la lunga e bassa costruzione che ospita i negozi , alcuni ancora interminati e vuoti . La città di Metanopoli è dunque di Fondazione recentissima , anzi , non è ancora terminata : via Enrico Fermi esiste , per esempio , soltanto di nome , e proprio all ' ingresso della città , quasi stilla strada , sorge lo scheletro di un altissimo edificio poligonale , con le strutture portanti di ferro , rosso di minio fresco , ed i piani di cemento e mattoni forati . il primo dei grattacieli di Metanopoli ; di un secondo si inizierà presto la costruzione . La città è stata fondata dalla SNAM , che è poi una filiazione dell ' ENI sorta per lo sfruttamento del metano . Qui , come si è detto , non vi sono stabilimenti di produzione o di trasformazione , ma soltanto un centro studi . Tanto vero che la SNAM non paga al comune di San Donato l ' Icap , l ' imposta che grava sulle attività industriali , commerciali , professionali e artigiane . Ha preferito edificare la sua città a San Donato per due ragioni : per tenersi vicinissima a Milano , ma fuori dei confini comunali , e pagare così minori imposte , e poi per tenersi al capolinea di due grandi vie di comunicazione , l ' Emilia e la futura strada del sole . Del comune di San Donato la SNAM , cioè l ' ENI , possiede mille pertiche , cioè 654.000 metri quadrati , pari a circa un terzo della superficie totale del comune stesso . Il terreno , in conseguenza di questo acquisto massiccio e dell ' incremento edilizio , è salito enormemente di prezzo . Quasi dieci volte e più : dalle sei - settecento lire al metro quadrato del 1950 siamo ora sulle cinquemila , con punte sulle ottomila lire al metro quadrato . La popolazione di Metanopoli non è mai indigena : la SNAM ha reclutato altrove i suoi dipendenti , che son divenuti suoi abitanti . Dal Veneto , dalla Toscana , dal Lazio , dal Napoletano , dalle Puglie : dalle regioni insomma che tradizionalmente danno la maggior quota di migrazione verso Milano . Gli abitanti vecchi , quelli di San Donato e delle frazioni vicine , li chiamano tutti « terroni » ed hanno ribattezzato , per conto loro , la città nuova col nome di Metanopoli . Ma rapporti , fra gli uni e gli altri , fra i vecchi ed i nuovi , fra i metanopolitani ed i sandonatesi , se ne stabiliscono di rado , i sandonatesi erano in origine salariati , operai della campagna ; qualcuno addirittura giornaliero . Poi hanno cominciato a cambiar mestiere , ed oggi più della metà sono operai ; ma lavorano a Milano . A Metanopoli nessuno di loro è entrato come dipendente stabile e come abitatore delle nuove case . La vita di Metanopoli è chiusa , pertanto , anche fisicamente , all ' ambiente esterno , alla campagna lombarda . Gli abitanti di San Donato , abitano accanto alla città del metano , ma non hanno ancora il gas in casa , nonostante lo chiedano da tre anni . Non ancora , prima e oltre il metano , troppe altre cose che servono a dar la base del vivere civile : basti pensare alle tristissime condizioni igieniche delle vecchie cascine sandonatesi , non è sovrapponendo un ' isola di razionalità ( astratta razionalità ) urbanistica che si fa progredire la civiltà nella campagna milanese .
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La Commissione bicamerale per le riforme costituzionali ha chiuso i battenti . Felicemente o infelicemente ? Per il Palazzo felicemente , visto che ne è uscito un accordo . Ma per il paese infelicemente , se è vero - come sostengo - che l ' accordo è stato pessimo . E un cattivo accordo che peggiora le cose non dà , o non dovrebbe dare , felicità . Si capisce che non ci sono quasi mai accordi assolutamente cattivi , così come non ci sono quasi mai accordi perfetti . Un cattivo accordo è dunque un ' intesa nella quale le malefatte nettamente prevalgono sulle cose ben fatte . I difensori d ' ufficio dell ' operato della Bicamerale si arroccano su due argomenti . Il primo è che qualsiasi accordo è meglio di nessun accordo . Il secondo è che , come dicevo , nell ' operato dei 70 bene e male si mescolano . Ma con questo argomento , il secondo , si redime tutto : si redime la guerra ( che Hegel equipara al vento che disperde i miasmi che aleggiano sulle paludi ) , si redime la tortura ( che consente di ottenere la confessione dei torturati ) , si redime magari anche Pol Pot ( che riduce l ' esplosione demografica ) . Quali sarebbero , allora , le acquisizioni positive della Bicamerale ? Che gli italiani , mai sazi di elezioni , potranno finalmente votare per il capo dello Stato ? Il loro tripudio sarà breve quando si accorgeranno di aver votato per un sotto - capo di Stato . Il federalismo ? Poveri noi , che caos . La riforma della magistratura ? Di questa ancora non si sa , ma tutto lascia prevedere che la nostra giustizia resterà in crisi . Accetto , dunque , che nelle pieghe del male si possa nascondere anche del bene ; ma spiegatemi , per favore , qual è . Quanto al primo punto , e cioè che qualsiasi accordo è meglio di niente , questa è una vera stortura . Chi ragiona così fa dell ' accordo un valore assoluto , un valore in sé . Invece l ' accordo è uno strumento per conseguire un fine . Accordo a quale scopo ? Per che cosa ? Stranamente ( ma non tanto , a ripensarci ) la Bicamerale non se l ' è quasi mai chiesto . L ' importante , per i 70 , è stato soltanto mettersi d ' accordo fra di loro , ai loro fini . Non hanno cercato di scrivere una buona Costituzione ma , assai più , di evitare riforme che li danneggiassero . E ci sono magnificamente riusciti . Ci sono riusciti mettendo la Costituzione all ' asta : tanto a me , tanto a te ; io chiedo cento , concludiamo per cinquanta . Il risultato è sotto gli occhi di tutti : il trionfo dei partitini , che si sono assicurati l ' eternità e un rinforzato potere di interdizione e di ricatto ; un contentino presidenzialista per la pubblicità di Gianfranco Fini ; un contentino parlamentarista per gli antipresidenzialisti : un misto di cane e di gatto , un can - gatto . Torniamo alla domanda che i bicameralisti hanno disatteso : perché una Seconda Repubblica ? Perché una nuova Costituzione ? Ovviamente perché abbiamo problemi di disfunzionalità sistemica che dobbiamo risolvere : primo , ridurre la frammentazione partitica ; secondo , rinforzare la governabilità . Due obiettivi che sono strettamente collegati . I partiti sono le gambe sulle quali la governabilità dovrebbe camminare ; e se le gambe sono zoppe e troppe , allora la governabilità va all ' aria e non c ' è barba di marchingegno costituzionale che possa rimediare . Orbene , questi due obiettivi e gli strumenti per perseguirli sono stati non soltanto mancati , ma addirittura capovolti . Il progetto magnifico e progressivo siglato dalla quadriglia D ' Alema - Marini - Berlusconi - Fini , in breve Damabefi , ci garantisce una decina di partiti , e governi di cinque anni di veti incrociati . Se non sarà una dieta polacca , poco ci manca . Meglio l ' accordo Damabefi che nessun accordo ? Confesso di essere interdetto . Perché non è che nessun accordo ci lascia con nulla , librati nel vuoto . Se non siamo capaci di creare una nuova Costituzione sensata , l ' alternativa è restare con il sistema parlamentare che abbiamo , e tornare a lavorare sul suo miglioramento . Se il nuovo è peggio dell ' esistente , allora meglio l ' esistente . Davanti alla Costituzione Damabefi l ' alternativa non è , ripeto , il niente o il caos . E riconoscere che la Bicamerale ha fatto autogol . E se l ' autogol delegittima la classe politica che l ' ha fatto , chi è causa del suo mal pianga se stesso . A questi argomenti si risponde in coro , dal Palazzo e dintorni , che in politica gli accordi si fanno sempre come sono stati fatti in Bicamerale , che io di politica proprio non mastico , e che la mia opposizione è professionale , astratta , addirittura egolatrica . Per esempio , di me Silvio Berlusconi scrive ( « Corriere della Sera » , 28 giugno ) che « per un Professore l ' importante è il modello , il teorema . Il modello è perfetto , l ' ha fatto il Professore , è bello , gli piace » . Spiegando che chi « è innamorato per professione delle astrazioni accademiche poco si cura della realtà , e rifiuta perciò di sottoporre i suoi modelli alla verifica dei fatti » . Troppo onore , deputato Berlusconi : lei mi accredita un merito che non mi spetta . Il modello « fatto dal Professore » è stato fatto una quarantina d ' anni fa da un certo Debré , si chiama Quinta Repubblica , e funziona da altrettanto tempo in una capitale che si chiama Parigi . Aggiungo che siccome la Francia degli anni Cinquanta era molto simile , politicamente , all ' Italia degli anni Novanta , l ' argomento che il prototipo francese non si presta a trapianti è pretestuoso . Ma veniamo al punto : chi è che , in politica , è bravo . Io racconterò la vicenda della Bicamerale così come la conosco in prima persona . Dal che potrà risultare quant ' è bello il primato della politica , dove stanno gli sbagli e chi li ha fatti . La vicenda dura , per l ' esattezza , da quando cadde il governo Berlusconi ( dicembre 1994 ) . Dopo un anno di governo Dini , nel febbraio 1996 venne tentato il governo di Antonio Maccanico . In quel momento mi parve , e sostenni , che nessuna riforma costituzionale sarebbe stata possibile senza un ' intesa preventiva fra i tre maggiori partiti , e cioè di larga maggioranza trasversale . Siccome al Pds premeva ( giustamente ) un sistema elettorale a doppio turno , mentre il Polo reclamava un generico presidenzialismo , mi venne l ' idea , elementare e banale , di uno scambio fra doppio turno e semipresidenzialismo . E siccome non tutti gli scambi lo sono , tengo a sottolineare che il mio era « alto e nobile » , visto che proponeva un sistema esistente e ben funzionante , e che non era per nulla ( come appare alla logica aggrovigliata dell ' onorevole Ciriaco De Mita ) uno spezzatino : non spezzava nulla , era il modello francese mantenuto integro , stessa testa con gli stessi piedi . Il tentativo Maccanico fallì per un soffio . Scrissi allora che avevamo perduto , per colpa congiunta di D ' Alema e di Fini , un treno che non sarebbe ripassato . Difatti non stava ripassando quando mi incontrai con Massimo D ' Alema , a metà marzo del 1997 . E poiché a me non era venuta nel frattempo nessuna idea nuova , in quell ' occasione riproposi a D ' Alema lo scambio dell ' anno prima . Io ho sempre ritenuto scorretto riferire di un incontro privato . Ma dato che su quell ' incontro ci sono state numerose fughe di notizie , in larga parte fantasiose , forse a questo punto occorre darne la versione autentica . Dunque , a quel mio suggerimento D ' Alema rispose , prendendomi in contropiede , così : vede , professore , oggi chi non vuole nessun presidenzialismo è Berlusconi . Pur raggelato , gli chiesi : mi autorizza ad andare da Berlusconi a dirgli che è lui che blocca l ' intesa ? Senz ' altro , fu la risposta di D ' Alema . Il che non mi rendeva ( come è stato scioccamente scritto ) suo ambasciatore . Ma sottintendeva che un sì di Berlusconi avrebbe sbloccato la trattativa . Adelante Pedro , feci il giro delle sette chiese , vidi un po ' tutti , incluso Berlusconi , e il 4 aprile tornai a Botteghe Oscure . Per riferire che Fini accettava il doppio turno , nella formulazione che avevo proposto ; e che Berlusconi mi aveva autorizzato a confermare che la formula del semipresidenzialismo a lui stava bene . Immaginavo che D ' Alema sarebbe stato contento . Immaginavo male . D ' Alema mi ascoltò accigliato ; mi disse in quel momento ( non quando mi aveva mandato allo sbaraglio ) che lui aveva cambiato disegno ; e mi congedò esortandomi a tornare agli studi , e a lasciare la politica a lui . Difatti mi sono rimesso alla finestra , imparando quel che dirò tra poco . Racconto tutto ciò perché mi sento dire da ogni parte che l ' accordo , stavolta basso e ignobile , raggiunto in extremis a fine giugno da Damabefi è stato « il migliore possibile » . No . La storia di cui ho riferito dimostra di no . La verità è che la sera del 5 aprile 1997 D ' Alema , Berlusconi e Fini avrebbero potuto benissimo incontrarsi in casa di Gianni Letta e accordarsi in un lampo su una buona Seconda Repubblica . Non è accaduto , ma era possibile . Possibilissimo . Anzi , era quasi fatta . Il successo della Bicamerale , un successo vero , era a portata di mano . Invece è stato regalato alle ortiche . Perché ? E importante , in cose importanti , capire come è andata . Guardando dalla mia finestra , quel che sono riuscito a vedere è che D ' Alema ha sbagliato tutto . Lo dico con dispiacere , perché in D ' Alema ho creduto . Dubitavo da tempo , fin dal tempo della vicenda Maccanico , del suo coraggio ; ma ritenevo che avesse una visione , che non fosse un tatticista come gli altri . Così ritenevo . Ma temo di essermi sbagliato . Succede anche a me . Intanto , e per cominciare , D ' Alema ha ingannato tutti coloro che lo hanno insediato alla presidenza della Bicamerale . Soltanto a maggio D ' Alema ci ha detto che la sua linea di azione era ispirata da amore di Ulivo , e che la sua priorità era salvare il governo Prodi . No , onorevole D ' Alema . In tal caso lei non doveva né cercare né accettare la presidenza della Bicamerale . Perché come presidente della Bicamerale la sua priorità doveva essere la Costituzione , la ricerca di un buon accordo costituzionale . Nel gestire la Bicamerale per salvare il governo Prodi , pertanto , lei si è messo in una posizione falsa che ha falsato tutto il gioco . Fra l ' altro , non c ' è bisogno di essere professori per capire che una traballantissima e risicatissima maggioranza di centro - sinistra non poteva essere in alcun modo una maggioranza di riforma . La quadratura del cerchio in partenza non c ' era ; se l ' è creata lei giocando contemporaneamente su due tavoli . Ed è per questo che lei è approdato a un cerchio quadrato , oppure a un quadrato circolare ; insomma , al pasticciaccio al quale è approdato . Ciò premesso , resta da spiegare perché D ' Alema il 4 aprile abbia buttato via un ragionevolissimo accordo che aveva già in tasca e imboccato l ' impervia e assai dubbia via del cosiddetto premierato forte , di un premier quasi - israeliano , quasi - eletto ( e , in sostanza , come - se - eletto ) . Non è che con questa trovata D ' Alema accontentasse Franco Marini e i popolari , avversi a ogni « direttismo » . E nemmeno accontentava , così , Fausto Bertinotti . Accontentava almeno il suo partito , il Pds ? Per quel che mi consta , no . Le resistenze che D ' Alema incontra nel Pds sono di coloro che restano ancorati alla tradizione parlamentarista del partito . Allora , perché D ' Alema si è buttato davvero a corpo morto sul premierato all ' israeliana ? Visto che mi si rimproverava di non capire la realtà della politica , sarò realista : tanto realista quanto lo sono i politici che osservo . Che cosa è successo a D ' Alema ? E successo , dice il mio realismo , che D ' Alema si è promosso al rango del più furbo di tutti . Può darsi , per esempio , che D ' Alema abbia ritenuto che le sue chance di essere eletto presidente della Repubblica erano modeste , mentre il premierato forte era un vestito fatto su misura per lui . Inoltre D ' Alema può aver pensato che sul premier di elezione diretta avrebbe potuto imbrogliare facilmente Berlusconi , e poi ottenere l ' assenso di Fini . Berlusconi , si sa , non ha mai percepito che tra presidenzialismo e premierato ci fosse differenza ; dunque Berlusconi non era un problema . Quanto a Fini , anche lui stava facendo il furbo . Diceva presidenzialismo , ma poi , si sapeva , era pronto a salvare l ' onore anche con l ' elezione diretta del capo del governo . Forse , mentre io ingenuamente giravo le sette chiese , l ' intesa era già , nell ' aria , questa . Non lo so . Ma quel mattacchione di Umberto Bossi è riuscito all ' ultimo minuto a farla saltare . Nel gioco dei furbi , è andata a finire che il più furbo è stato lui . Congetture a parte , quel che è certo è che D ' Alema , pur di ottenere il premierato forte , ha venduto tutto . Soprattutto ha rinunciato a quel doppio turno che per il Pds era vitale . Perché D ' Alema il doppio turno lo ha ritirato fuori soltanto all ' ultimo , per il semipresidenzialismo alla francese . Ma , vedi caso , per il premierato forte non era necessario . E , vedi caso , l ' abbandono del doppio turno andava bene al Berlusconi ispirato da Gianni Pilo , e gli guadagnava il plauso dei cespugli . Non contento , D ' Alema ha anche disperatamente cercato di comprare Bossi , regalandogli tutto il federalismo che in poche notti Francesco D ' Onofrio è riuscito a mettere assieme . Dunque , pur facendo in finale buon viso a cattivo gioco , D ' Alema esce sconfittissimo dalla sua gestione della Bicamerale . Purtroppo ne esce anche sconfittissima la stessa ragion d ' essere di una riforma costituzionale . I davvero contenti dovrebbero essere gli ex democristiani che salvano tutte le loro poltrone , e Bertinotti che potrà continuare a rafforzarsi . Ma gli italiani contenti non dovrebbero essere . La televisione di Stato ( aggiunta , s ' intende , a quella di Berlusconi ) ci ha annunziato il 30 giugno sera che « per la prima volta una commissione bicamerale ha fatto centro » . Cornuti , mazziati e anche soddisfatti . Grazie a questi media , finiremo proprio così .
INIZIO DI ROMANZO ( BILENCHI ROMANO , 1939 )
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La villa era stata costruita oltre la città di P ... , in solitaria aperta campagna ; ma già qualche tempo prima che nascesse Sergio agli abitanti della città doveva essere piaciuto quel luogo se qua e là , senza alcun ordine come vengono i desideri , erano sorte tre ville . Alcune avevano la facciata rivolta al levar del sole , altre guardavano le crete lontane . Forse la loro varia disposizione rispondeva al carattere delle persone che vi abitavano . Tranquillità , soggezione verso la natura i cui segni si ripetono ogni giorno più desiderati dall ' apparire del sole . Istinto di avventura e amore per il creato nelle sue bizzarrie significava fissare le crete poiché da loro provenivano su quell ' angolo di terra effluvi di un mondo chimerico . La facciata della villa guardava le colline dietro le quali si consumava il tramonto e in lontananza aveva a sinistra le crete , a destra e più vicina la città ; ma porte e finestre si aprivano in ogni muro e in egual numero come se il suo costruttore avesse voluto godere di tutte le bellezze circostanti , prossime e lontane . Un viottolo campestre , via via allargato , continuato , rafforzato era stato trasformato in una grande strada che andava da P ... verso il Sud , oltre le crete ; e che ora , da tempo cessato su di essa il lavoro degli uomini , lambiva placida e invitante , il giardino , chiuso da una cancellata resa quasi invisibile da un folto strato di fiori e di piante , sul davanti della villa . Al di là della strada , una trentina di metri più a Sud , era una casa di contadini appoggiata ad un monticello , oltre il quale una piccola valle e poi la catena delle colline . Il giardino si estendeva vastissimo anche dietro la villa , colmo di alberi , senza alcun segno di cinta in modo che pareva continuarsi degradando nei campi e nei prati . Chi veniva da P ... , percorsi tre chilometri tra giardini , orti e campi , si trovava , superata una piccola chiesa detta di Sant ' Antonio , dinanzi alle due costruzioni l ' una quasi di fronte all ' altra ; allora la strada subito dopo svoltava ad un tratto scomparendo dietro la casa dei contadini senza lasciar capire quale fosse la sua direzione ; e il monticello e gli alberi del giardino impedivano di girare quegli ostacoli con lo sguardo . Ma oltrepassato quella specie di valico , il paesaggio si apriva in una immensa pianura circondata per tre quarti dalle colline e dalle crete . Nella pianura , e molte in vicinanza della strada , erano le altre ville . A guardarle dall ' alto delle colline , rade e morbidamente adagiate sul verde della campagna , non spiccavano in modo particolare , ma percorrendo la strada non permettevano di pensare ai prati , alle vigne , agli alberi . Solo un cancello rustico tra due pilastri di mattoni rossi sormontato da una piccola tettoia era bello ; al di là delle sue sbarre si apriva un lungo viale che portava ad una villa accuratamente nascosta da grandi piante verdi . Così avrebbero dovuto essere anche le altre ville ! Quella non disturbava i passeggeri incantati ; anzi introduceva accenni di segretezza , di mistero nel paesaggio tutto aperto sotto il cielo . Pareva che tra tutti gli abitatori della strada maestra solo i suoi proprietari avessero stabilito naturali rapporti con la campagna . Nella villa dinanzi alla casa dei contadini abitavano Sergio , Marta sua madre , Bruno suo padre , la nonna Giovanna e Vera , sorella di Bruno . Possedevano alcuni poderi nella pianura e di quelli vivevano . Quando Sergio fu capace di notare qualcosa della campagna e di comprendere i discorsi dei familiari , le ville sorgevano già ai margini della strada e altrove , esisteva anche la villa in fondo al lungo viale dietro al cancello rustico . Per molti anni nulla sarebbe cambiato . Non una casa nuova . I signori , iniziata l ' invasione della pianura , dovevano essersi ingelositi delle bellezze di quel luogo meraviglioso e ne avevano impedito agli altri il godimento . Il primo contatto di Sergio con la natura avvenne attraverso le colline . Seppe poi che anche prima di allora lo avevano condotto per la campagna ma non se ne ricordava per la sua età infantile . Presto le colline stabilirono l ' amicizia tra Sergio e la natura . Soli , per mesi e mesi , Sergio e Marta salirono lassù tutti i pomeriggi . Poi Sergio si ammalò gravemente . Un intero anno passò in letto . Lo portarono al mare ; e l ' inverno successivo rimase chiuso nella villa . Infine il dottore gli ordinò di girare di nuovo per la campagna . Il babbo lo condusse allora a piedi e in carrozza , nei luoghi da lui preferiti . Una volta si spinsero fino alle crete , partendo la mattina prestissimo . Poi quelle gite cessarono . Il babbo non andò più a prenderlo ; ma un giorno in un ' ora insolita , comparve Marta e insieme fecero di nuovo una passeggiata sulle colline . Tutti i pomeriggi tornarono lassù . Delle gite in compagnia del babbo , eccettuata quella nelle crete , Sergio non rammentò quasi nulla . Anche le cose di cui serbava una immagine le credeva assai più lontane di dove arrivava la sua vista , esistenti oltre l ' orizzonte . Fu da capo tutto nuovo per lui . La strada per le colline incominciava dietro la casa dei contadini ; qui erano cani cuccioli morbidi come piccole oche che Sergio rivide con meraviglia . Della città Sergio sapeva soltanto che vi abitavano i nonni materni i quali , ogni tanto , andavano alla villa . Qualche volta Sergio aveva accompagnato Bruno , Marta e Vera in città ad un caffé situato in una grande piazza . Bibite rosse e una banda che suonava su di un palco vicino ai tavolini . Tutto gli era piaciuto . Un giorno , subito dopo la guarigione , aveva sentito dire che sarebbe andato a stare in città dai nonni per la scuola , ma la sua gracilità aveva impedito l ' attuazione di quel progetto . Marta e Vera gli avrebbero insegnato piano piano a leggere e a scrivere , poi una maestra sarebbe andata alla villa per portarlo avanti negli studi . Soltanto dopo avrebbe potuto , fortificato da altri anni passati in campagna , frequentare la scuola in città . Da allora i rapporti di Sergio con la città erano di attesa . Appena intravista , egli sapeva che in un futuro imprecisato ma certo vi avrebbe iniziato una vita diversa e se la immaginava come un oggetto da possedersi più tardi . Il tempo passò , Marta e Vera incominciarono a insegnargli a leggere e a scrivere , gli lessero esse stesse libri interessanti , ma la maestra non comparve mai alla villa e non si parlò più della scuola . Dei poderi di proprietà della nonna e del babbo Sergio sapeva ancor meno che della città ; nessuno ve lo aveva condotto ; Vera e Marta vi alludevano con gesti di noia . Non sapeva neppure dove fossero situati . Dalle colline , una volta , Marta aveva puntato il dito verso la pianura dicendo : - Vedi quella macchia sulla strada ? È il babbo che va in carrozza a visitare i poderi . Sono dietro l ' ultima casa bianca . - Sergio era appena riuscito dopo molto tempo , data la sua incapacità di fissare lo sguardo su un solo punto della vasta campagna , a scoprire la carrozza che procedeva a stento sulla strada come un insetto meschino . Ai poderi accudivano il babbo e la nonna . Il babbo vi andava quasi ogni giorno e alla vendemmia e alla divisione degli altri raccolti tentava di portarci anche Marta e Vera ; ma quelle non ne volevano sapere . Stavano a discutere lungamente dinanzi alla carrozza e appena la nonna voltava loro le spalle facevano gesti minacciosi a Bruno perché desistesse dai suoi insistenti inviti e dalle accuse di disinteresse . Il babbo fingeva di non accorgersi dei loro gesti e parlava sorridendo , divertito della loro rabbia a stento repressa . Sergio conosceva solo i contadini che si recavano alla villa coi panieri pieni di erbaggi e di frutta . Più grande , l ' idea di andare in un posto di sua proprietà in mezzo all ' ampia pianura gli divenne insopportabile come se dovesse entrare in una stanza con le finestre chiuse quando oltre quelle si apriva un magnifico paesaggio . Nonostante le ville e le case dei contadini , aveva sempre pensato che la campagna non fosse stata di alcuno ; e non si spinse mai fino ai poderi . A lungo , la parte più importante della sua vita si svolse sulle colline .
D'ANNUNZIO II. Si murò vivo in un monumento ( Bianciardi Luciano , 1963 )
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Inutile negarlo : al Vittoriale tu arrivi prevenuto . Troppi gli amici che ti hanno messo sull ' avviso : vedrai la retorica , la bolsaggine , il cattivo gusto ! Vedrai i soldi sperperati ! Pensa , monumento nazionale sin dal 1925 , con dentro lui , vivo . S ' era lasciato seppellire da Mussolini e senza nemmeno soffrirne troppo . Infatti , pensi tu quando la macchina si arresta sullo spiazzale e guardi l ' ingresso . « Io ho quel che ho donato » , leggi per prima cosa . Esatto , pensi : di questa roba egli fece dono agli italiani , ma ci rimase dentro , e gli italiani gli pagarono tutto quanto , la terra , gli immobili , le aggiunte successive , che non finivano mai . Con quest ' animo paghi le duecento lire del biglietto e prendi su per il viale selciato a « cubi porfirici » , come diceva lui . Ed ecco la retorica , pensi , quando la guida ti spiega come quel gran pennone con in vetta una vittoria alata e dorata riproduca la forma di un pilone di ponte sul Piave . Vero , constati , ma lì per lì non te n ' eri accorto , perché stavi guardando altro . La vegetazione , per esempio , che qui è ricca , varia , d ' un verde sempre intenso ma sfumato dal cipresso all ' ulivo al nespolo all ' edera al magnolio . Il terreno digrada verso il lago , che in un mattino piovigginoso , come oggi , è d ' un chiaro quasi bianco . Certo , se volgi gli occhi attorno vedi archetti , colonne , pennoni , capitelli , un sarcofago grigio e massiccio , un obice da centocinque , fontanine , oblò , vetri colorati , nicchie . Vedi un mucchio di roba , che però non rompe la bellezza del panorama e anzi ne è soggiogata , ingentilita . Insomma , su tutto l ' hanno vinta i cipressi svettanti , o il grande pino contorto e antichissimo che sta nel « cortile dalmata » . Lì accanto c ' è il pennone massimo , che ha per base due mole da frantoio , e per ornamento otto mascheroni slavonici , di pietra . Lo sguardo rimane incerto fra pino e pennone , e alla fine tu pensi che va be ' , non è mica poi tanto brutto . Non è mica tutta retorica , pensi adesso ; insomma , ci si potrebbe anche campare , forse bene . La villa di Cargnacco , che D ' Annunzio comprò nel 1921 , era questa fetta centrale , ora coperta da una quarantina di stemmi in pietra , di tutte le grandezze e con tutti i motivi : ci sono cani , draghi , palle , teste , alberi , gladii , fiori , aquile e putti . Quando lui fece l ' acquisto era una villa campagnola , d ' una certa eleganza solenne e discreta e ci abitava un critico d ' arte tedesco , Heinrich Tode , genero di Wagner . Solo questa fetta : nelle fotografie di allora ha un aspetto a metà fra la fattoria e la pieve , tanto vero che il Comandante la battezzò , scherzando , « la calonica » , e subito si accinse a cambiarla . Adesso gli edifici formano un quadrato di vuoti e pieni , attorno al cortile dalmata : muri , finestre , portici , altane . Ecco lì la FIAT tipo 4 della marcia da Ronchi , scura , con la leva del freno sul predellino , e i fanali ad acetilene . Non è eroica . E lassù , in una sala rotonda dove si tengono anche le commemorazioni , appeso col fil di ferro al soffitto , l ' aereo del volo su Vienna : è uno SVA di compensato e seta , con il leone di San Marco in rosso e oro ( « iterum rudit leo » dice il motto ) e sulla coda le sette stelle dell ' Orsa in campo azzurro : sette come furon sette gli aerei che , degli undici partiti , giunsero sulla capitale austriaca . Nemmeno questo è eroico , ormai : sembra un gran farfallone infilzato a mezz ' aria , fragile e rinsecchito , come polveroso . Non sono eroici nemmeno i giardini privati , nonostante i macigni alpestri , ciascuno con scritto in rosso il monte d ' origine : Veliki , Sabotino , Podgora , Carso e così via , e frammezzo una mitragliatrice ( raffreddamento ad acqua , pensi ) , proiettili , elmetti , e un san Francesco stilizzato che apre le braccia verso la finestra della Zambracca , la stanza dove morì di emorragia cerebrale il Comandante . Non sono eroici perché anche qui la vegetazione domina su tutto : nel boschetto dei magnolii incontri un fossatello , e per superarlo c ' è una lastra di marmo , scritta : « Strepitu sine ullo » , dice da una parte , e dall ' altra : « Sordida pellit » . Spiega la guida che gli indesiderati , i malevoli , dovevano restare di qua , nel sordidume , mentre i fedeli , senza far chiasso , giungevano sino all ' arengo , cioè ad una serie di belle panche in pietra scolpita , con alle spalle , fra magnolii folti , ventisette colonne . Il Comandante riceveva qui reduci , compagni d ' arme , belle donne , Mussolini , Cicerin , Umberto di Savoia , e intratteneva tutti con le sue alate concioni , con le sue squisite arguzie . Racconta Dario Niccodemi d ' essere rimasto quattordici ore , fra arengo , cortiletto degli schiavoni , portico del parente ( il parente sarebbe Michelangelo ) , affascinato e divertito , da non accorgersi che il tempo passava . Ora comincio a non dubitare che ci saremmo divertiti anche noi , tanto doveva essere ricca e variata e bislacca la conversazione d ' un uomo che poteva appigliarsi a tanti particolari in mostra , a tante minutaglie eterogenee e stravaganti . Infatti nel cortile e nel portico non c ' è palmo di muro che non rechi infisso un medaglione o una testa , o un paio di corna bovine , una clessidra , una campana , un lampione , una testina , una maiolica , un ' epigrafe , un ' anfora , un motto , un cartiglio . Ciriaco Marini , oggi guardiano ma allora muratore al Vittoriale , mi precisa che il Comandante , in compagnia del suo fido architetto Maroni , presiedeva ad ogni cosa : diceva lui voglio qui questo , lì quello , così va bene e così no . Era attivissimo , esigente , preciso , piccolo , asciutto , gran camminatore , generoso , cordiale , aristocratico e perciò populista . Giù verso l ' Acqua Pazza , per esempio , un giorno stavano sistemando una piaggia a gradini . Arrivò in visita il Comandante , sempre in compagnia del Maroni , e con le sue gambette di vecchio non ce la faceva a superare lo sbalzo del terreno . Si rivolse all ' operaio Betta : « Dammi la mano » , comandò con quella voce acuta ( « Pareva una cornetta » , spiega il guardiano ) . Ma il Bella non voleva , si scherniva : aveva la mano sporca di terra . « Dammi la mano » , strillò D ' Annunzio . E poi , a monito : « Ricordati , la mano di un operaio giammai sarà sporca » . I guardiani d ' oggi ( portano una divisa , ma in estate , con le insegne del principato di Montenevoso ) ricordano parecchie cose e sanno dirti a memoria il nome di tutto . Perché qui tutto ha un nome : viale d ' Aligi , Acqua Pazza e Acqua Saggia , cortiletto degli schiavoni , portico del parente , fontana del delfino , Pilo del « dare in brocca » , edicola di San Rocco , colonna dei giuramenti , cortile dalmata , torre del belvedere . È una toponomastica che basterebbe per un quartiere cittadino , e invece si riferisce a poche spanne di terra . E continua e si infittisce e si accavalla e prolifera dentro casa . Qui il pubblico non può entrare , e si capisce perché : più di tre persone alla volta non ci si muoverebbero , e io che sono grosso ho sempre paura di rompere qualcosa . Immagina ora d ' essere ospite del Comandante . Arrivi alla porta , e un ' epigrafe ti ammonisce : « Clausura finché s ' apra , silentium fin che parli » . Aprono la porta , e vedi due leoni d ' oro , sette scalini rossi , un andito scuro di noce vecchio , una colonna e due busti . Ti fanno accomodare nell ' oratorio dalmata , che è proprio un oratorio coi suoi scanni e i cuscini rossi , i turiboli , gli ostensori , le croci , i reliquarii , le statue dei santi , e appesa al soffitto l ' elica dell ' aereo di De Pinedo . E non sai cosa guardare . E se ti ammettono alle altre stanze , cresce questa sensazione , questo principio di capogiro e di soffocazione asmatica . Perché ogni stanza è tappezzata , ovattata , imbottita , straripante di oggetti : su un tavolo foderato di rosso , dinanzi a un tabernacolo d ' oro , il volante spezzato del pilota inglese Seagraves . Per terra cuscini e una pelle di leopardo , e accanto , dal pavimento a l soffitto , una piramide di statue : si comincia con due gatti di porcellana , e si sale , traverso Budda e Visnù e Krishna e non sai più che altro , fino alla Madonna col Bambino , di legno colorato . È la scala delle religioni , ti spiegano , e la scritta precisa : « Tutti gli idoli adombrano un dio vivo , tutte le fedi attestan l ' uomo eterno , tutti i martiri annunziano un sorriso » . Nella stanza del mappamondo , insieme ai tavoli e alle statue e ai libri , trovi un organo , il globo enorme che dà nome all ' ambiente e una mitragliatrice Schwartzlose , preda bellica . Le luci sono tutte smorzate , rosate , rossastre , giallicce , verdine , bluastre . La sala del lebbroso , la più famosa , contiene , accanto a un letto - culla - bara coperto di seta nera con scritte latine in oro , una statua di giovinetto nudo in legno chiaro . Tu muovi con crescente cautela e non senti il rumore dei tuoi passi , per i continui tappeti che si susseguono sovrapposti agli orli . Saranno più di mille . E ogni stanza ha il suo nome d ' invenzione . Nella stanza della Zambracca ( in veneto significa , se non sbaglio , « cameraccia » ) c ' è un fornitissimo armadio di medicinali ( ultimamente il poeta aveva gran paura delle malattie ) e il guardaroba , dove stupisce il gran numero delle cravatte a farfallino . Un appunto del poeta ti dice che anche ai « servizi » doveva toccare il nome , in latino : bibliothecula stercoraria , balneolum vetusculum , cellula vinaria et dearia . La stanza della Cheli prende nome da una tartaruga enorme che sta sul tavolo da pranzo . Quest ' animale morì per una indigestione di tuberose , ma il poeta la volle ancora : il guscio è il suo , dorato , la testa e le zampe le rifece in bronzo , pure dorato , lo scultore Bronzi . Ora , si pensi che D ' Annunzio fece mangiare a questo tavolo Umberto di Savoia e Mussolini , con a capo tavola la tartaruga Cheli . Se riesci a dominare il senso di vertigine che a questo punto t ' ha preso , non eviti un dubbio : faceva sempre sul serio , il Poeta ? Perché di solito , lui così parco , mangiava giù , solo , nella Zambracca , e a tavola con la tartaruga ci andava solo in compagnia di ospiti illustri . Ancora : entri nel bagno , a fatica rintracci vasca , bidet e lavabo , di maiolica blu , annullati dal carico di anfore , uccelli , piatti , mattonelle , teste , frutti finti , ampolline , teche e fotografie ( più di duemila pezzi , avverte serissima la guida ) . Guardi sul tavolino , e in bella mostra vedi e conti almeno dieci spazzole pei capelli . E tutti sanno che D ' Annunzio era calvo . Qualcuno mi dice : possibile dormire avendo ai piedi del letto un calco in gesso del Prigione di Michelangelo ? Giusto : ma non si dimentichi che questa enorme statua porta alla vita un pezzo di damasco dorato che gli fa da gonnella . È questo un modo serio di trattare un artista venerato e per giunta « parente » ? Né si scordi , per esempio , che lo scrittoio del monco , con quella rossa mano mozza sopra l ' architrave , serviva a raccogliere la posta inevasa , le lettere dinanzi alle quali Gabriele sentiva cader giù la mano , lettere di seccatori , postulanti , creditori . E oltre tutto in queste stanze D ' Annunzio non lavorava : e chi ci riuscirebbe ? Al piano di sopra c ' è l ' Officina , cioè lo studio . Se da questa stanza leviamo la copia d ' una Vittoria , qualche calco , qualche fotografia , potrebbe sembrare lo studio di uno scrittore qualunque . È di legno chiaro ; la luce basta per leggere , lo scrittoio è piccolo ( non si lavora bene sui tavoli grandi ) , i libri sono ben disposti , a portata di mano ; rigorosamente allineati , accanto ai numerosi dizionari ( l ' imaginifico non tirava mai a indovinare , quanto alle parole ) ecco i volumi d ' una storia economica della Toscana : quando morì , mi spiegano , stava lavorando a una vita di Santa Caterina , e voleva documentarsi a dovere . E in tutta la casa non trovi un libro inutile : i trentamila volumi formano una biblioteca strumentale , e non ripetono affatto le stramberie degli altri oggetti ; non vedi nemmeno un incunabolo , né un ' edizione pregiata . È la biblioteca d ' uno studioso , non d ' un bibliofilo estetizzante . Insomma al tavolo di lavoro D ' Annunzio diventava serio . Qualcuno dei guardiani ricorda che era capace di restarsene a sedere per dodici , quattordici ore di fila . Preoccupati , essi ogni tanto spiavano questo faticatore della penna , e allora vedevano sulla testa calva una vena gonfiarsi e tendersi come una corda , per lo sforzo . Lavorava sodo , dimentico di tanta paccottiglia che gl ' ingombrava le stanze di sotto . Certo , non era più lui : passata la sessantina , aveva dato il meglio di sé , e adesso gli restavano i progetti di altre quaranta opere che non scrisse mai , ma che promise al suo editore . Esaurita la vena dello scrittore , conclusa la vita eroica di Buccari , di Vienna , di Fiume , adesso la sua avventura diventava di estetica quotidiana . « Tutto qui è dunque una forma della mia mente , un aspetto della mia anima , una prova del mio fervore . » Era sincero . Ma doveva fare i conti con un doppio rischio . Ecco il primo . Girando per queste sale io mi chiedevo quale poté essere il gusto di D ' Annunzio verso le arti figurative . E constatavo che in casa non esiste un quadro né una statua di pregio . I calchi michelangioleschi , così bianchi , enormi , e gessosi , sono orrendi . I quattro o cinque quadri del Previati che oggi , ben illuminati , stanno nella camera di Schifamondo , par che non gli piacessero , e infatti li aveva relegati in una specie di magazzino . Il gusto delle maioliche orientali dunque ? Non lo apparenta forse a certi decadenti inglesi , a Whistler , a Rossetti , a Howell , fanatici del blue china ? E i disegni del De Carolis ( fece tutti i suoi frontespizi ) non saranno forse l ' equivalente delle illustrazioni che tracciò Aubrey Beardsley per le opere di Oscar Wilde ? Nemmeno questo convince . E forse la risposta giusta è che D ' Annunzio non ebbe mai un preciso gusto figurativo ; che questi oggetti servivano , come suol dirsi , a creare l ' atmosfera , a sollecitare la fantasia ; che ebbero un valore più tattile , più vellicatorio che visivo . Secondo rischio . In un certo senso , il Vittoriale è davvero degli Italiani : esso infatti ospita tutto quel che gli italiani regalarono a D ' Annunzio . Una pera di vetro , una pina secca , un satiro in stile Novecento , un palloncino di carta , una pietra consacrata , una camicia sporca di sangue : non sempre fu lui a mettersi in casa questa roba . E poté accadere che non sapesse sbarazzarsi d ' un dono , far piazza pulita degli oggetti inutili , o di quelli brutti . Poté accadere , all ' inverso , che donasse ad un visitatore oggetti di pregio autentico . Lui stesso dovette accorgersi di questo progressivo soffocamento quando decise di « schifare il mondo » ( e cioè quel mondo , quelle pere di vetro , quelle zucche luminescenti , quei pugnali ) e trasferirsi a vivere lì accanto , in due sole stanze , brutte quanto si vuole anche esse , ma perlomeno non più attuffate da tanta paccottiglia . Schifamondo , disse lui : una camera da letto scura , arredata nello stile che fu degli anni Trenta , con più i calchi giganteschi , a capo del letto un occhio d ' oro , con l ' insegna « per non dormire » . Le luci piovono dal soffitto smorzate e opalescenti ; l ' effetto complessivo è funereo , ma d ' una certa solennità . D ' Annunzio su quel letto non riposò mai , se non dopo morto . Lì lo vide per l ' ultima volta Mussolini , poi lo esposero alla folla sotto il portico del cortile dalmata , e infine lo sotterrarono ( no , non in piedi , mi dice l ' ex muratore Ciriaco Marini , che era presente ; no , disteso come un cristiano qualunque ) . Adesso il corpo di Gabriele è in una nicchia abbastanza semplice dell ' Esedra : il nome , un pugnale , la corona dell ' Accademia d ' Italia , la terra di Pescara , l ' acqua del Piave . Sta lì di fronte alla casa . Ma c ' è chi non vorrebbe lasciarcelo . Nel 1940 cominciarono i lavori per l ' erezione del Mausoleo , che è più grande di tutti gli altri edifici messi insieme . Sta in cima al poggio che guarda la prua della nave « Puglia » ( sempre lì in attesa di salpare , ma non si muove mai , purtroppo ) . È a pianta circolare , con balze successive ornate da pochi stenti ulivi che non vogliono attecchire . Bianche scalinate portano da una balza all ' altra , e sul cerchio più alto si levano dieci arche spigolose , e un ' undicesima sta al centro , in mezzo a una specie di vasca , più alta di tutte . Lì vorrebbero mettere D ' Annunzio , circondato da dieci eroi fiumani ( sette già ci sono ) . L ' architetto Maroni , che qui e altrove fece cose non indegne , stavolta si lasciò prendere la mano dal gusto littorio dell ' ossario imponente e falso . Il mausoleo è brutto . È una cattiveria contro la dolcezza del paesaggio . Per fortuna non è stato mai finito , e speriamo che non sia mai . Dopo tutto un mausoleo per D ' Annunzio non serve . Esiste già . È quello , il Vittoriale . Teniamolo così : un monumento patetico , che costruì per se medesimo un uomo vecchio . Entriamoci a guardarlo con la pietà che dobbiamo a un nostro nonno . Era un nonno strambo , ma a suo modo geniale .
CONFORMISMO LETTERARIO ( GATTO ALFONSO , 1938 )
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L ' atteggiamento dell ' intellettuale di fronte alla letteratura si traduce , spesso , nella creazione di uno spazio vuoto in cui egli consuma impunemente la propria indifferenza storica . La " precisione dei metodi " , valida ancora come difesa dell ' arte contro " i cattivi artisti " , corre il rischio di divenire un alibi con cui il letterato proscioglie se stesso da ogni obbligo morale e civile . In questo contesto , l ' unica via di uscita , secondo Gatto , sembra consistere nel rifiuto di una letteratura conformistica , ripetitiva di formule già acquisite , e nella scelta coraggiosa di una " espressione " nuova , la quale sia in grado di cogliere immediatamente la " nostra dolorosa storia di uomini " . Solo attraverso la spregiudicata ricerca di una " difficoltosa sintassi " è possibile tradurre nella letteratura il segno qualificante del nostro tempo . Bisogna andare al fondo di noi stessi , convincersi che in qualche mese di praticantato è possibile trovare il passo letterario con cui mettersi in gara con tutti gli scrittori che si preoccupano di mantenere una media delle proposte con cui s ' incalzano e non si risolvono da anni . Occorre che finalmente si dica che è inutile la difesa del fatto letterario , se l ' intelligenza dell ' arte , come iniziativa di interesse vero e diretto , spetta a pochissimi , se la precisione dei metodi , come impegno mantenuto principalmente contro i cattivi artisti , è svolto fino alla salvezza dall ' ambiente con tutta la possibile e inavvertita reazione alla storia che dovremmo portare a fondo . Ormai tutti declamano la propria ambizione di difendere quel " fatto letterario " in cui trovano l ' unica condizione passiva per vivere : si crede di poter mantenere approssimativamente un mito liberale di storicità ripetendo il bisogno di un ' assuefazione polemica , reagendo costantemente al bisogno di una propria vita morale e sociale ritardata e difficoltosa rispetto alle facili regole e alle forme già acquisite di una letteratura . Non ci si accorge che giriamo al largo per non incontrarci mai , per non provare nemmeno sgomento di noi stessi e della nostra indifferenza storica : non ci si accorge che , puntualmente onesta e determinata , questa difesa del fatto letterario ripete dall ' esterno un grado di civiltà che soltanto pochissimi scrittori hanno posto con la propria espressione e non con la propria definizione . Questi scrittori , in fin dei conti , dovrebbero assicurare una vita polemica e media ai sostenitori e ai " secondi " : dovrebbero restare combinati per un tempo indeterminato nello spettacolo letterario , nella gara dei detrattori o dei ritardatari , o nella zelante difesa di quanti da essi ricavano solo un modello di stile o un nobile esempio di condotta lessicale . Questo metodismo , sia pure avverato nella precisione di una critica in atto , potrebbe restare all ' infinito una condotta storicistica per i lettori che cooperano a conservare se stessi , ripetendo sterilmente , nella formula dei doveri e delle situazioni riflesse , la mancanza di una propria coscienza diretta e il bisogno di una determinazione nei valori riconosciuti passibili di imitazione e di contagio , cioè di ambiente . Così il fatto letterario resta la sordina storicistica della poesia , la vetrata diffusa ed immaginosa di un linguaggio alienato per sempre dagli scrittori . Inavvertitamente le precisioni puntualizzate restano sempre una verifica nello stesso tempo astratta ed empirica delle somiglianze temporali dei testi : ed una mostruosa necessità di coscienza e di logica dovrebbe scaturire da questo sterile accordo formale ? Individualmente presi e costretti nella verifica di noi stessi e della nostra coscienza resisteremo sempre a definirci in un fatto letterario , rinnegando la nostra dolorosa storia di uomini , che è la stessa difficoltosa sintassi e l ' unica elaborazione condotta e scontata su un tempo concreto e valido ? I nostri contemporanei dovranno rispondere a questa domanda ogni volta che troveranno facilmente la via di un gusto su cui sembra conformato per sempre il nostrodestino .
D'ANNUNZIO III. Le donne che non amò ( Bianciardi Luciano , 1963 )
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« La cosa che donna M . temeva è ormai una certezza . Bisognerà trovare un mezzo per rimediare prontamente ... La madre finora non sa nulla : dubita soltanto . Il caso è stranissimo . Io prima avrei giurato che non poteva essere . Tu che pensi ? Che mi consigli ? » Così scriveva Gabriele al padre nel maggio del 1883 . È la tipica lettera del giovanotto meridionale salito in città a fare fortuna che ha « commenato ' o gliommere » , cioè ha combinato il pasticcio e ora non sa più a che santo votarsi : sbalordito , teme le ire del padre suo , della madre di lei , teme le chiacchiere di amici e conoscenti , ma al tempo stesso , sotto sotto , si compiace della sua grossa avventura . Donna M . , e cioè Maria Hardouin duchessina di Galles , era incinta . La nobiltà romana , da lei impersonata , gli aveva ceduto a tal punto . Una nobiltà di mezza tacca , certo : il padre di lei , Jules Hardouin , era sottufficiale degli ussari . Accantonato col suo plotone al pian terreno di palazzo Altemps , aveva sedotto la vedova del duca di Gallese , l ' aveva sposata e papa Pio IX gli concesse allora la nomina a sottotenente . Non solo : la duchessa sedotta e impalmata ottenne dal pontefice anche il passaggio del titolo nobiliare al suo aitante ex sergentone . E ora quel titolo , grazie a una seconda seduzione , veniva a ornare la nomea del giovanissimo Gabriele . Quel bel ragazzino biondo , ricciuto , piccoletto , capellutissimo , dagli occhi azzurri , era evidentemente destinato a far carriera . Gli amici romani del Fanfulla , della Cronaca bizantina , e infine della Tribuna , ne erano anch ' essi , a modo loro , sedotti , e se lo coccolavano , se lo portavano dietro a mangiar pane e ricotta , a pellegrinare sull ' Appia antica , a recitare a gran voce un ' ode carducciana . « In lui era tanto spontaneo il senso della barbarie e tanto curiosamente commisto a una nativa gentilezza di donna , che lo avresti detto una di quelle querce educate al tempo del barocchismo e potate in guisa da dar sembianza d ' una qualche cosa poco selvatica . » Sono parole di Eduardo Scarfoglio , che di lì a poco doveva scoprire , con appassionata disillusione , quanto poco barbara fosse la sua giovane amica quercia pescarese . Gabriele , che sino ad allora girava con la chioma irsuta , senza cravatta , con indosso una stenta giacchetta , si trasformò rapidamente in un damerino , accolto in tutti i salotti e in non poche alcove . La prova eccola lì , donna Maria incinta , il matrimonio irrevocabile , i parenti di lei sdegnati ma pur sempre costretti ad accettare gli sponsali , e a trovare per Gabriele un posto degno e sicuro : cinquecento lire alla Tribuna , per redigere la cronaca mondana . Ora Gabriele lanciava una firma che avrà fortuna , Duca Minimo , prendeva lezioni di cavallo e di scherma , che gli saranno assai utili in un paio di duelli , cominciava a far debiti , entrava nel suo turbinoso giro di avventure galanti . « La giovinezza mia barbara e forte in braccio de le femmine si uccide » . Olga Ossani era una cronista mondana , e si firmava Febea : più anziana di Gabriele , precocemente canuta , spregiudicata , avviò lei questo amorazzo redazionale , e guidava il suo giovane amico , padre da poche settimane , nell ' « alta selva » di Villa Medici , e gli insegnava certi suoi strani riti paleocristiani . Nel Piacere la Ossani si chiamerà Elena Muti , e il suo amore con Gabriele durerà esattamente quanto l ' amore di Elena per Andrea Sperelli . Ma il libro fu dedicato alla moglie : è già cominciata una specie di staffetta , per cui sul frontespizio del libro figura il nome della donna abbandonata , mentre il nuovo amore ne costituisce la materia . Eduardo Scarfoglio è ormai un ex amico e diventa critico mordace : « Risaotto al pomidauro » , scrive sul Corriere di Roma , all ' uscita dell ' Isaotta Guttadauro , e i due scendono sul terreno , spada alla mano . Proprio Scarfoglio gli aveva fatto da padrino nel primo duello , con un certo Magnico : ferito di fendente alla testa , il medico lo curò con una soluzione di cloruro di ferro , che bastò a fermare il sangue , ma anche gli bruciò il bulbo dei capelli , avviando già da allora la rapida calvizie del poeta . Il nuovo amico adesso è Adolfo De Bosis , che organizza una crociera argonautica . Sopra un panfilo a vela , la « Lady Giare » , innalzando la bandiera di Shelley , bianca e azzurra con tre conchiglie , salparono da Ortona , decisi a far cabotaggio lungo la adriatica , fino a Venezia , a Trieste , a Fiume , e poi giù giù verso Spalato , Zara e Gattaro ( luoghi che entrano adesso nella poetica dannunziana ) . Portavano con sé tappeti persiani e vasellame d ' argento , e a ogni porto scendevano a terra per prepararsi il tè . « Mo arriveno li ggiochi » , dicevano i pescatori abruzzesi e marchigiani al veder stendere quei tappeti , convinti che fosse una compagnia di saltimbanchi . Avevano scelto la ciurma con un criterio estetico , e cioè s ' erano presi due marinai dal nome sonante . Ippolito Santillozzo e Valente Veniero . Purtroppo l ' uno non aveva mai navigato a vela , l ' altro era un mezzo deficiente , e fu così che la « Lady Giare » dopo Rimini perse la rotta , e il vento la portava al largo . Li salvò , per loro buona sorte , una nave da guerra che incrociava da quelle parti , e li rimorchiò a Venezia . Gabriele ebbe lì la notizia della nascita del terzo figlio ( che battezzò Veniero ) , ma non si mosse . Aveva mandato via anche Barbara Leoni e adesso pensava solo a discutere di problemi navali con certi ufficiali della « Barbarigo » . Degli amori con Barbara Leoni dava un resoconto quasi cronistico nel Trionfo della Morte che uscì nel 1887 , quando già era cominciata una storia d ' amore nuova , con la nobildonna napoletana Maria Gravina Cruyllas . A lei è dedicato L ' innocente , che pure ha per protagonista , ancora , Barbara , anzi contiene , ricopiati pari pari , interi brani di lettere a lei . A questo punto tu cominci a pensare che a Gabriele importasse più la letteratura che le donne . « Se veramente pel mio letto passassero tutte le donne che don Giovanni sognava » , scriveva a Barbara addolorata e offesa , « tu dovresti esserne quasi lieta alla fine : perché tutte certamente , certamente , mi lascerebbero il rimpianto e il desiderio furioso di te » . Certi biografi affermano che la Barbara Leoni fu il più grande amore del poeta . Altri danno il primo posto alla Eleonora Duse . Ma chi segua questa catena di storie che si accavallano e si confondono e sfumano l ' una nell ' altra senza visibili differenze , è indotto a concludere che grandi amori nella vita di D ' Annunzio non ce ne furono , e che egli anzi soffrì d ' una innata incapacità di affetti profondi . E che non ebbe neanche una profonda sensualità . Infatti una sensualità autentica presuppone sempre una radice interiore di impegno morale , che D ' Annunzio non ebbe mai . Nei rapporti con le donne , e così con gli animali e con gli oggetti , D ' Annunzio portò una sensibilità acuta , anche esasperata , ma sempre epidermica . Vagheggiò il piacere come esperienza tattile , olfattiva , visiva , non di più . Fu tutto pelle , tutto vellicamento , e portò al parossismo quest ' arte . Ha scritto il Croce che egli fu « dilettante di sensazioni » . Non sta a noi dire qui se è veramente così . Ecco come racconta il ritorno da una cavalcata peri poggi intorno a Settignano : « Balzavamo di sella , su lo spiazzo , palpando il collo della bestia generosa col guanto inzuppato . I garzoni accorrevano ... Il palafreniere curvo su la lettiera asciutta , con una manciata di paglia per ogni mano , e quello che tuffava la spugna nella secchia tenendo la coda o il piede , ognuno accompagnava la bisogna con un certo soffiare ch ' era come un suono lieve di persuasione e di blandimento ... Di posta in posta , palpavo con la mano senza guanto la spalla le reni l ' anca per sentirle asciutte ; e più d ' una volta eccitavo lo zelo con l ' esempio , in gara di prontezza , ché tu sai quanto mi piaccia fra i destri essere più destro » . Come si vede , il lavoro degli uomini è guardato solo in quanto occasione che mette in rilievo un bel gesto , un bel contrasto visivo o sonoro , e gli animali si riducono a sensazione tattile , assaporata sottilmente ( prima col guanto e poi senza ) . Anche il figlio neonato , la prima volta che lo vede , gli suscita sensazioni di questo tipo : « È una cosa molle , rosea , calda , palpitante , che a volte si muove tutta e ha degli annaspamenti di ragno , delle grazie di scimmia giovane , degli accenti talora bestiali , talora sovrumani » . E quando una sua nuova amante , la Alessandra di Rudinì , la « Nike » ammalata , dovette subire tre operazioni , lui volle essere presente , e così racconta : « Non so quale ebrezza di volontà m ' infiammi e moltiplichi le mie forze ... Per la terza volta ho tenuto nelle mie mani le mani della vittima mentre la sua anima si profondava nel buio , sotto la maschera del cloroformio ; e m ' è parso di assistere a tre agonie e ho udito salire da ciascuna parole inaudite , parole che non possono essere dette se non alla soglia della morte ... » . Anche un corpo sofferente e dilaniato diventava ragione di godimento epidermico . Era veramente un dilettante di sensazioni , che nulla si negava pur di accrescere questo suo estetico diletto . La casa della Capponcina , con ventun servitori , otto cavalli e trentanove cani , stracolma di oggetti , di mobili antichi , di stalli da oratorio , di cuscini , di tappeti , turiboli , ferri battuti , damaschi ( una prefigurazione del Vittoriale ) , sta a provare quel furibondo bisogno del superfluo , necessario a lui quanto l ' aria che respirava . Già allora correvano sul suo conto le voci più strane , e lui non faceva nulla per smentirle , anzi non di rado le metteva in circolazione , un po ' per burla , un po ' sul serio . Ad ognuna delle sue numerose cadute da cavallo , qualche giornale stampava che D ' Annunzio era morto . Alla villa di Settignano , diceva la gente , D ' Annunzio beve filtri d ' amore nel cranio d ' una vergine . E indossa pantofole di pelle umana . E sostiene il suo declinante vigore mangiando carne di neonato . Cavalca nudo sulla spiaggia di Bocca d ' Arno , in compagnia di una Diana caucasica , matta della più nera mattezza slava . La slava matta , un amore brevissimo , era Natalia Golubev , alta , bionda , formosa . E se , come abbiamo visto , tornando da una cavalcata sostava ad ammirare il bel gesto d ' un palafreniere , finita la suggestione estetizzante , il prossimo gli diventava all ' improvviso odioso , meschino , vile e repellente . Un giorno in pretura per una causa da lui stesso promossa , lo ricorda così : « Cara contessa , sono rimasto fino a mezzogiorno e mezzo nell ' orrendo fetore del prossimo . E debbo tornare in pretura alle tre ! Mi compianga » . Era la causa contro un contadino di Settignano , certo Volpi ; colpevole di aver ucciso con un colpo di vanga un cane del D ' Annunzio , che faceva strage di galline nei pollai dei dintorni . Il poeta ne parla con accenti quasi ebbri : « Io sono stato accolto con pazza gioia dai miei cani innumerevoli , che sono il terrore del vicinato . Nella mia assenza hanno trucidato una cinquantina fra polli e anatre ! Ieri li ho condotti a gran galoppo su per la spiaggia , tra le grida dei bagnanti e dei pescatori » . Per i danni ai pollai offriva , magnanimo , cinque lire in cambio d ' ogni capo azzannato . Ora , si è parlato di bontà del D ' Annunzio verso gli umili : qualche suo vecchio servitore che ho conosciuto al Vittoriale mi ha detto dei suoi modi cortesi e signorili , della sua generosità . È vero : è anche vero che D ' Annunzio ebbe a volte certe impennate da populista . Ma amore per gli umili non ne ebbe mai , e la sostanza della sua generosità la ritroviamo in un ricordo di lui ragazzo al Cicognini , quando ebbe il permesso dal rettore di recarsi in libera uscita a Firenze e ne profittò per visitare un bordello . Ci andò in carrozza e scese all ' imbocco di via dell ' Amorino . « Balzai giù dal legno ; accomiatai il cocchiere ; gli fui prodigo . Già incominciavo a esercitare la prodigalità come un mezzo di allontanamento , come un modo di recidere i vincoli e di confermare le distanze . » Così il danaro che dava . Quello che ricevette gli parve , sempre , un debito del mondo intero verso di lui . Per esempio , sappiamo tutti quanto siano sempre stati , e sempre siano , vaghi e precari i rapporti fra editore e scrittore . Raramente rimangono sul puro piano commerciale ( io scrivo , tu stampi , questo il contratto , tanto la percentuale , punto e basta ) . Tendono invece ad assomigliare ai rapporti fra società sportiva e centravanti , fra impresario dell ' opera e primadonna : ripicche , gelosie , scenate , sberleffi , improvvisi ritorni d ' amore . Ma Gabriele , in questo , ha superato ogni esempio , anche futuro , anche ipotetico . La sua corrispondenza con Treves meriterebbe un articolo apposta . Aveva ventidue anni , era uno sconosciuto , e già gli scriveva così : « Per le poesie chiedo 4000 lire ; concessione , per cinque anni . Questo a lei non converrà , certamente ; quindi sarà inutile ragionare » . E il Treves , di rimando : « Vedo che con lei i rapporti sarebbero molto difficili , avendo acquisito idee erronee sul movimento letterario in Italia . Le rimando quindi le sue novelle » . Invece trovarono il modo di mettersi d ' accordo , e le lettere si susseguirono fitte fino all ' « esilio » in Francia . Inevitabile che il Treves non gli volesse mai bene davvero , anche se ne subì il fascino e la seduzione . D ' Annunzio , se escludiamo , forse , Ciccillo Michetti , non ebbe mai un amico vero . Lamentava la litigiosità altrui , ma era pronto a far causa contro Eduardo Scarpetta , che gli andava parodiando sulle scene La figlia di Jorio . Accettava danaro dagli strozzini , e poi imprecava quando gli strozzini facevano il mestier loro , e cioè lo strozzavano . Non seppe mai farsi una donna , allo stesso modo in cui non seppe mai farsi una casa , e vagò invece da un quartiere all ' altro di Roma , e poi da Roma a Francavilla , a Napoli , a Venezia , a Settignano , a Bocca d ' Arno , a Ostia , a Romena , ad Arcachon . Dilettante anche come padrone di casa , diventava professionista solo al tavolo di lavoro : allora dimenticava le donne , i cavalli , i cani , i begli oggetti , gli amici , persino i pasti . Imponeva a se medesimo una disciplina di ferro . E sapeva farsi pagare , sempre , da tutti , e bene . Eppure il professionista non bastò mai a pagare i capricci del dilettante . Nel 1910 la situazione era diventata insostenibile , ed egli tentò le più strambe vie d ' uscita . Pensò addirittura di impiantare un ' industria profumiera , e di mettere in commercio un ' essenza di sua invenzione , che battezzò « acqua nunzia » : cercava nelle farmacie e dagli erboristi ambra , belzuino , rose , gelsomini , zagare . Fu un fallimento . Poi saltò fuori un emigrato abruzzese , diventato milionario in Argentina , certo Giovanni del Guzzo . Aveva il rimedio : si fece dare dal poeta diciassette manoscritti , un ' automobile usata marca « Florentia » , e la promessa di scrivere un ' ode per il centenario della indipendenza argentina , e di tenere un ciclo di conferenze nei maggiori teatri di quel Paese . In cambio assicurava a D ' Annunzio un guadagno di almeno 300mila lire , che sarebbe servito a colmare i debiti . Per sé avrebbe trattenuto il venti per cento . Questo Del Guzzo pensò anche di comperare la Capponcina e di trasformarla in museo , con biglietto d ' ingresso di lire due . Il poeta parve acconsentire , e così firmarono un « patto d ' alleanza » con tutte le clausole in bell ' italiano e in bella scrittura . Ma prima d ' imbarcarsi per l ' Argentina il poeta dichiarò che gli era indispensabile recarsi a Parigi per farsi curare i denti da uno specialista . Arrivò in Francia il 28 marzo 1910 , e ci rimase cinque anni . Intanto alla Capponcina mettevano all ' asta tutto , esclusi i muri : statue di santi , stalli d ' oratorio , coperte di damasco , un cavallo , torciere in ferro battuto , materassi di lana , orologi , uno iatagan arabo , colonne di marmo , tele , terrecotte , libri antichi e calamai . L ' asta durò otto giorni e diede un ricavato di centotrentamila lire .
In morte di Pasolini ( Rossanda Rossana , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Con commossa unanimità di accenti , da destra e da sinistra , la stampa italiana piange Pier Paolo Pasolini , l ' intellettuale più scomodo che abbiamo avuto in questi anni . Diventato , anzi , scomodissimo . Non piaceva a nessuno , quel che negli ultimi tempi andava scrivendo . Non a noi , la sinistra , perché battagliava contro il 1968 , le femministe , l ' aborto e la disobbedienza . Non piaceva alla destra perché queste sue sortite si accompagnavano a un ' argomentazione sconcertante , per la destra inutilizzabile , sospetta . Non piaceva soprattutto agli intellettuali ; perché erano il contrario di quel che in genere essi sono , cauti distillatori di parole e di posizioni , pacifici fruitori della separazione fra " letteratura " e " vita " , anche quelli cui il 1968 aveva dato cattiva coscienza . Solo di essi , Sanguineti ha avuto , ieri , il coraggio di scrivere " finalmente ce lo siamo tolto dai piedi , questo confusionario , residuo degli anni cinquanta ". Gli anni cioè della lacerazione , apocalittici , tragici . Finalmente , per l ' intellettuale di sinistra , superati . Questa pressoché totale unanimità è certo la seconda pesante macchina che passa sul corpo di Pasolini . Come della prima , chi ha la coscienza a posto può dire : " se l ' è cercata " . Per chi non ha queste certezze è invece l ' ultimo segno di contraddizione , di questa contraddittoria creatura : una contraddizione vera , non ricomponibile in qualche artificio dialettico . Giacché se una cosa è certa è che questo improvviso riconoscersi tutti nelle sue ragioni , ora che è morto e in questo modo , è davvero l ' ultimo sbeffeggiamento che gli restituisce questo nostro mondo non amato . Non è , infatti , il tradizionale omaggio al defunto illustre , e neppure la consueta assoluzione per il defunto in vita detestato . Se tutti scrivono sullo stesso registro ( l ' Unità , in un corsivo commosso , abbozza perfino un ' autocritica , mentre il partito radicale lo iscrive post mortem ) è perché ognuno , dalle ragioni di Pasolini , pensa oggi di poter trarre il profitto suo . Non diceva che i giovani sono , ormai , come una schiuma lasciata da una mareggiata che ha distrutto i vecchi valori ? che una collettività deve darsi un ordine , un sistema di convivenza , un modello ? Su questo sono d ' accordo tutti , salvo dare ciascuno , a questo ordine e a questa denuncia , il segno che più gli conviene . Pasolini , l ' intellettuale più outsider della nostra società culturale , fornisce con la sua indecorosa morte la prova ferrea che così non si può andare avanti . Così comoda , che tutto il resto è perdonato . Penso che su questo fervore e i suoi corollari , Pasolini avrebbe - se è lecito immaginare questo gesto in un uomo così dimessamente gentile - sputato sopra . Che , se ne fosse uscito vivo , oggi sarebbe dalla parte del diciassettenne che lo ha ammazzato di botte . Maledicendole , ma con lui . E così fino all ' inevitabile , forse prevista e temuta , altra occasione di morte . Ma con lui perché era il mondo , queste le creature della sua vita più vera ( " io li conosco questi giovani , davvero , sono parte di me , della mia vita diretta , privata " ) in cui cercava , ostinatamente , una luce . In loro , non nel mondo d ' ordine , che non sono solo i commissariati di polizia . Qui tornava perché nella sua visione del mondo altre strade non c ' erano . La sua denuncia dello " sviluppo " , dei valori del consumismo , del profitto , dell ' appiattimento da essi indotto in una società preindustriale dove ancora potevano prevalere i rapporti personali , non alienati , non passivamente accolti era - come in genere è in questo filone , che ha esponenti illustri , cattolici e laici - unidimensionale come la società che criticava ; era vissuta come fine della storia , imbarbarimento , di fronte al quale soltanto cercar di arretrare . Arretrare , finché un rifiuto opposto a questo tipo di " sviluppo " - e chi può opporvisi se non il margine , o un terzo mondo non ancora arrivato a questa soglia ? - non avrebbe offerto un ' ancora di salvezza . Altrove , salvezze non vedeva , per questo Pasolini tornava , ostinatamente , in borgata e più gli sfuggiva , più vi tornava tormentosamente . Tanto più che in tutti i sensi doveva presentarglisi come una frustrazione , una contraddizione . Cercava un rapporto autentico , e non tesseva , invece , un rapporto mercificato ? cercava un rapporto libero e non ripeteva lui stesso - l ' intellettuale ricco che arriva con l ' Alfa e paga il ragazzo davanti a lui , socialmente e personalmente tanto più fragile - un rapporto fra oppressore e oppresso ? né l ' umiliazione che ne doveva ricevere in cambio ( quante prove , meno tragicamente finite , di questa sua morte deve aver vissuto ; l ' irrisione del compagno occasionale , il rifiuto , la resistenza di chi si fa usare ma si sente usato , e quindi si ribella ) poteva assolverlo dal fatto che entrava egli stesso in questo meccanismo alienante . Nel quale l ' interlocutore diventava sempre più sfuggente , più " oggetto " . Diverso da un tempo , quando il ragazzo veniva con lui ma mantenendo una sua figura , una sua dimensione non integrata , non asservibile , come il Tommaso di Una vita violenta . Oggi non era più così : il ragazzo che lo ha ucciso ha poco in comune col borgataro d ' un tempo . Dovrebbe esser rilasciato domani , ai sensi dei valori che reggono questa società ( oltre che di un ' umanità elementare ) perché non è da dubitare della testimonianza della sua borgata , e cioè che non aveva gran voglia di lavorare - e chi ce l ' ha - ma era pronto e prossimo a rientrare nell ' ordine della famiglia , solo provvisoriamente e venalmente violato . Nulla , in questa storia , è davvero uguale a quel che sembra . Non il ricco vizioso che cerca amori nascosti fra gli emarginati , giacché nessuno come Pasolini viveva più semplicemente la sua inclinazione omosessuale e avrebbe potuto soddisfarla , in una società ormai più permissiva , senza rischi di sorta . Non il giovane vizioso , che non c ' è : né come vizioso , né come delinquente , e neppure come volontariamente deviante , ribelle alla norma . Morte accidentale nell ' inseguimento di un fantasma , si potrebbe dire . Con soddisfazione per i più , con amarezza per chi di Pasolini aveva stima e rispetto . E funerali , adesso , con assunzione in gloria da parte di chi , quel fantasma , ha prima costruito e poi esorcizzato . Se Pasolini è oggi così lodato , se probabilmente in buona fede tanti si riconoscono in metà del discorso che lui faceva , è perché l ' altra metà per lui essenziale , quella in cui riponeva la sua speranza , non aveva fondamento . Quante discussioni , le poche volte che lo incontravo , e sempre le stesse ; le stesse che ripeteva puntualmente con Moravia . È vero che il capitale ci ha disumanizzato . È vero . È vero che la conformizzazione al suo modello è mostruosa . È vero che essa è così potente , da riflettersi persino in chi la nega ; nel 1968 , quando scrisse la famosa poesia sugli scontri di Valle Giulia , Pasolini vedeva nello studente il prodotto d ' un ceto che può perfino " provare " la rivoluzione , cosa che al poliziotto , figlio di bracciante meridionale , non è permessa ; e coglieva una parte di verità . È vero che oggi , e non ieri , si può parlare di aborto , e non solo perché è maturato il movimento femminista , ma la società maschile pensa a " economizzarsi " . È vero che scuola dell ' obbligo e Tv sono organismi del consenso . È vero che il fascista non è così diverso dal democratico , nei suoi modelli culturali , come era nel 1922 . Vero tutto , e tutto parziale : perché ogni volta che Pasolini toccava con mano queste scomode verità , l ' ambiguità del presente , faceva seguire un salto indietro , verso l ' umanità non ambigua di " prima " , invece che cogliere nello studente , nel femminismo , nella scolarizzazione , nella stessa conformizzazione , il principio d ' una sicuramente spuria , ma vitale via d ' uscita in avanti . L ' idea che questo itinerario si dovesse compiere fino in fondo e di qui ritrovare il filo d ' un mondo restituito all ' umanità , era in lui sempre più lontana . Avrebbe potuto essere uno scettico , diventava , in senso classico , un " reazionario " . E questo oggi viene sfruttato , questa è la seconda macchina che passa sul suo corpo . Giacché del valore dirompente , violento , di questa sua " reazione " nulla resta , nella elegia delle prime , seconde e terze pagine che gli sono dedicate . Avrà un funerale borghese , e fra qualche tempo il comune di Roma gli dedicherà una strada . Lo ammazzeranno meglio , i suoi veri nemici , che non il ragazzo dell ' altra sera . Nel quale , prima di perire , deve aver visto soltanto la via senza uscite in cui s ' era cacciato , la dimensione del suo errore . E pensare che cercava l ' angelo della passione secondo Matteo .
CIVILTÀ IN CRISI? ( PRATOLINI VASCO , 1938 )
StampaPeriodica ,
I Un senso insormontabile di disagio , supposto in partenza come politico , e poi nobilitato dai conflitti ideologici , ha investito il campo della cultura che è apparsa ad un certo momento impossibilitata a tener dietro ai furori popolari dei quali , con l ' illuminismo , si era eletta mandante . Colpa quindi del suo imbastardimento plebeo , a giudicarla da un punto di vista reazionario secondo il quale l ' essere scesa nella piazza una prima volta la comprometteva per sempre nel fluire della storia di cui si è poi sentita sfuggire il controllo . E massimamente questo , in Italia , aveva considerato l ' idealismo che il compromesso avallava trovando così la sua formula . Cotesto disagio essa cultura va adesso protestando , per bocca dei suoi responsabili , contro le teorie fecondate dalla sua stessa dialettica ; e nella protesta si serve di una serpentina d ' idee , prive di originalità , allo scopo di ristabilire l ' equilibrio necessario alla propria esistenza . È sorto così un concetto di crisi che si vuole attribuire genericamente alla civiltà e che al postutto si identifica con una " particolare " civiltà che pretende , oggi , di essere difesa dal profitto che la politica ha saputo ricavare dai suoi suggerimenti dottrinari . ( Sempre qualora sia possibile scendere a considerare polemicamente una civiltà che non sia " quella " civiltà ) . La cultura è scoperta per conservazione in questa sua perplessità " sociale " ; costretta alle conclusioni temporali , non sa fare altro che rimettere in mano alle forze giovani la sua eredità filosofica , ponendo come ultimo atto di forza la clausola di una risoluzione ortodossa . Troppo comodo protestare sino all ' agonia un errore , e fidare sui giovani per una difesa di fronte alla storia ; e meschini quei giovani che accettano queste consegne poliziesche contro il tempo che avrà comunque , fatalmente , ragione di loro . Ma intanto , nel particolare , accettiamo , noi giovani , da Huizinga , questa conclusione che non ci rende affatto vanitosi tanto poco sentiamo di partecipare agl ' interessi che la muovono : " essa ( la gioventù ) si manifesta aperta , generosa , spontanea , pronta ai godimenti , ma anche alle privazioni , rapida nelle decisioni , ardita e di gran cuore " ; e riconosciamo , da una fonte come altre responsabile , che " né debole , né pigra , né indifferente " l ' ha fatta " il rallentamento dei legami , la confusione delle idee , lo svagamento dalla meditazione , la dissipazione dell ' energia " tra cui crebbe ; e rifiutiamo per il suo gesto impreciso il compito generico " di tornare a dominare il mondo , così com ' esso vuol essere dominato , di non lasciarlo perire nell ' orgoglio o nella follia , di ripenetrarlo nello spirito " . E leghiamo il vaticinio del sapiente olandese alle premesse di questo suo recente ragionamento sulle cause di una percepita violenta Crisi della civiltà ( secondo il quale , dopo il segnale d ' allarme dello Spengler ( 7 ) , ne sarebbe derivata coscienza di partecipazione in tutti gli strati sociali , familiarizzati ormai col pensiero della possibilità di un tramonto dell ' odierna civiltà , mentre prima sarebbero stati ancora involti in un ' indiscussa fede nel progresso ) e rileviamone , per colmo d ' ironia , il rallentamento dei legami , la confusione delle idee , lo svagamento della meditazione , la dissipazione dell ' energia di cui ci fornisce implicito documento . " Un ottimismo immutabile rispetto alle sorti della civiltà attualmente non si riscontra più se non in quelli che , per mancanza di cognizioni , non possono capire che cosa le manchi , e quindi sono intaccati essi stessi dal suo processo regressivo , oppure in quelli che nella propria dottrina sociale e politica stimano di possedere già la civiltà futura e di poterla fin da ora diffondere in mezzo alla povera umanità . Fra un pessimismo convinto e la certezza di una prossima panacea stanno tutti quelli che scorgono i gravi mali e gli acciacchi del tempo , non sanno come vi si possa rimediare od ovviare , ma intanto lavorano e sperano , cercano di capire e sono disposti a sopportare " . Bel gesto di sopportevole rinuncia se non lo infirmasse , nelle conclusioni , un angelismo , guarda caso , " attivo " della panacea filosofica ( 8 ) . " Dal disinteresse e dalla giustizia , però il mondo attuale sembra più lontano di quanto sia stato per molti secoli , o almeno di quanto abbia preteso di esserlo . Adesso si respinge da molti la richiesta di una giustizia e di un benessere internazionale perfino come principio teorico . La dottrina dello stato - potenza privo d ' ogni freno anticipa l ' assoluzione al vincitore . Il mondo è insanabilmente minacciato dalla furia della guerra annientatrice , che porta nel suo seno un nuovo e più tristo imbarbarimento . Pubbliche forze si adoperano intanto perché l ' immane disastro venga stornato , e agiscono nel senso della concordia e della ponderatezza . Ma , le forze di un intelligente internazionalismo alla lunga non sono sufficienti , se lo spirito pubblico non muta . Così come la restaurazione dell ' ordine e il benessere ( 9 ) non significano ancora di per sé una purificazione della civiltà , non possiamo aspettarla neppure dalla prevenzione in sé della guerra per mezzo della politica internazionale . Una nuova civiltà può nascere solo da un ' umanità purificata " . Purificata , è detto più avanti e più indietro , nelle condizioni fondamentali della cultura . " Se vogliamo conservare la cultura dobbiamo continuare a creare cultura " . - " Cultura ... è l ' ideale di una comunità " . - " La cultura deve avere un indirizzo metafisico : altrimenti non esiste " ( 10 ) . - " Non è affatto paradossale affermare che una civiltà , con un progresso realissimo ed innegabile , potrebbe arrivare alla sua rovina " . - " La somma di tutta la scienza non è ancora diventata civiltà " . - " L ' istruzione rende sotto - istruiti " . - " Viene proclamato intuizione , ciò che , in realtà , non è altro che una scelta intenzionale per ragione affettiva " . - " La pretesa di superiorità in grazia di una pretesa purezza di razza ha sempre avuto fascino per taluni , perché corrisponde a un certo spirito romantico , non inceppato dal bisogno di critica e animato dal desiderio di autoelevazione " . ( " Una nuova civiltà può nascere solo da una umanità purificata " , e non siamo tanto ingenui da non avere capito la tentazione cattolica che tuttavia non elide il dilemma , soprattutto quando ci viene detto che " la tragicità dell ' esistenza terrena , l ' essere la civitas dei mescolata e intrecciata alla civitas terrena per tutto il tempo che il mondo ha da durare ha fatto della storia della cristianità , cioè dei popoli che professano la fede di Cristo , tutt ' altro che una marcia trionfale del cristianesimo " ) . - " Un sano organismo statale è caratterizzato dall ' ordine e dalla disciplina . Capovolgendo : l ' ordine e la disciplina rivelano un sano organismo statale . Come se a fare il sonno del giusto bastasse un sonno tranquillo " . - " Se ciascuno non fosse personalmente convinto di dover resistere a un vizio capitale detto incontinenza , la società sarebbe inesorabilmente in balia di una degenerazione sessuale che la condurrebbe alla distruzione " . E ancora : " Nel mondo attuale il senso di essere tutti insieme responsabili di tutto è indubbiamente molto aumentato , contemporaneamente , e in rapporto con esso , è enormemente cresciuto il pericolo di azioni di massa del tutto irresponsabili " . - " Ad ogni modo , ove si voglia affermare questa polarità , bisognerà assolutamente svuotare i concetti di massa e di élite di qualsiasi contenuto sociale , e considerarli solo in quanto espressioni di atteggiamenti spirituali " . - " Quando il mito scaccia il logos e ne prende il posto , allora siamo alla soglia della barbarie " . Al tempo . Attenzione a questa cultura ufficiale , ordinata , storicistica che ha fin troppo degenerato nell ' onore reso all ' impagabile aforisma crociano su la " bella conversazione europea " . Fissiamola nel momento stesso in cui essa riconosce che " nessuna grande trasformazione nei rapporti umani si avvera mai nella forma che gli uomini nell ' età immediatamente precedente si sono immaginata " . Rendiamola viva ancora , con la sua presenza nella storia , ed imputiamola di tutti i falsi liberalisti che ridussero alla tentazione piccolo borghese quelle masse incontenibili negli interessi economici creati dalla sua meccanica ostruzionistica ; e scendiamo a confutarla proprio laddove essa scantona alla resa dei conti tra la crisi spirituale e le condizioni economiche , entrambe da essa generate e costrette , e lascia apparire logico che una dottrina la quale stima più l ' essere che il sapere debba comprendere tra i suoi problemi anche la fine dell ' essere , ammettendo che la massa riconosce senz ' esitare , e più convinta che mai , la vita terrena come meta di ogni aspirazione e di ogni azione ( 11 ) . A questo punto possiamo anche confessare che Huizinga ci serve da pretesto . Non ci sarebbe infatti " mezzo migliore di disabituare la gioventù dal pensare , di mantenerla infantile e probabilmente , per giunta , di annoiarla rapidamente e a fondo " , come capita troppe volte da troppo tempo ai nostri vecchi maestri . II ( 12 ) Prima di esprimerci dentro i termini della cultura , servendoci delle leve della sapienza , che un individuo può muovere più o meno bene di un altro individuo e viceversa , in una dialettica che pone , con giustizia , l ' abilità verbale e l ' apprendistato libresco a fondamento della ragione , bisognerà scontare fino in fondo la nostra educazione umanistica e riconoscerci in essa , confessando il nostro sentimento fino ai limiti estremi della passività , riducendoci minimi dinanzi alla storia . E bisognerà riconoscere agli uomini " attivi " la nostra impotenza a penetrare la loro temporale tracotanza , riportando dalla nostra vergogna la luce di una verità interiore che ci fa vivere nel compromesso di una continua esitazione coi testi . Allora anche i termini del ragionamento ci tornano puri di significato e la civiltà viene a significarsi oltre le condizioni fondamentali della cultura , nella vissuta esperienza dei rapporti sociali ( 13 ) , a tu per tu cogli uomini inibiti alla speculazione a causa del loro esaurimento quotidiano nella realtà . Onde fornire aperto il senso del discorso diremo che ci resta sufficiente ammettere che si possa concepire una discriminazione iniziale d ' interessi , economici o spirituali , fra gli individui per ritenere precluso da qualsiasi altro versante il raccordo fra i due estremi . A costo di riconoscerci come degli animali asociali , non riusciremo mai a vedere conciliate nel tempo le ragioni che andiamo via via ascoltando in noi stessi , a meno di premettere una " carità " di gesti e di pronunciamenti negli incontri della vita quotidiana . Soltanto così avvertiamo possibile l ' evasione dalla cronaca che vorrebbe legarci ai suoi interessi immediati e temporali . Soltanto concedendo alla società in estensione i privilegi fruttati dalle singole positive esperienze potremo conciliare la cultura e il nostro labile destino di letterati con la vita , in quanto in ogni applicazione è da riconoscere un mestiere il cui prodotto va appunto al di là della tecnica solo a patto di diventare umanità , e quindi acquisibile e speculabile . A questo punto consideriamo di ottenere l ' assoluzione della cultura , reintegrandola al suo grado formativo , nient ' affatto come un estremo ed ineffabile privilegio , ma come fattore preparatorio e conclusivo di una civiltà . La quale civiltà non è affatto possibile far consistere in una continua vigilanza e lotta armata contro la possibilità di una ricaduta del mondo nella barbarie , e quindi in un continuo stato di allarme contro l ' evenienza di una " crisi " , e in una unità impenetrabile alle leggi morali e sociali modernamente concepite ; laddove è purtuttavia vero che la civiltà saggia nella sua continua crisi il divenire di una società sempre più liberata dagli impacci dell ' interesse temporale . Torna di proposito concludere , in questo primo momento , riaffermando la inderogabilità di un assolutismo morale che resta alla base di una perfettibile umanità la quale , pur non ripetendosi nella storia , si ritrova tuttavia nel tempo , con una faccia diversa ed uno spirito mutato . Sarà questo un ragionamento che riprenderemo continuamente e di buon grado , a commento delle letture che andiamo facendo e che investono direttamente e indirettamente ( v . il libro di Huizinga ) il concetto di una civiltà " privilegiata " . Si intenderebbe difendere un pensiero storico facendolo nascere , come dice il Croce nella avvertenza alla Storia come pensiero e come azione " da un travaglio di passione pratica " che trascende se stesso " liberandosene nel puro giudizio del vero " e convertendo , " mercé di questo giudizio , quella passione ... in risolutezza di azione " . Questo significato a noi appare intelligibilissimo e riconoscibile nella immediata giustificazione di uno storicismo che ritrova ogni momento , nel " fatto " di cui si serve , la propria scadenza .
StampaQuotidiana ,
Sembrerà un paradosso , ma se confrontiamo il nostro dopoguerra con quello dei nostri padri , dobbiamo concludere che la loro condizione fu assai più difficile . Dopo la sconfitta , noi ci trovammo vaccinati a vita contro il fascismo , e uniti almeno in questo : nella volontà di ricostruire il Paese ( poi , naturalmente , cominciavano le divisioni , sul modo di ricostruire ) . I nostri padri , vincitori , assistevano inconsapevoli alla fine del Risorgimento , e furono divisi su tutto , persino sul significato da attribuire alla sanguinosissima vittoria . Cominciava l ' inflazione ; l ' industria era in crisi , stentando a convertirsi alla produzione di pace ; i milioni di smobilitati aspettavano inquieti un lavoro ; i contadini s ' agitavano per la mancata promessa della terra ; gli operai stavano a guardare , trepidi , gli sviluppi della Rivoluzione d ' ottobre ; una classe dirigente invecchiata e stanca non riusciva a far fronte ai problemi , antichi e nuovi ; si riaccendeva la polemica fra interventisti e neutralisti , e i secondi , strano a dirsi , ci mettevano uno zelo stizzoso che purtroppo era loro mancato quando la guerra scoppiò . I nostri plenipotenziari alla Conferenza di Parigi sostenevano la causa italiana in maniera assurda , appellandosi ora al rispetto dei trattati , ora al principio della nazionalità , ora al « sacro egoismo » delle frontiere ( per ragioni di difesa , naturalmente ) . Trovavano in Lord Balfour un amico , ma che non bastava a vincere l ' astratto rigore dell ' uomo nuovo , Wilson . Per loro disgrazia , dovevano prestare orecchio a troppe voci : le minoranze italiane si agitavano a Spalato e a Fiume ; i generali della Terza Armata parlavano di colpi di mano in Dalmazia , e addirittura di costituire una Repubblica delle Tre Venezie , col duca d ' Aosta presidente . D ' Annunzio in Campidoglio sventolava la bandiera di Giovanni Randaccio , agitava la spada di Nino Bixio . Nitti gli vietava i comizi , ma lui poteva sempre stampare e diffondere il suo discorso : « Se seguissi il mio istinto , io stasera , con le latte di benzina che avanzarono alla beffa di Buccari , andrei a bruciare il Palazzo Braschi , infischiandomi della bella scalinata di Pio vi » . Alle trame dei politici contrapponeva l ' azione diretta , eroica ( « ardisco , non ordisco » era il suo motto di quei giorni ) ; progettava un grande raid aviatorio , da Roma a Tokio , inveiva contro la nuova nazione jugoslava ( « gli schiavi del sud » ) , tendeva l ' orecchio alle voci che gli giungevano dal mare amarissimo , da Zara , da Spalato , soprattutto da Fiume . Per la verità , quella città non figurava fra le promesse del Patto di Londra , un accordo superato dal nuovo principio wilsoniano , il diritto delle nazioni a decidere la propria sorte . Però Fiume aveva più volte , durante e dopo la guerra , manifestato la volontà di annettersi all ' Italia . Per adesso la occupava un corpo interalleato , e viveva giorni di grande irrequietezza . Uno scontro , con morti fra fiumani , soldati italiani e truppe francesi di colore , provocò un ' inchiesta , che decise l ' allontanamento sia degli italiani che dei francesi . Fu allora che sette giovani ufficiali dei granatieri giurarono di ritornare , e offersero il giuramento a D ' Annunzio , che era tornato alla « casetta rossa » sul Canal Grande . AI poeta , che aveva la febbre , piacque tuttavia quel numero fatidico , sette , e scelse per l ' azione una data a lui propizia , l ' undici . «11 dado è tratto » , scrisse allora a Mussolini . « Parto ora . Domattina prenderò Fiume con le armi . Il Dio d ' Italia ci assista . Mi levo dal letto febbricitante . Ma non è possibile differire . » Fu così che partirono da Ronchi trecento granatieri del maggiore Reina , con quaranta autocarri e sette autoblindo , prelevate di forza dal deposito di Palmanova . Al confine provvisorio il generale Pittaluga non osò sparare contro la medaglia d ' oro che il poeta gli offriva come bersaglio ( in realtà era già d ' accordo ) e gli autocarri passarono . Quei trecento uomini crebbero rapidamente di numero : erano già pronti gruppi di volontari ( il più grosso era la legione fiumana di Host Venturi ) , e vari reparti , di fanteria , di bersaglieri , artiglieri e marinai , disertarono per unirsi all ' impresa e raggiungere Fiume . In breve tempo D ' Annunzio ebbe ai suoi ordini l ' equivalente di sei o sette battaglioni , circa duemilacinquecento uomini . Entrarono tutti in Fiume senza sparare un colpo ; le truppe d ' occupazione furono consegnate nelle caserme , e le bandiere ammainate ( con l ' onore delle armi ) lasciando a svettare solo quella italiana . La risposta del governo fu pronta e decisa , ma soltanto nelle intenzioni di Nitti . Badoglio , nominato commissario straordinario per le Venezie , cominciò subito una sua politica personale piuttosto ambigua . Il cordone steso attorno alla città non sempre resse , nell ' uno e nell ' altro verso . I legionari fiumani a più riprese lo ruppero , in improvvisi e fruttuosi colpi di mano sui depositi e sui parcheggi dell ' esercito regio . Una volta giunsero addirittura a sequestrare un generale . All ' inverso , poterono entrare a Fiume rifornimenti , armi , nuovi gruppi di volontari e di disertori , e via via , in successione sempre più rapida , uomini politici delle più varie tendenze , emissari del governo , messi personali di Badoglio , grosse personalità della cultura , pestatori assortiti . Il Comandante ( ormai lo chiamavano tutti così ) , otteneva dal Consiglio Nazionale Fiumano i pieni poteri , s ' installava a palazzo , attorniato da gente la più diversa . Bisogna chiarirlo subito : il fascismo , più tardi , con non comune abilità , si « annesse » l ' impresa fiumana , ma la verità è che a Fiume i fascisti ( anzi i « mussoliniani » ) furono in minoranza . Nei sedici mesi dell ' occupazione dannunziana , a Fiume troviamo nazionalisti come Giuriati e Rocco , repubblicani come Marinetti e Ferruccio Vecchi , sindacalisti rivoluzionari come Alceste De Ambris , anarchici come Errico Malatesta , letterati puri come Giovanni Comisso e Henry Furst , matti di genio come Guido Keller . Ci troviamo , naturalmente , una discreta manica di avventurieri , di disoccupati , di poveri diavoli . Fra gli ufficiali superiori , ce n ' era uno che si dichiarava figlio naturale del re Umberto I ; ad ogni nuovo conoscente regalava una moneta dicendo : « Prendi , è il ritratto di mio fratello » . Il Comandante lanciava messaggi alati , teneva concioni e colloqui con la folla , guidava marce di armati coi moschetti adorni di fiori di ciliegio . Aveva un « segretario d ' azione » , Guido Keller , che abitava in compagnia di un ' aquila , regalo di certi alpini , come se fosse una donna , anzi sua moglie . Appollaiata sulla spalliera della sua poltrona , in veranda , lasciava che gli beccasse la lunga chioma . D ' Annunzio , per scherzo , gliela fece rapire , e lui si ritenne offeso a tal punto che mandò i padrini , e poi , per vendetta , voleva rapire a sua volta la donna del poeta , che a quel tempo era la pianista Baccara . A sera , in compagnia dei suoi amici Comisso e Furst , discuteva i progetti più straordinari : fondare un movimento « yoga » , cioè un ' unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione ; creare una società dove fossero aboliti il danaro e le prigioni , e l ' amore fosse libero , le città abbellite , i gradi dell ' esercito elettivi , e mai superiori al suo ( capitano ) , il governo affidato a un principe eroico e geniale . Valorosissimo pilota , pensò addirittura di raggiungere in volo Mosca , e poi dalla Russia spingere orde barbariche sull ' Europa , per distruggere la civiltà meccanica e far rinascere la vita dello spirito . Sarà lui , il 4 novembre del 1920 , a volare su Roma , dove si stava inumando la salma del Milite Ignoto , per lanciare su Montecitorio un vaso da notte pieno di rape , con questo messaggio : « Guido Keller , ala : azione nello splendore , dona al Parlamento e al governo che si reggono da tempo con la menzogna e con la paura la tangibilità allegorica del loro valore » . Durante il volo di ritorno scorse la Repubblica di San Marino , e decise di atterrarvi . Finì incolume , sopra un albero , e i reggenti lo accolsero con grandi feste ; anzi , lo nominarono ambasciatore a vita di Fiume presso il loro antico staterello . Tornato a Fiume , donò al Comandante un ornitorinco impagliato , e col nome di questo animale fu ribattezzata l ' osteria prediletta . D ' Annunzio era lì quasi tutte le sere , e offriva agli amici « sangue di Morlacco » , cioè bicchierini di maraschino . A molti perciò quest ' impresa di Fiume parve un glorioso carnevale . Certo , purché si rammenti che in città l ' entusiasmo era autentico , genialoide , festaiolo . Un altro tratto , questo , che distingue il fiumanesimo dal fascismo , che fu all ' opposto sempre lugubre , ottuso . E c ' è di più . Quando il blocco si fece più aspro , i legionari , un po ' per bisogno e un po ' per spirito di avventura , si diedero alla pirateria . Nacquero gli « uscocchi » ( così si chiamavano gli antichi corsari dalmati che taglieggiavano la navigazione adriatica ) ; uscivano nottetempo coi Mas dalla rada di Fiume , abbordavano le navi da carico sulla loro rotta , e le costringevano a dirigere su Fiume . A capo degli « uscocchi » D ' Annunzio mise il « capitan magro » , cioè il capitano Mario Magri ( morirà trucidato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine ) . Il primo colpo di mano fu contro il piroscafo « Persia » , che faceva rotta verso l ' Estremo Oriente , portando - così almeno si credette allora - rifornimenti all ' armata controrivoluzionaria del generale Kolciak . Impossibile dire se fra gli scopi dell ' impresa ci fu anche quello di aiutare i bolscevichi ; ma è certo che il ratto del « Persia » fu voluto da Giuseppe Giulietti , capo della Federazione dei Lavoratori del Mare ; ed è altrettanto certo che nel 1921 il ministro degli Esteri sovietico Georgi Cicerin andò a trovare D ' Annunzio a Gardone cd ebbe con lui un lungo colloquio . Non sapremo mai , ovviamente , quel che dissero . Dell ' incontro resta solo qualche fotografia . Su di una D ' Annunzio , imitando l ' italiano del suo ospite fulvo e barbuto , aveva scritto : « Tu criedi di friegarmi » . Comunque sia , nell ' azione di D ' Annunzio c ' è una componente populista di sinistra , che si andò accentuando col passare dei mesi . Fra le varie influenze che egli subì durante l ' occupazione di Fiume , quelle di Alceste De Ambris e di Giuseppe Giulietti andarono sempre di più crescendo , con ira e dissenso della fazione nazionalista . Ai primi dell ' anno nuovo il contrasto era acuto , fra nazionalisti ed estremisti . Un contrasto non di metodo , ma di fondo : i primi vedevano nell ' occupazione di Fiume soltanto un mezzo per forzare la mano al governo e insieme dargli buon gioco verso gli alleati , mettendolo di fronte al fatto compiuto . I secondi volevano la marcia su Roma , e cioè un moto di liberazione popolare che , partendo da Fiume e dalla Dalmazia , accendesse prima le Venezie e la Romagna , e poi tutta l ' Italia , già scossa da una vasta ondata di scioperi , per creare infine un ordine nuovo , repubblicano . Ecco perché , motivi di concorrenza e d ' invidia personale a parte , Mussolini allora sconsigliò a D ' Annunzio la marcia su Roma . Così la scissione fu inevitabile . Il maggiore Reina , fra i primi , come abbiamo visto , ad entrare in Fiume , tornandosene fra le file dell ' esercito regio , rimproverava al Comandante di avere come programma « un colpo di Stato militarista - anarchico » e lo ammoniva che questo programma « non noi , ma i Malatesta l ' avrebbero compiuto » . Partì il maggiore Reina , partì il generale Ceccherini , partì il capitano Vadalà coi suoi carabinieri . In città intanto era scoppiata un ' epidemia , e i viveri tornarono a scarseggiare . Badoglio era stato promosso Capo di Stato Maggiore ( parve a molti che fosse un modo per allontanarlo dalle Venezie ) e al posto suo misero l ' intransigente generale Caviglia , che aveva sicuro il senso della disciplina e faceva rispettare il blocco . L ' ammiraglio Millo , che occupava Zara , a poco a poco si staccò da D ' Annunzio . Il Comandante cominciava a sentire sempre più netto l ' isolamento . « Fiumani , perché queste grida ? perché questo furore ? perché questa angoscia ? - La voce di Fiume s ' è mutata . Non la riconosco più . La voce di Fiume s ' è fatta aspra come s ' è intorbidita la sua acqua . L ' acqua di Fiume era limpida e salutare : ci rinfrescava la gola e l ' anima . Un giorno scoprimmo che s ' era infettata . » Né era capace di impegnarsi fino in fondo con l ' ala estremista ormai dominante . Lo Statuto della Reggenza , o Carta del Carnaro , se anche è dannunziano nella forma , fu concepito soprattutto da Alceste De Ambris , e suonava ormai anacronistico se messo al confronto con le reali posizioni di forza a Fiume . Proprio a questo punto Mussolini gli consigliava la marcia su Roma . Perché ? Voleva vederlo naufragare . E quando 1'11 novembre , a Rapallo gli alleati si accordarono sul confine giuliano , su Zara all ' Italia e la Dalmazia alla Jugoslavia , e sullo status di città libera per Fiume , in attesa del plebiscito , Mussolini approvò , diede ragione a Giolitti , si scaricò di ogni responsabilità fiumana , si preparava la strada del tacito appoggio governativo , e già intravedeva la sua marcia su Roma . Per D ' Annunzio era la fine . Sarebbe fin troppo facile ironizzare sull ' unica cannonata dell ' « Andrea Doria » che bastò a indurre il Comandante alla resa . In realtà D ' Annunzio s ' era già arreso , vinto proprio dal voltafaccia dei nazionalisti e di Mussolini , oltre che , beninteso , dalla sua scarsa chiarezza d ' intenti politici . Ventitré anni prima il « deputato della bellezza » , eletto coi voti conservatori nel collegio di Ortona a Mare , aveva rotto coi suoi per andare « verso la vita » , per passare cioè all ' estrema sinistra . Non fu soltanto un gesto estetizzante . Pochi giorni dopo la clamorosa scenata egli precisava : « E voi credete che io sia socialista ? Io sono sempre lo stesso ... Sono e rimango individualista ad oltranza ... Ma da noi non c ' è più altra politica che quella del distruggere . Tutto ciò che attualmente esiste è nulla : è il marciume , la morte che si oppone alla vita . Bisogna dapprima tutto distruggere » . E il suo interventismo , nel maggio del 1915 , fu di questo tipo : mosso da un impulso di azione distruttiva , contro una dirigenza politica che gli appariva marcia , cancerosa . Come ben dice Nino Valeri , a Fiume aveva nuovamente « captato gli spazi e le menti di una tendenza sovvertitrice » , elementi variatissimi : l ' azione dei marittimi e di capitan Giulietti , quella dei sindacalisti , dei soreliani , degli anarchici , dei futuristi , dei mussoliniani . Mussolini , di lui infinitamente più abile in politica , fiutò il vento buono , smise d ' essere mussoliniano e diventò fascista . Tese la mano alla monarchia ; col discorso del fascismo « tendenzialmente » repubblicano , diede il suo avallo all ' operato di Giolitti , fece persino buon viso al Vaticano . In questo modo diventava l ' uomo dei banchieri e dei bottegai , degli industriali e degli agrari ; fu il salvatore della vittoria mutilata . Dell ' impresa di Fiume prese gli spogli , il ciarpame retorico , i « me ne frego » . Ma ci aggiunse il manganello e l ' olio di ricino , che non sono invenzioni di D ' Annunzio . Non pochi legionari fiumani ci caddero , e nel '22 furono convinti che quella marcia su Roma fosse la continuazione dell ' impresa di Fiume . Eppure D ' Annunzio aveva ancora qualche carta in mano . Nell ' agosto del 1922 si andava preparando un incontro segreto fra D ' Annunzio , Mussolini e Nitti ( il vituperato « Cagoia » ) in vista d ' un governo di pacificazione nazionale . Ciascuno dei tre andava disponendo le sue pedine : Nitti intendeva imbrigliare il sovversivismo degli altri due nell ' alveo parlamentare e governativo . D ' Annunzio , se da un lato riceveva a Gardone il socialista D ' Aragona e il ministro sovietico Cicerin , dall ' altro preparava con una rappresentanza dei combattenti la grandiosa cerimonia del 4 novembre . Mussolini fece il gioco più abile : trattava con Giolitti e con Facta e coi fascisti rivoluzionari . Prometteva l ' ordine ai primi e agli altri la rivoluzione . L ' incontro era fissato per il 15 . Nitti aveva già pronta l ' auto e il salvacondotto personale di Mussolini , contro una possibile imboscata delle squadracce . Il giorno 14 D ' Annunzio cadeva da una finestra della villa , a Gardone . Rimase a lungo fra la vita e la morte . Nessuno - men che mai il poeta - ha mai spiegato come andarono le cose .
L'album di famiglia ( Rossanda Rossana , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Stampa e radio si sono piegate febbrilmente , il giorno di Pasqua , sul secondo messaggio delle Brigate Rosse come su un palinsesto da decifrare . Siccome sulle cose che contano - se Moro sia vivo , se lo libereranno e a quali condizioni - non dice niente , i commentatori ne hanno dedotto che è invece interessantissimo politicamente . Lo hanno trovato a ) ricco di novità , b ) tale da accattivarsi le simpatie della nuova sinistra ( i più gentili ) , o da esserne senz ' altro il frutto ( i più maliziosi ) . Perché ? perché sviluppa un vasto attacco alla Democrazia cristiana , cosa che nella vecchia sinistra non è più di moda . Ma quando mai è stata di moda nella sinistra nuova ? Nel 1968 essa nacque accusando , a torto o a ragione , i partiti operai di essersi dati come solo nemico la DC , mentre era il sistema nel suo complesso che bisognava disvelare e demolire . Nel 1977 , il movimento ha avuto per nemico tutto « lo Stato » , e in particolare i riformisti perché vi ingabbiavano le masse . Per una sola breve fase la nuova sinistra ( meglio i gruppi ) scoprirono la DC , e fu nel 1972 con Fanfani . In verità , chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle BR . Sembra di sfogliare l ' album di famiglia : ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria . Il mondo - imparavamo allora - è diviso in due . Da una parte sta l ' imperialismo , dall ' altra il socialismo . L ' imperialismo agisce come centrale unica del capitale monopolistico internazionale ( allora non si diceva « multinazionali » ) . Gli stati erano « il comitato d ' affari » locale dell ' imperialismo internazionale . In Italia il partito di fiducia - l ' espressione è di Togliatti - ne era la DC . In questo quadro , appena meno rozzo , e fortunatamente riequilibrato dalla « doppiezza » , cioè dall ' intuizione del partito nuovo , la lettura di Gramsci , una pratica di massa diversa , crebbe il militantismo comunista fino agli anni Cinquanta . Vecchio o giovane che sia il tizio che maneggia la famosa Ibm , il suo schema è veterocomunismo puro . Cui innesta una conclusione che invece veterocomunista non è , e cioè la guerriglia . In quel contesto infatti essa non funziona . Se le masse sono manipolate dagli apparati , con quale esercito si fa la rivoluzione ? Se il nemico è un potentissimo partito - stato , protetto dall ' estero e padrone di tutte le istituzioni , difficile pensare di abbatterlo col cecchinaggio . E infatti quella posizione aveva , per logica conseguenza , o l ' abbassamento del tiro o « Ha da venì Baffone » , cioè il rinvio dell ' ora X all ' esplodere d ' una crisi europea , d ' una nuova guerra che rovesciasse il rapporto impari di forze . Tanto è vero che , quando il problema della rivoluzione italiana tornò all ' ordine del giorno nella sinistra , nei primi anni Sessanta , comportò un ' analisi diversa anche della Democrazia cristiana , più complessa e insieme più aggredibile ; si vide nell ' interclassismo cattolico un terreno di disgregazione del vecchio e di riaggregazione , nella lotta di massa , del nuovo blocco storico . Tutta la spinta a sinistra ne fu alimentata , e ne risentì la stessa Democrazia cristiana , specie nelle fasi in cui si trovò sotto sterzo , cioè nell ' estate del 1963 e poi dal 1975 al 1976 . Interessi imperialisti , capitale privato e di stato , stato , partiti , confessionalismo , « luoghi » della dominazione borghese apparvero in continuità , ma non appiattiti ; e nel relativo scollamento si rifletté la forza d ' urto dell ' avanzata a sinistra . Se oggi qualcuno scopre nel testo delle BR una efficace critica della DC , vuol dire che l ' arretramento delle idee politiche s ' è fatto precipitoso . Le BR odierne , se pure di loro si tratta , ci hanno contato . E il Partito comunista farebbe bene a misurare lo spazio che ha lasciato scoperto e l ' ampiezza di manovra che esso offre . Consente infatti ai brigatisti di fare degli ammazzamenti , sequestri e ora relativa ideologia , i cardini d ' una doppia operazione : far saltare la Democrazia cristiana o parte di essa fuori dal « compromesso democratico » e indebolire la credibilità della sinistra , nel momento in cui si attua una destabilizzazione a destra . Questa manovra sconta il silenzio delle sinistre sulla DC e se ne fa una forza . Può infatti opporre il PCI , allo schematismo d ' una denuncia che mira a impressionare una certa base inquieta o delusa , l ' articolato giudizio formulato negli anni Sessanta ? Quello - l ' analisi della DC come d ' uno specifico interclassismo , specifico problema strutturale , storico e di coscienza della nostra società - comportava comunque una strategia di attacco , di avanzata , di egemonia , di conquista . Quali che ne fossero i limiti che la strategia che le sinistre ne derivavano , ed erano molti , nella loro coscienza e in quella delle masse che le seguivano restò al centro il « come » della divisione della DC e della sua sconfitta . Lo restò fino al 20 giugno . Da allora non lo è più . Al suo posto sono subentrate , con la filosofia dell ' emergenza , la priorità data all ' accordo con tutta la Democrazia cristiana , e quindi la necessità di stare alle sue compatibilità . PCI e PSI vanno fin dove la DC può arrivare . La rovinosa condotta dell ' ultima crisi di governo ne è stata la prova . E un caso che sia culminata nella seconda grande provocazione del decennio , reciproca alla strage di piazza Fontana ? È straordinario che dal Cile , che pure lo spaventò , il PCI non abbia tratto le due lezioni più evidenti . Prima , che non può inoltrarsi in campo avversario senza fortemente coprirsi a sinistra con un tenace legame di masse ( masse più coese e non meno , più capaci di egemonia e non meno ) . Secondo , che deve essere garantito da modifiche immediate e sostanziali negli apparati del potere di stato . Berlinguer invece sembra essersi mosso al buio . E ora a sinistra gli si aprono falle , nella forma peggiore . No , non il crescere del partito armato nelle fabbriche : queste sono storie che piacciono a Carli . Ma prime sacche di rassegnazione e delusione e sconcerto ; domani smobilitazione . A destra , nel giro di poche settimane e sotto l ' iniziativa degli attentati , un avversario incattivito e uno stato che domanda leggi eccezionali . PCI e PSI , privi di iniziative e capaci solo di esecrazione , le avalleranno . Dove sono le casematte che il movimento popolare italiano , nel momento del suo originario avvento al governo , si sarebbe dato per garantire gli embrioni di un nuovo stato ? Si è fatto di tutto per asfissiarle . Resta una grande classe operaia all ' erta , e attorno ad essa una coscienza democratica che comincia a confondersi e incrinarsi . Nessuno le chiama a organizzarsi , a farsi presidio . La salvezza della democrazia è affidata ai questori . Come stupirsi se ogni avventura è tentata ?