StampaPeriodica ,
A
un
tratto
il
veterinario
sbucò
di
dietro
lo
stecconato
dell
'
orto
,
attraversò
l
'
aia
avvampata
di
sole
e
si
diresse
verso
la
stalla
.
Era
seguito
da
un
carabiniere
,
dal
garzone
del
macellaio
armato
di
una
sega
e
di
diversi
coltelli
,
e
dalla
guardia
comunale
,
vestita
di
bigio
,
col
berrettino
filettato
di
verde
e
due
bottiglie
,
una
per
mano
,
dalle
quali
esalava
un
puzzo
d
'
acido
fenico
e
di
petrolio
che
si
diffondeva
per
l
'
aria
,
di
qua
e
di
là
.
Dietro
a
loro
si
accalcava
in
tumulto
la
marmaglia
dei
ragazzi
moccolosi
e
scalzi
,
strillando
,
bezzicandosi
.
Di
sulle
porte
delle
case
vicine
,
le
donne
colla
pezzola
sugli
occhi
per
via
del
sole
e
la
treccia
in
mano
,
guardavano
senza
muoversi
.
Alcune
ragazze
invece
che
lavoravano
sedute
in
crocchio
all
'
ombra
del
pagliaio
,
si
rizzarono
in
furia
buttando
la
treccia
sulla
seggiola
e
corsero
a
vedere
.
Le
ciantelle
e
le
voci
riempiron
l
'
aia
di
un
brusio
disordinato
.
Il
veterinario
,
senza
neanche
voltarsi
,
spinse
l
'
uscio
rosso
della
stalla
che
era
rabbattuto
ed
entrò
.
Il
Faluca
che
l
'
aveva
scorto
dal
campo
dove
zappettava
,
arrivò
pure
di
corsa
,
in
zucca
,
scamiciato
,
sudato
dal
gran
caldo
,
traversò
la
calca
dei
bambini
e
delle
ragazze
e
messosi
alla
coda
della
brigata
infilò
anche
lui
nella
stalla
chiudendosi
l
'
uscio
dietro
.
La
stalla
bassa
e
umida
,
era
immersa
in
una
oscurità
quasi
completa
;
la
poca
luce
verdognola
che
scendeva
da
un
finestrino
,
attraverso
i
pampani
di
un
tralcio
avviticchiato
all
'
inferriata
,
non
lasciava
scorgere
altro
che
un
manzo
bianco
,
ritto
accanto
al
muro
,
con
la
testa
rivolta
sospettosamente
verso
la
porta
;
ma
non
passò
un
minuto
che
anche
la
massa
enorme
del
bue
morto
apparve
distinta
ai
piedi
del
vivo
.
Giaceva
arrovesciato
sulla
schiena
con
le
quattro
gambe
in
aria
,
il
corpo
gonfio
e
duro
,
il
muso
volto
per
parte
e
la
lingua
paonazza
che
penzolava
fuori
dei
denti
.
Di
fra
il
corno
e
l
'
orecchio
incartapecorito
si
vedeva
l
'
occhio
bianchiccio
,
velato
che
conservava
ancora
come
un
'
espressione
di
terrore
.
La
moglie
del
contadino
,
che
nessuno
aveva
ancor
vista
,
ritta
nel
buio
vicino
al
falcione
,
guardava
la
bestia
e
piangeva
silenziosamente
.
Un
ragazzo
di
una
tredicina
d
'
anni
le
si
stringeva
addosso
.
e
anche
lui
fissava
il
cadavere
del
manzo
;
ma
il
suo
viso
era
duro
e
pareva
che
non
pensasse
a
nulla
.
-
Dunque
,
sor
Negri
,
-
domandò
il
capoccia
,
rompendo
per
il
primo
il
silenzio
-
lei
la
crede
?
...
-
Credo
?
-
rispose
il
veterinario
,
voltandosi
quasi
offeso
alla
domanda
inattesa
-
non
credo
,
ne
son
certo
!
Era
un
omino
macilento
e
dispettoso
,
vestito
di
lustrino
nero
,
calvo
e
con
degli
occhietti
e
un
naso
rosso
da
ubriacone
.
La
sua
risposta
fece
restar
male
il
contadino
.
-
Bah
!
-
fece
questi
,
incredulo
,
e
abbassò
la
testa
,
rapata
.
-
Che
bah
!
e
non
bah
!
-
ribatté
l
'
altro
-
v
'
ho
detto
che
è
carbonchio
,
malattia
contagiosa
e
che
bisogna
sotterrarlo
;
cosa
vorreste
?
farlo
mangiare
alla
gente
?
La
donna
,
come
se
non
avesse
aspettato
che
questa
sentenza
,
scoppiò
in
singhiozzi
ed
uscì
dalla
stalla
.
Il
carabiniere
,
la
guardia
e
il
garzone
del
macellaio
si
guardavan
fra
loro
come
per
domandarsi
l
'
un
l
'
altro
cosa
bisognasse
fare
.
-
Avanti
!
-
disse
allora
il
veterinario
rivolto
verso
il
giovane
beccaio
-
levagli
la
pelle
e
sparalo
.
Non
hai
mica
dei
graffi
nelle
mani
eh
?
-
domandò
poi
-
bada
che
è
pericoloso
.
Ma
il
giovanotto
non
l
'
ascoltò
nemmeno
.
Pareva
che
nessuno
credesse
-
alla
malattia
della
quale
il
veterinario
voleva
far
credere
fosse
morto
il
bove
.
I
tre
uomini
,
aiutati
dal
capoccia
e
dal
ragazzo
,
presero
la
bestia
per
la
coda
e
la
trascinarono
nel
mezzo
della
stalla
.
Il
Negri
che
si
sentiva
affogare
dall
'
odor
grave
del
concio
ribollito
e
del
fiato
della
bestia
e
degli
uomini
,
accese
un
mezzo
sigaro
e
messe
la
testa
fuori
dell
'
uscio
.
Intanto
il
beccaio
affilò
il
coltello
e
cominciò
a
sgozzare
l
'
animale
.
Il
sangue
di
già
rappreso
non
sgorgò
per
la
ferita
;
ma
quando
la
testa
fu
recisa
un
rivoletto
rosso
cominciò
a
colare
dalla
gola
lacerata
,
andando
a
sparire
fra
il
letame
.
Il
ragazzo
prese
la
testa
per
le
corna
ed
andò
a
posarla
in
un
cantuccio
:
-
Tieni
anche
queste
-
disse
il
macellaio
;
e
porse
al
ragazzo
anche
le
quattro
zampe
,
che
aveva
già
tagliato
ai
garretti
una
dopo
l
'
altra
,
d
'
un
sol
colpo
,
perché
le
mettesse
accanto
alla
testa
.
Poi
si
mise
a
sventrare
il
bue
per
levargli
la
pelle
,
che
buttò
nella
greppia
,
dopo
averla
legata
con
la
coda
come
con
un
canapo
.
La
carcassa
della
bestiaccia
,
decapitata
,
mutila
,
sanguinolenta
cominciava
davvero
a
far
ribrezzo
e
pietà
,
con
quei
cinque
uomini
che
le
si
accanivano
sopra
.
Tenendola
ciascuno
per
un
dei
tronconi
delle
gambe
,
costoro
impedivano
che
rotolasse
,
mentre
il
garzon
del
beccaio
andava
immergendo
il
suo
coltellaccio
nell
'
interiora
,
sgranandola
come
una
zucca
matura
.
Quand
'
ebbe
finito
anche
questa
operazione
e
che
il
buzzo
si
sganasciò
oscenamente
lasciando
sgorgare
le
budella
e
lo
sterco
sulle
lastre
dell
'
impiantito
,
si
fece
dar
la
sega
e
squartò
il
cadavere
in
grossi
pezzi
.
Il
veterinario
,
che
di
tanto
in
tanto
era
andato
voltandosi
di
sull
'
uscio
,
appena
vide
che
il
lavoro
era
finito
,
rientrò
nella
stalla
e
disse
al
beccaio
di
sbranare
in
più
posti
i
quarti
;
poi
comandò
alla
guardia
di
versar
nelle
ferite
e
su
tutta
la
carne
l
'
acido
fenico
della
boccia
.
L
'
odor
pestifero
del
disinfettante
riempì
la
stalla
obbligando
gli
uomini
a
tapparsi
il
naso
con
le
dita
.
-
Ora
-
ordinò
ancora
il
veterinario
-
buttatelo
sur
un
carretto
e
via
.
E
lei
-
aggiunse
rivolgendosi
al
carabiniere
-
badi
bene
che
sia
sotterrato
tutto
,
tutto
capisce
?
Ne
è
responsabile
.
Voi
poi
-
concluse
,
parlando
questa
volta
alla
guardia
comunale
,
-
non
dimenticate
d
'
annaffiarlo
col
petrolio
dell
'
altra
boccia
-
Mi
raccomando
.
E
senza
salutar
nessuno
si
allontanò
.
Il
ragazzo
del
contadino
a
un
cenno
del
padre
sparì
anche
lui
e
dopo
pochi
minuti
ritornò
conducendo
per
la
briglia
un
ciuco
attaccato
a
un
barroccino
.
Le
cosce
,
le
spalle
,
la
testa
e
le
zampe
del
bue
furon
caricate
e
il
lugubre
corteggio
si
mise
in
cammino
.
Intanto
la
folla
rimasta
fuori
era
andata
ingrossando
.
Oltre
le
donne
e
i
ragazzi
,
alcuni
braccianti
e
contadini
del
vicinato
,
giovani
e
vecchi
,
eran
venuti
,
attratti
dalla
curiosità
,
e
guardavano
quelli
enormi
brandelli
di
carne
sanguinosa
,
fatta
anche
più
rossa
dalle
tinte
accese
del
sole
di
già
basso
,
con
una
specie
di
avidità
e
di
rimpianto
.
Di
qua
e
di
là
qualche
voce
saliva
anche
a
esprimere
questi
sentimenti
e
le
donne
stesse
,
invece
d
'
inorridire
,
lanciavano
sul
barroccino
degli
sguardi
cupidi
,
delle
parole
di
scherno
sul
carabiniere
e
la
guardia
che
andavano
a
far
da
becchini
.
Sembrava
che
ogni
stomaco
palpitasse
di
bramosia
per
quella
carne
infetta
.
Uomini
,
donne
e
ragazzi
parevano
una
turba
affamata
o
una
muta
di
cani
mugolanti
dietro
al
pasto
.
L
'
uno
eccitava
l
'
altro
con
parole
piene
d
'
ingordigia
.
-
Che
bistecche
eh
?
che
umidi
!
-
E
che
minestre
!
-
Bravo
e
il
petrolio
?
e
il
carbonchio
!
-
obiettava
qualche
schizzinoso
timidamente
.
-
Ma
che
carbonchio
!
c
'
è
da
dar
regola
al
Negri
.
Per
lui
,
quando
gli
ha
bevuto
,
tutte
le
malattie
son
carbonchio
.
N
'
avessi
uno
stufatino
tutti
i
giorni
!
-
Peccato
-
E
il
povero
Faluca
che
ha
il
male
,
il
malanno
e
l
'
uscio
addosso
!
Se
fossi
stato
io
ne
'
suoi
piedi
non
me
lo
levavan
di
sotto
,
te
lo
dice
Parretto
!
S
'
aveva
a
far
baldoria
.
E
tutti
rimpiangevano
tanta
grazia
di
Dio
buttata
a
ingrassar
gli
ulivi
.
Qualcuno
si
staccò
dal
gruppo
e
s
'
accompagnò
al
Faluca
che
camminava
rabbuiato
con
un
forcone
sulla
spalla
dietro
al
figliuolo
.
Il
carabiniere
e
la
guardia
andavano
in
silenzio
sotto
le
rame
dei
loppi
,
su
per
la
collina
ombrosa
in
cima
alla
quale
una
buca
scavata
a
piè
d
'
un
fico
aspettava
fin
dalla
mattina
la
carne
del
bue
morto
.
Verso
mezzanotte
,
la
casa
del
Faluca
era
piena
di
gente
.
Il
Moro
,
il
Ricciolo
,
il
Rosso
,
Italo
di
Parretto
,
Gioia
,
Sciamagna
,
tutti
quelli
insomma
che
avevano
assistito
al
seppellimento
del
bue
eran
venuti
sull
'
annottare
e
tutti
insieme
,
con
marre
e
pale
sulle
spalle
,
erano
tornati
di
nascosto
sulla
collina
.
Un
'
ora
dopo
eran
ridiscesi
con
le
carniere
gonfie
;
e
adesso
aspettavano
chiacchierando
in
cucina
,
chi
a
cavalcioni
sulla
panca
,
accanto
alla
tavola
apperecchiata
,
chi
seduto
in
bilico
sulla
seggiola
con
le
spalle
alla
madia
,
vicino
alla
finestra
per
fuggire
il
calore
che
spargeva
nella
stanza
un
fuoco
infernale
scoppiettante
sotto
una
gran
caldaia
che
avvolgeva
tutta
delle
sue
fiamme
veementi
.
Di
donne
non
c
'
era
che
la
moglie
del
Faluca
,
la
quale
,
smesso
di
singhiozzare
,
correva
qua
e
là
per
la
cucina
splendente
,
si
arrabattava
intorno
a
delle
larghe
bistecche
che
arrostivano
su
dei
treppiedi
in
un
canto
del
focolare
,
schiumava
la
caldaia
bollente
,
condiva
questa
o
quella
pentola
,
nettava
insalata
e
radici
.
Il
ragazzo
come
inebriato
dal
profumo
che
montava
dagli
intingoli
e
dal
brodo
,
si
dava
da
fare
anche
lui
,
con
le
gote
in
fiamme
e
gli
occhi
lustri
;
risciacquava
i
bicchieri
,
levava
l
'
olio
ai
fiaschi
,
grattava
il
cacio
per
i
maccheroni
.
In
quanto
al
capoccia
non
pareva
più
lo
stesso
uomo
aggrondato
della
sera
.
Era
seduto
,
quasi
sdraiato
,
col
gomito
appoggiato
allo
spigolo
della
tavola
e
la
testa
sulla
manaccia
aperta
,
con
la
pipa
in
bocca
,
e
si
rallegrava
con
gli
amici
del
bel
tiro
fatto
al
sor
Negri
.
Ogni
tanto
sputava
per
dare
un
'
occhiata
di
tralice
ai
preparativi
della
cena
.
-
Che
il
diavolo
se
lo
porti
lui
e
il
suo
acido
fenico
!
c
'
è
voluto
un
tino
d
'
acqua
per
mandarne
via
il
sito
.
L
'
acido
fenico
!
il
petrolio
!
...
aggiungeva
scuotendo
la
testa
-
una
bestia
che
non
se
ne
vedeva
,
sana
come
una
lasca
!
lo
so
io
per
via
di
che
l
'
è
morta
!
Qualche
animalaccio
fra
il
segato
,
ve
lo
dico
io
!
qualche
ragno
,
qualche
scorpione
.
Gliel
'
ho
detto
anche
a
lui
;
ma
sì
!
quando
gli
ha
un
po
'
di
vino
per
la
testa
!
...
Gli
altri
approvavano
in
coro
.
Ogni
tanto
qualcuno
usciva
fuori
con
una
frase
mozza
che
i
compagni
dovevano
completare
a
colpo
.
-
Cari
miei
,
gli
è
un
darci
!
secondo
come
la
gli
frulla
!
...
-
Vorrei
averli
io
i
marenghi
de
'
santantòni
che
ha
fatto
smerciar
lui
!
-
Ai
miei
tempi
-
aggiungeva
uno
un
po
'
più
anziano
degli
altri
-
ma
che
c
'
era
tutte
queste
calìe
!
...
Mi
ricordo
quando
morì
la
mucca
a
Natale
...
E
ognuno
aveva
da
raccontare
come
tanti
avessero
mangiato
e
venduto
la
carne
delle
bestie
morte
da
sé
,
senza
che
mai
fosse
successo
nulla
.
Il
Ricciolo
narrò
di
due
che
una
volta
s
'
eran
fatto
arrostire
un
vitellino
nato
morto
e
poi
l
'
avevan
mangiato
tutto
.
-
E
non
moriron
mica
-
concluse
.
-
Solamente
siccome
gli
avevan
fatto
indigestione
,
sapete
cosa
fece
il
dottore
?
li
fece
entrare
in
un
fiume
fino
alla
gola
e
non
fu
altro
.
Frattanto
la
massaia
aveva
scodellato
i
maccheroni
e
ognuno
prese
il
proprio
posto
.
Uno
dopo
l
'
altro
i
tegami
,
i
piatti
di
salse
,
le
marmitte
d
'
intingoli
,
i
vassoi
colmi
di
bistecche
passavano
dal
focolare
alla
tavola
e
andavano
vuotati
d
'
un
tratto
.
Il
vino
scintillava
nei
bicchieri
vuotati
d
'
un
tratto
e
ripieni
,
infondendo
nei
petti
un
'
allegria
fragorosa
.
Fra
il
rumore
dei
coltelli
e
delle
forchette
una
gioia
bestiale
si
propagava
per
la
vasta
cucina
affumicata
che
la
fiammata
e
i
lumi
a
mano
riempivano
di
riflessi
e
di
grandi
ombre
.
Gli
odori
della
carne
abbrustolita
e
del
vino
si
mescolavano
a
quelli
del
sudore
e
del
tabacco
,
e
gli
occhi
e
le
gote
si
accendevano
per
la
voluttà
del
bagordo
.
Ben
presto
però
anche
la
baldoria
cessò
e
come
se
tutti
gli
spiriti
vitali
fossero
scesi
negli
stomachi
un
silenzio
quasi
religioso
piombò
su
quella
ribotta
.
Assorti
tutti
nella
soddisfazione
d
'
ingollar
cibi
succolenti
,
con
le
nari
e
il
cervello
impinguati
dei
fumi
del
pasto
,
nessuno
dei
terribili
convitati
parlava
più
e
fra
l
'
acciottolio
delle
terraglie
e
il
suono
delle
posate
battute
nelle
scodelle
e
nei
denti
,
non
si
udiva
che
il
crepitar
della
fiamma
attutita
e
il
dimenar
delle
ganasce
.
Ma
dalla
finestra
aperta
per
la
quale
non
si
vedeva
né
il
cielo
né
gli
alberi
fronzuti
e
carichi
di
frutti
maturi
,
entrava
un
alito
di
vento
che
aleggiando
per
la
stanza
faceva
tremar
le
fiaccole
dei
lumi
a
olio
come
se
la
morte
vi
soffiasse
sopra
.
ProsaGiuridica ,
Vittorio
Emanuele
III
per
Grazia
di
Dio
e
per
la
Volontà
della
Nazione
Re
d
'
Italia
e
di
Albania
Imperatore
d
'
Etiopia
Il
Senato
e
la
Camera
dei
fasci
e
delle
Corporazioni
,
a
mezzo
delle
loro
Commissioni
legislative
,
hanno
approvato
;
Noi
abbiamo
sanzionato
e
promulghiamo
quanto
segue
:
Articolo
unico
Gli
articoli
3
e
4
della
legge
13
luglio
1939-XVII
,
n
.
1055
,
recante
disposizioni
in
materia
testamentaria
,
nonché
sulla
disciplina
dei
cognomi
,
nei
confronti
degli
appartenenti
alla
razza
ebraica
,
sono
sostituiti
dai
seguenti
:
Art
.
3
.
I
cittadini
italiani
,
nati
da
padre
ebreo
e
da
madre
non
appartenente
alla
razza
ebraica
,
che
ai
termini
dell
'
art
.
8
,
ultimo
,
comma
,
del
R
.
decreto
-
legge
17
novembre
1938-XVII
,
n
.
1728
,
convertito
nella
legge
5
gennaio
1939-XVII
,
n
.
274
,
non
sono
considerati
di
razza
ebraica
,
possono
ottenere
di
sostituire
,
al
loro
cognome
,
quello
originario
della
madre
,
salvo
quanto
è
disposto
dall
'
art
.
158
,
ultimo
comma
del
R
.
decreto
9
luglio
1939-XVII
,
n
.
1238
,
sull
'
ordinamento
dello
stato
civile
.
Nel
caso
che
il
cognome
originario
della
madre
rientri
tra
le
ipotesi
indicate
nel
citato
art
.
158
,
ultimo
comma
,
del
Regio
decreto
9
luglio
1939-XVII
,
n
.
1238
,
gli
interessati
possono
ottenere
di
cambiare
il
proprio
cognome
con
altro
non
compreso
tra
dette
ipotesi
.
Art
.
4
.
I
cittadini
italiani
non
appartenenti
alla
razza
ebraica
,
che
abbiano
cognomi
notoriamente
diffusi
tra
gli
appartenenti
a
detta
razza
,
possono
ottenere
il
cambiamento
del
loro
cognome
con
altro
,
osservato
il
disposto
dell
'
art
.
158
,
ultimo
comma
,
del
R
.
decreto
9
luglio
1939-XVII
,
n
.
1238
,
sull
'
ordinamento
dello
stato
civile
.
Ordiniamo
che
la
presente
,
munita
del
sigillo
dello
Stato
,
sia
inserta
nella
Raccolta
ufficiale
delle
leggi
e
dei
decreti
del
Regno
d
'
Italia
,
mandando
a
chiunque
spetti
di
osservarla
e
di
farla
osservare
come
legge
dello
Stato
.
Dato
a
San
Rossore
,
addì
28
settembre
1940-XVIII
Vittorio
Emanuele
Mussolini
,
Grandi
,
Di
Revel
Visto
il
Guardasigilli
:
Grandi
StampaPeriodica ,
Venezia
,
agosto
-
La
sortita
più
brillante
del
movimento
neorealista
italiano
fu
quando
Renato
Guttuso
piantò
,
alla
Biennale
del
'52
,
il
suo
telone
storico
della
Battaglia
al
Ponte
dell
'
Ammiraglio
,
che
regge
ancora
alla
distanza
per
la
viva
memoria
di
quei
suoi
toni
di
forte
agrume
e
la
macchina
ben
oliata
,
ma
strepitante
,
dell
'
azione
in
corso
.
C
'
era
da
credere
che
un
grosso
colpo
fosse
stato
inferto
alle
schiere
avversarie
;
da
prevedere
che
molti
astrattisti
si
sarebbero
convinti
di
aver
giocato
abbastanza
e
che
il
seguito
si
sarebbe
visto
due
anni
dopo
.
Ma
in
questa
XXVII
Biennale
è
invece
l
'
astrattismo
che
sembra
aver
ripreso
fiato
,
mentre
il
realismo
è
piuttosto
in
giacenza
.
A
sentir
le
lamentazioni
dei
realisti
,
sarebbe
stato
proprio
il
Moloch
della
Biennale
a
divorarselo
,
falcidiando
inviti
,
limitando
talune
presenze
al
bianco
e
nero
,
disgiungendone
altre
in
sale
diverse
e
recondite
.
Difficile
crederlo
,
perché
se
può
lamentarsi
l
'
assenza
,
come
pittore
,
di
un
Treccani
(
che
,
col
suo
Ritorno
a
Fragalà
,
avrebbe
sicuramente
sollevato
il
tono
delle
due
salette
«
realistiche
»
)
,
o
la
collocazione
sbadata
di
un
Omiccioli
o
di
un
Mafai
(
che
però
s
'
indugia
in
area
stranamente
depressa
)
,
è
duro
immaginare
i
vantaggi
della
eventuale
compresenza
di
un
Sassu
o
di
tanti
altri
fra
cui
la
scelta
non
è
punto
stimolante
;
mentre
,
fra
í
molti
disegnatori
,
non
vedo
che
cosa
mai
altri
nomi
avrebbero
aggiunto
alla
quota
dei
presenti
(
da
Zancanaro
ad
Attardi
,
da
Muccini
a
De
Stefano
,
dalla
Salvatore
a
Vespignani
)
.
Non
sarà
poi
imputabile
a
malizia
degli
organizzatori
se
la
data
della
Biennale
s
'
è
trovata
a
combinarsi
con
la
mostra
ciclica
di
Guttuso
in
paesi
remoti
;
non
restando
così
agli
svaghi
veneziani
che
il
dubbio
Boogie
-
Woogie
:
dove
il
bellissimo
spunto
satirico
contro
il
dipinto
eponimo
di
Mondrian
non
è
sorretto
abbastanza
dalla
parte
autografa
,
troppo
torbidamente
accarezzata
(
ma
mi
rifiuto
di
credere
che
un
uomo
della
intelligenza
,
non
dico
«
intellighentsia
»
,
di
Guttuso
sia
caduto
nel
tranello
tesogli
dall
'
amico
suo
Berenson
,
pubblicando
fra
i
caravaggeschi
la
Cafeteria
di
Cadmus
)
.
Oppure
,
che
c
'
entra
la
Biennale
se
le
figurine
di
uno
Zigaina
,
ancora
scattanti
nel
'52
,
sono
,
quest
'
anno
,
peste
e
filacciose
?
Se
il
Pizzinato
si
ostina
a
respingere
troppo
energicamente
ogni
appoggio
della
sua
cultura
giovanile
;
se
il
Migneco
seguita
a
fingersi
un
coreano
invaghito
di
lingue
occidentali
;
e
il
Brindisi
svolta
improvvisamente
verso
un
«
liberty
»
folcloristico
?
La
ostentazione
poi
con
cui
i
critici
di
sinistra
mostrano
di
puntare
sulla
«
antologica
»
del
Levi
rende
anche
più
ingrata
una
discussione
proficua
sul
già
famoso
«
taccuino
di
Lucania
»
.
«
Preferisco
i
suoi
quadri
antelucani
»
diceva
pacatamente
un
vecchio
amico
torinese
del
pittore
,
uscendo
dalla
sala
.
A
parte
la
involontaria
freddura
,
è
proprio
vero
che
il
gruppo
dei
dipinti
più
antichi
,
fino
al
'35
,
rientrano
nel
coerente
ordine
mentale
di
una
cultura
europea
,
movente
a
quegli
anni
,
tra
postimpressionismo
ed
espressionismo
.
Tutto
il
resto
(
salvandone
il
ritratto
di
Rocco
Scotellaro
,
proprio
perché
,
eccezionalmente
,
si
riaggancia
ai
modi
di
quindici
vent
'
anni
prima
)
è
cronaca
spenta
,
opaca
;
come
se
anche
il
Levi
,
che
fu
pure
dei
«
Sei
»
di
Torino
,
partecipi
della
opinione
,
tanto
diffusa
quanto
storta
,
decisa
a
negare
ogni
radice
«
realistica
»
alla
civiltà
dell
'
impressionismo
;
e
così
condannarla
in
blocco
.
Su
questo
punto
,
per
fortuna
,
è
possibile
trovare
qualche
appiglio
di
confutazione
anche
ritornando
nelle
due
salette
«
realistiche
»
.
Il
primo
ce
l
'
offre
proprio
un
torinese
,
il
Martina
,
che
,
riandando
sulle
tracce
non
ingloriose
del
gruppo
dei
«
Sei
»
,
mostra
di
credere
,
come
credo
anch
'
io
,
che
la
verità
sia
da
ripescarsi
sul
lato
opposto
.
E
me
ne
conforta
,
subito
dopo
,
un
caso
anche
più
semplice
e
,
quasi
,
commovente
.
Salvo
errore
,
Alberto
Ziveri
,
che
pochi
in
Italia
conoscono
,
pochissimi
sanno
collocare
sul
piano
che
gli
tocca
,
è
il
«
realista
più
realizzato
»
della
Biennale
di
quest
'
anno
.
Le
sue
«
cupole
di
Roma
»
,
quasi
abbacinate
entro
la
luce
d
'
azzurro
-
acciaio
,
i
due
Paesaggi
francesi
,
così
teneri
e
densi
,
la
polpa
del
Nudino
di
modella
nello
studio
sono
,
per
maturità
di
visione
,
la
più
grata
sorpresa
del
padiglione
italiano
.
Già
Ziveri
non
ha
aspettato
sollecitazioni
esterne
o
programmatiche
per
riguardarsi
Daumier
,
Courbet
,
Daubigny
,
Corot
;
l
'
ha
fatto
da
sempre
.
E
può
essere
che
,
un
tantino
,
lo
immobilizzi
una
siffatta
cultura
,
vagante
,
di
regola
,
fra
i11830
e
il
'70;
ma
chi
l
'
ascolti
più
attentamente
avvertirà
presto
il
gocciolare
del
filtro
personale
.
Ora
,
per
chi
non
si
creda
votato
alle
esigenze
di
un
gusto
soltanto
(
quanto
è
più
moderno
,
tanto
più
destinato
a
durare
meno
di
un
foglietto
di
calendario
)
,
Ziveri
può
servire
come
caso
esemplare
nel
contesto
della
discussione
sul
«
contenuto
»
e
sulla
scelta
di
una
«
tradizione
»
plausibile
.
Voglio
dire
che
,
ai
daddoli
critici
sulla
superfluità
della
mostra
di
Courbet
a
Venezia
,
la
confutazione
può
venire
naturalmente
proprio
dal
caso
Ziveri
.
Quanto
può
reggere
,
insomma
,
la
cordata
storica
di
una
tradizione
?
Nessuno
è
in
grado
di
prevederlo
,
perché
il
più
della
faccenda
dipende
dalla
solidità
dell
'
aggancio
personale
.
O
,
passando
ai
«
contenuti
»
,
che
dicono
di
fronte
ai
«
paesaggi
»
di
Ziveri
i
negatori
in
blocco
delle
grandi
scoperte
,
in
quel
campo
,
degli
impressionisti
?
E
che
cosa
gli
estensori
di
liste
di
«
contenuti
popolari
»
con
l
'
anticipo
fisso
?
Che
,
nel
variare
dell
'
impasto
storico
,
certi
nuovi
argomenti
s
'
affaccino
con
insistenza
e
chieggano
di
essere
in
qualche
modo
raffigurati
,
è
avvenuto
sempre
.
Più
difficile
è
che
,
affacciandosi
,
abbiano
di
già
un
volto
«
formalmente
»
riconoscibile
.
Ora
è
proprio
la
scarsa
riconoscibilità
formale
di
molti
fra
questi
primi
esperimenti
a
lasciar
dubbi
non
già
sulle
intenzioni
,
ma
proprio
sul
sentimento
,
sull
'
animo
che
le
dovrebbe
reggere
.
Queste
schierature
di
disegni
dove
lavoratori
,
soli
o
in
comitiva
,
per
lo
più
si
riposano
nelle
soste
dalla
giornaliera
fatica
,
sudano
dormendo
o
si
espongono
di
malavoglia
negli
abiti
più
dimessi
,
non
sono
che
un
'
inversione
programmatica
,
non
già
un
superamento
,
della
vecchia
joie
de
vivre
dell
'
impressionismo
ed
ultra
.
Ciò
che
vi
manca
,
e
sarebbe
invece
essenziale
ai
fini
che
vi
si
propongono
,
è
proprio
la
polemica
,
il
contrasto
in
corso
fra
le
due
parti
.
Qui
,
non
se
ne
vede
che
una
.
Il
Levi
stesso
,
nel
suo
Taccuino
di
Lucania
,
dove
ha
lasciato
i
proprietari
,
la
borghesia
,
la
Celere
,
i
vecchi
fascisti
,
e
tutto
il
resto
?
Se
è
vero
che
Grassano
è
come
Gerusalemme
(
è
proprio
il
titolo
di
un
suo
quadro
)
dove
sono
i
pubblicani
,
gli
scribi
,
i
farisei
?
Così
anche
scavalcato
,
come
si
conveniva
,
il
gusto
della
modernità
ad
ogni
costo
,
mi
ridomando
se
in
codesti
artisti
non
intervenga
una
sfiducia
di
fondo
nel
linguaggio
,
lato
sensu
,
impressionistico
,
ritenuto
inadatto
a
narrare
,
ad
illustrare
fatti
umani
,
a
chiarirli
nella
polemica
con
l
'
altera
pars
.
Per
chi
conosca
la
forza
aggressiva
degli
illustratori
satirici
sul
principio
di
questo
nostro
secolo
,
e
rammenti
come
riuscissero
ad
esprimerla
perfettamente
,
col
migliore
linguaggio
artistico
dei
tempi
loro
,
torna
vero
il
contrario
.
Non
sono
dunque
Induno
o
Morelli
che
i
nostri
zelanti
disegnatori
dovrebbero
ristudiarsi
,
ma
,
anche
senza
uscir
di
casa
,
la
tradizione
che
va
dal
Matarelli
,
grande
illustratore
del
Giusti
,
a
quel
Ratalanga
che
veniva
infatti
accolto
alla
pari
,
cinquant
'
anni
fa
,
tra
gli
eccellenti
disegnatori
satirici
della
parigina
Assiette
au
Beurre
.
Mi
chiedo
se
forse
non
li
conoscano
meglio
alcuni
dei
nostri
registi
,
buoni
maneggiatori
di
immagini
,
e
che
pure
non
sembrano
aver
fruttato
ancor
nulla
,
neppur
essi
,
per
i
nostri
giovani
illustratori
.
StampaPeriodica ,
Sì
all
'
autonomia
amministrativa
,
occhio
a
quella
fiscale
I
referendum
regionali
sono
un
prezzo
politico
per
chiudere
la
questione
dello
scisma
del
Nord
,
un
fatto
spirituale
e
sociale
che
ha
dominato
la
vita
italiana
degli
anni
Novanta
;
una
vera
crisi
della
Nazione
come
forma
dell
'
Italia
.
Per
questo
i
referendum
consultivi
sono
ancora
carichi
di
una
potenza
mitica
come
se
essi
dovessero
segnare
un
evento
spirituale
nella
figure
del
rifacimento
istituzionale
.
E
non
sarà
così
perché
le
esigenze
dell
'
unità
di
un
sistema
giuridico
,
economico
,
sociale
nazionale
si
impongono
nella
società
mondiale
molto
più
di
quando
accadesse
quando
vigeva
intatta
la
sovranità
statale
.
I
vincoli
internazionali
rafforzano
,
non
indeboliscono
le
esigenze
della
certezza
e
dell
'
eguaglianza
del
diritto
in
ogni
parte
dello
Stato
.
La
capacità
di
imposizione
fiscale
delle
regioni
non
può
essere
sopravvalutata
.
Le
regioni
a
statuto
speciale
già
esistenti
ce
l
'
hanno
e
non
ne
hanno
mai
fatto
uso
.
L
'
autonomia
regionale
ha
un
senso
solo
se
determina
una
diminuzione
del
peso
burocratico
e
consente
una
maggiore
disponibilità
all
'
esigenza
della
società
civile
.
Ma
si
deve
tenere
conto
che
la
società
civile
non
è
la
terra
degli
angeli
e
che
le
lobby
esistono
ancora
,
rese
più
forti
dalla
fine
dei
partiti
storici
.
Le
decisioni
che
contano
saranno
sempre
prese
a
livello
nazionale
proprio
perché
lo
Stato
nazionale
è
l
'
agente
inevitabile
del
sistema
internazionale
.
In
una
società
ormai
internazionalizzata
,
le
nazioni
acquistano
come
sistemi
economici
e
sociali
il
peso
che
hanno
perso
come
sovranità
nazionale
.
Vi
è
inoltre
il
rischio
che
la
moltiplicazione
delle
fonti
di
diritto
aumenti
i
vincoli
e
quindi
i
poteri
della
burocrazia
e
le
difficoltà
amministrative
poste
all
'
azione
del
cittadino
.
Si
è
visto
che
difficoltà
ha
avuto
a
imporsi
la
legge
Bassanini
,
il
corpo
morto
che
la
burocrazia
ha
contrapposto
all
'
iniziativa
del
governo
.
Quello
che
è
proposto
con
i
referendum
consultivi
delle
regioni
padane
è
un
decentramento
di
compiti
alle
regioni
che
lo
chiederanno
.
Con
ciò
avremmo
altre
regioni
a
statuto
speciale
,
che
comporterà
in
altro
modo
il
trasferimento
di
mezzi
dallo
Stato
alle
regioni
.
Questo
è
un
processo
nazionale
che
deve
essere
governato
a
livello
nazionale
e
che
richiede
un
contratto
tra
le
regioni
settentrionali
a
quelle
meridionali
.
Per
questo
è
valido
l
'
impegno
posto
dal
presidente
del
Piemonte
Ghigo
per
trovare
una
piattaforma
comune
con
le
regioni
di
sinistra
.
Infine
merito
di
Berlusconi
è
di
essere
riuscito
a
porre
in
termini
di
decentramento
ciò
che
era
nato
in
forma
di
rivoluzione
.
Sul
piano
etico
politico
,
la
riforma
ha
importanza
maggiore
che
sul
piano
amministrativo
.
Si
tratta
di
deporre
l
'
ormai
scomposto
mito
del
Risorgimento
e
le
criminalizzazioni
che
ne
sono
seguite
e
di
recuperare
la
storia
dell
'
Italia
preunitaria
.
Sarebbe
un
bel
sogno
se
sul
tricolore
giacobino
che
Ciampi
esalta
si
potessero
porre
i
simboli
delle
repubbliche
marinare
che
combatterono
contro
la
pressione
islamica
.
E
'
certo
che
la
nuova
legislatura
sarà
finalmente
costituente
se
il
centrodestra
,
che
ha
posto
con
la
riforma
regionale
il
superamento
della
Costituzione
del
'48
,
potrà
finalmente
portare
fuori
il
Paese
dalla
crisi
esistenziale
dell
'
identità
della
sinistra
.
StampaQuotidiana ,
Caro
Direttore
,
Che
una
larga
riforma
scolastica
,
come
quella
elaborata
e
messa
in
atto
dal
ministro
Gentile
,
dovesse
levare
,
insieme
con
le
strida
e
i
lamenti
di
coloro
che
se
ne
tengono
danneggiati
,
serie
opposizioni
di
principi
o
anche
censure
giustificate
in
questo
o
quel
particolare
,
è
cosa
naturale
.
Ma
l
'
opposizione
,
che
contro
essa
ora
si
manifesta
in
più
giornali
,
mostra
tali
sembianze
,
da
far
dubitare
che
,
per
lo
meno
,
si
mescoli
,
in
questo
caso
,
al
«
naturale
»
una
buona
dose
di
«
artificiale
»
.
Troppa
violenza
,
troppa
insistenza
,
troppa
enfasi
,
troppo
metodo
,
troppa
passione
:
quanta
,
in
verità
,
non
ce
n
'
è
stata
mai
in
Italia
(
e
specialmente
in
certi
circoli
)
per
le
sorti
della
scuola
.
Troppa
grazia
,
dunque
;
e
questa
sovrabbondanza
di
grazia
induce
a
qualche
sospetto
circa
la
sua
genuinità
.
Sarà
vero
quel
che
tutti
ripetono
in
questi
giorni
:
che
si
tratti
di
un
motto
d
'
ordine
,
partito
dalle
labbra
di
un
sommo
sacerdote
,
a
cui
gli
adepti
rumorosamente
fanno
eco
?
(
Et
dixit
Josue
ad
omnnem
Israel
:
Vociferamini
!
)
Inclino
a
credervi
,
perché
vedo
che
in
quelle
polemiche
si
tace
studiosamente
proprio
della
questione
,
che
più
deve
scottare
,
l
'
insegnamento
religioso
:
quasi
si
direbbe
per
non
mettere
sulle
tracce
della
qualità
ed
origine
dell
'
opposizione
.
E
poi
(
concludeva
,
parlando
con
me
,
candidamente
,
l
'
altra
sera
un
amico
,
acerrimo
antifascista
)
,
sarà
questa
,
in
ogni
caso
,
una
«
prima
breccia
»
,
che
speriamo
di
aprire
nel
«
fascismo
»
.
Operazione
guerresca
,
senza
dubbio
,
lecita
,
ma
che
non
dovrebbe
spingere
a
passar
sopra
alla
scuola
italiana
come
a
un
corpo
vile
.
Certo
,
molta
brava
gente
,
che
non
ha
tenuto
dietro
ai
dibattiti
sui
problemi
della
scuola
e
non
è
in
grado
di
sincerarsi
da
sé
,
rimane
turbata
quando
vede
nei
giornali
aperta
una
rubrica
speciale
,
che
par
quella
dell
'
eruzione
dell
'
Etna
(
ed
è
esagerata
come
fu
quella
!
)
.
E
parecchi
,
desiderosi
di
sapere
che
cosa
debbano
pensarne
,
si
rivolgono
a
me
,
che
non
ho
di
certo
tempo
né
voglia
di
somministrare
lezioni
di
pedagogia
e
didattica
e
di
storia
delle
istituzioni
scolastiche
italiane
;
e
perciò
,
rispondendo
e
rassicurando
,
ricorro
volentieri
ad
argomenti
di
persuasione
,
alquanto
estrinseci
,
come
estrinseco
è
il
turbamento
di
quella
brava
gente
.
E
,
per
esempio
,
dico
loro
:
Sono
molti
decenni
che
gl
'
insegnanti
italiani
di
scuole
medie
accusano
,
come
causa
fondamentale
del
cattivo
andamento
della
scuola
,
la
folla
degli
scolari
inadatti
,
e
che
gl
'
insegnanti
delle
Università
si
dolgono
della
insufficiente
preparazione
dei
giovani
che
entrano
nelle
Università
,
e
della
nessuna
garanzia
delle
lauree
ch
'
essi
sono
costretti
a
conferire
.
E
sono
almeno
venti
anni
che
un
gruppo
di
studiosi
ed
educatori
italiani
ha
indagato
questi
malanni
,
esaminato
le
condizioni
della
scuola
,
ricercato
i
rimedi
,
scritto
libri
su
tali
argomenti
,
promosso
ampi
dibattiti
.
Ora
il
più
autorevole
di
questi
studiosi
,
colui
che
ai
problemi
della
scuola
ha
consacrato
il
meglio
del
suo
animo
e
del
suo
pensiero
,
il
Gentile
,
ripigliando
i
disegni
di
legge
de
'
suoi
predecessori
,
che
le
vicende
politiche
fecero
incagliare
,
raccoglie
in
una
serie
di
norme
legislative
il
frutto
di
lunghi
e
ardenti
desideri
,
di
accorate
e
industri
fatiche
.
Non
vi
pare
che
si
possa
e
si
debba
aver
fiducia
che
da
tale
opera
sia
per
uscire
gran
bene
?
Da
quanto
tempo
non
si
è
più
avuto
,
e
quando
si
riavrà
,
un
ministro
competente
e
volenteroso
al
pari
del
Gentile
?
Con
le
riserve
generiche
che
convien
fare
per
ogni
cosa
umana
,
si
può
stare
tranquilli
che
la
sua
è
opera
di
uomo
del
mestiere
e
non
di
un
guastamestieri
;
con
le
riserve
che
si
possono
muovere
circa
tale
o
tal
altra
disposizione
particolare
,
si
può
tenere
per
certo
che
le
linee
essenziali
del
nuovo
ordinamento
sono
tracciate
con
vigore
e
sicurezza
.
E
dico
altra
volta
:
Quantunque
per
mia
parte
mi
accordi
nei
concetti
direttivi
col
Gentile
,
sono
preso
anch
'
io
,
nel
leggere
i
decreti
di
quella
riforma
,
dall
'
onesto
dubbio
,
che
sempre
si
affaccia
quando
dal
programma
e
dal
proposito
si
passa
all
'
esecuzione
e
all
'
attuazione
:
il
dubbio
che
non
si
sia
tenuto
sempre
conto
pieno
della
realtà
effettuale
e
non
si
siano
ben
calcolate
certe
reazioni
e
ripercussioni
.
E
perciò
ho
voluto
in
varie
occasioni
interrogare
con
ogni
libertà
e
confidenza
provetti
insegnanti
e
capi
d
'
istituti
,
circa
il
giudizio
che
essi
coscienziosamente
si
erano
formati
della
riforma
odierna
.
Or
,
dunque
,
essi
,
sul
fondamento
dell
'
esperienza
che
hanno
della
scuola
italiana
,
mi
hanno
risposto
che
stimano
la
riforma
eccellente
,
e
che
,
se
si
darà
tempo
al
tempo
,
sarà
principio
di
vera
rigenerazione
.
Ovvio
che
io
debba
attribuire
maggiore
importanza
al
parere
di
questi
insegnanti
,
di
cui
conosco
la
cultura
,
l
'
intelligenza
e
la
probità
,
che
non
al
chiacchiericcio
dei
facili
censori
o
al
poco
disinteressato
biasimo
degli
insegnanti
inetti
e
pigri
.
E
credo
che
mi
si
possa
imitare
in
questa
ragionevole
preferenza
.
E
dico
ancora
:
Quale
meraviglia
che
l
'
apertura
dell
'
anno
scolastico
,
che
in
Italia
da
lungo
tempo
,
a
causa
dei
cattivi
ordinamenti
,
riesce
travagliosissima
,
sia
stata
anche
quest
'
anno
travagliosa
,
non
più
a
causa
dei
cattivi
ordinamenti
ma
anzi
a
causa
dell
'
abolizione
e
della
sostituzione
che
se
ne
è
fatta
?
Ma
non
bisogna
spaventarsi
troppo
presto
.
Tra
un
paio
di
mesi
quasi
non
si
serberà
più
memoria
delle
querele
e
accuse
di
questi
giorni
,
perché
le
cose
avranno
preso
il
loro
assetto
.
Ricordo
che
,
quando
disposi
una
sorta
di
discentramento
per
l
'
assegnazione
delle
«
supplenze
»
,
i
giornali
furono
tutti
pieni
di
proteste
contro
di
me
,
contro
la
confusione
che
io
avevo
introdotta
in
quella
parte
,
e
che
solo
un
«
filosofo
»
,
uso
alle
«
astrattezze
»
ecc
.
,
poteva
improvvidamente
suscitare
ecc
.
;
e
io
,
che
avevo
intanto
lasciato
il
Ministero
,
non
mi
curai
di
rispondere
.
Senonché
,
qualche
mese
dopo
,
per
mera
curiosità
,
scrissi
in
via
privata
al
Direttore
generale
dell
'
istruzione
media
per
sapere
quali
fossero
stati
veramente
gli
effetti
di
quella
mia
riforma
;
e
il
Direttore
generale
m
'
informò
che
i
benefici
erano
stati
grandi
,
e
che
ormai
nessuno
si
lamentava
più
.
Si
rifletta
che
una
o
due
persone
,
colpite
nei
loro
comodi
e
lucri
,
fanno
chiasso
per
cento
,
e
descrivono
in
aspetto
di
disastro
nazionale
,
ciò
che
non
è
forse
nemmeno
un
loro
disastro
personale
.
Ma
c
'
è
qualche
altra
cosa
che
vorrei
poi
dire
a
coloro
che
sono
veramente
solleciti
del
bene
della
scuola
,
del
bene
dell
'
Italia
;
ed
è
di
star
vigili
al
giuoco
che
ora
si
tenta
,
e
che
è
di
arrestare
e
mandare
in
aria
le
riforme
scolastiche
del
Gentile
.
Noi
avevamo
in
Italia
non
già
un
ordinamento
,
ma
un
groviglio
di
scuole
e
di
ordinamenti
scolastici
,
sorti
in
modo
occasionale
e
contradittorio
,
sovente
sotto
lo
stimolo
d
'
interessi
che
non
erano
né
di
educazione
né
d
'
istruzione
.
Mercé
l
'
opera
del
Gentile
,
si
ha
ora
invece
un
ordinamento
saldo
,
razionale
e
coerente
,
indirizzato
al
rinvigorimento
del
pensiero
,
del
carattere
e
della
cultura
italiana
.
Potrà
ben
essere
corretto
o
ritoccato
in
qualche
parte
,
ma
è
ben
piantato
e
capace
di
svolgimento
.
Dovremmo
,
a
seguire
l
'
impeto
e
le
mire
degli
oppositori
,
tornare
rassegnatamente
alla
baraonda
di
prima
?
Dovremmo
,
da
ora
in
poi
,
reputare
priva
di
ogni
speranza
l
'
opera
di
qualsiasi
uomo
,
per
esperto
che
sia
,
il
quale
si
accinga
a
dare
un
avviamento
severo
e
pensato
alla
scuola
italiana
?
Sono
sicuro
che
gli
assalti
furiosi
,
ai
quali
oggi
è
esposta
l
'
opera
del
Gentile
,
non
conseguiranno
il
loro
intento
;
ma
vorrei
che
coloro
che
li
conducono
,
o
coloro
che
li
approvano
,
considerassero
che
essi
,
nel
caso
che
vincessero
,
assumerebbero
una
ben
grave
responsabilità
,
caricherebbero
di
un
grosso
peso
la
loro
coscienza
.
Per
impazienza
polemica
o
per
fini
di
partito
e
di
polemica
e
di
tattica
politica
,
avrebbero
tolto
alla
lungamente
auspicata
riforma
della
scuola
italiana
un
'
occasione
,
che
non
si
ripresenterà
mai
più
.
Mi
abbia
con
cordiali
saluti
,
ecc
.
StampaQuotidiana ,
Questa
volta
i
banditi
delle
banche
ci
hanno
lasciato
le
penne
.
Ma
prima
di
perdere
il
bottino
e
un
compagno
della
banda
le
hanno
tentate
tutte
disseminando
sulla
via
della
fuga
due
morti
e
ventidue
feriti
tra
cui
sei
agenti
di
polizia
.
È
stata
una
battaglia
spietata
e
rabbiosa
combattuta
tra
un
urlante
carosello
di
«
pantere
»
,
gridi
di
spavento
della
gente
,
schianti
di
scontri
e
rovinii
di
vetri
disintegrati
dalle
raffiche
dei
mitra
e
delle
pistole
.
La
sanguinosa
scorribanda
,
che
ha
trasformato
le
strade
e
le
piazze
attorno
alla
Fiera
di
Milano
in
un
quartiere
della
Chicago
degli
anni
Venti
,
ha
tenuto
con
il
fiato
mozzo
migliaia
di
milanesi
,
spettatori
attoniti
e
sbigottiti
di
questa
caccia
all
'
ultimo
sangue
.
Tutto
è
cominciato
attorno
alle
15.30
.
Quattro
giovani
sono
arrivati
a
bordo
di
una
1100
blu
targata
MI
767815
davanti
alla
Filiale
N
.
11
del
Banco
di
Napoli
,
all
'
angolo
tra
largo
Zandonai
e
via
Panzini
.
Uno
di
loro
si
è
avvicinato
di
soppiatto
all
'
agente
Francesco
Annichiarico
,
di
servizio
all
'
ingresso
e
lo
ha
stordito
vibrandogli
un
colpo
alla
testa
con
il
calcio
di
una
rivoltella
.
Altri
due
banditi
,
con
un
fazzoletto
sul
viso
,
hanno
fatto
alzare
le
mani
ai
cinque
impiegati
e
a
quella
decina
di
clienti
che
a
quell
'
ora
si
trovavano
davanti
agli
sportelli
,
minacciandoli
con
un
mitra
e
una
pistola
.
La
solita
scena
e
le
solite
parole
.
«
Fermi
tutti
.
Vi
diamo
un
minuto
di
tempo
per
consegnarci
tutto
quello
che
avete
in
cassa
.
E
poche
storie
!
»
Un
fattorino
ha
un
moto
inconsulto
,
fa
per
allontanarsi
e
si
busca
uno
sberlone
che
lo
fa
cadere
in
ginocchio
.
Un
cliente
si
avvicina
per
soccorrerlo
e
subisce
lo
stesso
trattamento
.
Non
c
'
è
niente
da
fare
.
E
il
cassiere
Francesco
Navarro
apre
la
cassa
da
cui
il
solito
bandito
saltatore
di
banconi
,
che
si
ritrova
in
ogni
rapina
,
arraffa
9
milioni
660.000
e
500
lire
in
contanti
più
una
bracciata
di
assegni
per
un
milione
,
cacciando
il
tutto
in
una
sacca
sportiva
azzurra
.
Fatto
il
colpo
i
banditi
escono
e
insieme
a
quello
che
aveva
continuato
a
tener
d
'
occhio
l
'
agente
,
salgono
precipitosamente
sull
'
auto
,
lasciata
con
il
motore
acceso
e
il
pilota
al
volante
.
Tutto
come
sempre
,
tutto
secondo
gli
schemi
di
queste
imprese
della
«
mala
»
.
Ma
,
questa
volta
,
la
rapina
ha
avuto
un
seguito
impreveduto
.
Non
appena
i
banditi
hanno
girato
l
'
angolo
,
gli
impiegati
hanno
fatto
scattare
il
cosiddetto
«
apparecchio
Polbi
»
-
che
sarebbe
il
dispositivo
d
'
allarme
studiato
e
messo
a
punto
per
la
difesa
degli
istituti
di
credito
dopo
la
penosa
sequenza
di
aggressioni
di
questi
anni
-
e
immediatamente
l
'
apparecchio
ha
messo
in
moto
l
'
intera
organizzazione
di
emergenza
della
polizia
milanese
.
Quasi
contemporaneamente
sono
scese
in
campo
otto
«
pantere
»
della
Volante
e
otto
R.C.
della
Mobile
,
seguendo
la
tattica
dell
'
intervento
a
scacchiera
elaborata
per
la
lotta
contro
i
rapinatori
.
Le
sedici
automobili
si
spostavano
fulmineamente
in
modo
da
accerchiare
i
fuggitivi
tenendo
sotto
controllo
l
'
intera
zona
in
allarme
.
Per
caso
si
trovava
in
via
Procaccini
anche
il
maresciallo
Siffredi
che
stava
facendo
un
appostamento
in
borghese
(
forse
per
l
'
operazione
contro
la
banda
di
Tiritiello
)
a
bordo
di
una
850
su
cui
erano
anche
gli
agenti
Palladino
e
Menghini
.
La
1100
viene
avvistata
e
comincia
la
caccia
.
Vedendosi
sbarrate
tutte
le
strade
previste
per
raggiungere
il
punto
convenuto
per
il
cambio
dell
'
automobile
,
i
rapinatori
si
gettano
allo
sbaraglio
fuggendo
a
casaccio
come
topi
impazziti
,
con
l
'
unica
preoccupazione
di
far
perdere
le
tracce
.
E
per
aprirsi
varchi
nel
traffico
sparano
all
'
impazzata
contro
chiunque
ha
la
disavventura
di
trovarsi
davanti
a
loro
.
Così
viene
fulminato
in
viale
Pisa
nella
cabina
del
suo
autocarro
l
'
autista
Virgilio
Oddone
di
53
anni
da
San
Donato
.
Così
cade
colpito
a
morte
nella
sua
600
accanto
al
padre
in
piazza
Stuparich
il
trentacinquenne
Francesco
De
Rosa
abitante
a
Bresso
in
via
Roma
91
,
che
spirerà
dopo
pochi
minuti
all
'
ospedale
.
È
impossibile
,
almeno
ora
,
ricostruire
il
tortuoso
itinerario
dei
fuggiaschi
che
vengono
segnalati
in
piazzale
Lotto
,
in
via
Murillo
,
in
via
Rembrandt
,
in
piazza
delle
Bande
Nere
,
in
piazza
Firenze
,
in
viale
Pisa
percorso
a
folle
andatura
nelle
due
direzioni
sempre
preceduta
dai
colpi
secchi
delle
armi
imbracciate
dai
delinquenti
.
Mentre
la
loro
automobile
gira
attorno
all
'
Arco
della
Pace
giunge
all
'
orecchio
di
una
ragazzina
la
voce
concitata
del
capo
che
grida
all
'
altro
:
«
Spara
,
Cristo
!
Spara
!
»
.
Le
«
pantere
»
che
corrono
sulla
loro
scia
devono
limitarsi
a
tallonare
i
banditi
senza
poter
rispondere
ai
loro
colpi
.
A
un
certo
punto
la
pattuglia
della
«
Musocco
»
vede
spuntare
dal
finestrino
posteriore
della
1100
uno
dei
«
ragazzi
»
che
le
fa
cenno
di
rallentare
facendo
capire
a
gesti
che
,
se
non
rallenta
la
corsa
,
pistole
e
mitra
spareranno
contro
i
passanti
terrorizzati
lungo
i
marciapiedi
.
E
la
minaccia
è
presto
seguita
da
alcune
raffiche
sparate
brutalmente
sulla
folla
.
Per
non
aggravare
il
bilancio
già
fin
troppo
sanguinoso
della
giornata
,
la
polizia
dovrà
attendere
di
raggiungere
via
Pisanello
prima
di
poter
aprire
il
fuoco
senza
pericolo
per
i
passanti
.
Intanto
ben
sei
«
pantere
»
hanno
già
fatto
da
bersaglio
alle
armi
dei
rapinatori
continuando
quell
'
inseguimento
da
mozzafiato
.
In
via
Procaccini
l
'
episodio
più
drammatico
della
battaglia
.
Il
maresciallo
Siffredi
scorge
la
1100
e
le
si
getta
decisamente
contro
con
la
sua
850
,
sparando
contemporaneamente
verso
il
lunotto
posteriore
della
vettura
speronata
.
I
banditi
spianano
le
pistole
e
feriscono
il
maresciallo
,
Palladino
e
Menghini
.
Dall
'
altra
parte
non
la
passano
liscia
.
Un
colpo
ben
mirato
raggiunge
uno
dei
malviventi
,
forse
,
stando
a
quanto
assicura
il
maresciallo
ferito
,
un
secondo
colpo
colpisce
un
altro
della
banda
.
In
piazza
6
Febbraio
dalla
1100
viene
scaricato
uno
della
banda
,
calvo
,
di
spalle
larghe
e
massicce
,
che
stringe
un
mitra
in
una
mano
e
la
sacca
azzurra
con
il
malloppo
nell
'
altra
.
È
una
«
mossa
»
strana
,
disperata
,
difficile
da
spiegare
.
Uno
degli
episodi
oscuri
della
storia
,
che
di
particolari
oscuri
e
controversi
ne
avrà
più
d
'
uno
.
Accompagnato
da
una
fitta
sparatoria
dei
compagni
(
che
giostrando
temerariamente
con
l
'
auto
alle
sue
spalle
non
si
sa
se
vogliono
coprire
la
sua
manovra
o
abbatterlo
)
il
«
calvo
»
si
acquatta
dietro
la
staccionata
della
Fiera
.
Per
lui
è
finita
.
Un
vecchietto
lo
addita
all
'
agente
Biase
Tosto
,
l
'
unico
non
ferito
a
bordo
della
sua
«
pantera
»
(
dove
è
stato
colpito
al
petto
il
brigadiere
Nicola
D
'
Ambrosio
)
,
che
riesce
a
strappargli
il
mitra
e
lo
ammanetta
.
Vista
fallire
la
loro
manovra
,
presi
dallo
smarrimento
,
gli
altri
rapinatori
abbandonano
la
1100
e
fuggono
in
due
direzioni
diverse
lasciando
partire
altri
colpi
contro
gli
agenti
.
L
'
arrestato
ne
approfitta
per
tentare
di
gettarsi
fuori
dell
'
auto
della
polizia
.
Ma
il
vecchio
mutilato
,
che
già
aveva
fatto
da
«
guida
»
agli
agenti
,
gli
rifila
una
legnata
in
testa
e
gli
altri
agenti
possono
caricarlo
in
macchina
come
un
sacco
,
pesto
e
sanguinante
.
Due
dei
rapinatori
corrono
a
perdifiato
verso
via
Prati
e
si
infilano
in
un
'
autorimessa
che
ha
due
uscite
.
Una
donna
spaventata
,
vedendoli
con
le
pistole
in
pugno
,
li
supplica
di
non
sparare
.
«
State
tranquilla
»
dice
uno
di
loro
,
«
siamo
della
polizia
.
»
Dall
'
autorimessa
i
fuggiaschi
sbucano
in
piazza
6
Febbraio
e
qui
scompaiono
.
Qualcuno
assicurerà
poi
di
averli
visti
eclissarsi
a
bordo
di
una
2300
.
Un
viaggio
che
non
dovrebbe
durare
molto
.
Le
forze
di
polizia
hanno
teso
una
fittissima
rete
attorno
alla
città
controllando
gli
accessi
a
strade
e
autostrade
,
le
stazioni
,
gli
aeroporti
e
passando
al
setaccio
l
'
intera
zona
della
Fiera
per
controllare
tutte
le
case
sospette
che
potrebbero
aver
dato
ricetto
ai
fuggiaschi
.
Un
'
accurata
visita
è
stata
compiuta
nelle
sale
d
'
aspetto
,
nei
bar
e
in
molti
altri
ritrovi
.
L
'
arrestato
,
il
«
calvo
»
,
che
aveva
tentato
di
andarsene
con
il
bottino
,
è
Adriano
Rovoletto
di
32
anni
abitante
a
Torino
in
corso
Vercelli
191
,
già
condannato
per
furto
e
per
maltrattamenti
.
Dopo
aver
tentato
di
fare
il
furbo
dicendo
che
si
sentiva
morire
(
ma
i
funzionari
della
Mobile
ci
hanno
messo
poco
a
capire
che
la
sua
ferita
non
era
preoccupante
)
,
il
«
calvo
»
ha
finito
con
il
dire
tutto
quello
che
interessava
gli
agenti
.
Tanto
per
cominciare
,
Rovoletto
ha
fatto
il
nome
di
altri
due
della
banda
:
il
ventinovenne
Alessandro
Notarnicola
(
un
altro
torinese
trasferito
a
Genova
in
via
C
.
Gabella
dove
viveva
in
un
bell
'
appartamento
con
una
bella
moglie
spacciandosi
per
rappresentante
di
stoffe
)
e
Piero
Cavallero
,
il
capo
-
ghenga
.
Del
quarto
rapinatore
,
probabilmente
quello
incaricato
di
rubare
le
auto
prima
dell
'
assalto
alla
banca
,
si
è
saputo
solo
che
è
un
giovane
immigrato
di
17
anni
,
di
origine
meridionale
.
Poi
il
«
calvo
»
ha
finito
con
l
'
ammettere
che
furono
lui
e
i
suoi
complici
a
compiere
le
sanguinose
rapine
di
Ciriè
e
di
Alpignano
e
la
temeraria
«
tripletta
»
del
novembre
1965
a
Milano
.
Il
quartetto
è
partito
da
Torino
in
pullman
ieri
mattina
alle
10
giungendo
poco
dopo
mezzogiorno
a
Milano
dove
ha
fatto
colazione
frettolosamente
con
un
panino
.
Ancora
è
impossibile
definire
tutti
i
particolari
della
giornata
e
tutti
i
momenti
di
questa
battaglia
.
Ognuno
dei
testimoni
casuali
e
degli
agenti
che
hanno
partecipato
all
'
operazione
ha
il
suo
racconto
da
fare
,
ma
nessuno
può
dire
quale
sia
quello
buono
.
È
dimostrato
che
,
tra
il
sibilare
delle
pallottole
,
la
mente
dell
'
uomo
perde
molta
della
sua
chiarezza
.
Anche
in
questura
non
si
riesce
a
sapere
molto
di
più
,
e
bisognerà
attendere
che
,
a
cuor
sereno
,
i
funzionari
raccolgano
i
rapporti
dei
loro
subalterni
prima
di
poter
avere
un
quadro
completo
dei
fatti
e
una
spiegazione
dei
molti
particolari
oscuri
di
cui
è
costellata
la
vicenda
.
Intanto
il
prefetto
di
Milano
dottor
Libero
Mazza
,
che
in
serata
ha
compiuto
una
rapida
visita
in
tutti
gli
ospedali
in
cui
sono
ricoverati
i
feriti
-
«
raggiunti
»
ha
detto
«
esclusivamente
dai
colpi
sparati
dai
banditi
»
-
,
ha
assicurato
che
«
le
famiglie
delle
vittime
di
tanta
belluina
ferocia
»
verranno
adeguatamente
seguite
ed
aiutate
dall
'
amministrazione
dello
Stato
.
Riferendosi
ai
rapinatori
il
prefetto
ha
aggiunto
:
«
Questa
gente
che
vive
fuori
della
società
deve
uscirne
definitivamente
»
.
Non
c
'
è
dubbio
che
«
questi
»
malviventi
abbiano
concluso
per
sempre
la
loro
avventura
criminale
.
Incapaci
di
rassegnarsi
alla
sconfitta
,
feroci
e
ottusi
come
lo
sono
spesso
gli
uomini
dalla
pistola
facile
,
essi
hanno
sparato
alla
cieca
contro
la
gente
,
con
ripugnante
malvagità
,
come
avevano
preannunciato
nelle
loro
lettere
«
circolari
»
suscitando
il
disgusto
persino
delle
«
leggere
»
,
solitamente
disposte
a
guardare
con
una
punta
di
simpatia
le
imprese
audaci
degli
eroi
del
sottosuolo
,
purché
«
pulite
»
,
non
macchiate
dal
sangue
che
ieri
si
è
sparso
sulle
strade
di
Milano
.
E
non
è
improbabile
che
anche
le
«
leggere
»
,
questa
volta
,
rendano
la
vita
difficile
agli
assassini
,
braccati
dalle
forze
di
polizia
e
perseguitati
dal
disprezzo
e
dal
rancore
di
tutti
.
Sarebbe
però
ingenuo
illudersi
che
si
estingua
la
specie
dei
rapinatori
e
si
essicchi
la
pianta
malefica
della
«
mala
»
,
che
ha
radici
profonde
e
tenaci
nella
società
.
Certamente
al
posto
del
«
calvo
»
e
dei
suoi
prima
o
poi
ne
usciranno
altri
.
Ma
ora
sanno
che
cosa
li
aspetta
.
Perché
oggi
la
polizia
ha
dimostrato
di
saper
affrontare
con
freddo
coraggio
la
sfida
della
delinquenza
anche
con
le
armi
in
pugno
.
StampaQuotidiana ,
Commedia
romantica
brillante
,
aggraziata
,
scritta
bene
da
Richard
Curtis
e
ben
realizzata
da
Mike
Newell
di
Ballando
con
uno
sconosciuto
,
segue
la
storia
di
un
amore
e
di
un
gruppo
di
amici
attraverso
quattro
cerimonie
nuziali
e
una
cerimonia
funebre
:
riti
sociali
,
occasioni
d
'
incontro
,
appuntamenti
del
sentimento
.
Al
primo
matrimonio
,
protestante
,
lui
e
lei
,
inglese
e
americana
,
si
conoscono
,
si
piacciono
,
vanno
a
letto
insieme
,
si
separano
.
Al
secondo
matrimonio
,
cattolico
,
si
rivedono
(
lei
è
col
fidanzato
)
,
ancora
si
piacciono
,
vanno
a
letto
insieme
,
si
separano
.
11
terzo
matrimonio
,
in
stile
scozzese
,
è
quello
di
lei
:
si
rincontrano
,
durante
la
festa
di
nozze
un
amico
carissimo
ha
un
attacco
di
cuore
e
al
suo
funerale
lui
e
lei
si
ritrovano
,
si
separano
.
Il
quarto
matrimonio
è
quello
di
lui
:
lei
vi
partecipa
sola
,
ha
già
lasciato
il
marito
;
lui
all
'
ultimo
minuto
rinuncia
a
sposarsi
;
baci
e
impegni
sono
il
segno
di
un
amore
finalmente
riconosciuto
,
accettato
.
Confusione
amorosa
,
equivoci
del
cuore
,
frustrazioni
,
dubbi
su
se
stessi
,
pudori
orgogliosi
,
resistenza
e
poi
resa
alle
responsabilità
della
vita
adulta
.
Alle
nozze
,
champagne
,
scemenze
,
abiti
da
sposa
(
«
Sembra
un
'
enorme
meringa
»
)
,
sacerdoti
impacciati
,
allegria
,
ritardi
quasi
catastrofici
,
anelli
nuziali
dimenticati
,
gaffes
,
pasticci
,
cristalli
,
porcellane
,
fiori
,
risate
,
giovinezza
.
Nel
gruppo
di
amici
,
la
complicità
divertita
,
la
lunga
conoscenza
,
gli
scherzi
reciproci
,
l
'
affetto
:
la
commozione
,
al
funerale
,
per
l
'
amico
che
se
n
'
è
andato
e
per
il
toccante
addio
del
suo
compagno
.
Hugh
Grant
è
un
protagonista
romantico
di
prim
'
ordine
.
Quanto
a
successo
internazionale
,
Quattro
matrimoni
e
un
funerale
è
quasi
un
film
-
fenomeno
:
negli
Stati
Uniti
ha
incassato
oltre
40
milioni
di
dollari
,
in
Australia
è
tra
í
primi
venti
incassi
d
'
ogni
tempo
,
in
Francia
l
'
hanno
visto
due
milioni
di
persone
.
Per
una
commedia
molto
inglese
di
costo
medio
-
basso
il
risultato
è
così
insolitamente
positivo
da
aver
suscitato
interrogativi
,
analisi
.
Com
'
è
che
piace
tanto
?
Le
ipotesi
sono
varie
.
Perché
,
paradossalmente
,
«
la
gente
non
crede
più
nel
matrimonio
ma
non
si
arrende
a
non
crederci
»
,
dice
il
sociologo
francese
François
de
Singly
.
Perché
,
al
di
là
della
storia
d
'
amore
,
il
film
(
come
Gli
amici
di
Peter
o
Il
grande
freddo
)
elegge
protagonista
il
gruppo
di
amici
,
famiglia
di
elezione
,
banda
solidale
che
comprende
un
sordo
,
una
grunge
,
due
omosessuali
,
una
chic
inzitellita
per
amore
non
corrisposto
,
un
aristocratico
buffo
malato
di
solitudine
.
Perché
,
infine
,
ignora
del
tutto
ciò
che
ci
angoscia
nei
Novanta
,
guerre
,
crisi
economiche
,
conflitti
etnici
,
Aids
,
politica
brutta
,
violenza
,
disoccupazione
(
i
personaggi
paiono
anzi
non
avere
alcun
mestiere
né
professione
,
non
lavorare
affatto
)
:
e
in
nome
dell
'
amore
mette
insieme
il
glamour
del
lusso
,
il
fascino
tossico
delle
tradizioni
,
il
piacere
un
poco
vile
dell
'
oblio
.
StampaQuotidiana ,
Napoli
,
28
novembre
1924
.
Signor
Direttore
,
Poiché
vedo
riferita
nei
giornali
una
frase
staccata
del
breve
discorso
che
pronunciai
in
Senato
per
l
'
applicazione
della
categoria
20
a
Salvatore
di
Giacomo
,
discorso
che
,
con
nuovo
esempio
,
è
stato
perfino
sottoposto
a
critica
pubblica
,
quantunque
tenuto
in
Comitato
segreto
sono
costretto
a
prendere
la
parola
affinché
da
coloro
che
non
erano
presenti
non
sia
stortamente
interpretato
il
senso
in
quella
mia
frase
.
Io
dunque
,
dopo
aver
illustrato
il
carattere
e
il
pregio
dell
'
opera
del
Di
Giacomo
,
dissi
che
questi
vive
chiuso
nel
cerchio
della
pura
poesia
,
e
tanto
estraneo
alle
cose
pratiche
e
politiche
,
e
lontano
da
ogni
ambizione
di
questa
sorta
,
che
la
nomina
a
senatore
giuntagli
inaspettata
,
aveva
dovuto
fargli
la
stessa
impressione
che
proverei
io
«
se
il
papa
mi
nominasse
cardinale
...
»
(
Questa
è
la
frase
incriminata
)
.
Ed
aggiunsi
che
né
io
,
suo
antico
e
saldo
estimatore
,
né
altri
dei
suoi
amici
napoletani
,
avevamo
mai
pensato
a
proporlo
per
quella
nomina
;
tanto
la
sua
figura
ci
portava
in
una
sfera
al
disopra
e
anche
,
se
si
vuole
,
al
disotto
del
Senato
e
,
insomma
,
diversa
;
ma
che
noi
siamo
spesso
ingiusti
con
le
persone
a
noi
vicine
e
che
,
quando
poi
un
ministro
lombardo
,
guardando
all
'
alto
valore
artistico
del
Di
Giacomo
,
aveva
proposto
quella
nomina
,
io
ne
avevo
provato
un
grande
compiacimento
.
E
che
mi
sarebbe
parso
assai
mal
compensare
un
uomo
di
anima
candidissima
,
che
tutta
la
vita
aveva
consacrata
all
'
arte
,
col
ritôrgli
la
solenne
testimonianza
di
stima
,
che
già
gli
era
stata
resa
.
E
infine
,
che
era
bensì
ottima
cosa
riportare
a
uso
più
rigoroso
l
'
applicazione
della
categoria
20
,
ma
che
non
bisognava
dimenticare
che
l
'
Italia
non
era
solo
l
'
Italia
della
politica
,
ma
anche
l
'
Italia
della
poesia
.
Queste
cose
io
dissi
,
premettendo
che
avrei
parlato
in
Senato
con
piena
sincerità
.
Né
,
del
resto
,
avrei
potuto
parlare
diversamente
,
per
rispetto
verso
il
Di
Giacomo
non
meno
che
verso
il
Senato
.
Mi
abbia
ecc
.
StampaQuotidiana ,
L
'
Officina
Militare
Pirotecnica
,
a
Porta
Mazzini
,
sulla
strada
di
Imola
,
era
,
per
quei
tempi
,
uno
stabilimento
più
che
rispettabile
.
Vi
lavoravano
circa
2000
operai
.
Si
pensi
che
nel
1876
un
censimento
economico
aveva
assodato
che
le
maestranze
impiegate
nell
'
industria
vera
e
propria
comprendevano
in
tutto
460
mila
individui
.
L
'
Ansaldo
di
Genova
,
per
esempio
,
ne
occupava
dai
1500
ai
1600
nei
momenti
di
punta
.
All
'
Officina
Militare
di
Bologna
,
i
due
terzi
della
mano
d
'
opera
era
femminile
:
addetta
al
dosaggio
delle
polveri
e
al
caricamento
delle
cartucce
.
Direttore
dello
stabilimento
era
il
generale
Luigi
Stampacchia
,
pugliese
,
tipico
rappresentante
della
vecchia
classe
militare
,
generosamente
baffuto
,
paternamente
burbero
.
Ma
il
colonnello
Garau
,
un
sardo
dagli
occhi
di
fuliggine
sotto
sopracciglia
folte
e
quasi
sempre
aggrottate
,
capo
del
reparto
sperimentale
,
aveva
tutt
'
altro
carattere
.
Oltracciò
,
come
tutti
gli
ufficiali
nati
sotto
la
bandiera
del
regno
sabaudo
,
non
vedeva
troppo
di
buon
occhio
i
colleghi
meridionali
.
La
saldatura
fra
«
piemontesi
»
e
«
borbonici
»
era
,
d
'
altronde
,
assai
fresca
.
Vincenzo
Muricchio
capì
fin
dal
primo
incontro
che
la
convivenza
col
colonnello
sarebbe
stata
spinosa
.
Non
avendo
simpatia
per
la
vita
d
'
ufficio
,
espresse
timidamente
il
desiderio
di
occupare
la
carica
meno
sedentaria
dell
'
officina
.
Il
colonnello
,
dopo
averlo
fulminato
da
sotto
le
sopracciglia
,
gli
troncò
la
parola
:
«
Capitano
!
Non
l
'
hanno
mandato
a
Bologna
per
ballare
il
valzer
.
Non
spetta
a
lei
decidere
dove
stare
e
cosa
fare
.
Favorisca
raggiungere
immediatamente
l
'
Ufficio
Metalli
,
al
quale
l
'
ho
già
destinata
!
»
.
L
'
Ufficio
Metalli
aveva
il
compito
di
calcolare
e
saggiare
l
'
efficienza
di
materiali
impiegati
nella
confezione
delle
cartucce
,
in
rapporto
agli
effetti
balistici
.
Proprio
in
quei
giorni
,
il
personale
che
vi
era
addetto
stava
studiando
un
problema
assai
grave
.
Da
qualche
settimana
,
la
sostituzione
della
polvere
nera
con
un
esplosivo
antifumogeno
era
un
fatto
compiuto
.
Ma
soltanto
in
teoria
.
Il
posto
dei
due
grammi
di
polvere
,
che
costituivano
la
carica
delle
cartucce
Weterly
,
era
stato
preso
dalla
«
balistite
»
.
Questa
nuova
sostanza
eliminava
completamente
le
vecchie
,
acri
fumate
:
presentava
,
però
,
un
inconveniente
non
meno
preoccupante
.
La
polvere
nera
(
che
i
soldati
chiamavano
«
tabacco
»
)
era
ben
lontana
dall
'
avere
la
forza
dirompente
della
balistite
.
Qualche
imperfezione
nei
bossoli
era
stata
,
perciò
,
sempre
tollerabile
.
Ma
la
pressione
esercitata
dallo
scoppio
delle
nuove
cariche
sulla
parete
del
bossolo
era
talmente
violenta
,
da
provocare
incidenti
sanguinosi
,
solo
che
l
'
ottone
fosse
minimamente
incrinato
.
Durante
le
prove
al
poligono
di
tiro
,
molte
delle
10.000
cartucce
adoperate
avevano
provocato
l
'
esplosione
del
fucile
e
cinque
o
sei
soldati
ci
avevano
rimesso
le
dita
.
Essendo
assolutamente
impossibile
aumentare
lo
spessore
dei
bossoli
,
condizionati
al
calibro
dell
'
arma
,
non
restava
che
scartare
rigorosamente
i
bossoli
incrinati
.
Visto
oggi
,
il
problema
è
di
una
semplicità
addirittura
infantile
;
ma
basta
riportarsi
al
1889
,
per
capire
,
una
volta
di
più
,
quanta
strada
abbia
fatto
la
tecnica
,
e
con
che
vertiginosa
velocità
,
in
meno
di
settant
'
anni
.
Per
le
operaie
bolognesi
addette
alla
confezione
delle
cartucce
,
individuare
le
incrinature
capillari
dell
'
ottone
era
compito
difficilissimo
,
quasi
impossibile
.
Per
quanto
le
disgraziate
si
consumassero
gli
occhi
sui
bossoli
,
senza
peraltro
rallentare
il
ritmo
del
lavoro
,
era
talmente
fioca
e
vaga
la
luce
che
scendeva
dalle
finestre
polverose
,
protette
da
grate
,
scavate
come
feritoie
nei
muri
spessi
due
metri
,
da
togliere
ogni
garanzia
al
controllo
più
volenteroso
.
Né
l
'
aggiunta
di
luce
artificiale
poteva
giovare
granché
.
Escluse
per
ovvie
ragioni
le
lampade
a
petrolio
o
a
gas
,
furono
appese
sui
banconi
di
caricamento
alcune
lampadine
elettriche
:
modeste
bolle
di
vetro
,
nelle
quali
i
filamenti
di
carbone
,
simili
a
vermiciattoli
incandescenti
,
emettevano
un
bagliore
rossiccio
e
sbadiglioso
.
Curve
attorno
ai
banconi
di
rozzo
castagno
,
le
operaie
sgranavano
gli
occhi
sui
tubetti
d
'
ottone
.
Li
scrutavano
talmente
da
vicino
,
che
le
ciglia
sfioravano
il
metallo
.
D
'
altronde
,
correva
voce
che
la
Duplice
stesse
architettando
un
'
aggressione
proditoria
ai
danni
della
Triplice
.
Il
ministro
della
guerra
,
Bertolè
Viale
,
era
inquieto
.
Sollecitava
,
con
lunghi
dispacci
cifrati
,
una
maggior
produzione
di
cartucce
.
Si
era
già
raggiunta
la
«
prodigiosa
»
sfornata
di
500.000
pezzi
al
giorno
.
Troppi
,
per
un
lavoro
tanto
delicato
.
Fu
allora
che
il
capitano
Vincenzo
Muricchio
,
il
quale
non
aveva
affatto
l
'
aria
di
un
topo
da
esperimenti
,
rivelò
per
la
prima
volta
le
sue
migliori
qualità
;
le
stesse
che
di
lì
a
poco
dovevano
affrettare
la
nascita
del
«'91»
.
Il
colonnello
Garau
non
era
tipo
da
prendere
in
considerazione
le
questioni
sociali
o
da
lasciarsene
impietosire
.
Il
suo
motto
,
durante
le
agitazioni
popolari
,
era
quello
del
generale
Bava
-
Beccaris
:
«
Voi
cantate
i
vostri
inni
,
noi
spariamo
i
nostri
cannoni
»
.
Per
eliminare
i
bossoli
difettosi
ritenne
buon
sistema
tempestare
di
multe
le
operaie
.
Molte
di
quelle
disgraziate
,
pagate
una
lira
al
giorno
,
arrivavano
ogni
mattina
in
diligenza
dai
paesi
vicini
.
Alcune
si
facevano
,
all
'
alba
,
perfino
sei
o
sette
chilometri
a
piedi
,
e
altrettanti
la
sera
.
A
partire
dal
1880
,
specialmente
in
Emilia
,
erano
sorti
circoli
,
associazioni
e
cooperative
di
lavoratori
.
La
parola
di
Costa
,
Lazzari
,
Bissolati
e
Turati
alimentava
un
socialismo
in
cui
si
mescolavano
l
'
arditismo
garibaldino
,
il
cuore
di
De
Amicis
e
la
commozione
civile
di
Pascoli
.
Era
un
socialismo
molto
lontano
da
Marx
,
ma
più
vicino
alla
natura
degli
italiani
e
alla
riscossa
del
Risorgimento
.
Tutto
sommato
,
controllava
le
masse
assai
meno
dell
'
attuale
comunismo
.
Le
autorità
provinciali
vivevano
meno
tranquille
di
quelle
d
'
oggi
.
Specialmente
fra
la
Romagna
e
il
Po
.
Le
multe
a
catena
del
colonnello
Garau
stavano
per
creare
pasticci
nello
stabilimento
di
Bologna
,
allorché
il
capitano
Muricchio
,
rammentandosi
degli
specchi
ustori
ideati
da
Archimede
a
Siracusa
,
trovò
il
sistema
di
quintuplicare
la
luminosità
delle
lampade
a
filamento
di
carbone
.
Bastava
avvitarle
in
una
conchiglia
foderata
di
metallo
ben
lucidato
o
addirittura
di
specchio
.
Nacquero
così
,
in
embrione
,
i
primi
«
riflettori
parabolici
»
usati
dall
'
Esercito
.
Puntati
sui
tavoloní
dello
stabilimento
,
permisero
alle
operaie
di
scartare
la
quasi
totalità
dei
bossoli
difettosi
.
In
conseguenza
di
ciò
,
il
colonnello
Garau
chiamò
a
rapporto
il
suo
ingegnoso
capitano
e
gli
disse
così
:
«
Dovrei
punirla
per
aver
adoperato
,
nelle
sue
esperienze
ottiche
,
materiale
dello
stato
senza
riempire
l
'
apposito
modulo
di
richiesta
e
aspettarne
l
'
approvazione
,
debitamente
vistata
dalla
sezione
staccata
di
artiglieria
.
Ma
in
considerazione
dell
'
utilità
dei
suoi
riflettori
,
mi
limito
a
un
rimprovero
verbale
semplice
.
Debbo
tuttavia
significarle
la
mia
soddisfazione
per
il
suo
attaccamento
all
'
Officina
.
Vada
pure
»
.
E
il
capitano
,
battuti
seccamente
i
tacchi
,
andò
.
Oggi
,
a
distanza
di
quasi
settant
'
anni
,
rammenta
benissimo
quella
giornata
di
marzo
;
i
tetti
bolognesi
ancora
screziati
di
neve
;
le
operaie
,
dalle
mani
screpolate
dal
freddo
,
che
ormai
gli
sorridevano
,
timidamente
,
come
a
un
amico
.
Rammenta
anche
la
vaga
tristezza
che
le
parole
asciutte
del
colonnello
gli
avevano
lasciato
nell
'
anima
.
Tanto
che
quella
sera
,
anziché
spassarsela
allegramente
coi
colleghi
più
brillanti
nei
soliti
locali
di
via
Indipendenza
,
via
Rizzoli
e
via
Galliera
,
si
ritirò
presto
nella
stanzetta
a
pigione
(
lire
venti
mensili
compresa
la
lavatura
della
biancheria
e
il
riscaldamento
)
e
si
sprofondò
nelle
letture
preferite
.
Testi
e
riviste
di
balistica
,
naturalmente
;
e
in
modo
speciale
alcune
pubblicazioni
assai
recenti
che
trattavano
un
argomento
di
appassionante
attualità
:
i
fucili
militari
a
ripetizione
di
piccolo
calibro
.
Quello
,
e
non
le
lampade
a
riflettore
,
era
l
'
obiettivo
da
raggiungere
!
Il
Weterly
,
a
parte
il
suo
peso
eccessivo
(
kg.
4,100
)
e
la
mole
ingombrante
delle
munizioni
,
non
era
un
cattivo
fucile
.
Creato
nel
1870
,
l
'
esercito
olandese
lo
adottò
contemporaneamente
al
nostro
.
Nato
come
arma
a
retrocarica
a
un
solo
colpo
,
il
capitano
d
'
artiglieria
Vitali
lo
aveva
modernizzato
,
qualche
anno
dopo
,
applicandovi
un
meccanismo
a
«
ripetizione
»
.
È
vero
che
lo
scontro
di
Dogali
,
nell'87
,
avrebbe
forse
potuto
risolversi
in
modo
meno
disastroso
per
la
nostra
truppa
se
ogni
soldato
avesse
avuto
con
sé
maggior
numero
di
cartucce
;
ma
è
altrettanto
vero
che
contro
i
nostri
500
morti
caddero
ben
1800
seguaci
di
ras
Alulà
.
Il
Weterly
era
,
dunque
,
assai
preciso
e
munito
di
un
ordigno
di
caricamento
difficilmente
inceppabile
.
La
strage
di
Dogali
non
portò
,
comunque
,
a
una
seria
revisione
del
nostro
apparato
militare
.
Gli
strali
dell
'
opinione
pubblica
sfiorarono
lo
stato
maggiore
,
allora
capeggiato
dal
generale
Enrico
Cosenz
,
e
andarono
a
piantarsi
nella
redingote
di
Francesco
Crispi
.
Gli
aedi
nazionali
si
allearono
con
gli
avversari
del
ministro
siciliano
.
D
'
Annunzio
,
che
in
seguito
doveva
diventare
il
«
cantore
»
ufficiale
di
ogni
impresa
«
d
'
oltremare
»
,
definì
«
bruti
di
Dogali
»
i
soldati
caduti
attorno
al
tenente
colonnello
De
Cristoforis
.
Carducci
si
rifiutò
d
'
inaugurare
il
monumento
a
quei
valorosi
,
dichiarando
che
non
avrebbe
speso
una
parola
per
le
«
vittime
di
una
spedizione
inconsulta
»
.
Nel
maggio
del
1890
,
quando
il
collonnello
Garau
si
recò
a
Roma
,
Vittorio
Emanuele
,
ventunenne
,
assunse
il
suo
primo
comando
di
reggimento
:
il
l
°
fanteria
,
di
stanza
a
Napoli
.
Il
principe
scriveva
spesso
al
colonnello
Osio
,
che
era
stato
suo
«
governatore
»
,
le
sue
impressioni
di
comandante
.
Leggendole
oggi
,
si
ha
la
sensazione
di
quanto
il
futuro
re
fosse
amareggiato
e
deluso
.
Eccone
una
:
«
Mi
rincresce
di
fare
il
terribile
,
mi
secca
di
fare
il
cane
,
ma
il
giorno
di
Pasqua
ho
fatto
una
vera
catastrofe
,
alla
12a
Compagnia
,
dove
una
piccola
inchiesta
da
me
fatta
fece
risultare
gravi
irregolarità
nell
'
ordinare
il
servizio
di
picchetto
armato
:
ho
punito
il
furiere
e
cinque
graduati
;
inoltre
ho
inflitto
il
massimo
di
45
giorni
,
come
prima
punizione
,
a
un
soldato
avellinese
,
classe
1869
,
che
si
era
fatto
esentare
dal
picchetto
,
imponendosi
a
due
suoi
compagni
.
Ho
potuto
far
cogliere
un
ladro
e
consegnarlo
al
tribunale
.
Ho
potuto
mettere
la
mano
su
quattro
ladri
che
infestavano
la
compagnia
:
a
uno
ho
inflitto
i
45
giorni
a
due
i
15
di
rigore
e
per
uno
convoco
oggi
la
commissione
di
disciplina
.
Poco
fa
ho
inflitto
í
30
giorni
(
15
più
15
)
a
un
soldato
che
pagava
un
compagno
per
farsi
sostituire
di
'
corvée
'
,
minacciandolo
se
non
lo
sostituiva
.
Il
mio
plotone
allievi
ufficiali
ha
raggiunto
il
numero
di
ben
104
allievi
:
fra
breve
saranno
103
,
perché
ne
ho
scacciato
uno
per
aver
rubato
un
libro
a
un
compagno
.
Oggi
un
consiglio
di
disciplina
reggimentale
ha
all
'
unanimità
deciso
per
la
rimozione
del
tenente
Baríola
(
nipote
del
generale
)
per
grave
mancanza
contro
l
'
onore
:
mi
sono
dovuto
decidere
a
fare
questa
esecuzione
:
è
il
secondo
ufficiale
che
liquido
dal
principio
dell
'
anno
e
temo
che
testé
un
paio
d
'
altri
saranno
per
avere
la
stessa
fine
»
.
Ed
ecco
un
'
altra
lettera
del
colonnello
Vittorio
Emanuele
allo
stesso
Osio
,
ancora
più
significativa
:
«
Oggi
ho
visto
a
San
Potito
i
lavori
che
il
Genio
sta
facendo
.
Un
mese
fa
mi
fu
riferito
che
nella
volta
del
camerone
occupato
dalla
1a
Compagnia
si
erano
formate
delle
lesioni
.
Andai
subito
a
vedere
e
non
essendo
rassicurato
da
quanto
vidi
,
mandai
subito
a
chiamare
il
capitano
del
Genio
(
ora
l
'
hanno
fatto
maggiore
)
che
aveva
i
quartieri
dalla
parte
superiore
della
città
.
Questo
egregio
signore
vide
e
pronunciò
essere
lesioni
limitate
al
solo
intonaco
.
Non
essendo
ancora
tranquillo
per
la
pelle
dei
miei
soldati
,
feci
chiamare
il
colonnello
del
Genio
che
verificò
esservi
forse
qualche
pericolo
.
Non
ancora
contento
,
parlai
della
cosa
al
generale
Corvetto
,
che
,
quando
ero
a
Persano
,
fece
visitare
il
fabbricato
al
generale
De
Benedictis
;
a
farla
breve
,
la
volta
fu
dichiarata
in
pericolo
imminente
;
furono
fatte
sgombrare
e
mandate
in
Castel
dell
'
Ovo
due
mie
compagnie
;
e
tolto
l
'
intonaco
,
si
scoprirono
numerose
e
profonde
lesioni
.
Incredibile
ma
vero
!
»
.
Esistono
,
nel
carteggio
fra
il
principe
e
Osio
,
altre
annotazioni
e
osservazioni
,
dalle
quali
risulta
in
modo
trasparente
che
Vittorio
,
nel
biennio
'90-92
,
si
accorse
,
per
diretta
esperienza
,
quanto
fosse
lontano
il
suo
esercito
da
quello
ideale
che
aveva
sognato
,
giovinetto
,
leggendo
i
classici
greci
e
romani
.
Gli
ufficiali
carichi
di
debiti
,
ricattati
dagli
strozzini
,
impegolati
con
gente
di
malaffare
,
ivi
compresi
i
«
camorristi
»
,
erano
una
quantità
.
Le
soperchierie
dei
sottufficiali
furieri
,
all
'
ordine
del
giorno
.
La
tranquilla
,
oleografica
ignoranza
di
molti
ufficiali
d
'
alto
grado
,
una
piaga
profonda
.
Il
colonnello
Garau
,
preannunciato
da
un
dispaccio
protocollato
«
segretissimo
»
,
non
fece
anticamera
.
Fu
subito
ammesso
alla
presenza
del
ministro
Bertolè
Viale
,
il
quale
,
per
la
circostanza
,
aveva
convocato
il
capo
di
S
.
M
.
Cosenz
e
il
tenente
generale
Cesare
Ricotti
Magnani
,
una
delle
colonne
dell
'
Esercito
,
futuro
ministro
.
Il
colonnello
esibì
il
materiale
che
si
era
portato
da
Bologna
e
illustrò
ai
tre
generali
i
meriti
del
nuovo
calibro
7
,
nonché
i
vantaggi
presentati
dalle
pallottole
incamiciate
di
acciaio
.
Fece
la
sua
relazione
mantenendo
una
secca
posizione
di
attenti
,
a
fronte
alta
,
con
militare
sobrietà
.
I
tre
generali
,
sul
cui
petto
spiccavano
le
decorazioni
guadagnate
nelle
battaglie
per
l
'
unità
patria
,
esaminarono
piuttosto
freddamente
fucili
,
proiettili
,
bersagli
e
pallottole
.
Le
pupille
acute
del
generale
Cosenz
,
che
nel
'60
aveva
risalito
l
'
Italia
meridionale
assieme
a
Garibaldi
e
Bixío
,
lampeggiavano
dietro
gli
occhiali
cerchiati
di
semplice
metallo
bianco
.
Ricotti
,
reduce
di
Crimea
,
si
pizzicava
,
di
tanto
in
tanto
,
la
punta
dei
baffetti
brizzolati
.
Alla
fine
,
i
tre
si
appartarono
in
fondo
al
salone
barocco
,
parlamentarono
una
decina
di
minuti
,
quindi
pronunciarono
il
loro
responso
per
bocca
del
ministro
:
«
Caro
colonnello
,
mi
compiaccio
per
quanto
è
riuscito
a
portarci
.
Siamo
sulla
buona
strada
.
Ma
la
faccenda
dei
proiettili
rivestiti
d
'
acciaio
,
purtroppo
non
va
bene
.
C
'
è
di
mezzo
quella
benedetta
Convenzione
di
Ginevra
!
Non
è
mica
più
come
al
nostro
bel
tempo
,
che
la
guerra
si
faceva
come
si
voleva
e
,
perbacco
!
,
si
vinceva
come
si
poteva
!
Ora
c
'
è
Ginevra
:
una
città
che
ha
un
nome
da
vivandiera
.
A
Ginevra
hanno
stabilito
,
tutti
d
'
accordo
,
che
non
si
possono
usare
pallottole
di
ferro
o
d
'
acciaio
,
perché
possono
arrugginire
e
infettare
le
ferite
.
Figuriamoci
!
Infettare
!
Noi
,
che
ai
nostri
giorni
ci
medicavamo
le
ferite
con
la
saliva
!
Ma
lasciamo
andare
...
Perciò
,
il
suo
fucile
è
una
bella
cosa
,
ma
le
pallottole
non
vanno
.
Bisogna
trovare
qualche
altra
diavoleria
,
per
accontentare
madama
Ginevra
.
Torni
a
Bologna
e
ci
tenga
informati
.
Ciarea
»
.
Altro
che
promozione
a
generale
!
Il
colonnello
Garau
prese
il
primo
diretto
per
Bologna
,
non
senza
aver
appioppato
alcuni
giorni
di
rigore
ai
militari
del
suo
seguito
.
Durante
il
viaggio
,
preparò
accuratamente
il
«
cicchetto
»
da
somministrare
a
Muricchio
e
agli
altri
dell
'
Ufficio
Metalli
;
colpevoli
di
non
avergli
ricordato
la
Convenzione
di
Ginevra
,
stramaledetta
invenzione
di
vecchie
zitelle
!
Come
se
in
guerra
,
dove
ci
si
ammazza
più
che
si
può
,
le
infezioni
fossero
una
preoccupazione
seria
!
Roba
da
matti
!
Nel
'93
,
quando
Menelik
II
denunciò
il
patto
di
Uccialli
,
il
primo
«'91»
non
era
ancora
stato
consegnato
all
'
esercito
.
Nel
1894
apparvero
sull
'
«
Illustrazione
Italiana
»
le
prime
immagini
«
ufficiali
»
del
nuovo
fucile
,
assieme
alla
notizia
che
in
certe
vetrine
di
armaioli
,
a
Milano
e
Bologna
,
erano
apparsi
dei
fucili
dello
stesso
calibro
e
modello
,
adattati
per
la
caccia
al
camoscio
e
allo
stambecco
.
Dopo
aver
accusato
un
po
'
tutti
di
«
tradimento
»
e
«
spionaggio
»
(
reati
allora
di
moda
)
,
si
scoprì
che
alcuni
fucili
e
moschetti
non
perfettamente
riusciti
,
e
che
pertanto
l
'
armeria
di
Terni
avrebbe
dovuto
immediatamente
distruggere
a
colpi
dí
maglio
,
erano
stati
«
intrallazzati
»
da
un
capo
tecnico
,
il
quale
se
li
era
portati
a
casa
,
li
aveva
trasformati
e
ceduti
a
un
armaiolo
.
Il
capo
tecnico
,
avente
a
carico
moglie
,
madre
,
suocera
e
cinque
figli
,
il
tutto
con
una
paga
giornaliera
di
circa
tre
lire
,
chiese
perdono
in
ginocchio
,
ma
finì
in
prigione
per
un
numero
d
'
anni
superiore
a
quello
dei
fucili
sottratti
.
L
'
anno
seguente
,
1895
,
il
7
dicembre
,
Menelik
II
(
che
cinque
anni
prima
aveva
coniato
monete
con
la
testa
di
re
Umberto
)
mandò
una
colonna
di
20.000
uomini
a
liquidare
i
2500
soldati
che
,
agli
ordini
del
maggiore
Toselli
,
occupavano
l
'
Amba
Alagi
,
sulla
frontiera
dello
Scioa
.
Gli
abissini
,
provenienti
dalle
montagne
dell
'
Amara
,
erano
scalzi
ma
muniti
di
quegli
ottimi
fucili
Weterly
che
il
negus
aveva
ottenuto
col
trattato
di
Uccialli
;
i
nostri
,
a
parte
qualche
centinaio
di
«'91»
ricevuti
,
con
contagocce
,
dalla
madre
patria
,
erano
anch
'
essi
armati
di
Weterly
,
ma
non
così
in
buono
stato
come
quelli
del
nemico
.
Dopo
una
mischia
furibonda
,
uno
contro
dieci
,
tutti
í
nostri
uomini
caddero
sul
campo
,
nessuno
escluso
,
dal
comandante
all
'
ultimo
conducente
di
muli
.
I
feriti
vennero
passati
a
fil
di
spada
.
Fu
certamente
il
più
fosco
Natale
della
nostra
storia
.
Il
generale
Baratieri
,
che
in
seguito
alle
sue
modeste
vittorie
contro
i
Dervisci
e
ras
Mangascià
era
considerato
come
un
misto
di
Scipione
e
Alessandro
Magno
,
diventò
bersaglio
di
attacchi
giornalistici
,
vignette
umoristiche
e
sberleffi
popolari
.
Restò
tuttavia
in
Africa
,
poiché
il
suo
vecchio
amico
Crispi
,
divenuto
presidente
del
Consiglio
nonostante
la
Banca
Romana
,
ne
difese
caldamente
la
posizione
.
Il
7
gennaio
1896
,
al
Barattieri
che
gli
chiedeva
uomini
,
migliaia
di
fucili
«'91»
e
un
forte
quantitativo
di
munizioni
,
Críspi
inviò
il
seguente
telegramma
:
«
Il
Paese
aspetta
da
te
una
vittoria
risolutiva
.
Quanto
alle
tue
richieste
,
Mocenni
(
ministro
della
Guerra
)
mi
fa
notare
che
un
invio
di
nuove
truppe
sarebbe
non
soltanto
inutile
ma
dannoso
,
poiché
non
avremmo
da
armarle
e
approvvigionarle
convenientemente
.
Ti
abbraccio
Francesco
»
.
Era
un
po
'
poco
.
Infatti
,
qualche
settimana
dopo
,
ai
primissimi
di
marzo
,
una
valanga
urlante
di
abissini
,
che
già
ci
avevano
tolta
Macallè
,
si
abbatté
sulle
nostre
truppe
nella
conca
di
Adua
,
capitale
del
conteso
Tigrè
.
Non
fu
,
come
molti
credono
,
un
'
unica
battaglia
campale
durata
alcuni
giorni
:
fu
un
carosello
di
scontri
e
mischie
feroci
combattute
,
fra
imboscate
e
sorprese
tattiche
,
nell
'
altopiano
attorno
al
Monte
Sullotà
.
I
guerrieri
di
Menelik
,
dopo
aver
accorciate
le
distanze
con
una
nutrita
massa
di
fuoco
,
attaccarono
in
ogni
luogo
all
'
arma
bianca
,
col
pugnale
e
la
scimitarra
.
Il
più
grave
,
fu
che
il
nostro
schieramento
non
era
affatto
difensivo
,
ma
in
formazione
d
'
avanzata
:
poiché
i
tre
comandanti
in
sottordine
del
corpo
di
spedizione
Arimondi
,
Dabormida
e
Albertone
avevano
ricevuto
dal
comandante
in
capo
,
Baratieri
,
l
'
improvviso
ordine
di
marciare
sul
grosso
degli
abissini
,
ciascuno
a
capo
di
una
colonna
.
L
'
ordine
scritto
era
accompagnato
da
un
foglietto
a
quadretti
,
su
cui
il
generale
aveva
schizzato
a
matita
,
un
piano
molto
sommario
dell
'
operazione
.
Quell
'
attacco
non
aveva
,
a
conti
fatti
,
alcuna
giustificazione
strategica
;
ma
il
Baratieri
temeva
di
essere
sostituito
dal
collega
Baldissera
,
arrivato
dall
'
Italia
invece
delle
armi
richieste
,
e
perciò
aveva
fretta
di
brillare
.
La
colonna
Albertone
,
investita
per
prima
,
sulla
sinistra
,
tentò
di
ripiegare
al
centro
,
dove
travolse
la
colonna
Arimondi
mentre
si
stava
attestando
su
posizioni
di
resistenza
.
La
colonna
Dabormida
,
sulla
destra
,
non
sapendo
dove
esattamente
si
trovassero
gli
altri
nostri
reparti
,
si
mosse
a
casaccio
,
perse
l
'
orientamento
,
sbagliò
strada
,
s
'
isolò
completamente
e
venne
sopraffatta
.
La
mattina
del
5
marzo
1896
,
giunse
a
Roma
il
rapporto
di
Baratieri
e
Baldissera
(
«
Non
ti
fidar
di
quella
gente
nera
!
»
cantavano
i
contadini
e
gli
operai
lavorando
)
sull
'
esito
della
battaglia
.
Rapporto
spaventoso
,
nonostante
le
prime
cifre
fossero
alquanto
ammaestrate
:
10.000
soldati
uccisi
,
feriti
o
prigionieri
,
sui
17.000
che
avevano
combattuto
;
200
ufficiali
,
compreso
il
Dabormida
,
rimasti
sul
campo
di
battaglia
.
Tutte
le
artiglierie
e
il
90%
delle
armi
individuali
e
delle
munizioni
,
rimasti
in
mano
nemica
.
Baratieri
,
rimosso
dal
comando
,
si
ebbe
,
volta
a
volta
,
per
diversi
anni
,
le
seguenti
qualifiche
:
imbelle
,
imbecille
,
tardo
,
fellone
,
inetto
,
rammollito
e
traditore
.
Baldissera
,
che
lo
sostituì
,
ebbe
l
'
incarico
dal
ministro
Di
Rudinì
,
successore
di
Crispi
,
di
sganciarsi
ripiegando
cautamente
.
Strada
facendo
,
Adigrat
e
Cassala
furono
liberate
dall
'
assedio
.
Nell
'
ottobre
del
'96
,
la
pace
fu
firmata
.
A
Menelik
fu
riconosciuta
«
un
'
indipendenza
assoluta
e
senza
riserve
»
,
più
la
sovranità
del
Tigrè
,
più
10
milioni
a
titolo
d
'
indennizzo
.
Nei
mesi
che
seguirono
,
le
statistiche
ministeriali
segnalarono
che
la
fabbricazione
del
«'91»
aveva
acquistato
,
finalmente
,
un
ritmo
encomiabile
.
Il
tenente
generale
Tancredi
Saletta
,
capo
di
stato
maggiore
,
ne
prese
atto
con
viva
soddisfazione
.
Se
mai
il
«'91»
,
nato
nell
'
Officina
Pirotecnica
di
Bologna
dalle
intuizioni
del
capitano
Muricchío
e
dal
lavoro
paziente
di
tanti
tecnici
,
fu
protagonista
assoluto
di
una
pagina
militare
,
ciò
avvenne
proprio
fra
l
'
estate
del
1916
e
quella
del
1917
:
quando
lo
stato
maggiore
,
capeggiato
da
Luigi
Cadorna
,
si
ostinò
a
spezzare
con
battaglie
frontali
,
assalti
all
'
arma
bianca
continui
e
tentativi
di
sfondamento
diretto
,
la
resistenza
di
un
nemico
arroccato
su
posizioni
di
resistenza
formidabili
,
annidato
dietro
il
ventaglio
micidiale
delle
mitragliatrici
e
i
grovigli
spinosi
dei
reticolati
.
A
distanza
di
quarant
'
anni
,
riesaminando
le
testimonianze
più
obiettive
del
primo
conflitto
mondiale
,
si
resta
ancora
sgomenti
,
immaginando
quelle
onde
brulicanti
di
uomini
«
oscuri
»
infrangersi
invano
contro
le
difese
nemiche
,
al
grido
disperato
dei
loro
motti
guerreschi
.
Gli
alpini
del
«
Susa
»
che
cadevano
a
plotoni
quasi
affiancati
sull
'
Ortigara
,
gridando
«
A
brusa
,
souta
'
l
Susa
!
»
;
quelli
dell
'
«
Ivrea
»
,
che
scattavano
alla
baionetta
urlando
il
loro
«
Tuic
un
!
»
,
tutti
per
uno
.
Coloro
che
riferendosi
alla
rotta
di
Caporetto
,
nell
'
autunno
del
'17
,
emettono
giudizi
avventati
sull
'
efficienza
media
del
soldato
italiano
,
ignorano
o
dimenticano
che
soltanto
nella
stolta
battaglia
della
Bainsizza
perdemmo
150.000
uomini
,
con
impressionante
percentuale
di
caduti
.
E
a
giudicare
severamente
il
generale
Cadorna
basterebbe
il
comunicato
diramato
dal
Comando
Supremo
il
28
ottobre
1917
,
per
annunciare
il
rovescio
di
Caporetto
:
«
La
mancata
resistenza
dei
reparti
della
seconda
Armata
,
vilmente
ritiratisi
senza
combattere
o
ignominiosamente
arresisi
al
nemico
,
ha
permesso
alle
forze
austrogermaniche
di
rompere
la
nostra
ala
sinistra
sulla
fronte
Giulia
»
.
Così
,
mentre
nelle
retrovie
sconvolte
i
«'91»
erano
adoperati
per
fucilare
sul
posto
i
retrocedenti
della
seconda
Armata
,
si
cercava
,
come
primo
provvedimento
,
di
addossare
ogni
responsabilità
del
disastro
alla
«
viltà
»
degli
uomini
«
oscuri
»
che
per
mesi
e
mesi
erano
stati
gettati
,
come
cose
,
nella
fornace
di
ostinate
e
stupide
battaglie
frontali
.
A
Caporetto
,
perdemmo
circa
400.000
uomini
,
centinaia
di
migliaia
di
armi
individuali
,
centinaia
di
batterie
d
'
artiglieria
leggera
e
pesante
,
innumerevoli
depositi
di
materiali
d
'
ogni
genere
.
Nonostante
la
maggioranza
dei
nostri
soldati
in
rotta
avesse
conservato
le
armi
(
come
,
a
distanza
di
23
anni
,
avvenne
in
Albania
,
in
Africa
e
perfino
nel
calvario
del
fronte
russo
)
,
la
strada
di
Caporetto
,
fra
colonne
di
profughi
sconvolti
,
civili
e
villaggi
abbandonati
,
apparve
tristemente
disseminata
di
fucili
,
affusti
,
carriaggi
,
munizioni
.
Ai
posti
di
blocco
,
i
soldati
inermi
venivano
molto
spesso
sottoposti
alla
decimazione
.
I
«
vili
»
dell
'
ottobre
'17
dimostrarono
di
essere
tutt
'
altro
che
tali
nel
giugno
del
1918
,
allorché
gli
austriaci
,
sia
pure
stremati
,
trovarono
inflessibile
resistenza
ai
loro
violenti
attacchi
su
tutto
il
nuovo
fronte
,
dagli
Altipiani
al
mare
,
sul
Grappa
e
sul
Piave
.
Ma
Vittorio
Veneto
,
nonostante
l
'
ebbrezza
della
vittoria
,
non
riuscì
a
chiudere
la
piaga
che
quattro
anni
di
una
guerra
mal
diretta
da
generali
in
polemica
fra
loro
e
minata
alle
spalle
da
esibizionismi
politici
avevano
aperta
nel
popolo
italiano
.
Un
solco
profondo
divideva
le
masse
deluse
e
insoddisfatte
e
una
classe
dirigente
che
nascondeva
sotto
astratti
schemi
politici
la
sua
mancanza
d
'
idee
e
di
convinzioni
.
Gli
uomini
«
oscuri
»
che
Cadorna
aveva
additati
al
disprezzo
degli
italiani
nell
'
autunno
del
'17
tornarono
a
casa
con
una
polizza
da
1000
lire
e
un
vestituccio
blu
di
cattiva
stoffa
elargito
dallo
stato
.
Erano
in
stragrande
maggioranza
contadini
,
poiché
la
gran
massa
degli
operai
siderurgici
era
stata
esonerata
e
,
sia
pure
nelle
strettoie
della
militarizzazione
,
era
rimasta
nelle
officine
.
I
giovani
ufficiali
di
complemento
,
alcuni
dei
quali
erano
partiti
per
la
guerra
imberbi
e
ne
ritornavano
maturi
ma
senza
precise
capacità
professionali
,
sprofondavano
nell
'
abbandono
morale
.
Tutti
contro
tutti
,
per
un
vago
ma
profondo
senso
di
rancore
.
Non
rientra
nei
limiti
di
questa
storia
l
'
analisi
del
«
fenomeno
»
fascista
.
Ma
c
'
interessa
l
'
apparizione
delle
armi
in
dotazione
all
'
esercito
fra
le
mani
degli
squadristi
,
in
camicia
nera
,
che
parteciparono
alle
spedizioni
punitive
dell
'
immediato
dopoguerra
e
nell
'
ottobre
del
1922
presero
parte
,
nel
numero
di
oltre
30.000
,
alla
marcia
su
Roma
.
L
'
armamento
dei
seguaci
di
Mussolini
era
,
per
lo
più
,
quello
degli
«
arditi
»
di
guerra
,
le
«
fiamme
nere
»
costituite
per
operazioni
d
'
assalto
:
bombe
«
sipe
»
a
forma
di
pigna
,
pugnali
da
tenere
«
fra
i
denti
»
,
rivoltelle
Glisenti
o
Mauser
,
con
fodero
di
legno
,
trovate
nei
magazzini
austriaci
o
addosso
agli
ufficiali
nemici
fatti
prigionieri
.
Ma
basta
avere
sott
'
occhio
la
testimonianza
fotografica
delle
«
spedizioni
punitive
»
e
della
«
marcia
»
finale
,
per
constatare
che
numerosi
squadristi
erano
armati
con
fucili
e
moschetti
«'91»
.
Non
vi
è
dubbio
che
molti
di
essi
furono
«
passati
»
,
sotto
mano
,
alle
camicie
nere
da
ufficiali
che
simpatizzavano
col
movimento
mussoliniano
.
Non
esistono
a
tutt
'
oggi
prove
concrete
che
nel
1921-22
le
autorità
militari
,
facenti
capo
al
ministero
della
Guerra
,
abbiano
ufficialmente
favorito
gli
squadristi
rifornendo
di
armi
.
Sappiamo
soltanto
che
alcuni
comandanti
di
reparto
«
lasciarono
socchiusi
»
i
magazzini
e
le
armerie
,
assumendosi
personalmente
il
rischio
(
del
resto
assai
limitato
)
di
tale
operato
.
Sappiamo
che
a
Firenze
,
il
colonnello
comandante
l'84a
Fanteria
,
con
caserma
in
corso
Tintori
,
concesse
agli
squadristi
locali
alcuni
camion
«18
BL
»
in
sovrannumero
e
un
certo
quantitativo
di
«'91»
con
le
relative
munizioni
;
sappiamo
che
diversi
fucili
,
un
paio
di
mitragliatrici
«
Saint
-
Etienne
»
e
un
certo
numero
di
bombe
uscirono
di
notte
tempo
da
una
caserma
di
Cremona
,
comandata
da
un
colonnello
legato
da
vecchia
amicizia
con
Roberto
Farinacci
;
una
quantità
abbastanza
rilevante
di
armi
,
rivoltelle
e
fucili
,
fu
consegnata
ai
fascisti
da
singoli
ufficiali
,
anche
di
Marina
,
alla
Spezia
,
a
Napoli
,
ad
Ancona
:
ma
specialmente
a
Foggia
e
a
Bari
,
dove
le
«
spedizioni
»
per
annientare
le
«
leghe
»
dei
braccianti
della
Capitanata
erano
più
frequenti
che
altrove
.
A
Bologna
,
un
maggiore
dei
bersaglieri
fece
avere
un
quantitativo
abbastanza
modesto
di
armi
ai
giovanotti
col
teschio
cucito
sul
petto
che
obbedivano
a
Leandro
Arpinati
e
Arconovaldo
Bonaccorsi
.
Ma
è
doveroso
dire
che
nel
1921
,
sotto
la
presidenza
del
Consiglio
dell
'
onorevole
Bonomi
,
fu
aperta
un
'
inchiesta
a
carico
degli
ufficiali
delle
Forze
Armate
che
avevano
procurato
armi
alle
camicie
nere
.
Non
bisogna
del
resto
dimenticare
che
almeno
quattro
generali
facevano
parte
,
fin
dalla
così
detta
«
vigilia
»
,
delle
formazioni
fasciste
:
De
Bono
,
Fara
,
Ceccherini
e
Zamboni
,
i
quali
parteciparono
regolarmente
alla
«
marcia
»
del
28
ottobre
;
e
che
altri
generali
e
ufficiali
superiori
,
benché
più
cautamente
,
avevano
aderito
al
fascismo
fin
dalle
sue
prime
avvisaglie
.
A
Mussolini
e
ai
suoi
«
quadrumviri
»
non
mancavano
certo
autorevoli
intermediari
presso
i
magazzini
militari
.
Ma
non
furono
certo
i
«'91»
,
le
bombe
e
le
mitragliatrici
che
aprirono
la
strada
della
capitale
agli
squadristi
per
i
quali
Oscar
Uccelli
,
più
tardi
prefetto
,
preparò
una
base
logistica
a
Perugia
.
L
'
Appia
,
la
Salaria
,
l
'
Aurelia
,
la
Flaminia
,
le
Ferrovie
dello
Stato
,
furono
facile
cammino
per
coloro
che
parevano
la
salvezza
giovanile
,
entusiasta
e
disinteressata
di
un
mondo
stanco
e
confuso
.
In
Etiopia
,
dall
'
ottobre
del
1935
al
maggio
del
'36
,
fra
truppe
di
primo
impiego
,
complementi
e
riserve
,
combatterono
circa
250.000
uomini
.
Il
«'91»
di
Adua
,
di
Tripoli
,
della
Bainsizza
e
del
Píave
,
nato
nella
Bologna
di
Carducci
,
costruito
a
Terni
e
nelle
armerie
ausiliarie
del
Garda
,
nelle
due
taglie
di
fucile
e
moschetto
,
fu
l
'
arma
degli
uomini
incorporati
nella
«
Tevere
»
,
nella
«
Gavinana
»
,
nella
«
Peloritana
»
,
nella
«
XIII
Marzo
»
;
dei
genieri
partiti
dai
centri
di
mobilitazione
di
Firenze
,
Bologna
,
Roma
,
Santa
Maria
Capua
Vetere
,
Piacenza
;
degli
alpini
,
dei
carristi
,
dei
«
dubat
»
.
Quanto
alle
armi
di
reparto
e
di
copertura
,
affluirono
a
Massaua
e
Mogadiscio
in
numero
assai
considerevole
:
5700
mitragliatrici
,
155
batterie
d
'
artiglieria
e
145
carri
armati
,
fra
i
quali
molti
veloci
,
del
tipo
«C.L.»,
«
Carden
Loyd
»
.
In
quanto
tempo
aveva
calcolato
di
concludere
la
sua
impresa
imperiale
,
Mussolini
?
Essendosi
autonominato
nel
luglio
del
1933
ministro
della
Guerra
,
la
cosa
lo
riguardava
doppiamente
.
Suo
capo
di
stato
maggiore
era
un
generale
designato
d
'
Armata
,
che
spesso
aveva
cantato
Giovinezza
di
fronte
alle
truppe
inquadrate
e
che
un
giorno
aveva
presentato
al
«
duce
»
la
«
rispettosa
e
unanime
domanda
degli
ufficiali
in
s.p.e.
»
di
ottenere
l
'
onore
della
tessera
fascista
.
Mussolini
lo
aveva
ascoltato
con
espressione
austera
,
poi
,
come
soffocando
un
'
onda
di
commozione
,
aveva
risposto
:
«
Fate
sapere
agli
ufficiali
,
superiori
e
subalterni
,
che
sono
fiero
di
loro
.
Il
fascismo
è
fiero
di
accogliere
,
all
'
ombra
delle
insegne
legionarie
,
i
quadri
dell
'
Esercito
»
.
Aveva
taciuto
un
momento
,
quindi
si
era
alzato
,
aveva
fatto
il
giro
della
scrivania
e
,
dopo
un
abbraccio
virile
,
più
che
altro
un
brusco
urto
spalla
contro
spalla
,
aveva
concluso
:
«
Quanto
a
voi
,
camerata
Baistrocchi
,
siete
degno
di
quest
'
ora
solenne
»
.
Con
la
collaborazione
entusiasta
di
Baistrocchi
,
e
quella
alquanto
più
cauta
del
sottosegretario
Pariani
,
di
Graziani
,
Badoglio
e
De
Bono
,
fu
stabilito
il
piano
d
'
operazioni
in
Etiopia
.
Attacco
massiccio
e
violento
nel
settore
eritreo
,
perno
di
resistenza
,
con
manovre
di
disturbo
e
puntate
di
alleggerimento
sul
fronte
somalo
.
Il
tutto
doveva
concludersi
in
un
massimo
di
otto
mesi
,
per
non
incappare
nella
stagione
delle
piogge
.
Ma
Mussolini
,
che
amava
le
coincidenze
storiche
,
aveva
già
fermamente
stabilito
che
la
proclamazione
dell
'
Impero
avvenisse
il
21
aprile
,
natale
di
Roma
.
Invece
,
gli
fu
possibile
annunciare
al
mondo
il
grande
evento
soltanto
il
9
maggio
:
e
di
quei
18
giorni
di
ritardo
non
perdonò
mai
il
vecchio
,
disgraziato
De
Bono
,
nonostante
lo
avesse
nominato
maresciallo
d
'
Italia
per
meriti
eccezionali
,
dopo
avergli
tolto
il
comando
delle
truppe
eritree
,
nel
novembre
'35
,
e
aver
messo
al
suo
posto
Badoglio
.
In
realtà
,
dopo
le
prime
,
incontrastate
operazioni
,
la
facile
occupazione
di
Adigrat
,
Axum
,
Adua
e
Macallè
,
non
dissimilmente
da
quanto
era
accaduto
quarant
'
anni
prima
a
Baratieri
nello
stesso
teatro
di
guerra
,
i
due
ras
più
avveduti
dell
'
armata
etiopica
attaccarono
con
circa
80.000
uomini
il
nostro
schieramento
offensivo
,
costringendoci
a
un
frettoloso
ripiegamento
su
Axum
e
minacciando
di
accerchiare
i
reparti
dislocati
attorno
a
Macallè
.
Il
povero
De
Bono
,
tormentato
dalle
fitte
dell
'
artrite
(
lui
le
chiamava
«
le
mie
camolette
»
)
,
già
sfiduciato
riguardo
l
'
andamento
fascista
,
non
aveva
previsto
tutto
ciò
e
non
aveva
quindi
predisposto
una
precisa
linea
di
arroccamento
.
Il
vecchio
generale
d
'
Armata
lasciò
l
'
Eritrea
,
fu
promosso
ma
da
quel
momento
messo
praticamente
in
disparte
.
Sul
fronte
somalo
,
Graziani
riuscì
a
rintuzzare
un
attacco
in
forze
di
ras
Destà
e
lo
inseguì
fino
a
Neghelli
,
sottoponendo
le
truppe
alla
fatica
di
due
marce
forzate
,
per
concludere
l
'
operazione
prima
che
Badoglio
,
nel
suo
settore
,
ottenesse
i
primi
successi
.
Fu
in
febbraio
che
le
forze
eritree
,
con
le
due
battaglie
decisive
del
Tembien
,
riuscirono
a
mettere
in
rotta
le
forze
di
ras
Cassa
e
ad
aprirsi
la
strada
verso
Addis
Abeba
.
Ma
furono
necessari
poderosi
interventi
d
'
aviazione
e
,
spiace
ricordarlo
,
l
'
uso
degli
aggressivi
chimici
.
Il
9
maggio
1936
,
in
un
tardo
e
piovoso
pomeriggio
,
Mussolini
annunciò
al
balcone
di
Palazzo
Venezia
,
che
í
«
Sette
colli
di
Roma
»
tornavano
ad
essere
illuminati
,
dopo
19
secoli
,
dalla
gloria
imperiale
.
Allo
stesso
modo
che
nel
1911
,
al
principio
della
campagna
di
Libia
,
Elvira
Donnarumma
aveva
lanciato
Tripoli
sarà
italiana
,
la
soubrette
Nikuzza
,
accompagnata
dalla
chitarra
di
Mario
Latilla
,
padre
di
Gino
,
rese
popolare
Faccetta
nera
.
Nelle
vetrine
dei
profumieri
apparve
il
«
Tabacco
d
'
Harar
»
.
Il
tè
,
sottoposto
a
sanzioni
,
fu
sostituito
dal
«
karkadè
»
,
coltivato
sull
'
altopiano
abissino
.
Si
cominciò
a
chiedere
,
sotto
banco
,
il
«
caffè
di
caffè
»
.
La
campagna
d
'
Etiopia
costò
complessivamente
allo
stato
dai
600
agli
800
miliardi
in
valuta
attuale
.
Servì
a
rinverdire
la
fiducia
dell
'
uomo
della
strada
nel
fascismo
;
ma
rivelò
agli
esperti
di
cose
militari
,
come
Vincenzo
Muricchio
,
che
la
potenza
delle
nostre
armi
,
dopo
14
anni
di
fascismo
,
era
aumentata
in
senso
scenico
,
ma
non
sostanziale
.
Sotto
le
squadriglie
da
caccia
e
da
bombardamento
,
valorizzate
dalle
imprese
di
De
Pinedo
,
Balbo
,
Valle
e
Maddalena
,
le
fanterie
non
erano
cambiate
.
Gli
«
spallacci
»
adottati
nell'11
segavano
ancora
le
collottole
come
guinzagli
.
Anche
se
la
giacca
aveva
perso
il
soffocante
colletto
chiuso
,
le
fasce
gambiere
restavano
,
inutili
,
a
far
prudere
i
polpacci
.
E
nessuno
ancora
pensava
che
il
vecchio
«'91»
fosse
ormai
inadeguato
ai
propositi
di
aggressione
e
di
«
guerra
lampo
»
che
il
«
regime
»
,
non
pago
dell
'
avventura
etiopica
,
andava
maturando
e
minacciando
.
La
seconda
guerra
mondiale
dimostrò
,
infatti
,
che
i
singoli
soldati
,
nella
cornice
della
retorica
imperiale
,
erano
rimasti
gli
stessi
di
trent
'
anni
prima
,
con
un
po
'
meno
voglia
di
morire
.
Il
12
settembre
1943
,
quattro
giorni
dopo
l
'
illusorio
armistizio
annunciato
da
Badoglio
,
la
Divisione
«
Puglie
»
costituita
dal
71°
e
72°
reggimento
fanteria
,
motto
:
«
Ad
summum
»
,
alle
sommità
,
mostrine
bianche
e
verdi
,
si
trovava
dislocata
nel
Kossovo
,
regione
a
nordest
dell
'
Albania
,
e
dell
'
Albania
divenuta
provincia
dopo
il
crollo
della
Jugoslavia
,
il
18
aprile
1941
.
La
Divisione
,
che
durante
la
campagna
di
Grecia
si
era
valorosamente
battuta
nel
settore
di
Clisura
,
partecipando
all
'
epica
difesa
di
«
quota
731»
,
accettò
compatta
l
'
ordine
di
Badoglio
,
legittimato
dal
giuramento
al
re
e
alla
bandiera
.
I
diecimila
uomini
della
grossa
unità
erano
fermamente
disposti
a
combattere
contro
i
tedeschi
,
qualora
l
'
ex
-
alleato
avesse
assunto
un
atteggiamento
provocatorio
.
Il
grosso
della
«
Puglie
»
era
a
Prizren
,
capitale
del
Kossovo
.
Nei
quattro
giorni
che
seguirono
il
messaggio
di
Badoglio
,
nell
'
ostinata
calma
dell
'
ultima
estate
,
compagnie
e
battaglioni
si
prepararono
a
fronteggiare
un
eventuale
attacco
germanico
.
Si
parlava
di
una
divisione
corazzata
«
Goering
»
,
a
riposo
sui
confini
della
vicina
Bulgaria
,
pronta
a
marciare
contro
gli
italiani
.
In
vista
di
tale
possibilità
,
furono
approntate
postazioni
per
mitragliatrici
,
mortai
e
cannoni
anti
-
carro
alla
periferia
orientale
della
città
,
dove
era
possibile
dominare
d
'
infilata
il
lungo
e
polveroso
stradale
candido
e
deserto
,
dal
quale
i
tedeschi
avrebbero
dovuto
per
forza
arrivare
.
Ma
la
mattina
del
giorno
14
giunse
l
'
ordine
,
dai
superiori
comandi
di
Corpo
d
'
Armata
e
di
Armata
,
di
cessare
ogni
preparativo
di
difesa
ed
offesa
,
poiché
i
tedeschi
avevano
dichiarato
di
rispettare
l
'
armistizio
e
di
non
volere
in
alcun
modo
ostacolare
un
eventuale
rimpatrio
dei
reparti
italiani
.
Anzi
,
per
dimostrare
la
loro
perfetta
buonafede
,
le
truppe
germaniche
in
Albania
erano
disposte
a
consegnare
provvisoriamente
le
armi
ai
nostri
comandi
,
mentre
noi
avremmo
fatto
altrettanto
.
Dopo
le
trattative
,
ognuno
avrebbe
ripreso
le
sue
e
tutto
si
sarebbe
svolto
nel
reciproco
rispetto
.
Nel
pomeriggio
,
si
vide
un
velo
di
polvere
alzarsi
dal
rettilineo
proveniente
dal
confine
bulgaro
,
Non
erano
i
carri
della
«
Goering
»
:
si
trattava
di
una
modesta
camionetta
color
canarino
,
sulla
quale
si
trovavano
un
maresciallo
della
Wehrmacht
,
un
sergente
e
due
soldati
semplici
.
Nonostante
l
'
atteggiamento
fermo
e
l
'
aria
baldanzosa
,
si
vedeva
che
i
quattro
,
sotto
sotto
,
erano
piuttosto
preoccupati
.
Si
passavano
la
lingua
sulle
labbra
e
si
scambiavano
occhiate
furtive
.
Erano
i
quattro
incaricati
di
assistere
al
disarmo
«
provvisorio
»
della
Divisione
.
Il
che
avvenne
,
sotto
una
pioggia
leggerissima
e
uggiosa
,
la
mattina
presto
del
giorno
dopo
,
15
settembre
.
Tutti
gli
effettivi
della
«
Puglie
»
,
fanti
,
genieri
,
artiglieri
,
militari
di
sussistenza
e
di
sanità
,
sfilarono
(
per
la
prima
volta
cinque
per
cinque
,
secondo
il
sistema
tedesco
)
di
fronte
a
un
tavolino
piazzato
nel
centro
di
un
vastissimo
e
brullo
spiazzo
.
Dietro
al
tavolino
,
il
maresciallo
germanico
,
assistito
dai
suoi
commilitoni
,
consultava
i
quaderni
di
carico
e
scarico
relativi
alle
armi
e
alle
munizioni
.
Plotone
dopo
plotone
,
compagnia
dopo
compagnia
,
i
soldati
abbandonavano
,
su
diversi
mucchi
,
i
loro
«'91»
,
le
baionette
,
i
pacchi
rosa
di
munizioni
,
le
giberne
e
gli
spallacci
.
Lontano
,
alle
spalle
del
maresciallo
,
che
si
era
messo
occhiali
cerchiati
di
acciaio
,
i
monti
erano
fantasmi
color
bistro
,
sfumati
nei
vapori
del
maltempo
.
Un
enorme
silenzio
pesava
sotto
il
fruscio
lieve
della
pioggia
.
Qualche
ragazzo
serbo
,
fermo
agli
estremi
confini
dello
spiazzo
,
osservava
la
scena
.
Accatastati
sulla
fanghiglia
gialla
,
i
«'91»
nereggiavano
come
vecchi
rottami
.
Ancora
i
soldati
non
lo
sapevano
:
ma
intuivano
che
quello
era
il
primo
passo
verso
due
anni
di
doloroso
e
umiliante
internamento
in
Germania
.
E
capirono
che
ciò
li
aspettava
,
dopo
tanti
sacrifici
e
tanti
rischi
affrontati
,
allorché
un
«
anziano
»
del
'12
,
uno
degli
ultimi
della
lunghissima
processione
,
al
momento
di
consegnare
il
fucile
,
ci
ripensò
e
fece
l
'
atto
di
allontanarsi
tenendoselo
.
Il
maresciallo
si
alzò
,
gli
corse
dietro
,
lo
afferrò
per
una
spalla
berciando
invettive
incomprensibili
e
gli
abbozzò
un
ceffone
.
Lo
abbozzò
soltanto
:
perché
subito
si
guardò
attorno
e
rise
sgangheratamente
,
fingendo
di
aver
scherzato
.
Anche
quelli
della
«
Puglie
»
arrivarono
ai
campi
di
concentramento
tedeschi
dopo
sette
giorni
e
sette
notti
di
spaventoso
viaggio
in
carri
bestiame
,
attraverso
l
'
Ungheria
,
la
Carinzia
,
l
'
Austria
,
la
Baviera
e
la
Prussia
occidentale
.
Quanto
ai
«'91»
abbandonati
sul
fango
di
Prizren
,
i
tedeschi
li
utilizzarono
per
armare
le
bande
montanare
arruolate
nel
Dibrano
con
la
promessa
di
«
carta
bianca
»
nel
saccheggio
.
Ma
molti
di
quei
fucili
passarono
,
dopo
qualche
settimana
,
nelle
mani
dei
soldati
italiani
,
rimasti
alla
macchia
in
Jugoslavia
e
Montenegro
,
che
attraverso
stenti
infiniti
,
fame
freddo
e
malattie
,
andarono
a
ingrossare
i
reparti
partigiani
comandati
da
Giuseppe
Broz
,
non
ancora
conosciuto
come
«
maresciallo
Tito
»
.
Furono
quelli
,
oggi
raramente
ricordati
,
i
primi
italiani
che
fra
la
deportazione
e
il
collaborazionismo
scelsero
la
lotta
contro
il
nazismo
.
Primi
,
con
gli
sventurati
soldati
della
«
Acqui
»
a
Cefalonia
,
passati
per
le
armi
senza
misericordia
dai
tedeschi
,
che
invece
ancora
rispettavano
e
onoravano
i
«
pezzi
grossi
»
,
soli
veri
responsabili
del
nostro
crollo
disastroso
.
Primi
,
accanto
ai
marinai
del
Dodecanneso
,
agli
allievi
dell
'
Accademia
Navale
,
portati
in
massa
da
Venezia
a
Brindisi
dal
loro
intrepido
comandante
,
ammiraglio
Bacci
di
Capaci
.
Per
quasi
due
anni
,
sino
al
maggio
del
1945
,
le
formazioni
partigiane
e
i
reparti
ricostituiti
dagli
Alleati
nel
Corpo
Volontario
di
Liberazione
,
si
batterono
contro
i
tedeschi
e
gli
italiani
,
spesso
addirittura
adolescenti
,
che
a
fianco
dei
tedeschi
continuavano
a
combattere
.
I
«'91»
,
moschetti
e
fucili
,
che
i
partigiani
si
erano
procurati
dai
reparti
dell
'
esercito
discioltisi
dopo
1'8
settembre
o
con
colpi
di
mano
contro
caserme
e
depositi
,
incontrarono
sui
monti
della
Lombardia
,
del
Piemonte
,
della
Toscana
,
del
Veneto
,
dell
'
Emilia
,
dell
'
Umbria
,
i
«'91»
che
i
giovani
soldati
di
Salò
,
inquadrati
e
addestrati
parte
nell
'
Italia
settentrionale
parte
in
Germania
,
avevano
ricevuto
dai
tedeschi
.
Lunghi
mesi
di
inevitabile
guerra
civile
perfezionarono
la
rovinosa
conclusione
di
una
guerra
mal
preparata
,
stoltamente
dichiarata
,
diretta
con
ineffabile
imperizia
.
Ma
era
già
cominciata
la
stagione
dei
«
mitra
»
:
quelli
che
nell
'
ultimo
anno
di
guerra
,
i
soldati
avevano
soltanto
intravisto
,
e
molto
di
rado
,
sulla
spalla
di
qualche
ufficiale
della
«
Milizia
M.M.
»
,
i
così
detti
«
lupi
di
Galbiati
»
.
Mitra
dalla
sovracanna
bucherellata
,
mitra
tedeschi
corti
da
tenere
sospesi
sul
ventre
,
mitra
americani
e
inglesi
paracadutati
sulle
Alpi
e
sugli
Appennini
.
E
col
mitra
,
venne
in
uso
corrente
un
'
espressione
dura
,
cinica
,
agghiacciante
:
«
far
fuori
»
.
L
'
Italia
del
«'91»
,
coi
suoi
errori
,
le
sue
glorie
,
le
sue
illusioni
,
le
sue
ingenuità
,
i
suoi
impettiti
luoghi
comuni
,
era
per
sempre
finita
.
StampaQuotidiana ,
Commedia
qualsiasi
,
ricalcata
su
A
spasso
con
Daisy
.
Rispetto
al
modello
sono
leggermente
diversi
i
personaggi
:
la
vecchia
signora
ricca
non
è
una
vegliarda
ebrea
ma
la
vedova
d
'
un
presidente
americano
che
sta
morendo
per
un
tumore
al
cervello
,
l
'
uomo
ai
suoi
ordini
non
è
un
autista
nero
anziano
ma
un
giovane
agente
dei
Servizi
segreti
a
capo
d
'
un
gruppo
di
guardie
del
corpo
.
Sono
diversi
i
problemi
.
Qui
non
si
discute
di
pregiudizi
verso
í
neri
e
gli
ebrei
né
della
faticosa
integrazione
razziale
negli
Stati
Uniti
,
si
discute
appena
d
'
una
questione
minore
:
se
sia
ragionevole
oppure
no
che
i
soldi
dei
contribuenti
vengano
spesi
per
fornire
piena
protezione
a
tutti
gli
ex
presidenti
americani
,
alle
loro
mogli
e
alle
loro
vedove
(
adesso
,
per
esempio
,
alla
signora
Johnson
,
ai
Ford
,
ai
Carter
,
ai
Reagan
,
ai
Bush
)
.
Per
il
resto
,
conflitto
di
caratteri
.
L
'
ex
presidentessa
Tess
è
prepotente
,
abituata
a
comandare
e
a
farsi
servire
,
brusca
,
insofferente
delle
guardie
del
corpo
e
portata
(
come
era
Sandro
Pertini
)
a
sfuggire
alla
loro
sorveglianza
un
po
'
per
metterle
alla
prova
e
un
po
'
per
sfotterle
,
tanto
aggressiva
ed
esigente
da
far
scambiare
per
capriccio
il
proprio
desiderio
di
rivedere
prima
di
morire
luoghi
cari
e
cose
belle
della
vita
.
Lui
è
un
bravo
agente
esasperato
da
quel
servizio
di
protezione
professionalmente
mortificante
e
ansioso
di
lasciarlo
,
stufo
di
venir
trattato
come
un
cameriere
o
un
parente
,
che
cerca
compensi
nel
fare
il
proprio
lavoro
col
massimo
scrupolo
e
rigore
.
Lei
è
turbolenta
,
anticonformista
ma
pronta
a
fare
la
spia
ricorrendo
al
presidente
in
carica
se
qualcosa
non
va
;
lui
è
un
uomo
d
'
ordine
.
Naturalmente
si
scontrano
,
battibeccano
,
si
rimbeccano
,
litigano
,
non
si
sopportano
.
Naturalmente
nel
momento
del
pericolo
(
un
rapimento
di
lei
,
male
ideato
dalla
sceneggiatura
)
si
scopre
quanto
in
realtà
si
vogliano
bene
,
quali
buoni
sentimenti
materno
-
filiali
li
leghino
.
Unici
elementi
interessanti
:
una
volta
tanto
Shirley
MacLaine
è
vestita
bene
,
una
volta
tanto
non
strafa
né
gigioneggia
,
ha
invece
una
recitazione
controllata
,
quasi
sommessa
.