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IL BUE MORTO ( SOFFICI ARDENGO , 1909 )
StampaPeriodica ,
A un tratto il veterinario sbucò di dietro lo stecconato dell ' orto , attraversò l ' aia avvampata di sole e si diresse verso la stalla . Era seguito da un carabiniere , dal garzone del macellaio armato di una sega e di diversi coltelli , e dalla guardia comunale , vestita di bigio , col berrettino filettato di verde e due bottiglie , una per mano , dalle quali esalava un puzzo d ' acido fenico e di petrolio che si diffondeva per l ' aria , di qua e di là . Dietro a loro si accalcava in tumulto la marmaglia dei ragazzi moccolosi e scalzi , strillando , bezzicandosi . Di sulle porte delle case vicine , le donne colla pezzola sugli occhi per via del sole e la treccia in mano , guardavano senza muoversi . Alcune ragazze invece che lavoravano sedute in crocchio all ' ombra del pagliaio , si rizzarono in furia buttando la treccia sulla seggiola e corsero a vedere . Le ciantelle e le voci riempiron l ' aia di un brusio disordinato . Il veterinario , senza neanche voltarsi , spinse l ' uscio rosso della stalla che era rabbattuto ed entrò . Il Faluca che l ' aveva scorto dal campo dove zappettava , arrivò pure di corsa , in zucca , scamiciato , sudato dal gran caldo , traversò la calca dei bambini e delle ragazze e messosi alla coda della brigata infilò anche lui nella stalla chiudendosi l ' uscio dietro . La stalla bassa e umida , era immersa in una oscurità quasi completa ; la poca luce verdognola che scendeva da un finestrino , attraverso i pampani di un tralcio avviticchiato all ' inferriata , non lasciava scorgere altro che un manzo bianco , ritto accanto al muro , con la testa rivolta sospettosamente verso la porta ; ma non passò un minuto che anche la massa enorme del bue morto apparve distinta ai piedi del vivo . Giaceva arrovesciato sulla schiena con le quattro gambe in aria , il corpo gonfio e duro , il muso volto per parte e la lingua paonazza che penzolava fuori dei denti . Di fra il corno e l ' orecchio incartapecorito si vedeva l ' occhio bianchiccio , velato che conservava ancora come un ' espressione di terrore . La moglie del contadino , che nessuno aveva ancor vista , ritta nel buio vicino al falcione , guardava la bestia e piangeva silenziosamente . Un ragazzo di una tredicina d ' anni le si stringeva addosso . e anche lui fissava il cadavere del manzo ; ma il suo viso era duro e pareva che non pensasse a nulla . - Dunque , sor Negri , - domandò il capoccia , rompendo per il primo il silenzio - lei la crede ? ... - Credo ? - rispose il veterinario , voltandosi quasi offeso alla domanda inattesa - non credo , ne son certo ! Era un omino macilento e dispettoso , vestito di lustrino nero , calvo e con degli occhietti e un naso rosso da ubriacone . La sua risposta fece restar male il contadino . - Bah ! - fece questi , incredulo , e abbassò la testa , rapata . - Che bah ! e non bah ! - ribatté l ' altro - v ' ho detto che è carbonchio , malattia contagiosa e che bisogna sotterrarlo ; cosa vorreste ? farlo mangiare alla gente ? La donna , come se non avesse aspettato che questa sentenza , scoppiò in singhiozzi ed uscì dalla stalla . Il carabiniere , la guardia e il garzone del macellaio si guardavan fra loro come per domandarsi l ' un l ' altro cosa bisognasse fare . - Avanti ! - disse allora il veterinario rivolto verso il giovane beccaio - levagli la pelle e sparalo . Non hai mica dei graffi nelle mani eh ? - domandò poi - bada che è pericoloso . Ma il giovanotto non l ' ascoltò nemmeno . Pareva che nessuno credesse - alla malattia della quale il veterinario voleva far credere fosse morto il bove . I tre uomini , aiutati dal capoccia e dal ragazzo , presero la bestia per la coda e la trascinarono nel mezzo della stalla . Il Negri che si sentiva affogare dall ' odor grave del concio ribollito e del fiato della bestia e degli uomini , accese un mezzo sigaro e messe la testa fuori dell ' uscio . Intanto il beccaio affilò il coltello e cominciò a sgozzare l ' animale . Il sangue di già rappreso non sgorgò per la ferita ; ma quando la testa fu recisa un rivoletto rosso cominciò a colare dalla gola lacerata , andando a sparire fra il letame . Il ragazzo prese la testa per le corna ed andò a posarla in un cantuccio : - Tieni anche queste - disse il macellaio ; e porse al ragazzo anche le quattro zampe , che aveva già tagliato ai garretti una dopo l ' altra , d ' un sol colpo , perché le mettesse accanto alla testa . Poi si mise a sventrare il bue per levargli la pelle , che buttò nella greppia , dopo averla legata con la coda come con un canapo . La carcassa della bestiaccia , decapitata , mutila , sanguinolenta cominciava davvero a far ribrezzo e pietà , con quei cinque uomini che le si accanivano sopra . Tenendola ciascuno per un dei tronconi delle gambe , costoro impedivano che rotolasse , mentre il garzon del beccaio andava immergendo il suo coltellaccio nell ' interiora , sgranandola come una zucca matura . Quand ' ebbe finito anche questa operazione e che il buzzo si sganasciò oscenamente lasciando sgorgare le budella e lo sterco sulle lastre dell ' impiantito , si fece dar la sega e squartò il cadavere in grossi pezzi . Il veterinario , che di tanto in tanto era andato voltandosi di sull ' uscio , appena vide che il lavoro era finito , rientrò nella stalla e disse al beccaio di sbranare in più posti i quarti ; poi comandò alla guardia di versar nelle ferite e su tutta la carne l ' acido fenico della boccia . L ' odor pestifero del disinfettante riempì la stalla obbligando gli uomini a tapparsi il naso con le dita . - Ora - ordinò ancora il veterinario - buttatelo sur un carretto e via . E lei - aggiunse rivolgendosi al carabiniere - badi bene che sia sotterrato tutto , tutto capisce ? Ne è responsabile . Voi poi - concluse , parlando questa volta alla guardia comunale , - non dimenticate d ' annaffiarlo col petrolio dell ' altra boccia - Mi raccomando . E senza salutar nessuno si allontanò . Il ragazzo del contadino a un cenno del padre sparì anche lui e dopo pochi minuti ritornò conducendo per la briglia un ciuco attaccato a un barroccino . Le cosce , le spalle , la testa e le zampe del bue furon caricate e il lugubre corteggio si mise in cammino . Intanto la folla rimasta fuori era andata ingrossando . Oltre le donne e i ragazzi , alcuni braccianti e contadini del vicinato , giovani e vecchi , eran venuti , attratti dalla curiosità , e guardavano quelli enormi brandelli di carne sanguinosa , fatta anche più rossa dalle tinte accese del sole di già basso , con una specie di avidità e di rimpianto . Di qua e di là qualche voce saliva anche a esprimere questi sentimenti e le donne stesse , invece d ' inorridire , lanciavano sul barroccino degli sguardi cupidi , delle parole di scherno sul carabiniere e la guardia che andavano a far da becchini . Sembrava che ogni stomaco palpitasse di bramosia per quella carne infetta . Uomini , donne e ragazzi parevano una turba affamata o una muta di cani mugolanti dietro al pasto . L ' uno eccitava l ' altro con parole piene d ' ingordigia . - Che bistecche eh ? che umidi ! - E che minestre ! - Bravo e il petrolio ? e il carbonchio ! - obiettava qualche schizzinoso timidamente . - Ma che carbonchio ! c ' è da dar regola al Negri . Per lui , quando gli ha bevuto , tutte le malattie son carbonchio . N ' avessi uno stufatino tutti i giorni ! - Peccato - E il povero Faluca che ha il male , il malanno e l ' uscio addosso ! Se fossi stato io ne ' suoi piedi non me lo levavan di sotto , te lo dice Parretto ! S ' aveva a far baldoria . E tutti rimpiangevano tanta grazia di Dio buttata a ingrassar gli ulivi . Qualcuno si staccò dal gruppo e s ' accompagnò al Faluca che camminava rabbuiato con un forcone sulla spalla dietro al figliuolo . Il carabiniere e la guardia andavano in silenzio sotto le rame dei loppi , su per la collina ombrosa in cima alla quale una buca scavata a piè d ' un fico aspettava fin dalla mattina la carne del bue morto . Verso mezzanotte , la casa del Faluca era piena di gente . Il Moro , il Ricciolo , il Rosso , Italo di Parretto , Gioia , Sciamagna , tutti quelli insomma che avevano assistito al seppellimento del bue eran venuti sull ' annottare e tutti insieme , con marre e pale sulle spalle , erano tornati di nascosto sulla collina . Un ' ora dopo eran ridiscesi con le carniere gonfie ; e adesso aspettavano chiacchierando in cucina , chi a cavalcioni sulla panca , accanto alla tavola apperecchiata , chi seduto in bilico sulla seggiola con le spalle alla madia , vicino alla finestra per fuggire il calore che spargeva nella stanza un fuoco infernale scoppiettante sotto una gran caldaia che avvolgeva tutta delle sue fiamme veementi . Di donne non c ' era che la moglie del Faluca , la quale , smesso di singhiozzare , correva qua e là per la cucina splendente , si arrabattava intorno a delle larghe bistecche che arrostivano su dei treppiedi in un canto del focolare , schiumava la caldaia bollente , condiva questa o quella pentola , nettava insalata e radici . Il ragazzo come inebriato dal profumo che montava dagli intingoli e dal brodo , si dava da fare anche lui , con le gote in fiamme e gli occhi lustri ; risciacquava i bicchieri , levava l ' olio ai fiaschi , grattava il cacio per i maccheroni . In quanto al capoccia non pareva più lo stesso uomo aggrondato della sera . Era seduto , quasi sdraiato , col gomito appoggiato allo spigolo della tavola e la testa sulla manaccia aperta , con la pipa in bocca , e si rallegrava con gli amici del bel tiro fatto al sor Negri . Ogni tanto sputava per dare un ' occhiata di tralice ai preparativi della cena . - Che il diavolo se lo porti lui e il suo acido fenico ! c ' è voluto un tino d ' acqua per mandarne via il sito . L ' acido fenico ! il petrolio ! ... aggiungeva scuotendo la testa - una bestia che non se ne vedeva , sana come una lasca ! lo so io per via di che l ' è morta ! Qualche animalaccio fra il segato , ve lo dico io ! qualche ragno , qualche scorpione . Gliel ' ho detto anche a lui ; ma sì ! quando gli ha un po ' di vino per la testa ! ... Gli altri approvavano in coro . Ogni tanto qualcuno usciva fuori con una frase mozza che i compagni dovevano completare a colpo . - Cari miei , gli è un darci ! secondo come la gli frulla ! ... - Vorrei averli io i marenghi de ' santantòni che ha fatto smerciar lui ! - Ai miei tempi - aggiungeva uno un po ' più anziano degli altri - ma che c ' era tutte queste calìe ! ... Mi ricordo quando morì la mucca a Natale ... E ognuno aveva da raccontare come tanti avessero mangiato e venduto la carne delle bestie morte da sé , senza che mai fosse successo nulla . Il Ricciolo narrò di due che una volta s ' eran fatto arrostire un vitellino nato morto e poi l ' avevan mangiato tutto . - E non moriron mica - concluse . - Solamente siccome gli avevan fatto indigestione , sapete cosa fece il dottore ? li fece entrare in un fiume fino alla gola e non fu altro . Frattanto la massaia aveva scodellato i maccheroni e ognuno prese il proprio posto . Uno dopo l ' altro i tegami , i piatti di salse , le marmitte d ' intingoli , i vassoi colmi di bistecche passavano dal focolare alla tavola e andavano vuotati d ' un tratto . Il vino scintillava nei bicchieri vuotati d ' un tratto e ripieni , infondendo nei petti un ' allegria fragorosa . Fra il rumore dei coltelli e delle forchette una gioia bestiale si propagava per la vasta cucina affumicata che la fiammata e i lumi a mano riempivano di riflessi e di grandi ombre . Gli odori della carne abbrustolita e del vino si mescolavano a quelli del sudore e del tabacco , e gli occhi e le gote si accendevano per la voluttà del bagordo . Ben presto però anche la baldoria cessò e come se tutti gli spiriti vitali fossero scesi negli stomachi un silenzio quasi religioso piombò su quella ribotta . Assorti tutti nella soddisfazione d ' ingollar cibi succolenti , con le nari e il cervello impinguati dei fumi del pasto , nessuno dei terribili convitati parlava più e fra l ' acciottolio delle terraglie e il suono delle posate battute nelle scodelle e nei denti , non si udiva che il crepitar della fiamma attutita e il dimenar delle ganasce . Ma dalla finestra aperta per la quale non si vedeva né il cielo né gli alberi fronzuti e carichi di frutti maturi , entrava un alito di vento che aleggiando per la stanza faceva tremar le fiaccole dei lumi a olio come se la morte vi soffiasse sopra .
ProsaGiuridica ,
Vittorio Emanuele III per Grazia di Dio e per la Volontà della Nazione Re d ' Italia e di Albania Imperatore d ' Etiopia Il Senato e la Camera dei fasci e delle Corporazioni , a mezzo delle loro Commissioni legislative , hanno approvato ; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue : Articolo unico Gli articoli 3 e 4 della legge 13 luglio 1939-XVII , n . 1055 , recante disposizioni in materia testamentaria , nonché sulla disciplina dei cognomi , nei confronti degli appartenenti alla razza ebraica , sono sostituiti dai seguenti : Art . 3 . I cittadini italiani , nati da padre ebreo e da madre non appartenente alla razza ebraica , che ai termini dell ' art . 8 , ultimo , comma , del R . decreto - legge 17 novembre 1938-XVII , n . 1728 , convertito nella legge 5 gennaio 1939-XVII , n . 274 , non sono considerati di razza ebraica , possono ottenere di sostituire , al loro cognome , quello originario della madre , salvo quanto è disposto dall ' art . 158 , ultimo comma del R . decreto 9 luglio 1939-XVII , n . 1238 , sull ' ordinamento dello stato civile . Nel caso che il cognome originario della madre rientri tra le ipotesi indicate nel citato art . 158 , ultimo comma , del Regio decreto 9 luglio 1939-XVII , n . 1238 , gli interessati possono ottenere di cambiare il proprio cognome con altro non compreso tra dette ipotesi . Art . 4 . I cittadini italiani non appartenenti alla razza ebraica , che abbiano cognomi notoriamente diffusi tra gli appartenenti a detta razza , possono ottenere il cambiamento del loro cognome con altro , osservato il disposto dell ' art . 158 , ultimo comma , del R . decreto 9 luglio 1939-XVII , n . 1238 , sull ' ordinamento dello stato civile . Ordiniamo che la presente , munita del sigillo dello Stato , sia inserta nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d ' Italia , mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato . Dato a San Rossore , addì 28 settembre 1940-XVIII Vittorio Emanuele Mussolini , Grandi , Di Revel Visto il Guardasigilli : Grandi
StampaPeriodica ,
Venezia , agosto - La sortita più brillante del movimento neorealista italiano fu quando Renato Guttuso piantò , alla Biennale del '52 , il suo telone storico della Battaglia al Ponte dell ' Ammiraglio , che regge ancora alla distanza per la viva memoria di quei suoi toni di forte agrume e la macchina ben oliata , ma strepitante , dell ' azione in corso . C ' era da credere che un grosso colpo fosse stato inferto alle schiere avversarie ; da prevedere che molti astrattisti si sarebbero convinti di aver giocato abbastanza e che il seguito si sarebbe visto due anni dopo . Ma in questa XXVII Biennale è invece l ' astrattismo che sembra aver ripreso fiato , mentre il realismo è piuttosto in giacenza . A sentir le lamentazioni dei realisti , sarebbe stato proprio il Moloch della Biennale a divorarselo , falcidiando inviti , limitando talune presenze al bianco e nero , disgiungendone altre in sale diverse e recondite . Difficile crederlo , perché se può lamentarsi l ' assenza , come pittore , di un Treccani ( che , col suo Ritorno a Fragalà , avrebbe sicuramente sollevato il tono delle due salette « realistiche » ) , o la collocazione sbadata di un Omiccioli o di un Mafai ( che però s ' indugia in area stranamente depressa ) , è duro immaginare i vantaggi della eventuale compresenza di un Sassu o di tanti altri fra cui la scelta non è punto stimolante ; mentre , fra í molti disegnatori , non vedo che cosa mai altri nomi avrebbero aggiunto alla quota dei presenti ( da Zancanaro ad Attardi , da Muccini a De Stefano , dalla Salvatore a Vespignani ) . Non sarà poi imputabile a malizia degli organizzatori se la data della Biennale s ' è trovata a combinarsi con la mostra ciclica di Guttuso in paesi remoti ; non restando così agli svaghi veneziani che il dubbio Boogie - Woogie : dove il bellissimo spunto satirico contro il dipinto eponimo di Mondrian non è sorretto abbastanza dalla parte autografa , troppo torbidamente accarezzata ( ma mi rifiuto di credere che un uomo della intelligenza , non dico « intellighentsia » , di Guttuso sia caduto nel tranello tesogli dall ' amico suo Berenson , pubblicando fra i caravaggeschi la Cafeteria di Cadmus ) . Oppure , che c ' entra la Biennale se le figurine di uno Zigaina , ancora scattanti nel '52 , sono , quest ' anno , peste e filacciose ? Se il Pizzinato si ostina a respingere troppo energicamente ogni appoggio della sua cultura giovanile ; se il Migneco seguita a fingersi un coreano invaghito di lingue occidentali ; e il Brindisi svolta improvvisamente verso un « liberty » folcloristico ? La ostentazione poi con cui i critici di sinistra mostrano di puntare sulla « antologica » del Levi rende anche più ingrata una discussione proficua sul già famoso « taccuino di Lucania » . « Preferisco i suoi quadri antelucani » diceva pacatamente un vecchio amico torinese del pittore , uscendo dalla sala . A parte la involontaria freddura , è proprio vero che il gruppo dei dipinti più antichi , fino al '35 , rientrano nel coerente ordine mentale di una cultura europea , movente a quegli anni , tra postimpressionismo ed espressionismo . Tutto il resto ( salvandone il ritratto di Rocco Scotellaro , proprio perché , eccezionalmente , si riaggancia ai modi di quindici vent ' anni prima ) è cronaca spenta , opaca ; come se anche il Levi , che fu pure dei « Sei » di Torino , partecipi della opinione , tanto diffusa quanto storta , decisa a negare ogni radice « realistica » alla civiltà dell ' impressionismo ; e così condannarla in blocco . Su questo punto , per fortuna , è possibile trovare qualche appiglio di confutazione anche ritornando nelle due salette « realistiche » . Il primo ce l ' offre proprio un torinese , il Martina , che , riandando sulle tracce non ingloriose del gruppo dei « Sei » , mostra di credere , come credo anch ' io , che la verità sia da ripescarsi sul lato opposto . E me ne conforta , subito dopo , un caso anche più semplice e , quasi , commovente . Salvo errore , Alberto Ziveri , che pochi in Italia conoscono , pochissimi sanno collocare sul piano che gli tocca , è il « realista più realizzato » della Biennale di quest ' anno . Le sue « cupole di Roma » , quasi abbacinate entro la luce d ' azzurro - acciaio , i due Paesaggi francesi , così teneri e densi , la polpa del Nudino di modella nello studio sono , per maturità di visione , la più grata sorpresa del padiglione italiano . Già Ziveri non ha aspettato sollecitazioni esterne o programmatiche per riguardarsi Daumier , Courbet , Daubigny , Corot ; l ' ha fatto da sempre . E può essere che , un tantino , lo immobilizzi una siffatta cultura , vagante , di regola , fra i11830 e il '70; ma chi l ' ascolti più attentamente avvertirà presto il gocciolare del filtro personale . Ora , per chi non si creda votato alle esigenze di un gusto soltanto ( quanto è più moderno , tanto più destinato a durare meno di un foglietto di calendario ) , Ziveri può servire come caso esemplare nel contesto della discussione sul « contenuto » e sulla scelta di una « tradizione » plausibile . Voglio dire che , ai daddoli critici sulla superfluità della mostra di Courbet a Venezia , la confutazione può venire naturalmente proprio dal caso Ziveri . Quanto può reggere , insomma , la cordata storica di una tradizione ? Nessuno è in grado di prevederlo , perché il più della faccenda dipende dalla solidità dell ' aggancio personale . O , passando ai « contenuti » , che dicono di fronte ai « paesaggi » di Ziveri i negatori in blocco delle grandi scoperte , in quel campo , degli impressionisti ? E che cosa gli estensori di liste di « contenuti popolari » con l ' anticipo fisso ? Che , nel variare dell ' impasto storico , certi nuovi argomenti s ' affaccino con insistenza e chieggano di essere in qualche modo raffigurati , è avvenuto sempre . Più difficile è che , affacciandosi , abbiano di già un volto « formalmente » riconoscibile . Ora è proprio la scarsa riconoscibilità formale di molti fra questi primi esperimenti a lasciar dubbi non già sulle intenzioni , ma proprio sul sentimento , sull ' animo che le dovrebbe reggere . Queste schierature di disegni dove lavoratori , soli o in comitiva , per lo più si riposano nelle soste dalla giornaliera fatica , sudano dormendo o si espongono di malavoglia negli abiti più dimessi , non sono che un ' inversione programmatica , non già un superamento , della vecchia joie de vivre dell ' impressionismo ed ultra . Ciò che vi manca , e sarebbe invece essenziale ai fini che vi si propongono , è proprio la polemica , il contrasto in corso fra le due parti . Qui , non se ne vede che una . Il Levi stesso , nel suo Taccuino di Lucania , dove ha lasciato i proprietari , la borghesia , la Celere , i vecchi fascisti , e tutto il resto ? Se è vero che Grassano è come Gerusalemme ( è proprio il titolo di un suo quadro ) dove sono i pubblicani , gli scribi , i farisei ? Così anche scavalcato , come si conveniva , il gusto della modernità ad ogni costo , mi ridomando se in codesti artisti non intervenga una sfiducia di fondo nel linguaggio , lato sensu , impressionistico , ritenuto inadatto a narrare , ad illustrare fatti umani , a chiarirli nella polemica con l ' altera pars . Per chi conosca la forza aggressiva degli illustratori satirici sul principio di questo nostro secolo , e rammenti come riuscissero ad esprimerla perfettamente , col migliore linguaggio artistico dei tempi loro , torna vero il contrario . Non sono dunque Induno o Morelli che i nostri zelanti disegnatori dovrebbero ristudiarsi , ma , anche senza uscir di casa , la tradizione che va dal Matarelli , grande illustratore del Giusti , a quel Ratalanga che veniva infatti accolto alla pari , cinquant ' anni fa , tra gli eccellenti disegnatori satirici della parigina Assiette au Beurre . Mi chiedo se forse non li conoscano meglio alcuni dei nostri registi , buoni maneggiatori di immagini , e che pure non sembrano aver fruttato ancor nulla , neppur essi , per i nostri giovani illustratori .
Decentriamo, ma con judicio ( Baget Bozzo Gianni , 2000 )
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Sì all ' autonomia amministrativa , occhio a quella fiscale I referendum regionali sono un prezzo politico per chiudere la questione dello scisma del Nord , un fatto spirituale e sociale che ha dominato la vita italiana degli anni Novanta ; una vera crisi della Nazione come forma dell ' Italia . Per questo i referendum consultivi sono ancora carichi di una potenza mitica come se essi dovessero segnare un evento spirituale nella figure del rifacimento istituzionale . E non sarà così perché le esigenze dell ' unità di un sistema giuridico , economico , sociale nazionale si impongono nella società mondiale molto più di quando accadesse quando vigeva intatta la sovranità statale . I vincoli internazionali rafforzano , non indeboliscono le esigenze della certezza e dell ' eguaglianza del diritto in ogni parte dello Stato . La capacità di imposizione fiscale delle regioni non può essere sopravvalutata . Le regioni a statuto speciale già esistenti ce l ' hanno e non ne hanno mai fatto uso . L ' autonomia regionale ha un senso solo se determina una diminuzione del peso burocratico e consente una maggiore disponibilità all ' esigenza della società civile . Ma si deve tenere conto che la società civile non è la terra degli angeli e che le lobby esistono ancora , rese più forti dalla fine dei partiti storici . Le decisioni che contano saranno sempre prese a livello nazionale proprio perché lo Stato nazionale è l ' agente inevitabile del sistema internazionale . In una società ormai internazionalizzata , le nazioni acquistano come sistemi economici e sociali il peso che hanno perso come sovranità nazionale . Vi è inoltre il rischio che la moltiplicazione delle fonti di diritto aumenti i vincoli e quindi i poteri della burocrazia e le difficoltà amministrative poste all ' azione del cittadino . Si è visto che difficoltà ha avuto a imporsi la legge Bassanini , il corpo morto che la burocrazia ha contrapposto all ' iniziativa del governo . Quello che è proposto con i referendum consultivi delle regioni padane è un decentramento di compiti alle regioni che lo chiederanno . Con ciò avremmo altre regioni a statuto speciale , che comporterà in altro modo il trasferimento di mezzi dallo Stato alle regioni . Questo è un processo nazionale che deve essere governato a livello nazionale e che richiede un contratto tra le regioni settentrionali a quelle meridionali . Per questo è valido l ' impegno posto dal presidente del Piemonte Ghigo per trovare una piattaforma comune con le regioni di sinistra . Infine merito di Berlusconi è di essere riuscito a porre in termini di decentramento ciò che era nato in forma di rivoluzione . Sul piano etico politico , la riforma ha importanza maggiore che sul piano amministrativo . Si tratta di deporre l ' ormai scomposto mito del Risorgimento e le criminalizzazioni che ne sono seguite e di recuperare la storia dell ' Italia preunitaria . Sarebbe un bel sogno se sul tricolore giacobino che Ciampi esalta si potessero porre i simboli delle repubbliche marinare che combatterono contro la pressione islamica . E ' certo che la nuova legislatura sarà finalmente costituente se il centrodestra , che ha posto con la riforma regionale il superamento della Costituzione del '48 , potrà finalmente portare fuori il Paese dalla crisi esistenziale dell ' identità della sinistra .
LA RIFORMA SCOLASTICA IN PERICOLO ( CROCE BENEDETTO , 1923 )
StampaQuotidiana ,
Caro Direttore , Che una larga riforma scolastica , come quella elaborata e messa in atto dal ministro Gentile , dovesse levare , insieme con le strida e i lamenti di coloro che se ne tengono danneggiati , serie opposizioni di principi o anche censure giustificate in questo o quel particolare , è cosa naturale . Ma l ' opposizione , che contro essa ora si manifesta in più giornali , mostra tali sembianze , da far dubitare che , per lo meno , si mescoli , in questo caso , al « naturale » una buona dose di « artificiale » . Troppa violenza , troppa insistenza , troppa enfasi , troppo metodo , troppa passione : quanta , in verità , non ce n ' è stata mai in Italia ( e specialmente in certi circoli ) per le sorti della scuola . Troppa grazia , dunque ; e questa sovrabbondanza di grazia induce a qualche sospetto circa la sua genuinità . Sarà vero quel che tutti ripetono in questi giorni : che si tratti di un motto d ' ordine , partito dalle labbra di un sommo sacerdote , a cui gli adepti rumorosamente fanno eco ? ( Et dixit Josue ad omnnem Israel : Vociferamini ! ) Inclino a credervi , perché vedo che in quelle polemiche si tace studiosamente proprio della questione , che più deve scottare , l ' insegnamento religioso : quasi si direbbe per non mettere sulle tracce della qualità ed origine dell ' opposizione . E poi ( concludeva , parlando con me , candidamente , l ' altra sera un amico , acerrimo antifascista ) , sarà questa , in ogni caso , una « prima breccia » , che speriamo di aprire nel « fascismo » . Operazione guerresca , senza dubbio , lecita , ma che non dovrebbe spingere a passar sopra alla scuola italiana come a un corpo vile . Certo , molta brava gente , che non ha tenuto dietro ai dibattiti sui problemi della scuola e non è in grado di sincerarsi da sé , rimane turbata quando vede nei giornali aperta una rubrica speciale , che par quella dell ' eruzione dell ' Etna ( ed è esagerata come fu quella ! ) . E parecchi , desiderosi di sapere che cosa debbano pensarne , si rivolgono a me , che non ho di certo tempo né voglia di somministrare lezioni di pedagogia e didattica e di storia delle istituzioni scolastiche italiane ; e perciò , rispondendo e rassicurando , ricorro volentieri ad argomenti di persuasione , alquanto estrinseci , come estrinseco è il turbamento di quella brava gente . E , per esempio , dico loro : Sono molti decenni che gl ' insegnanti italiani di scuole medie accusano , come causa fondamentale del cattivo andamento della scuola , la folla degli scolari inadatti , e che gl ' insegnanti delle Università si dolgono della insufficiente preparazione dei giovani che entrano nelle Università , e della nessuna garanzia delle lauree ch ' essi sono costretti a conferire . E sono almeno venti anni che un gruppo di studiosi ed educatori italiani ha indagato questi malanni , esaminato le condizioni della scuola , ricercato i rimedi , scritto libri su tali argomenti , promosso ampi dibattiti . Ora il più autorevole di questi studiosi , colui che ai problemi della scuola ha consacrato il meglio del suo animo e del suo pensiero , il Gentile , ripigliando i disegni di legge de ' suoi predecessori , che le vicende politiche fecero incagliare , raccoglie in una serie di norme legislative il frutto di lunghi e ardenti desideri , di accorate e industri fatiche . Non vi pare che si possa e si debba aver fiducia che da tale opera sia per uscire gran bene ? Da quanto tempo non si è più avuto , e quando si riavrà , un ministro competente e volenteroso al pari del Gentile ? Con le riserve generiche che convien fare per ogni cosa umana , si può stare tranquilli che la sua è opera di uomo del mestiere e non di un guastamestieri ; con le riserve che si possono muovere circa tale o tal altra disposizione particolare , si può tenere per certo che le linee essenziali del nuovo ordinamento sono tracciate con vigore e sicurezza . E dico altra volta : Quantunque per mia parte mi accordi nei concetti direttivi col Gentile , sono preso anch ' io , nel leggere i decreti di quella riforma , dall ' onesto dubbio , che sempre si affaccia quando dal programma e dal proposito si passa all ' esecuzione e all ' attuazione : il dubbio che non si sia tenuto sempre conto pieno della realtà effettuale e non si siano ben calcolate certe reazioni e ripercussioni . E perciò ho voluto in varie occasioni interrogare con ogni libertà e confidenza provetti insegnanti e capi d ' istituti , circa il giudizio che essi coscienziosamente si erano formati della riforma odierna . Or , dunque , essi , sul fondamento dell ' esperienza che hanno della scuola italiana , mi hanno risposto che stimano la riforma eccellente , e che , se si darà tempo al tempo , sarà principio di vera rigenerazione . Ovvio che io debba attribuire maggiore importanza al parere di questi insegnanti , di cui conosco la cultura , l ' intelligenza e la probità , che non al chiacchiericcio dei facili censori o al poco disinteressato biasimo degli insegnanti inetti e pigri . E credo che mi si possa imitare in questa ragionevole preferenza . E dico ancora : Quale meraviglia che l ' apertura dell ' anno scolastico , che in Italia da lungo tempo , a causa dei cattivi ordinamenti , riesce travagliosissima , sia stata anche quest ' anno travagliosa , non più a causa dei cattivi ordinamenti ma anzi a causa dell ' abolizione e della sostituzione che se ne è fatta ? Ma non bisogna spaventarsi troppo presto . Tra un paio di mesi quasi non si serberà più memoria delle querele e accuse di questi giorni , perché le cose avranno preso il loro assetto . Ricordo che , quando disposi una sorta di discentramento per l ' assegnazione delle « supplenze » , i giornali furono tutti pieni di proteste contro di me , contro la confusione che io avevo introdotta in quella parte , e che solo un « filosofo » , uso alle « astrattezze » ecc . , poteva improvvidamente suscitare ecc . ; e io , che avevo intanto lasciato il Ministero , non mi curai di rispondere . Senonché , qualche mese dopo , per mera curiosità , scrissi in via privata al Direttore generale dell ' istruzione media per sapere quali fossero stati veramente gli effetti di quella mia riforma ; e il Direttore generale m ' informò che i benefici erano stati grandi , e che ormai nessuno si lamentava più . Si rifletta che una o due persone , colpite nei loro comodi e lucri , fanno chiasso per cento , e descrivono in aspetto di disastro nazionale , ciò che non è forse nemmeno un loro disastro personale . Ma c ' è qualche altra cosa che vorrei poi dire a coloro che sono veramente solleciti del bene della scuola , del bene dell ' Italia ; ed è di star vigili al giuoco che ora si tenta , e che è di arrestare e mandare in aria le riforme scolastiche del Gentile . Noi avevamo in Italia non già un ordinamento , ma un groviglio di scuole e di ordinamenti scolastici , sorti in modo occasionale e contradittorio , sovente sotto lo stimolo d ' interessi che non erano né di educazione né d ' istruzione . Mercé l ' opera del Gentile , si ha ora invece un ordinamento saldo , razionale e coerente , indirizzato al rinvigorimento del pensiero , del carattere e della cultura italiana . Potrà ben essere corretto o ritoccato in qualche parte , ma è ben piantato e capace di svolgimento . Dovremmo , a seguire l ' impeto e le mire degli oppositori , tornare rassegnatamente alla baraonda di prima ? Dovremmo , da ora in poi , reputare priva di ogni speranza l ' opera di qualsiasi uomo , per esperto che sia , il quale si accinga a dare un avviamento severo e pensato alla scuola italiana ? Sono sicuro che gli assalti furiosi , ai quali oggi è esposta l ' opera del Gentile , non conseguiranno il loro intento ; ma vorrei che coloro che li conducono , o coloro che li approvano , considerassero che essi , nel caso che vincessero , assumerebbero una ben grave responsabilità , caricherebbero di un grosso peso la loro coscienza . Per impazienza polemica o per fini di partito e di polemica e di tattica politica , avrebbero tolto alla lungamente auspicata riforma della scuola italiana un ' occasione , che non si ripresenterà mai più . Mi abbia con cordiali saluti , ecc .
Pomeriggio di fuoco ( Nozzoli Guido , 1967 )
StampaQuotidiana ,
Questa volta i banditi delle banche ci hanno lasciato le penne . Ma prima di perdere il bottino e un compagno della banda le hanno tentate tutte disseminando sulla via della fuga due morti e ventidue feriti tra cui sei agenti di polizia . È stata una battaglia spietata e rabbiosa combattuta tra un urlante carosello di « pantere » , gridi di spavento della gente , schianti di scontri e rovinii di vetri disintegrati dalle raffiche dei mitra e delle pistole . La sanguinosa scorribanda , che ha trasformato le strade e le piazze attorno alla Fiera di Milano in un quartiere della Chicago degli anni Venti , ha tenuto con il fiato mozzo migliaia di milanesi , spettatori attoniti e sbigottiti di questa caccia all ' ultimo sangue . Tutto è cominciato attorno alle 15.30 . Quattro giovani sono arrivati a bordo di una 1100 blu targata MI 767815 davanti alla Filiale N . 11 del Banco di Napoli , all ' angolo tra largo Zandonai e via Panzini . Uno di loro si è avvicinato di soppiatto all ' agente Francesco Annichiarico , di servizio all ' ingresso e lo ha stordito vibrandogli un colpo alla testa con il calcio di una rivoltella . Altri due banditi , con un fazzoletto sul viso , hanno fatto alzare le mani ai cinque impiegati e a quella decina di clienti che a quell ' ora si trovavano davanti agli sportelli , minacciandoli con un mitra e una pistola . La solita scena e le solite parole . « Fermi tutti . Vi diamo un minuto di tempo per consegnarci tutto quello che avete in cassa . E poche storie ! » Un fattorino ha un moto inconsulto , fa per allontanarsi e si busca uno sberlone che lo fa cadere in ginocchio . Un cliente si avvicina per soccorrerlo e subisce lo stesso trattamento . Non c ' è niente da fare . E il cassiere Francesco Navarro apre la cassa da cui il solito bandito saltatore di banconi , che si ritrova in ogni rapina , arraffa 9 milioni 660.000 e 500 lire in contanti più una bracciata di assegni per un milione , cacciando il tutto in una sacca sportiva azzurra . Fatto il colpo i banditi escono e insieme a quello che aveva continuato a tener d ' occhio l ' agente , salgono precipitosamente sull ' auto , lasciata con il motore acceso e il pilota al volante . Tutto come sempre , tutto secondo gli schemi di queste imprese della « mala » . Ma , questa volta , la rapina ha avuto un seguito impreveduto . Non appena i banditi hanno girato l ' angolo , gli impiegati hanno fatto scattare il cosiddetto « apparecchio Polbi » - che sarebbe il dispositivo d ' allarme studiato e messo a punto per la difesa degli istituti di credito dopo la penosa sequenza di aggressioni di questi anni - e immediatamente l ' apparecchio ha messo in moto l ' intera organizzazione di emergenza della polizia milanese . Quasi contemporaneamente sono scese in campo otto « pantere » della Volante e otto R.C. della Mobile , seguendo la tattica dell ' intervento a scacchiera elaborata per la lotta contro i rapinatori . Le sedici automobili si spostavano fulmineamente in modo da accerchiare i fuggitivi tenendo sotto controllo l ' intera zona in allarme . Per caso si trovava in via Procaccini anche il maresciallo Siffredi che stava facendo un appostamento in borghese ( forse per l ' operazione contro la banda di Tiritiello ) a bordo di una 850 su cui erano anche gli agenti Palladino e Menghini . La 1100 viene avvistata e comincia la caccia . Vedendosi sbarrate tutte le strade previste per raggiungere il punto convenuto per il cambio dell ' automobile , i rapinatori si gettano allo sbaraglio fuggendo a casaccio come topi impazziti , con l ' unica preoccupazione di far perdere le tracce . E per aprirsi varchi nel traffico sparano all ' impazzata contro chiunque ha la disavventura di trovarsi davanti a loro . Così viene fulminato in viale Pisa nella cabina del suo autocarro l ' autista Virgilio Oddone di 53 anni da San Donato . Così cade colpito a morte nella sua 600 accanto al padre in piazza Stuparich il trentacinquenne Francesco De Rosa abitante a Bresso in via Roma 91 , che spirerà dopo pochi minuti all ' ospedale . È impossibile , almeno ora , ricostruire il tortuoso itinerario dei fuggiaschi che vengono segnalati in piazzale Lotto , in via Murillo , in via Rembrandt , in piazza delle Bande Nere , in piazza Firenze , in viale Pisa percorso a folle andatura nelle due direzioni sempre preceduta dai colpi secchi delle armi imbracciate dai delinquenti . Mentre la loro automobile gira attorno all ' Arco della Pace giunge all ' orecchio di una ragazzina la voce concitata del capo che grida all ' altro : « Spara , Cristo ! Spara ! » . Le « pantere » che corrono sulla loro scia devono limitarsi a tallonare i banditi senza poter rispondere ai loro colpi . A un certo punto la pattuglia della « Musocco » vede spuntare dal finestrino posteriore della 1100 uno dei « ragazzi » che le fa cenno di rallentare facendo capire a gesti che , se non rallenta la corsa , pistole e mitra spareranno contro i passanti terrorizzati lungo i marciapiedi . E la minaccia è presto seguita da alcune raffiche sparate brutalmente sulla folla . Per non aggravare il bilancio già fin troppo sanguinoso della giornata , la polizia dovrà attendere di raggiungere via Pisanello prima di poter aprire il fuoco senza pericolo per i passanti . Intanto ben sei « pantere » hanno già fatto da bersaglio alle armi dei rapinatori continuando quell ' inseguimento da mozzafiato . In via Procaccini l ' episodio più drammatico della battaglia . Il maresciallo Siffredi scorge la 1100 e le si getta decisamente contro con la sua 850 , sparando contemporaneamente verso il lunotto posteriore della vettura speronata . I banditi spianano le pistole e feriscono il maresciallo , Palladino e Menghini . Dall ' altra parte non la passano liscia . Un colpo ben mirato raggiunge uno dei malviventi , forse , stando a quanto assicura il maresciallo ferito , un secondo colpo colpisce un altro della banda . In piazza 6 Febbraio dalla 1100 viene scaricato uno della banda , calvo , di spalle larghe e massicce , che stringe un mitra in una mano e la sacca azzurra con il malloppo nell ' altra . È una « mossa » strana , disperata , difficile da spiegare . Uno degli episodi oscuri della storia , che di particolari oscuri e controversi ne avrà più d ' uno . Accompagnato da una fitta sparatoria dei compagni ( che giostrando temerariamente con l ' auto alle sue spalle non si sa se vogliono coprire la sua manovra o abbatterlo ) il « calvo » si acquatta dietro la staccionata della Fiera . Per lui è finita . Un vecchietto lo addita all ' agente Biase Tosto , l ' unico non ferito a bordo della sua « pantera » ( dove è stato colpito al petto il brigadiere Nicola D ' Ambrosio ) , che riesce a strappargli il mitra e lo ammanetta . Vista fallire la loro manovra , presi dallo smarrimento , gli altri rapinatori abbandonano la 1100 e fuggono in due direzioni diverse lasciando partire altri colpi contro gli agenti . L ' arrestato ne approfitta per tentare di gettarsi fuori dell ' auto della polizia . Ma il vecchio mutilato , che già aveva fatto da « guida » agli agenti , gli rifila una legnata in testa e gli altri agenti possono caricarlo in macchina come un sacco , pesto e sanguinante . Due dei rapinatori corrono a perdifiato verso via Prati e si infilano in un ' autorimessa che ha due uscite . Una donna spaventata , vedendoli con le pistole in pugno , li supplica di non sparare . « State tranquilla » dice uno di loro , « siamo della polizia . » Dall ' autorimessa i fuggiaschi sbucano in piazza 6 Febbraio e qui scompaiono . Qualcuno assicurerà poi di averli visti eclissarsi a bordo di una 2300 . Un viaggio che non dovrebbe durare molto . Le forze di polizia hanno teso una fittissima rete attorno alla città controllando gli accessi a strade e autostrade , le stazioni , gli aeroporti e passando al setaccio l ' intera zona della Fiera per controllare tutte le case sospette che potrebbero aver dato ricetto ai fuggiaschi . Un ' accurata visita è stata compiuta nelle sale d ' aspetto , nei bar e in molti altri ritrovi . L ' arrestato , il « calvo » , che aveva tentato di andarsene con il bottino , è Adriano Rovoletto di 32 anni abitante a Torino in corso Vercelli 191 , già condannato per furto e per maltrattamenti . Dopo aver tentato di fare il furbo dicendo che si sentiva morire ( ma i funzionari della Mobile ci hanno messo poco a capire che la sua ferita non era preoccupante ) , il « calvo » ha finito con il dire tutto quello che interessava gli agenti . Tanto per cominciare , Rovoletto ha fatto il nome di altri due della banda : il ventinovenne Alessandro Notarnicola ( un altro torinese trasferito a Genova in via C . Gabella dove viveva in un bell ' appartamento con una bella moglie spacciandosi per rappresentante di stoffe ) e Piero Cavallero , il capo - ghenga . Del quarto rapinatore , probabilmente quello incaricato di rubare le auto prima dell ' assalto alla banca , si è saputo solo che è un giovane immigrato di 17 anni , di origine meridionale . Poi il « calvo » ha finito con l ' ammettere che furono lui e i suoi complici a compiere le sanguinose rapine di Ciriè e di Alpignano e la temeraria « tripletta » del novembre 1965 a Milano . Il quartetto è partito da Torino in pullman ieri mattina alle 10 giungendo poco dopo mezzogiorno a Milano dove ha fatto colazione frettolosamente con un panino . Ancora è impossibile definire tutti i particolari della giornata e tutti i momenti di questa battaglia . Ognuno dei testimoni casuali e degli agenti che hanno partecipato all ' operazione ha il suo racconto da fare , ma nessuno può dire quale sia quello buono . È dimostrato che , tra il sibilare delle pallottole , la mente dell ' uomo perde molta della sua chiarezza . Anche in questura non si riesce a sapere molto di più , e bisognerà attendere che , a cuor sereno , i funzionari raccolgano i rapporti dei loro subalterni prima di poter avere un quadro completo dei fatti e una spiegazione dei molti particolari oscuri di cui è costellata la vicenda . Intanto il prefetto di Milano dottor Libero Mazza , che in serata ha compiuto una rapida visita in tutti gli ospedali in cui sono ricoverati i feriti - « raggiunti » ha detto « esclusivamente dai colpi sparati dai banditi » - , ha assicurato che « le famiglie delle vittime di tanta belluina ferocia » verranno adeguatamente seguite ed aiutate dall ' amministrazione dello Stato . Riferendosi ai rapinatori il prefetto ha aggiunto : « Questa gente che vive fuori della società deve uscirne definitivamente » . Non c ' è dubbio che « questi » malviventi abbiano concluso per sempre la loro avventura criminale . Incapaci di rassegnarsi alla sconfitta , feroci e ottusi come lo sono spesso gli uomini dalla pistola facile , essi hanno sparato alla cieca contro la gente , con ripugnante malvagità , come avevano preannunciato nelle loro lettere « circolari » suscitando il disgusto persino delle « leggere » , solitamente disposte a guardare con una punta di simpatia le imprese audaci degli eroi del sottosuolo , purché « pulite » , non macchiate dal sangue che ieri si è sparso sulle strade di Milano . E non è improbabile che anche le « leggere » , questa volta , rendano la vita difficile agli assassini , braccati dalle forze di polizia e perseguitati dal disprezzo e dal rancore di tutti . Sarebbe però ingenuo illudersi che si estingua la specie dei rapinatori e si essicchi la pianta malefica della « mala » , che ha radici profonde e tenaci nella società . Certamente al posto del « calvo » e dei suoi prima o poi ne usciranno altri . Ma ora sanno che cosa li aspetta . Perché oggi la polizia ha dimostrato di saper affrontare con freddo coraggio la sfida della delinquenza anche con le armi in pugno .
Quattro matrimoni e un funerale ( Tornabuoni Lietta , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Commedia romantica brillante , aggraziata , scritta bene da Richard Curtis e ben realizzata da Mike Newell di Ballando con uno sconosciuto , segue la storia di un amore e di un gruppo di amici attraverso quattro cerimonie nuziali e una cerimonia funebre : riti sociali , occasioni d ' incontro , appuntamenti del sentimento . Al primo matrimonio , protestante , lui e lei , inglese e americana , si conoscono , si piacciono , vanno a letto insieme , si separano . Al secondo matrimonio , cattolico , si rivedono ( lei è col fidanzato ) , ancora si piacciono , vanno a letto insieme , si separano . 11 terzo matrimonio , in stile scozzese , è quello di lei : si rincontrano , durante la festa di nozze un amico carissimo ha un attacco di cuore e al suo funerale lui e lei si ritrovano , si separano . Il quarto matrimonio è quello di lui : lei vi partecipa sola , ha già lasciato il marito ; lui all ' ultimo minuto rinuncia a sposarsi ; baci e impegni sono il segno di un amore finalmente riconosciuto , accettato . Confusione amorosa , equivoci del cuore , frustrazioni , dubbi su se stessi , pudori orgogliosi , resistenza e poi resa alle responsabilità della vita adulta . Alle nozze , champagne , scemenze , abiti da sposa ( « Sembra un ' enorme meringa » ) , sacerdoti impacciati , allegria , ritardi quasi catastrofici , anelli nuziali dimenticati , gaffes , pasticci , cristalli , porcellane , fiori , risate , giovinezza . Nel gruppo di amici , la complicità divertita , la lunga conoscenza , gli scherzi reciproci , l ' affetto : la commozione , al funerale , per l ' amico che se n ' è andato e per il toccante addio del suo compagno . Hugh Grant è un protagonista romantico di prim ' ordine . Quanto a successo internazionale , Quattro matrimoni e un funerale è quasi un film - fenomeno : negli Stati Uniti ha incassato oltre 40 milioni di dollari , in Australia è tra í primi venti incassi d ' ogni tempo , in Francia l ' hanno visto due milioni di persone . Per una commedia molto inglese di costo medio - basso il risultato è così insolitamente positivo da aver suscitato interrogativi , analisi . Com ' è che piace tanto ? Le ipotesi sono varie . Perché , paradossalmente , « la gente non crede più nel matrimonio ma non si arrende a non crederci » , dice il sociologo francese François de Singly . Perché , al di là della storia d ' amore , il film ( come Gli amici di Peter o Il grande freddo ) elegge protagonista il gruppo di amici , famiglia di elezione , banda solidale che comprende un sordo , una grunge , due omosessuali , una chic inzitellita per amore non corrisposto , un aristocratico buffo malato di solitudine . Perché , infine , ignora del tutto ciò che ci angoscia nei Novanta , guerre , crisi economiche , conflitti etnici , Aids , politica brutta , violenza , disoccupazione ( i personaggi paiono anzi non avere alcun mestiere né professione , non lavorare affatto ) : e in nome dell ' amore mette insieme il glamour del lusso , il fascino tossico delle tradizioni , il piacere un poco vile dell ' oblio .
PER SALVATORE DI GIACOMO ( CROCE BENEDETTO , 1924 )
StampaQuotidiana ,
Napoli , 28 novembre 1924 . Signor Direttore , Poiché vedo riferita nei giornali una frase staccata del breve discorso che pronunciai in Senato per l ' applicazione della categoria 20 a Salvatore di Giacomo , discorso che , con nuovo esempio , è stato perfino sottoposto a critica pubblica , quantunque tenuto in Comitato segreto sono costretto a prendere la parola affinché da coloro che non erano presenti non sia stortamente interpretato il senso in quella mia frase . Io dunque , dopo aver illustrato il carattere e il pregio dell ' opera del Di Giacomo , dissi che questi vive chiuso nel cerchio della pura poesia , e tanto estraneo alle cose pratiche e politiche , e lontano da ogni ambizione di questa sorta , che la nomina a senatore giuntagli inaspettata , aveva dovuto fargli la stessa impressione che proverei io « se il papa mi nominasse cardinale ... » ( Questa è la frase incriminata ) . Ed aggiunsi che né io , suo antico e saldo estimatore , né altri dei suoi amici napoletani , avevamo mai pensato a proporlo per quella nomina ; tanto la sua figura ci portava in una sfera al disopra e anche , se si vuole , al disotto del Senato e , insomma , diversa ; ma che noi siamo spesso ingiusti con le persone a noi vicine e che , quando poi un ministro lombardo , guardando all ' alto valore artistico del Di Giacomo , aveva proposto quella nomina , io ne avevo provato un grande compiacimento . E che mi sarebbe parso assai mal compensare un uomo di anima candidissima , che tutta la vita aveva consacrata all ' arte , col ritôrgli la solenne testimonianza di stima , che già gli era stata resa . E infine , che era bensì ottima cosa riportare a uso più rigoroso l ' applicazione della categoria 20 , ma che non bisognava dimenticare che l ' Italia non era solo l ' Italia della politica , ma anche l ' Italia della poesia . Queste cose io dissi , premettendo che avrei parlato in Senato con piena sincerità . Né , del resto , avrei potuto parlare diversamente , per rispetto verso il Di Giacomo non meno che verso il Senato . Mi abbia ecc .
Il romanzo del «'91» ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
L ' Officina Militare Pirotecnica , a Porta Mazzini , sulla strada di Imola , era , per quei tempi , uno stabilimento più che rispettabile . Vi lavoravano circa 2000 operai . Si pensi che nel 1876 un censimento economico aveva assodato che le maestranze impiegate nell ' industria vera e propria comprendevano in tutto 460 mila individui . L ' Ansaldo di Genova , per esempio , ne occupava dai 1500 ai 1600 nei momenti di punta . All ' Officina Militare di Bologna , i due terzi della mano d ' opera era femminile : addetta al dosaggio delle polveri e al caricamento delle cartucce . Direttore dello stabilimento era il generale Luigi Stampacchia , pugliese , tipico rappresentante della vecchia classe militare , generosamente baffuto , paternamente burbero . Ma il colonnello Garau , un sardo dagli occhi di fuliggine sotto sopracciglia folte e quasi sempre aggrottate , capo del reparto sperimentale , aveva tutt ' altro carattere . Oltracciò , come tutti gli ufficiali nati sotto la bandiera del regno sabaudo , non vedeva troppo di buon occhio i colleghi meridionali . La saldatura fra « piemontesi » e « borbonici » era , d ' altronde , assai fresca . Vincenzo Muricchio capì fin dal primo incontro che la convivenza col colonnello sarebbe stata spinosa . Non avendo simpatia per la vita d ' ufficio , espresse timidamente il desiderio di occupare la carica meno sedentaria dell ' officina . Il colonnello , dopo averlo fulminato da sotto le sopracciglia , gli troncò la parola : « Capitano ! Non l ' hanno mandato a Bologna per ballare il valzer . Non spetta a lei decidere dove stare e cosa fare . Favorisca raggiungere immediatamente l ' Ufficio Metalli , al quale l ' ho già destinata ! » . L ' Ufficio Metalli aveva il compito di calcolare e saggiare l ' efficienza di materiali impiegati nella confezione delle cartucce , in rapporto agli effetti balistici . Proprio in quei giorni , il personale che vi era addetto stava studiando un problema assai grave . Da qualche settimana , la sostituzione della polvere nera con un esplosivo antifumogeno era un fatto compiuto . Ma soltanto in teoria . Il posto dei due grammi di polvere , che costituivano la carica delle cartucce Weterly , era stato preso dalla « balistite » . Questa nuova sostanza eliminava completamente le vecchie , acri fumate : presentava , però , un inconveniente non meno preoccupante . La polvere nera ( che i soldati chiamavano « tabacco » ) era ben lontana dall ' avere la forza dirompente della balistite . Qualche imperfezione nei bossoli era stata , perciò , sempre tollerabile . Ma la pressione esercitata dallo scoppio delle nuove cariche sulla parete del bossolo era talmente violenta , da provocare incidenti sanguinosi , solo che l ' ottone fosse minimamente incrinato . Durante le prove al poligono di tiro , molte delle 10.000 cartucce adoperate avevano provocato l ' esplosione del fucile e cinque o sei soldati ci avevano rimesso le dita . Essendo assolutamente impossibile aumentare lo spessore dei bossoli , condizionati al calibro dell ' arma , non restava che scartare rigorosamente i bossoli incrinati . Visto oggi , il problema è di una semplicità addirittura infantile ; ma basta riportarsi al 1889 , per capire , una volta di più , quanta strada abbia fatto la tecnica , e con che vertiginosa velocità , in meno di settant ' anni . Per le operaie bolognesi addette alla confezione delle cartucce , individuare le incrinature capillari dell ' ottone era compito difficilissimo , quasi impossibile . Per quanto le disgraziate si consumassero gli occhi sui bossoli , senza peraltro rallentare il ritmo del lavoro , era talmente fioca e vaga la luce che scendeva dalle finestre polverose , protette da grate , scavate come feritoie nei muri spessi due metri , da togliere ogni garanzia al controllo più volenteroso . Né l ' aggiunta di luce artificiale poteva giovare granché . Escluse per ovvie ragioni le lampade a petrolio o a gas , furono appese sui banconi di caricamento alcune lampadine elettriche : modeste bolle di vetro , nelle quali i filamenti di carbone , simili a vermiciattoli incandescenti , emettevano un bagliore rossiccio e sbadiglioso . Curve attorno ai banconi di rozzo castagno , le operaie sgranavano gli occhi sui tubetti d ' ottone . Li scrutavano talmente da vicino , che le ciglia sfioravano il metallo . D ' altronde , correva voce che la Duplice stesse architettando un ' aggressione proditoria ai danni della Triplice . Il ministro della guerra , Bertolè Viale , era inquieto . Sollecitava , con lunghi dispacci cifrati , una maggior produzione di cartucce . Si era già raggiunta la « prodigiosa » sfornata di 500.000 pezzi al giorno . Troppi , per un lavoro tanto delicato . Fu allora che il capitano Vincenzo Muricchio , il quale non aveva affatto l ' aria di un topo da esperimenti , rivelò per la prima volta le sue migliori qualità ; le stesse che di lì a poco dovevano affrettare la nascita del «'91» . Il colonnello Garau non era tipo da prendere in considerazione le questioni sociali o da lasciarsene impietosire . Il suo motto , durante le agitazioni popolari , era quello del generale Bava - Beccaris : « Voi cantate i vostri inni , noi spariamo i nostri cannoni » . Per eliminare i bossoli difettosi ritenne buon sistema tempestare di multe le operaie . Molte di quelle disgraziate , pagate una lira al giorno , arrivavano ogni mattina in diligenza dai paesi vicini . Alcune si facevano , all ' alba , perfino sei o sette chilometri a piedi , e altrettanti la sera . A partire dal 1880 , specialmente in Emilia , erano sorti circoli , associazioni e cooperative di lavoratori . La parola di Costa , Lazzari , Bissolati e Turati alimentava un socialismo in cui si mescolavano l ' arditismo garibaldino , il cuore di De Amicis e la commozione civile di Pascoli . Era un socialismo molto lontano da Marx , ma più vicino alla natura degli italiani e alla riscossa del Risorgimento . Tutto sommato , controllava le masse assai meno dell ' attuale comunismo . Le autorità provinciali vivevano meno tranquille di quelle d ' oggi . Specialmente fra la Romagna e il Po . Le multe a catena del colonnello Garau stavano per creare pasticci nello stabilimento di Bologna , allorché il capitano Muricchio , rammentandosi degli specchi ustori ideati da Archimede a Siracusa , trovò il sistema di quintuplicare la luminosità delle lampade a filamento di carbone . Bastava avvitarle in una conchiglia foderata di metallo ben lucidato o addirittura di specchio . Nacquero così , in embrione , i primi « riflettori parabolici » usati dall ' Esercito . Puntati sui tavoloní dello stabilimento , permisero alle operaie di scartare la quasi totalità dei bossoli difettosi . In conseguenza di ciò , il colonnello Garau chiamò a rapporto il suo ingegnoso capitano e gli disse così : « Dovrei punirla per aver adoperato , nelle sue esperienze ottiche , materiale dello stato senza riempire l ' apposito modulo di richiesta e aspettarne l ' approvazione , debitamente vistata dalla sezione staccata di artiglieria . Ma in considerazione dell ' utilità dei suoi riflettori , mi limito a un rimprovero verbale semplice . Debbo tuttavia significarle la mia soddisfazione per il suo attaccamento all ' Officina . Vada pure » . E il capitano , battuti seccamente i tacchi , andò . Oggi , a distanza di quasi settant ' anni , rammenta benissimo quella giornata di marzo ; i tetti bolognesi ancora screziati di neve ; le operaie , dalle mani screpolate dal freddo , che ormai gli sorridevano , timidamente , come a un amico . Rammenta anche la vaga tristezza che le parole asciutte del colonnello gli avevano lasciato nell ' anima . Tanto che quella sera , anziché spassarsela allegramente coi colleghi più brillanti nei soliti locali di via Indipendenza , via Rizzoli e via Galliera , si ritirò presto nella stanzetta a pigione ( lire venti mensili compresa la lavatura della biancheria e il riscaldamento ) e si sprofondò nelle letture preferite . Testi e riviste di balistica , naturalmente ; e in modo speciale alcune pubblicazioni assai recenti che trattavano un argomento di appassionante attualità : i fucili militari a ripetizione di piccolo calibro . Quello , e non le lampade a riflettore , era l ' obiettivo da raggiungere ! Il Weterly , a parte il suo peso eccessivo ( kg. 4,100 ) e la mole ingombrante delle munizioni , non era un cattivo fucile . Creato nel 1870 , l ' esercito olandese lo adottò contemporaneamente al nostro . Nato come arma a retrocarica a un solo colpo , il capitano d ' artiglieria Vitali lo aveva modernizzato , qualche anno dopo , applicandovi un meccanismo a « ripetizione » . È vero che lo scontro di Dogali , nell'87 , avrebbe forse potuto risolversi in modo meno disastroso per la nostra truppa se ogni soldato avesse avuto con sé maggior numero di cartucce ; ma è altrettanto vero che contro i nostri 500 morti caddero ben 1800 seguaci di ras Alulà . Il Weterly era , dunque , assai preciso e munito di un ordigno di caricamento difficilmente inceppabile . La strage di Dogali non portò , comunque , a una seria revisione del nostro apparato militare . Gli strali dell ' opinione pubblica sfiorarono lo stato maggiore , allora capeggiato dal generale Enrico Cosenz , e andarono a piantarsi nella redingote di Francesco Crispi . Gli aedi nazionali si allearono con gli avversari del ministro siciliano . D ' Annunzio , che in seguito doveva diventare il « cantore » ufficiale di ogni impresa « d ' oltremare » , definì « bruti di Dogali » i soldati caduti attorno al tenente colonnello De Cristoforis . Carducci si rifiutò d ' inaugurare il monumento a quei valorosi , dichiarando che non avrebbe speso una parola per le « vittime di una spedizione inconsulta » . Nel maggio del 1890 , quando il collonnello Garau si recò a Roma , Vittorio Emanuele , ventunenne , assunse il suo primo comando di reggimento : il l ° fanteria , di stanza a Napoli . Il principe scriveva spesso al colonnello Osio , che era stato suo « governatore » , le sue impressioni di comandante . Leggendole oggi , si ha la sensazione di quanto il futuro re fosse amareggiato e deluso . Eccone una : « Mi rincresce di fare il terribile , mi secca di fare il cane , ma il giorno di Pasqua ho fatto una vera catastrofe , alla 12a Compagnia , dove una piccola inchiesta da me fatta fece risultare gravi irregolarità nell ' ordinare il servizio di picchetto armato : ho punito il furiere e cinque graduati ; inoltre ho inflitto il massimo di 45 giorni , come prima punizione , a un soldato avellinese , classe 1869 , che si era fatto esentare dal picchetto , imponendosi a due suoi compagni . Ho potuto far cogliere un ladro e consegnarlo al tribunale . Ho potuto mettere la mano su quattro ladri che infestavano la compagnia : a uno ho inflitto i 45 giorni a due i 15 di rigore e per uno convoco oggi la commissione di disciplina . Poco fa ho inflitto í 30 giorni ( 15 più 15 ) a un soldato che pagava un compagno per farsi sostituire di ' corvée ' , minacciandolo se non lo sostituiva . Il mio plotone allievi ufficiali ha raggiunto il numero di ben 104 allievi : fra breve saranno 103 , perché ne ho scacciato uno per aver rubato un libro a un compagno . Oggi un consiglio di disciplina reggimentale ha all ' unanimità deciso per la rimozione del tenente Baríola ( nipote del generale ) per grave mancanza contro l ' onore : mi sono dovuto decidere a fare questa esecuzione : è il secondo ufficiale che liquido dal principio dell ' anno e temo che testé un paio d ' altri saranno per avere la stessa fine » . Ed ecco un ' altra lettera del colonnello Vittorio Emanuele allo stesso Osio , ancora più significativa : « Oggi ho visto a San Potito i lavori che il Genio sta facendo . Un mese fa mi fu riferito che nella volta del camerone occupato dalla 1a Compagnia si erano formate delle lesioni . Andai subito a vedere e non essendo rassicurato da quanto vidi , mandai subito a chiamare il capitano del Genio ( ora l ' hanno fatto maggiore ) che aveva i quartieri dalla parte superiore della città . Questo egregio signore vide e pronunciò essere lesioni limitate al solo intonaco . Non essendo ancora tranquillo per la pelle dei miei soldati , feci chiamare il colonnello del Genio che verificò esservi forse qualche pericolo . Non ancora contento , parlai della cosa al generale Corvetto , che , quando ero a Persano , fece visitare il fabbricato al generale De Benedictis ; a farla breve , la volta fu dichiarata in pericolo imminente ; furono fatte sgombrare e mandate in Castel dell ' Ovo due mie compagnie ; e tolto l ' intonaco , si scoprirono numerose e profonde lesioni . Incredibile ma vero ! » . Esistono , nel carteggio fra il principe e Osio , altre annotazioni e osservazioni , dalle quali risulta in modo trasparente che Vittorio , nel biennio '90-92 , si accorse , per diretta esperienza , quanto fosse lontano il suo esercito da quello ideale che aveva sognato , giovinetto , leggendo i classici greci e romani . Gli ufficiali carichi di debiti , ricattati dagli strozzini , impegolati con gente di malaffare , ivi compresi i « camorristi » , erano una quantità . Le soperchierie dei sottufficiali furieri , all ' ordine del giorno . La tranquilla , oleografica ignoranza di molti ufficiali d ' alto grado , una piaga profonda . Il colonnello Garau , preannunciato da un dispaccio protocollato « segretissimo » , non fece anticamera . Fu subito ammesso alla presenza del ministro Bertolè Viale , il quale , per la circostanza , aveva convocato il capo di S . M . Cosenz e il tenente generale Cesare Ricotti Magnani , una delle colonne dell ' Esercito , futuro ministro . Il colonnello esibì il materiale che si era portato da Bologna e illustrò ai tre generali i meriti del nuovo calibro 7 , nonché i vantaggi presentati dalle pallottole incamiciate di acciaio . Fece la sua relazione mantenendo una secca posizione di attenti , a fronte alta , con militare sobrietà . I tre generali , sul cui petto spiccavano le decorazioni guadagnate nelle battaglie per l ' unità patria , esaminarono piuttosto freddamente fucili , proiettili , bersagli e pallottole . Le pupille acute del generale Cosenz , che nel '60 aveva risalito l ' Italia meridionale assieme a Garibaldi e Bixío , lampeggiavano dietro gli occhiali cerchiati di semplice metallo bianco . Ricotti , reduce di Crimea , si pizzicava , di tanto in tanto , la punta dei baffetti brizzolati . Alla fine , i tre si appartarono in fondo al salone barocco , parlamentarono una decina di minuti , quindi pronunciarono il loro responso per bocca del ministro : « Caro colonnello , mi compiaccio per quanto è riuscito a portarci . Siamo sulla buona strada . Ma la faccenda dei proiettili rivestiti d ' acciaio , purtroppo non va bene . C ' è di mezzo quella benedetta Convenzione di Ginevra ! Non è mica più come al nostro bel tempo , che la guerra si faceva come si voleva e , perbacco ! , si vinceva come si poteva ! Ora c ' è Ginevra : una città che ha un nome da vivandiera . A Ginevra hanno stabilito , tutti d ' accordo , che non si possono usare pallottole di ferro o d ' acciaio , perché possono arrugginire e infettare le ferite . Figuriamoci ! Infettare ! Noi , che ai nostri giorni ci medicavamo le ferite con la saliva ! Ma lasciamo andare ... Perciò , il suo fucile è una bella cosa , ma le pallottole non vanno . Bisogna trovare qualche altra diavoleria , per accontentare madama Ginevra . Torni a Bologna e ci tenga informati . Ciarea » . Altro che promozione a generale ! Il colonnello Garau prese il primo diretto per Bologna , non senza aver appioppato alcuni giorni di rigore ai militari del suo seguito . Durante il viaggio , preparò accuratamente il « cicchetto » da somministrare a Muricchio e agli altri dell ' Ufficio Metalli ; colpevoli di non avergli ricordato la Convenzione di Ginevra , stramaledetta invenzione di vecchie zitelle ! Come se in guerra , dove ci si ammazza più che si può , le infezioni fossero una preoccupazione seria ! Roba da matti ! Nel '93 , quando Menelik II denunciò il patto di Uccialli , il primo «'91» non era ancora stato consegnato all ' esercito . Nel 1894 apparvero sull ' « Illustrazione Italiana » le prime immagini « ufficiali » del nuovo fucile , assieme alla notizia che in certe vetrine di armaioli , a Milano e Bologna , erano apparsi dei fucili dello stesso calibro e modello , adattati per la caccia al camoscio e allo stambecco . Dopo aver accusato un po ' tutti di « tradimento » e « spionaggio » ( reati allora di moda ) , si scoprì che alcuni fucili e moschetti non perfettamente riusciti , e che pertanto l ' armeria di Terni avrebbe dovuto immediatamente distruggere a colpi dí maglio , erano stati « intrallazzati » da un capo tecnico , il quale se li era portati a casa , li aveva trasformati e ceduti a un armaiolo . Il capo tecnico , avente a carico moglie , madre , suocera e cinque figli , il tutto con una paga giornaliera di circa tre lire , chiese perdono in ginocchio , ma finì in prigione per un numero d ' anni superiore a quello dei fucili sottratti . L ' anno seguente , 1895 , il 7 dicembre , Menelik II ( che cinque anni prima aveva coniato monete con la testa di re Umberto ) mandò una colonna di 20.000 uomini a liquidare i 2500 soldati che , agli ordini del maggiore Toselli , occupavano l ' Amba Alagi , sulla frontiera dello Scioa . Gli abissini , provenienti dalle montagne dell ' Amara , erano scalzi ma muniti di quegli ottimi fucili Weterly che il negus aveva ottenuto col trattato di Uccialli ; i nostri , a parte qualche centinaio di «'91» ricevuti , con contagocce , dalla madre patria , erano anch ' essi armati di Weterly , ma non così in buono stato come quelli del nemico . Dopo una mischia furibonda , uno contro dieci , tutti í nostri uomini caddero sul campo , nessuno escluso , dal comandante all ' ultimo conducente di muli . I feriti vennero passati a fil di spada . Fu certamente il più fosco Natale della nostra storia . Il generale Baratieri , che in seguito alle sue modeste vittorie contro i Dervisci e ras Mangascià era considerato come un misto di Scipione e Alessandro Magno , diventò bersaglio di attacchi giornalistici , vignette umoristiche e sberleffi popolari . Restò tuttavia in Africa , poiché il suo vecchio amico Crispi , divenuto presidente del Consiglio nonostante la Banca Romana , ne difese caldamente la posizione . Il 7 gennaio 1896 , al Barattieri che gli chiedeva uomini , migliaia di fucili «'91» e un forte quantitativo di munizioni , Críspi inviò il seguente telegramma : « Il Paese aspetta da te una vittoria risolutiva . Quanto alle tue richieste , Mocenni ( ministro della Guerra ) mi fa notare che un invio di nuove truppe sarebbe non soltanto inutile ma dannoso , poiché non avremmo da armarle e approvvigionarle convenientemente . Ti abbraccio Francesco » . Era un po ' poco . Infatti , qualche settimana dopo , ai primissimi di marzo , una valanga urlante di abissini , che già ci avevano tolta Macallè , si abbatté sulle nostre truppe nella conca di Adua , capitale del conteso Tigrè . Non fu , come molti credono , un ' unica battaglia campale durata alcuni giorni : fu un carosello di scontri e mischie feroci combattute , fra imboscate e sorprese tattiche , nell ' altopiano attorno al Monte Sullotà . I guerrieri di Menelik , dopo aver accorciate le distanze con una nutrita massa di fuoco , attaccarono in ogni luogo all ' arma bianca , col pugnale e la scimitarra . Il più grave , fu che il nostro schieramento non era affatto difensivo , ma in formazione d ' avanzata : poiché i tre comandanti in sottordine del corpo di spedizione Arimondi , Dabormida e Albertone avevano ricevuto dal comandante in capo , Baratieri , l ' improvviso ordine di marciare sul grosso degli abissini , ciascuno a capo di una colonna . L ' ordine scritto era accompagnato da un foglietto a quadretti , su cui il generale aveva schizzato a matita , un piano molto sommario dell ' operazione . Quell ' attacco non aveva , a conti fatti , alcuna giustificazione strategica ; ma il Baratieri temeva di essere sostituito dal collega Baldissera , arrivato dall ' Italia invece delle armi richieste , e perciò aveva fretta di brillare . La colonna Albertone , investita per prima , sulla sinistra , tentò di ripiegare al centro , dove travolse la colonna Arimondi mentre si stava attestando su posizioni di resistenza . La colonna Dabormida , sulla destra , non sapendo dove esattamente si trovassero gli altri nostri reparti , si mosse a casaccio , perse l ' orientamento , sbagliò strada , s ' isolò completamente e venne sopraffatta . La mattina del 5 marzo 1896 , giunse a Roma il rapporto di Baratieri e Baldissera ( « Non ti fidar di quella gente nera ! » cantavano i contadini e gli operai lavorando ) sull ' esito della battaglia . Rapporto spaventoso , nonostante le prime cifre fossero alquanto ammaestrate : 10.000 soldati uccisi , feriti o prigionieri , sui 17.000 che avevano combattuto ; 200 ufficiali , compreso il Dabormida , rimasti sul campo di battaglia . Tutte le artiglierie e il 90% delle armi individuali e delle munizioni , rimasti in mano nemica . Baratieri , rimosso dal comando , si ebbe , volta a volta , per diversi anni , le seguenti qualifiche : imbelle , imbecille , tardo , fellone , inetto , rammollito e traditore . Baldissera , che lo sostituì , ebbe l ' incarico dal ministro Di Rudinì , successore di Crispi , di sganciarsi ripiegando cautamente . Strada facendo , Adigrat e Cassala furono liberate dall ' assedio . Nell ' ottobre del '96 , la pace fu firmata . A Menelik fu riconosciuta « un ' indipendenza assoluta e senza riserve » , più la sovranità del Tigrè , più 10 milioni a titolo d ' indennizzo . Nei mesi che seguirono , le statistiche ministeriali segnalarono che la fabbricazione del «'91» aveva acquistato , finalmente , un ritmo encomiabile . Il tenente generale Tancredi Saletta , capo di stato maggiore , ne prese atto con viva soddisfazione . Se mai il «'91» , nato nell ' Officina Pirotecnica di Bologna dalle intuizioni del capitano Muricchío e dal lavoro paziente di tanti tecnici , fu protagonista assoluto di una pagina militare , ciò avvenne proprio fra l ' estate del 1916 e quella del 1917 : quando lo stato maggiore , capeggiato da Luigi Cadorna , si ostinò a spezzare con battaglie frontali , assalti all ' arma bianca continui e tentativi di sfondamento diretto , la resistenza di un nemico arroccato su posizioni di resistenza formidabili , annidato dietro il ventaglio micidiale delle mitragliatrici e i grovigli spinosi dei reticolati . A distanza di quarant ' anni , riesaminando le testimonianze più obiettive del primo conflitto mondiale , si resta ancora sgomenti , immaginando quelle onde brulicanti di uomini « oscuri » infrangersi invano contro le difese nemiche , al grido disperato dei loro motti guerreschi . Gli alpini del « Susa » che cadevano a plotoni quasi affiancati sull ' Ortigara , gridando « A brusa , souta ' l Susa ! » ; quelli dell ' « Ivrea » , che scattavano alla baionetta urlando il loro « Tuic un ! » , tutti per uno . Coloro che riferendosi alla rotta di Caporetto , nell ' autunno del '17 , emettono giudizi avventati sull ' efficienza media del soldato italiano , ignorano o dimenticano che soltanto nella stolta battaglia della Bainsizza perdemmo 150.000 uomini , con impressionante percentuale di caduti . E a giudicare severamente il generale Cadorna basterebbe il comunicato diramato dal Comando Supremo il 28 ottobre 1917 , per annunciare il rovescio di Caporetto : « La mancata resistenza dei reparti della seconda Armata , vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico , ha permesso alle forze austrogermaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia » . Così , mentre nelle retrovie sconvolte i «'91» erano adoperati per fucilare sul posto i retrocedenti della seconda Armata , si cercava , come primo provvedimento , di addossare ogni responsabilità del disastro alla « viltà » degli uomini « oscuri » che per mesi e mesi erano stati gettati , come cose , nella fornace di ostinate e stupide battaglie frontali . A Caporetto , perdemmo circa 400.000 uomini , centinaia di migliaia di armi individuali , centinaia di batterie d ' artiglieria leggera e pesante , innumerevoli depositi di materiali d ' ogni genere . Nonostante la maggioranza dei nostri soldati in rotta avesse conservato le armi ( come , a distanza di 23 anni , avvenne in Albania , in Africa e perfino nel calvario del fronte russo ) , la strada di Caporetto , fra colonne di profughi sconvolti , civili e villaggi abbandonati , apparve tristemente disseminata di fucili , affusti , carriaggi , munizioni . Ai posti di blocco , i soldati inermi venivano molto spesso sottoposti alla decimazione . I « vili » dell ' ottobre '17 dimostrarono di essere tutt ' altro che tali nel giugno del 1918 , allorché gli austriaci , sia pure stremati , trovarono inflessibile resistenza ai loro violenti attacchi su tutto il nuovo fronte , dagli Altipiani al mare , sul Grappa e sul Piave . Ma Vittorio Veneto , nonostante l ' ebbrezza della vittoria , non riuscì a chiudere la piaga che quattro anni di una guerra mal diretta da generali in polemica fra loro e minata alle spalle da esibizionismi politici avevano aperta nel popolo italiano . Un solco profondo divideva le masse deluse e insoddisfatte e una classe dirigente che nascondeva sotto astratti schemi politici la sua mancanza d ' idee e di convinzioni . Gli uomini « oscuri » che Cadorna aveva additati al disprezzo degli italiani nell ' autunno del '17 tornarono a casa con una polizza da 1000 lire e un vestituccio blu di cattiva stoffa elargito dallo stato . Erano in stragrande maggioranza contadini , poiché la gran massa degli operai siderurgici era stata esonerata e , sia pure nelle strettoie della militarizzazione , era rimasta nelle officine . I giovani ufficiali di complemento , alcuni dei quali erano partiti per la guerra imberbi e ne ritornavano maturi ma senza precise capacità professionali , sprofondavano nell ' abbandono morale . Tutti contro tutti , per un vago ma profondo senso di rancore . Non rientra nei limiti di questa storia l ' analisi del « fenomeno » fascista . Ma c ' interessa l ' apparizione delle armi in dotazione all ' esercito fra le mani degli squadristi , in camicia nera , che parteciparono alle spedizioni punitive dell ' immediato dopoguerra e nell ' ottobre del 1922 presero parte , nel numero di oltre 30.000 , alla marcia su Roma . L ' armamento dei seguaci di Mussolini era , per lo più , quello degli « arditi » di guerra , le « fiamme nere » costituite per operazioni d ' assalto : bombe « sipe » a forma di pigna , pugnali da tenere « fra i denti » , rivoltelle Glisenti o Mauser , con fodero di legno , trovate nei magazzini austriaci o addosso agli ufficiali nemici fatti prigionieri . Ma basta avere sott ' occhio la testimonianza fotografica delle « spedizioni punitive » e della « marcia » finale , per constatare che numerosi squadristi erano armati con fucili e moschetti «'91» . Non vi è dubbio che molti di essi furono « passati » , sotto mano , alle camicie nere da ufficiali che simpatizzavano col movimento mussoliniano . Non esistono a tutt ' oggi prove concrete che nel 1921-22 le autorità militari , facenti capo al ministero della Guerra , abbiano ufficialmente favorito gli squadristi rifornendo di armi . Sappiamo soltanto che alcuni comandanti di reparto « lasciarono socchiusi » i magazzini e le armerie , assumendosi personalmente il rischio ( del resto assai limitato ) di tale operato . Sappiamo che a Firenze , il colonnello comandante l'84a Fanteria , con caserma in corso Tintori , concesse agli squadristi locali alcuni camion «18 BL » in sovrannumero e un certo quantitativo di «'91» con le relative munizioni ; sappiamo che diversi fucili , un paio di mitragliatrici « Saint - Etienne » e un certo numero di bombe uscirono di notte tempo da una caserma di Cremona , comandata da un colonnello legato da vecchia amicizia con Roberto Farinacci ; una quantità abbastanza rilevante di armi , rivoltelle e fucili , fu consegnata ai fascisti da singoli ufficiali , anche di Marina , alla Spezia , a Napoli , ad Ancona : ma specialmente a Foggia e a Bari , dove le « spedizioni » per annientare le « leghe » dei braccianti della Capitanata erano più frequenti che altrove . A Bologna , un maggiore dei bersaglieri fece avere un quantitativo abbastanza modesto di armi ai giovanotti col teschio cucito sul petto che obbedivano a Leandro Arpinati e Arconovaldo Bonaccorsi . Ma è doveroso dire che nel 1921 , sotto la presidenza del Consiglio dell ' onorevole Bonomi , fu aperta un ' inchiesta a carico degli ufficiali delle Forze Armate che avevano procurato armi alle camicie nere . Non bisogna del resto dimenticare che almeno quattro generali facevano parte , fin dalla così detta « vigilia » , delle formazioni fasciste : De Bono , Fara , Ceccherini e Zamboni , i quali parteciparono regolarmente alla « marcia » del 28 ottobre ; e che altri generali e ufficiali superiori , benché più cautamente , avevano aderito al fascismo fin dalle sue prime avvisaglie . A Mussolini e ai suoi « quadrumviri » non mancavano certo autorevoli intermediari presso i magazzini militari . Ma non furono certo i «'91» , le bombe e le mitragliatrici che aprirono la strada della capitale agli squadristi per i quali Oscar Uccelli , più tardi prefetto , preparò una base logistica a Perugia . L ' Appia , la Salaria , l ' Aurelia , la Flaminia , le Ferrovie dello Stato , furono facile cammino per coloro che parevano la salvezza giovanile , entusiasta e disinteressata di un mondo stanco e confuso . In Etiopia , dall ' ottobre del 1935 al maggio del '36 , fra truppe di primo impiego , complementi e riserve , combatterono circa 250.000 uomini . Il «'91» di Adua , di Tripoli , della Bainsizza e del Píave , nato nella Bologna di Carducci , costruito a Terni e nelle armerie ausiliarie del Garda , nelle due taglie di fucile e moschetto , fu l ' arma degli uomini incorporati nella « Tevere » , nella « Gavinana » , nella « Peloritana » , nella « XIII Marzo » ; dei genieri partiti dai centri di mobilitazione di Firenze , Bologna , Roma , Santa Maria Capua Vetere , Piacenza ; degli alpini , dei carristi , dei « dubat » . Quanto alle armi di reparto e di copertura , affluirono a Massaua e Mogadiscio in numero assai considerevole : 5700 mitragliatrici , 155 batterie d ' artiglieria e 145 carri armati , fra i quali molti veloci , del tipo «C.L.», « Carden Loyd » . In quanto tempo aveva calcolato di concludere la sua impresa imperiale , Mussolini ? Essendosi autonominato nel luglio del 1933 ministro della Guerra , la cosa lo riguardava doppiamente . Suo capo di stato maggiore era un generale designato d ' Armata , che spesso aveva cantato Giovinezza di fronte alle truppe inquadrate e che un giorno aveva presentato al « duce » la « rispettosa e unanime domanda degli ufficiali in s.p.e. » di ottenere l ' onore della tessera fascista . Mussolini lo aveva ascoltato con espressione austera , poi , come soffocando un ' onda di commozione , aveva risposto : « Fate sapere agli ufficiali , superiori e subalterni , che sono fiero di loro . Il fascismo è fiero di accogliere , all ' ombra delle insegne legionarie , i quadri dell ' Esercito » . Aveva taciuto un momento , quindi si era alzato , aveva fatto il giro della scrivania e , dopo un abbraccio virile , più che altro un brusco urto spalla contro spalla , aveva concluso : « Quanto a voi , camerata Baistrocchi , siete degno di quest ' ora solenne » . Con la collaborazione entusiasta di Baistrocchi , e quella alquanto più cauta del sottosegretario Pariani , di Graziani , Badoglio e De Bono , fu stabilito il piano d ' operazioni in Etiopia . Attacco massiccio e violento nel settore eritreo , perno di resistenza , con manovre di disturbo e puntate di alleggerimento sul fronte somalo . Il tutto doveva concludersi in un massimo di otto mesi , per non incappare nella stagione delle piogge . Ma Mussolini , che amava le coincidenze storiche , aveva già fermamente stabilito che la proclamazione dell ' Impero avvenisse il 21 aprile , natale di Roma . Invece , gli fu possibile annunciare al mondo il grande evento soltanto il 9 maggio : e di quei 18 giorni di ritardo non perdonò mai il vecchio , disgraziato De Bono , nonostante lo avesse nominato maresciallo d ' Italia per meriti eccezionali , dopo avergli tolto il comando delle truppe eritree , nel novembre '35 , e aver messo al suo posto Badoglio . In realtà , dopo le prime , incontrastate operazioni , la facile occupazione di Adigrat , Axum , Adua e Macallè , non dissimilmente da quanto era accaduto quarant ' anni prima a Baratieri nello stesso teatro di guerra , i due ras più avveduti dell ' armata etiopica attaccarono con circa 80.000 uomini il nostro schieramento offensivo , costringendoci a un frettoloso ripiegamento su Axum e minacciando di accerchiare i reparti dislocati attorno a Macallè . Il povero De Bono , tormentato dalle fitte dell ' artrite ( lui le chiamava « le mie camolette » ) , già sfiduciato riguardo l ' andamento fascista , non aveva previsto tutto ciò e non aveva quindi predisposto una precisa linea di arroccamento . Il vecchio generale d ' Armata lasciò l ' Eritrea , fu promosso ma da quel momento messo praticamente in disparte . Sul fronte somalo , Graziani riuscì a rintuzzare un attacco in forze di ras Destà e lo inseguì fino a Neghelli , sottoponendo le truppe alla fatica di due marce forzate , per concludere l ' operazione prima che Badoglio , nel suo settore , ottenesse i primi successi . Fu in febbraio che le forze eritree , con le due battaglie decisive del Tembien , riuscirono a mettere in rotta le forze di ras Cassa e ad aprirsi la strada verso Addis Abeba . Ma furono necessari poderosi interventi d ' aviazione e , spiace ricordarlo , l ' uso degli aggressivi chimici . Il 9 maggio 1936 , in un tardo e piovoso pomeriggio , Mussolini annunciò al balcone di Palazzo Venezia , che í « Sette colli di Roma » tornavano ad essere illuminati , dopo 19 secoli , dalla gloria imperiale . Allo stesso modo che nel 1911 , al principio della campagna di Libia , Elvira Donnarumma aveva lanciato Tripoli sarà italiana , la soubrette Nikuzza , accompagnata dalla chitarra di Mario Latilla , padre di Gino , rese popolare Faccetta nera . Nelle vetrine dei profumieri apparve il « Tabacco d ' Harar » . Il tè , sottoposto a sanzioni , fu sostituito dal « karkadè » , coltivato sull ' altopiano abissino . Si cominciò a chiedere , sotto banco , il « caffè di caffè » . La campagna d ' Etiopia costò complessivamente allo stato dai 600 agli 800 miliardi in valuta attuale . Servì a rinverdire la fiducia dell ' uomo della strada nel fascismo ; ma rivelò agli esperti di cose militari , come Vincenzo Muricchio , che la potenza delle nostre armi , dopo 14 anni di fascismo , era aumentata in senso scenico , ma non sostanziale . Sotto le squadriglie da caccia e da bombardamento , valorizzate dalle imprese di De Pinedo , Balbo , Valle e Maddalena , le fanterie non erano cambiate . Gli « spallacci » adottati nell'11 segavano ancora le collottole come guinzagli . Anche se la giacca aveva perso il soffocante colletto chiuso , le fasce gambiere restavano , inutili , a far prudere i polpacci . E nessuno ancora pensava che il vecchio «'91» fosse ormai inadeguato ai propositi di aggressione e di « guerra lampo » che il « regime » , non pago dell ' avventura etiopica , andava maturando e minacciando . La seconda guerra mondiale dimostrò , infatti , che i singoli soldati , nella cornice della retorica imperiale , erano rimasti gli stessi di trent ' anni prima , con un po ' meno voglia di morire . Il 12 settembre 1943 , quattro giorni dopo l ' illusorio armistizio annunciato da Badoglio , la Divisione « Puglie » costituita dal 71° e 72° reggimento fanteria , motto : « Ad summum » , alle sommità , mostrine bianche e verdi , si trovava dislocata nel Kossovo , regione a nordest dell ' Albania , e dell ' Albania divenuta provincia dopo il crollo della Jugoslavia , il 18 aprile 1941 . La Divisione , che durante la campagna di Grecia si era valorosamente battuta nel settore di Clisura , partecipando all ' epica difesa di « quota 731» , accettò compatta l ' ordine di Badoglio , legittimato dal giuramento al re e alla bandiera . I diecimila uomini della grossa unità erano fermamente disposti a combattere contro i tedeschi , qualora l ' ex - alleato avesse assunto un atteggiamento provocatorio . Il grosso della « Puglie » era a Prizren , capitale del Kossovo . Nei quattro giorni che seguirono il messaggio di Badoglio , nell ' ostinata calma dell ' ultima estate , compagnie e battaglioni si prepararono a fronteggiare un eventuale attacco germanico . Si parlava di una divisione corazzata « Goering » , a riposo sui confini della vicina Bulgaria , pronta a marciare contro gli italiani . In vista di tale possibilità , furono approntate postazioni per mitragliatrici , mortai e cannoni anti - carro alla periferia orientale della città , dove era possibile dominare d ' infilata il lungo e polveroso stradale candido e deserto , dal quale i tedeschi avrebbero dovuto per forza arrivare . Ma la mattina del giorno 14 giunse l ' ordine , dai superiori comandi di Corpo d ' Armata e di Armata , di cessare ogni preparativo di difesa ed offesa , poiché i tedeschi avevano dichiarato di rispettare l ' armistizio e di non volere in alcun modo ostacolare un eventuale rimpatrio dei reparti italiani . Anzi , per dimostrare la loro perfetta buonafede , le truppe germaniche in Albania erano disposte a consegnare provvisoriamente le armi ai nostri comandi , mentre noi avremmo fatto altrettanto . Dopo le trattative , ognuno avrebbe ripreso le sue e tutto si sarebbe svolto nel reciproco rispetto . Nel pomeriggio , si vide un velo di polvere alzarsi dal rettilineo proveniente dal confine bulgaro , Non erano i carri della « Goering » : si trattava di una modesta camionetta color canarino , sulla quale si trovavano un maresciallo della Wehrmacht , un sergente e due soldati semplici . Nonostante l ' atteggiamento fermo e l ' aria baldanzosa , si vedeva che i quattro , sotto sotto , erano piuttosto preoccupati . Si passavano la lingua sulle labbra e si scambiavano occhiate furtive . Erano i quattro incaricati di assistere al disarmo « provvisorio » della Divisione . Il che avvenne , sotto una pioggia leggerissima e uggiosa , la mattina presto del giorno dopo , 15 settembre . Tutti gli effettivi della « Puglie » , fanti , genieri , artiglieri , militari di sussistenza e di sanità , sfilarono ( per la prima volta cinque per cinque , secondo il sistema tedesco ) di fronte a un tavolino piazzato nel centro di un vastissimo e brullo spiazzo . Dietro al tavolino , il maresciallo germanico , assistito dai suoi commilitoni , consultava i quaderni di carico e scarico relativi alle armi e alle munizioni . Plotone dopo plotone , compagnia dopo compagnia , i soldati abbandonavano , su diversi mucchi , i loro «'91» , le baionette , i pacchi rosa di munizioni , le giberne e gli spallacci . Lontano , alle spalle del maresciallo , che si era messo occhiali cerchiati di acciaio , i monti erano fantasmi color bistro , sfumati nei vapori del maltempo . Un enorme silenzio pesava sotto il fruscio lieve della pioggia . Qualche ragazzo serbo , fermo agli estremi confini dello spiazzo , osservava la scena . Accatastati sulla fanghiglia gialla , i «'91» nereggiavano come vecchi rottami . Ancora i soldati non lo sapevano : ma intuivano che quello era il primo passo verso due anni di doloroso e umiliante internamento in Germania . E capirono che ciò li aspettava , dopo tanti sacrifici e tanti rischi affrontati , allorché un « anziano » del '12 , uno degli ultimi della lunghissima processione , al momento di consegnare il fucile , ci ripensò e fece l ' atto di allontanarsi tenendoselo . Il maresciallo si alzò , gli corse dietro , lo afferrò per una spalla berciando invettive incomprensibili e gli abbozzò un ceffone . Lo abbozzò soltanto : perché subito si guardò attorno e rise sgangheratamente , fingendo di aver scherzato . Anche quelli della « Puglie » arrivarono ai campi di concentramento tedeschi dopo sette giorni e sette notti di spaventoso viaggio in carri bestiame , attraverso l ' Ungheria , la Carinzia , l ' Austria , la Baviera e la Prussia occidentale . Quanto ai «'91» abbandonati sul fango di Prizren , i tedeschi li utilizzarono per armare le bande montanare arruolate nel Dibrano con la promessa di « carta bianca » nel saccheggio . Ma molti di quei fucili passarono , dopo qualche settimana , nelle mani dei soldati italiani , rimasti alla macchia in Jugoslavia e Montenegro , che attraverso stenti infiniti , fame freddo e malattie , andarono a ingrossare i reparti partigiani comandati da Giuseppe Broz , non ancora conosciuto come « maresciallo Tito » . Furono quelli , oggi raramente ricordati , i primi italiani che fra la deportazione e il collaborazionismo scelsero la lotta contro il nazismo . Primi , con gli sventurati soldati della « Acqui » a Cefalonia , passati per le armi senza misericordia dai tedeschi , che invece ancora rispettavano e onoravano i « pezzi grossi » , soli veri responsabili del nostro crollo disastroso . Primi , accanto ai marinai del Dodecanneso , agli allievi dell ' Accademia Navale , portati in massa da Venezia a Brindisi dal loro intrepido comandante , ammiraglio Bacci di Capaci . Per quasi due anni , sino al maggio del 1945 , le formazioni partigiane e i reparti ricostituiti dagli Alleati nel Corpo Volontario di Liberazione , si batterono contro i tedeschi e gli italiani , spesso addirittura adolescenti , che a fianco dei tedeschi continuavano a combattere . I «'91» , moschetti e fucili , che i partigiani si erano procurati dai reparti dell ' esercito discioltisi dopo 1'8 settembre o con colpi di mano contro caserme e depositi , incontrarono sui monti della Lombardia , del Piemonte , della Toscana , del Veneto , dell ' Emilia , dell ' Umbria , i «'91» che i giovani soldati di Salò , inquadrati e addestrati parte nell ' Italia settentrionale parte in Germania , avevano ricevuto dai tedeschi . Lunghi mesi di inevitabile guerra civile perfezionarono la rovinosa conclusione di una guerra mal preparata , stoltamente dichiarata , diretta con ineffabile imperizia . Ma era già cominciata la stagione dei « mitra » : quelli che nell ' ultimo anno di guerra , i soldati avevano soltanto intravisto , e molto di rado , sulla spalla di qualche ufficiale della « Milizia M.M. » , i così detti « lupi di Galbiati » . Mitra dalla sovracanna bucherellata , mitra tedeschi corti da tenere sospesi sul ventre , mitra americani e inglesi paracadutati sulle Alpi e sugli Appennini . E col mitra , venne in uso corrente un ' espressione dura , cinica , agghiacciante : « far fuori » . L ' Italia del «'91» , coi suoi errori , le sue glorie , le sue illusioni , le sue ingenuità , i suoi impettiti luoghi comuni , era per sempre finita .
Cara, insopportabile Tess ( Tornabuoni Lietta , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Commedia qualsiasi , ricalcata su A spasso con Daisy . Rispetto al modello sono leggermente diversi i personaggi : la vecchia signora ricca non è una vegliarda ebrea ma la vedova d ' un presidente americano che sta morendo per un tumore al cervello , l ' uomo ai suoi ordini non è un autista nero anziano ma un giovane agente dei Servizi segreti a capo d ' un gruppo di guardie del corpo . Sono diversi i problemi . Qui non si discute di pregiudizi verso í neri e gli ebrei né della faticosa integrazione razziale negli Stati Uniti , si discute appena d ' una questione minore : se sia ragionevole oppure no che i soldi dei contribuenti vengano spesi per fornire piena protezione a tutti gli ex presidenti americani , alle loro mogli e alle loro vedove ( adesso , per esempio , alla signora Johnson , ai Ford , ai Carter , ai Reagan , ai Bush ) . Per il resto , conflitto di caratteri . L ' ex presidentessa Tess è prepotente , abituata a comandare e a farsi servire , brusca , insofferente delle guardie del corpo e portata ( come era Sandro Pertini ) a sfuggire alla loro sorveglianza un po ' per metterle alla prova e un po ' per sfotterle , tanto aggressiva ed esigente da far scambiare per capriccio il proprio desiderio di rivedere prima di morire luoghi cari e cose belle della vita . Lui è un bravo agente esasperato da quel servizio di protezione professionalmente mortificante e ansioso di lasciarlo , stufo di venir trattato come un cameriere o un parente , che cerca compensi nel fare il proprio lavoro col massimo scrupolo e rigore . Lei è turbolenta , anticonformista ma pronta a fare la spia ricorrendo al presidente in carica se qualcosa non va ; lui è un uomo d ' ordine . Naturalmente si scontrano , battibeccano , si rimbeccano , litigano , non si sopportano . Naturalmente nel momento del pericolo ( un rapimento di lei , male ideato dalla sceneggiatura ) si scopre quanto in realtà si vogliano bene , quali buoni sentimenti materno - filiali li leghino . Unici elementi interessanti : una volta tanto Shirley MacLaine è vestita bene , una volta tanto non strafa né gigioneggia , ha invece una recitazione controllata , quasi sommessa .