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StampaQuotidiana ,
Caro Direttore , Mi permette di difendere un ritocco che il ministro Casati ha testé introdotto per quel che concerne l ' età di ammissione degli alunni nelle scuole ginnasiali , ritocco che vedo criticato nella Stampa ? Nella riforma ultima era stabilito che occorressero per quella ammissione i dieci anni compiuti ; e il Casati è tornato al vecchio regolamento , che concedeva un ' eccezione per quegli alunni che agli esami di ammissione ( del ginnasio , si noti , e non più agli esami finali della scuola elementare ) riportino la media di otto decimi . Or bene , io credo giusto e necessario questo provvedimento . Genitori , che sforzassero i loro figliuoli a studi dannosi alla loro salute , sarebbero genitori snaturati ; e di questi , per fortuna , ce ne sono ben pochi , i quali non è detto poi che non li sforzerebbero , anche dopo i dieci anni , a studi a loro non confacenti e dannosi . Sta di fatto che la maturazione dell ' intelligenza varia non poco : 1 ) secondo le disposizioni naturali ; 2 ) secondo gli ambienti domestici : « arte di padre , mezzo imparata » e il figliuolo di un insegnante o di un letterato andrà sempre più rapido negli studi che non quello di uno charcutier ; 3 ) secondo le condizioni geografiche ( nel mezzogiorno , per esempio , la precocità è maggiore ) . Pretendere che fanciulli , che hanno appreso presto e bene , siano fermati e costretti ad aspettare il compimento dei loro dieci anni per bussare alla porta della scuola media , questo , sì , mi parrebbe esercitare una pressione indebita . Che cosa si farà , nell ' intermezzo , di quei fanciulli ? Ecco il problema al quale anch ' io , non come legislatore ma come padre , mi sono trovato innanzi e non ho saputo dargli soluzione soddisfacente . Infastidirli , stancarli e disgustarli con la ripetizione di cose già apprese e sapute ? Metterli a cinguettare l ' inglese e il tedesco , che poi dimenticherebbero lungo il corso ginnasiale ? Inoltre si consideri che il limite dei dieci anni compiuti importava che non si potesse entrare nella scuola media se non tra i dieci e gli undici anni , cioè che alla licenza ginnasiale non era dato presentarsi se non tra i 15 e i 16 anni , e nell ' esame finale di maturità se non tra i 18 e i 19 , e dall ' Università non si sarebbe usciti se non , in media , intorno ai 23 o 24 anni . E questo , in un paese in cui a venticinque anni si può diventare rappresentante della nazione al Parlamento ! D ' altra parte , quell ' otto in media da chi altro poi sarà dato se non dai professori che dovranno accogliere il candidato nella loro classe ginnasiale ? E questi esaminatori avranno sempre il modo di accertarsi se il fanciullo è veramente e normalmente maturo o se è stato sforzato a un ' apparente maturità . Potrei aggiungere altre considerazioni , ma queste che ho esposte mi sembrano bastevoli a corroborare il mio modesto avviso personale . Meana in Val di Susa , 15 agosto 1924 .
Diario romano. 1 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Sono le tre e mezzo . Il cielo di maggio , sul gomito lucente di via Veneto , accenna vagamente a schiarire . Cinque macchine , due delle quali americane , stanno allineate davanti al Giardino d ' Europa , dove concludono la notte i frequentatori abituali dei night - clubs situati nei paraggi : Jicky Club , Pipistrello , Club 84 , Kit Kat . Sprofondata nei cuscini di cuoio marrone di una Dodge decappottabile , una ragazza bionda , dalla bocca larghissima , tempestata di lentiggini grosse come coriandoli , un fazzoletto di crespo nero stretto attorno al collo , singhiozza dolcemente . Accanto a lei , scamiciato , un giovanotto bruno , dalle braccia pelose , fuma con aria di estrema noia . I suoi occhi nerissimi , lucenti come scarafaggi , scappano , ogni tanto , verso due bellissime negre sedute al fresco . Nell ' interno del locale , dove si possono acquistare orchidee , tuberose e garofani da offrire alle signore , altri negri , giovanotti e ragazze , ascoltano i dischi di una macchina a gettoni . Sono serissimi , quasi estatici . Soltanto le spalle , con sussulti lievi come brividi , accompagnano il ritmo della musica . Nella sala interna , abbandonati su sofà verdi , sotto dipinti pretenziosi e insignificanti , alcuni giovani intellettuali , prevalentemente di sinistra , mangiucchiano polpette e patate fritte , ragionando di letteratura e di teatro . Si esprimono nel gergo , ormai vuoto e stantio , ch ' ebbe fortuna venticinque anni fa : quando Giuseppe Bottai , per distinguersi da Ricci e da Starace , covava le uova culturali di un vago antifascismo . « Appoggiarsi al contenuto , esclusivamente come tale » , predica un trentenne dal ciuffo aggressivo , « è un ricatto . Il contenuto , ridotto all ' informazione , ristretto alle esperienze di un ' umanità troppo compiaciuta della propria condizione , è la negazione della poesia . La poesia non può limitarsi al contenuto . La poesia è l ' alone del contenuto . Siamo matti ! Leggete le poesie di Penna , per favore . Che , Penna è contenuto ? Penna è l ' alone del suo contenuto umano , ragazzi ! » . « E Saba ? » , azzarda timidamente un tipo macilento , d ' età indefinibile , il cui viso è divorato per metà dagli occhiali scuri . Il predicatore dal ciuffo ribelle resta un momento perplesso . Butta giù un sorso di birra , poi , solennemente , dice : « Saba , in un certo senso , è il contenuto dell ' alone . Non so se mi spiego ... » . Fuori è già chiaro . Le due negre , immobili , con le lunghe gambe accavallate , guardano il cielo . Nella Dodge decappottabile , la ragazza lentigginosa continua a singhiozzare nel dormiveglia . Il giovanotto bruno , al suo fianco , dorme profondamente , con la bocca socchiusa . Basta uno sguardo , per capire con che sforzi cerchi di somigliare a Maurizio Arena , bello cinematografico di moda . Due ore fa , prima che sul palcoscenico dei « quartieri alti » restassero soltanto le squallide comparse e le controfigure anonime , il vero Maurizio Arena , l ' ex - muratore Di Lorenzo , era con me , nell ' angolo più nascosto del Club 84 , a cento metri da via Veneto . Guardavamo in silenzio le coppie che a malapena riuscivano a muoversi sulla pista da ballo gremita . L ' orchestra di Armandino Zingone , chitarrista napoletano , trentaquattrenne , padre di otto figli , modulava un ritmo lento . Nell ' angolo opposto al nostro , attorno a due tavoli ravvicinati , stavano , già ammutoliti per la stanchezza , i più assidui frequentatori del locale : Vittorio Caprioli , Franca Valeri , Beppino Patroni - Griffi , Nora Ricci . Ugo Tognazzi stava pilotando in pista un ' americana altissima e rigida . S ' intravedeva , al di là di un pilastro , il ciuffo nervoso di Walter Chiari . Erano le due e un quarto : l ' ora in cui un lento sipario di noia comincia a calare , ogni notte , sulla mondanità romana . Un viso massiccio , occhialuto , ombreggiato da una barba leggera , si affacciò all ' ingresso del locale . I denti di Arena scricchiolarono . Vidi il profilo del giovane attore tendersi , quasi assottigliarsi in una crisi d ' improvviso furore . Poi , a fior di labbra , più parlando a se stesso che a me , il giovanotto prese a sfogarsi : « Eccolo , puntuale » , disse . « Mica , dopotutto , è colpa sua , poveraccio . E nemmeno è colpa nostra , se anche lui è finito qui . Una volta era il re d ' Egitto in esilio , sua maestà Faruk . Ormai è Faruk . Anzi , Farucche . Qualcuno lo chiama perfino Faruccone . Anche Orson Welles , quella volta che scese a Ciampino , era un fenomeno . Era quello che aveva fatto impazzire Nuova York annunciando per radio l ' arrivo dei marziani . Un pezzo grosso ! Dopo una settimana , lo chiamavano già Orson . Poi diventò Orso . Il primo a gridargli : ' Orsaccio , viè qua ! ' fu il guardiano di un posteggio , a piazza di Spagna . A Roma , non resiste nemmeno l ' aria ! Le persone si sciolgono come gelati . Meglio essere nessuno . Eccolo là , come tutte le notti , all ' ora sua ! Era il re d ' Egitto . Se ne sta dimenticando pure lui » . Il faccione di Faruk sparì dalla cornice della porta . Arena tacque di colpo . I suoi pugni solidi , da popolano , restarono , minacciosi , sul tavolo . L ' orchestra di Armandino attaccò a richiesta Tu che ti senti divina : la canzone che l ' estate prossima , in Versilia , farà forse dimenticare La più bella del mondo . Ugo Tognazzi tornò in pista , sospingendo l ' americana dritta impalata . Ci arrivava , dalla penombra , la voce di Walter Chiari , in vena di raccontare storielle . Franca Valeri si era addormentata sulla spalla di Caprioli , il quale , a sua volta , si era assopito sulla spalla di Patroni - Griffi . Maurizio Arena si alzò , soffiò l ' aria dalle narici , violentemente , come fanno i pugili , mi guardò con intensità infantile , poi disse : « Lo sai che faccio , una mattina ? Esco di qua , prendo il treno e vengo a Milano a fare il muratore » . Le notti primaverili romane , fra il Tritone e Porta Pinciana , si assomigliano tutte . Cominciano , fra le dieci e le undici , da Rosati allo Strega , al Café de Paris , da Doney , con le conversazioni degli intellettuali ; finiscono nella tristezza delle mondane sorprese dalla luce del sole , timorose della polizia , tormentate dalle scarpe strette , piene di segreti rimorsi . Notti che per una settimana interessano , ma in capo a quindici giorni non hanno più segreti . I protagonisti del carosello notturno , fra i cinque o sei locali più frequentati , sono sempre i medesimi . Le compagnie si riformano puntualmente ogni sera e riprendono i discorsi interrotti la sera avanti . Nel cuore di una metropoli che al prossimo censimento conterà due milioni tondi di abitanti , se non qualcosa di più , alcune migliaia di persone vivono come nel quartiere europeo di una città coloniale . Nessun legame concreto esiste fra i « quartieri alti » e le borgate periferiche . Via Veneto , luccicante di automobili mostruose , al tramonto , è più vicina a Nuova York che alla Garbatella , a Londra che al Quarticciolo . Roma , piccola e familiare di notte , diventa , appena fa giorno , un ' enorme piovra di cemento . La mancanza di ciminiere e di grandi fabbriche la rende inconsistente come un miraggio .
TUTTO CAMBIA, DALLA GERMANIA ALLA CINA ( Spadolini Giovanni , 1971 )
StampaQuotidiana ,
È stato un giornale della sinistra dissidente italiana , « il Manifesto » , a parlare di un nuovo Patto Anticomintern contro la Cina di Mao da parte della Russia sostanzialmente allineata alla Germania di Bonn e al Giappone . È una espressione portata ai limiti del paradosso ma che non manca di nascondere un briciolo di verità . La reazione di Mosca all ' avvicinamento cino - americano si è manifestata subito in due diverse direzioni : l ' ulteriore miglioramento dei rapporti con la Germania federale , nella linea già tracciata dalla Ostpolitik , e la ripresa del dialogo col Giappone ( senza contare l ' India ) . Non c ' è dubbio : il rapido accordo su Berlino , dopo mesi di estenuanti trattative e pur col permanere di formule largamente equivoche per gli occidentali , non sarebbe stato possibile senza la precisa volontà sovietica di creare una zona di distensione e di tranquillità in Europa , quasi contrappeso al crescente conflitto con la Cina . È chiaro che l ' intesa sulla ex - capitale tedesca rappresenta solo il primo passo per la realizzazione della conferenza sulla sicurezza europea : obiettivo essenziale della diplomazia russa , angosciata dalla prospettiva di una lotta su due fronti . In questo disegno si inserisce il clamoroso annuncio della visita di Breznev in ottobre a Parigi . I rapporti franco - russi non erano più quelli , preferenziali , di De Gaulle ; l ' ultimo viaggio di Pompidou a Mosca si era svolto in un clima di cortesia ma anche di freddezza protocollare ben lontano dal calore riservato al generale che continuava ad inseguire il sogno dell ' Europa dall ' Atlantico agli Urali . Se il segretario del partito comunista sovietico - un uomo che non ama i viaggi e tanto meno i viaggi nei paesi occidentali - ha deciso di compiere la prima rilevante eccezione verso l ' Ovest con la mossa francese , non è certo per una particolare solidarietà ideologica fra la Russia di Breznev e la Francia di Pompidou o per un improvviso rispuntare delle nostalgie della « Duplice Alleanza » , abbastanza lontane dal concretismo e dal realismo della diplomazia sovietica nell ' attuale fase metternichiana : è solo perché nessuna conferenza sulla sicurezza europea è possibile senza il « sì » di Parigi . Non è esclusa qualche analoga mossa spettacolare dell ' Urss nei riguardi dell ' Italia : un altro paese cui la Russia continua a guardare con inquieto interesse , in una linea che potrebbe non coincidere sempre con le valutazioni del Pci . La stessa scadenza , ormai imminente , delle elezioni presidenziali potrebbe essere vista da Mosca al fine di favorire , attraverso i voti comunisti , la scelta del candidato più « disponibile » sul piano della politica estera , al di fuori di ogni collocazione nello schieramento interno . Dalla conferenza europea la Russia si aspetta soprattutto mani libere per il duello con la Cina . Tutte le mosse di Mosca in Europa e nel Medio Oriente vanno collocate nel quadro della inasprita tensione con Pechino , confermata dalle recenti manovre militari sovietiche ai confini della Cina , nella zona della Transbaikalia . La tensione con la Romania si è acuita in proporzione diretta al graduale spostamento di Ceausescu verso la amicizia con Mao : nessuno ha smentito le notizie che un aereo sovietico sarebbe stato abbattuto mesi fa dalla contraerea romena . Il giro di valzer filo - cinese di Bucarest e Belgrado , in singolare e sia pure indiretta sintonia con Tirana , non manca di preoccupare Mosca , più che mai paralizzata dalla psicosi dell ' accerchiamento . Né i confini ideologici contano ormai più niente . La Russia , in pessimi rapporti col comunista Ceausescu , è in eccellenti relazioni coi colonnelli di Atene , tutt ' altro che inclini a liberalizzare il loro regime dittatoriale e fascista dopo il nuovo giro di vite di Papadopulos . E l ' Egitto , alleato dell ' Unione Sovietica sul piano internazionale e tributario di Mosca per tutte le armi destinate a combattere Israele , non pensa neppure per un momento di bloccare il processo contro il capo dei comunisti egiziani , Ali Sabri : fortunato che a lui e ai suoi colleghi sia stata riserbata la sorte di richiesta formale di condanna a morte e non il linciaggio dei comunisti massacrati nel Sudan , dopo la « graziosa » operazione dell ' altro colonnello di turno , Gheddafi , l ' alleato di Dom Mintoff nella vicenda di Malta e il vero protagonista della nuova Federazione araba . Dovunque , nel terzo mondo , è in atto una competizione sempre più serrata fra Cina e Russia . Il mondo arabo respinge il comunismo ma è più che mai vincolato all ' influenza , condizionante , di Mosca . Nell ' Africa nera , l ' infiltrazione cinesesi approfondisce e si estende a danno di quella sovietica . Mosca ha teso la mano a Indira Gandhi , che ha dovuto fare pure qualche rinuncia alla tesi del « non allineamento » per firmare il patto ventennale di amicizia con l ' Urss : patto in funzione anti - cinese e anti - pakistana . Podgorni annuncia un viaggio ad Hanoi : quasi a controbilanciare l ' influenza cinese , certamente decrescente nel nord - Vietnam dopo la svolta . Nel caso di ulteriore avvicinamento cino - americano consacrato dall ' eventuale successo del viaggio di Nixon , è certo che la Russia correrà ai ripari . Tentativo di garantirsi le spalle in Europa , attraverso la dottrina della « sovranità limitata » rigidamente applicata all ' Est e sapientemente combinata con una « sicurezza » dell ' Ovest ad uso di Mosca ; allacciamento di buoni rapporti in Asia con tutti i paesi che siano in qualunque modo danneggiati dalla nuova linea americana , la linea flessibile e realistica di Nixon . Giappone in testa : il primo paese che l ' America ha due volte offeso nel corso di pochi mesi , con la bomba della visita di Nixon a Pechino e con quella specie di « Hiroshima » valutaria che è stata l ' operazione dollaro , causa di gravissime perdite per l ' economia nipponica , proprio in coincidenza , casuale ma rivelatrice , con l ' anniversario dell ' armistizio del '45 . Tutti gli equilibri tendono a rovesciarsi ; mentre il divario strategico fra Usa e Urss si accentua in modo inquietante nel settore missilistico e il rapporto fra Patto di Varsavia e Patto Atlantico peggiora a danno dell ' Occidente nel campo delle armi convenzionali . Se l ' Europa non troverà la via di organizzarsi rapidamente come forza autonoma e autosufficiente , rischia di non contare assolutamente più niente sul piano dei rapporti di potenza , ormai svincolati dalla logica di Yalta e trasferiti sul terreno di una Realpolitik appena corretta dall ' equilibrio del terrore . E non vorremmo che un giorno Ciu En - lai ci mandasse un messaggio con lo stesso spirito con cui lo ha inviato giorni fa alla cara ma innocua Repubblica di San Marino . L ' ironia non è l ' ultima risorsa della diplomazia cinese .
UN'INGIURIA INESISTENTE ( CROCE BENEDETTO , 1924 )
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Caro dott . Gobetti , Ricevo , mentre mi accingo a fare una corsa a Napoli , la Sua lettera , col brano di articolo del quale Ella desidera che io le dica la mia interpretazione . Non conoscevo l ' articolo , e leggendo ora , con mente spregiudicata , il brano in questione , escludo nel modo più reciso che con le parole « aborto morale » Ella abbia inteso qualificare il Del Croix . La logica del contesto vuole che per « aborti morali » s ' intendano , in quel luogo , semplicemente , i « tentativi falliti » ( dei quali Ella parla nello stesso periodo ) , d ' indole morale , dei vari che hanno negli ultimi tempi preso la parola sulla presente situazione politica . Del resto , non dirò al Del Croix , ma a quale uomo , ancorché nemico , si oserebbe mai rivolgere l ' atroce ingiuria di « aborto morale » ? L ' enormità stessa della cosa doveva persuadere a interpretazione diversa da quella che , leggendo in fretta e con animo preoccupato , si è potuta presentare a qualche lettore . Tanto più escludo l ' odiosa interpretazione in quanto ricordo che , alcune settimane fa , essendomi incontrato con Lei nella biblioteca di Torino , Ella mi parlò delle cose politiche italiane , e anche dell ' opera del Del Croix , senza dir parola che suonasse men che riverente verso il glorioso mutilato . Faccia l ' uso che crede di questa mia , e mi abbia , ecc . Meana , 8 settembre 1924 .
StampaQuotidiana ,
Montecarlo , 18 aprile , notte - I due « oui » furono immediati , senza esitazione , sommessi , quasi detti a se stessi e non al notaio della Corona . Ma vi fu una differenza . Ranieri era infossato nella sua poltrona , col volto impenetrabile e grave di chi prende parte a una importante cerimonia di Stato , a vitali decisioni , e rispose « oui » con dignità , chinando il capo in segno di consenso , come avesse risposto di sì a una grave domanda politica o strategica . Grace era dritta , tesa , commossa , pallida , la piccola testa alta sul collo esile ed elegante , le mani magre e bianche incrociate in grembo come se pregasse , gli azzurri occhi bellissimi fissi avanti a sé , al volto professorale del giudice Marcel Portanier , che fungeva da notaio . Grace disse « oui » con voce quasi impercettibile , come se l ' emozione glielo avesse strozzato in gola : presto , quasi con ansia , gli occhi luminosi di speranza e gravi allo stesso tempo , come se avessero chiesto a un ' ammalata se volesse essere guarita miracolosamente , o a una poveretta se volesse essere felice : « oui » . Detti i due « oui » né lui voltò gli occhi verso di lei , né lei , di soppiatto , cercò di incontrare i suoi per un istante , come fanno due giovani innamorati quando si sposano . Non si sorrisero . Non guardarono i loro parenti . Gli occhi di Grace non cercarono quelli , umidi di amore , di sua madre , che si asciugò ' ma lacrima . Restarono tutti e due immobili ad attendete la fine della lettura dell ' atto di matrimonio , nella loro parte di personaggi ufficiali . Erano le undici e dieci . La figlia del muratore di Filadelfia era diventata principessa regnante . Da quel momento , tutti l ' avrebbero chiamata Altezza Serenissima , cominciando da monsieur Portanier , che disse : « Dichiaro le Vostre Altezze Serenissime unite dal vincolo del matrimonio » . Ieri sera , guardando , dal balcone del palazzo , i meravigliosi fuochi d ' artificio che empivano il cielo nero di colori smaglianti , Grace aveva detto ad un ' amica : « Ogni tanto penso di svegliarmi e di trovarmi al teatro di posa numero 16 della Metro Goldwyn Mayer . Ogni tanto penso che tutto questo non sia vero , che sto sognando » . Quale sia , fra tanti , il teatro di posa 16 della Metro Goldwyn Mayer non ricordo . Forse è quello nel quale Grace lavorava più frequentemente . O forse ha detto sedici , senza pensare , per dire un numero qualunque . La cerimonia si è svolta nella sala del Trono . Al posto della poltrona Impero , dorata , dove i principi di Monaco si siedono una sola volta , in vita , il giorno dell ' insediamento solenne , vi erano fasci di ortensie . Di fronte al trono c ' è un camino di pietra della Turbie , con angioletti , festoni di fronde e frutti e , in cima , un Giove che lancia fulmini . Davanti al . camino , un grande tavolo Luigi XIV , con il piano intarsiato di ametiste , turchesi , onici e agate , su cui monsieur Portanier aveva deposto tutti i suoi documenti . Davanti al tavolo erano le due poltrone per gli sposi . Da una parte e dall ' altra , su esili seggioline dorate , quelle dei concerti nelle case private , erano seduti gli invitati . A sinistra del tavolo , in prima fila , i Kelly , il vecchio John B . , dritto , commosso , elegante , con volto rosso e gli occhi chiari come l ' acqua , gli occhi della figlia , la moglie vestita di azzurro polvere , la figlia , il figlio e il genero . Dietro a loro i loro invitati ; e poi , su tre file , i capi delle missioni estere . A destra del tavolo , era la famiglia di Ranieri , il padre , Pierre de Polignac , la principessa Carlotta , sua moglie , la principessa Ghislaine , vedova del nonno Luigi , la contessa Charles de Polignac , e il principe Tassilo di Fuerstenberg . Dopo le undici ( sul tavolo del matrimonio era aperto il registro ed era pronto l ' atto , il Codice con gli articoli da leggere segnati ) si aprirono i due battenti della porta che dà sul salone verde ed apparve Grace . Fino allora si era intrattenuta chiacchierando , con un ' amica intima , che non aveva posto nella sala del Trono e l ' aveva lasciata dicendo : « Devo andarmene perché mi sposo » . È una di quelle battute disinvolte e spiritose che gli americani dicono quando sono commossi , per nascondere l ' emozione . Ma Grace non riusciva a nascondere l ' emozione a nessuno , questa mattina . È dimagrata , in questi giorni , di diversi chili , a giudicare ad occhio . Era dimagrata a bordo del Constitution ed ha continuato a dimagrare a Montecarlo , per la fatica di tutte queste feste , cerimonie , emozioni ; per l ' ansia , per l ' angoscia di sentirsi al centro della curiosità del mondo intero , senza un momento per se stessa . Nel suo viso pallido gli occhi sono diventati più grandi e luminosi . Portava una cuffietta - turbante che le lasciava scoperta la fronte e l ' attaccatura dei capelli e ricordava certe coiffes paesane di Francia , un abito a corpetto attillato e gonna ricca di grossi ricami , di colore rosa sfumato , quasi beige . Il collettino da scolaretta , da collegiale , legato con un nastrino , la faceva sembrare ancora più giovane , ancora più sperduta , ancora più bisognosa di aiuto e di protezione . Sedendosi al suo posto , tenne il volto fermo , lo sguardo davanti a sé , í piedi uniti , le mani in grembo , come una brava bambina ; e pensava forse di essere impassibile , ma l ' emozione compressa non si poteva nascondere . Sembrava che , da un momento all ' altro , per una parola , per un gesto d ' amore , sarebbe scoppiata in lacrime . L ' innaturale e crudele rigidità si sarebbe sciolta . Poco dopo , giunse Ranieri , in abito a code , pantaloni a righe , cravatta grigia e gilè bianco . Sedette sulla sua poltrona , alla destra della fidanzata , senza guardarsi in giro ; appoggiò un dito sotto il naso , sul labbro , nella posa di chi ascolta musica ; e la cerimonia cominciò . Monsieur Portanier si mise gli occhiali , estrasse il testo del discorso composto per l ' occasione e cominciò a leggere . Il discorso comincia : « Monseigneur , al limitare di questa cerimonia di rara solennità , non posso dissimulare - e Vostra Altezza degnerà , nella sua grande benevolenza , di non considerarmi con rigore - l ' emozione profonda che provo davanti all ' onore eccezionale che mi è toccato di esercitare , in questo giorno , le funzioni di ufficiale di Stato civile della famiglia sovrana . » Monsieur Portanier non è monegasco , ma francese di nascita ; e i sentimenti monarchici dei francesi prendono involontariamente veste nella prosa del secolo di Luigi XIV , che è forse ancora per loro « le roi » . Il discorso dice , fra l ' altro : « Questa sala è troppo stretta per contenere tutti coloro che avrebbero ardentemente desiderato , non per semplice curiosità , ma dal fondo dell ' anima , di avere il privilegio di essere presenti in questo minuto » . Come capo della sua Casa , Ranieri deve acconsentire al matrimonio di tutti i principi Grimaldi e anche al suo , per cui egli ha dovuto , in realtà , pronunciare due « oui » , quello decisivo che abbiamo descritto poc ' anzi come fidanzato e quello come principe regnante in risposta alla domanda che inizia la cerimonia . « Vostra Altezza Serenissima » gli chiese il notaio della Corona « m ' autorizza a procedere alla cerimonia del matrimonio civile ? » Detto questo , furono letti gli articoli del Codice , senza variazioni , per cui Grace apprese che deve obbedire al marito , essergli fedele , deve essere mantenuta da lui , deve seguirlo nelle sue residenze e mantenerlo in caso che egli si trovi in povertà . Il notaio annunciò , anche , che un contratto privato di matrimonio , alla maniera francese , è stato stipulato privatamente fra le due famiglie , i cui termini non saranno resi pubblici . Infine , si passò alle due domande : « Signorina , intende lei prendere per sposo Sua Altezza Serenissima il principe Ranieri III Grimaldi , principe sovrano di Monaco , qui presente ? » . La domanda per lo sposo fu formulata diversamente . « Monseigneur , posso molto rispettosamente chiedere a Vostra Altezza se Vostra Altezza Serenissima acconsente di prendere per moglie e legittima sposa la qui presente signorina Grace Patricia Kelly ? » Detti i due « oui » , monsieur Portanier annunciò : « Nel nome dello statuto della famiglia sovrana e della legge , dichiaro le Vostre Altezze Serenissime unite dal vincolo del matrimonio » . Poi diede lettura dell ' atto , che richiese quattro minuti . Il nome del principe era seguito da tutti i suoi titoli . Sono centotrenta : eccone alcuni . Principe Sovrano di Monaco , duca del Valentino , barone di Buis , signore di Romans , Crest , Chabreuil , Souzet , Savasse , Saint - Marcel , Chateauneuf de Mazène , Sainte Euphémie , marchese des Baux , signore di Saint - Rémy , Maurelle , Vuisanque , Mas de Laugier , Beaurecard , Servanne , Cap de Verre , Mular , Montblanc , Mas Boulonnet , Boisvert , conte di Carlades , visconte di Murat , barone di Calvinet , signore di Tucmande e della Vinzelle , sire di Matignon , conte di Torrigni , barone di Saint - Lo , barone della Luthumière , barone di Hambye , signore di Biéville , del Perron , di Saint - Symphorine , Plessis - Grimoult , Condé sur Vire , Hamel , Rochetesson , Breheil , Myon , Gatteville , duca di Estouteville , conte di Gournay , signore della Ferté - en - Bray , Valmont Boquemart , Bec - aux - Cachois , Bec - de - Montagne , Moulins Berneval , Bois Hébert , Bouville , Fauville , Héricourt , Moulin de Tou , La Hise , Loges , Monchonvilli , Marcuil , Saint - Martin - en - Champagne , Tiergeville , Petit - Turcy , Varengeville , duca di Mazarino , principe di Castel Porziano , conte di Ferrette , Thann , Rosemont , barone d ' Altkirch , di Rumigny , di Rozoy , marchese di Montcornet , duca di Mayenne , conte di Belfort , di Longjumeau , marchese di Chilly , barone di Massy , marchese di Guiscard , eccetera eccetera . Ranieri , per tutto questo tempo , era rimasto accigliato , grave , quasi oppresso da qualche segreta preoccupazione . Non aveva il viso felice e radioso che gli amici gli avevano visto í giorni scorsi . Senza dubbio , era , come tutti gli sposi , spaventato dalle responsabilità che la mattina delle nozze sembrano immense , o dalla propria immaginaria pochezza . La mano era sulla bocca , il dito indice appoggiato ai baffi , gesto per lui abituale . Ogni tanto si passava un dito nel colletto inamidato che lo stringeva un poco . Poi , come tutti gli sposi , pronunciato il « sì » , Si sentì sollevato . Il dado era tratto . La cosa era irrimediabile . Senza mutare atteggiamento , senza sorridere , senza voltarsi , ebbe un ' espressione rilasciata , quasi soddisfatta ( per quanto egli possa esprimere in pubblico , data la sua timidità , questi sentimenti ) . E la stessa gioia contenuta spianò il viso di Grace , che sembrava , in questo momento , che ascoltasse rapita delle musiche lontane , forse delle bellissime musiche dentro di lei , senza dar retta alla voce monotona del notaio della Corona , che continuava ad elencare le parole francesi dell ' atto di matrimonio , per lei quasi incomprensibili . Alla fine , il registro fu porto , aperto , ai due sposi . Prima a lui e poi a lei . Egli vergò il suo nome . Poi lei scrisse , per l ' ultima volta della sua vita , « Grace Patricia Kelly » , quella firma che , da bambina , aveva messo sui quaderni di scuola , che più tardi aveva messo timidamente sulle richieste di prove negli studi cinematografici , e , più tardi ancora , a migliaia , sulle fotografie che gli ammiratori chiedevano . Firmarono , sul registro appoggiato al tavolo , tutti i testimoni . Erano le undici e venticinque quando i rappresentanti delle Nazioni estere uscirono , lasciando soli gli sposi , i loro invitati e le loro famiglie . A un ' amica che le chiese , subito dopo , come si sentisse , Grace rispose : « Non ci credo ancora . Sono attonita » . Un giornalista le domandò se avesse provato , sposandosi , la stessa emozione del giorno in cui aveva ricevuto l ' Oscar ; rispose con un filo di voce pazientemente : « No , è una cosa completamente diversa » . Il padre Kelly disse : « Per metà è fatta . A domani il resto » . Poi , avendogli qualcuno chiesto che cosa pensasse del suo nuovo genero , aggiunse : « Ranieri , io lo chiamo Ray , è un bravo ragazzo , a nice boy . Se è come mia nuora e mio genero , andiamo bene . Tutti bravi ragazzi » .
Little Odessa ( Tornabuoni Lietta , 1995 )
StampaQuotidiana ,
C ' è una scena davvero straordinaria . Il figlio killer Tim Roth , tornato dopo anni di assenza e per uccidere nel proprio quartiere , umilia il padre Maximilian Schell minacciandolo di morte : in uno spiazzo urbano nevoso e lurido lo costringe a levarsi il cappotto ; lo obbliga con la pistola a togliersi i pantaloni ; gli impone con ordini brevi e rauchi come latrati d ' inginocchiarsi davanti a lui . Gli schiaccia con insolenza beffarda la faccia nella neve sporca e se ne va : il padre resta lì solo , finito , vinto . Raramente s ' era visto raccontare in immagini altrettanto efficaci e tanto intense da risultare quasi insopportabili l ' odio filiale ( che è anche odio generazionale , etico , culturale ) e un ' uccisione simbolica del padre ( che è pure cancellazione , smentita dell ' universo paterno ) . Al confronto , risulta deludente il resto del melodramma di malavita sentimentale e moralistico , dominato da una fascinazione retorica per la violenza assassina , corretto , confezionato tecnicamente senza incertezze né errori . L ' ambizione del regista , debuttante ventiquattrenne americano , è naturalmente massima : la tragedia greca a Brooklyn . E non si realizza , come non si realizzano altre sue ambizioni . Little Odessa , ad esempio . È interessante l ' idea di descrivere il quartiere degli ebrei russi newyorkesi , con i suoi abitanti lacerati tra modernità e tradizione , oscillanti fra due culture e due criminalità antitetiche : ma questo elemento è appena nominato e sfiorato , nel film che sembra di conoscere a memoria tanto è simile a mille altri mille volte visti al cinema o alla tv . È bella l ' idea di far raccontare l ' intera vicenda dal fratello minore del giovane killer , un ragazzino al limite tra l ' ammirazione amorosa del nero potere violento del fratello e il legame profondo , impaziente , con i genitori , con la nonna , con i valori di normalità e di sicurezza da loro rappresentati : ma questa idea quasi subito si perde , o si svuota . È tipico d ' ogni regista giovane il tema del disfacimento della famiglia , in questo caso formata da madre morente per un cancro al cervello , padre debole e adultero , nonna rincitrullita , figlio adolescente smarrito , figlio maggiore assassino espulso dalle mura domestiche : ma questo tema ( salvo la pulsione d ' odio per il padre ) diventa appena un catalogo o un ' elencazione , senza nutrirsi nella storia che nasce dal ritorno del killer e si conclude con il killer che riparte dopo aver visto morire anche per colpa propria tutti quelli che amava . Capita insomma a Little Odessa quanto succede adesso a molti film americani : buone idee , buona tecnica , limitata capacità registica e aridità narrativo - emotiva , ne fanno appena contenitori ingannevoli , qualcosa di simile a un giornale con titoli brillanti - promettenti e articoli vacuo - deludenti . Ma restano a distinguere il film molti elementi . La sequenza di cui s ' è detto . Tim Roth , attore eccellente e monotono ( magari anche perché gli affidano personaggi sempre simili ) , killer algido , esatto , orrendamente violento . Vanessa Redgrave , bravissima agonizzante , che nella breve parte della madre offre la prova di recitazione migliore . È un rapporto del regista con il cinema che appare d ' una naturalezza e competenza piuttosto rare al primo film .
POLEMICHE INGRATE ( CROCE BENEDETTO , 1925 )
StampaQuotidiana ,
Torino , 21 marzo 1925 . Signor Direttore , Mi viene mostrato , nel giornale l ' Epoca , uno scritto del Gentile che concerne il mio articolo sul liberalismo , pubblicato nel Giornale d ' Italia . L ' ho letto e , in verità , non vi ho trovato nulla che non appartenga a quella sorta d ' ibridismo filosofico - politico , alla quale il Gentile ci ha oramai adusati , e nulla che infirmi le chiare dimostrazioni che io altre volte ho dato ( e che verrò dando ancora , via via che mi se ne offra l ' occasione ) degli ingiustificati passaggi logici e delle poco esatte affermazioni storiche e delle assurde compagnie politiche , a cui quell ' ibridismo conduce . E , quanto alla tesi che il Risorgimento italiano « non fu liberale » , sono costretto a dire , pur non avendo alcuna voglia di mancare di riguardo al Gentile , che essa non merita confutazione , perché urta contro quella comune e viva coscienza storica di tutti gli uomini colti , che vale più di ogni storia scritta . una tesi così stravagante , che io confesso di averla incontrata per la prima volta solo a mezzo del 1923 , quando al Gentile , per più mesi ministro non fascista , piacque di enunciarla , per giustificare , verso gli altri o verso sé stesso , la sua inaspettata ascrizione al partito fascista . Del resto , non sarebbe tempo di parlare , un po ' meno che ora non si usi , della cedevolezza del regime democratico o « demagogico » agli interessi individuali , e della fermezza del nuovo regime , che asserisce e mantiene solo quelli della Nazione e dello Stato ? Non sarebbe il caso di parlare , invece , un po ' più di uomini e del loro cervello , e della loro coerenza e della forza del loro carattere ? Il Gentile ha pur testé deplorato nei pubblici fogli le concessioni che il ministro on . Fedele ha fatto alle insistenze dei trepidi padri e delle addolorate madri dei ragazzi bocciati , e al patrocinio che di essi ha assunto l ' on . Farinacci . Plus ça change et plus c ' est la même chose ! Al qual proposito voglio aggiungere che , avendo il Gentile parlato , nella sua protesta , di « tradimento » , che con quelle concessioni si sarebbe usato al fascismo , e d ' insidia portata fin nella culla alla nuova Italia fascistica che la scuola da lui riformata avrebbe per còmpito di allevare , mette in imbarazzo chi , come me , deplora anch ' esso quelle concessioni , e pur non vorrebbe che gli accadesse come altra volta , quando , accorso a impedire la rovina della sua riforma scolastica , della quale il fascismo si era disinteressato , e riuscito a salvarla , vide poco dopo , con grande suo stupore , quella riforma stessa decorata col nome della « più fascistica delle riforme » ! Ma valga il vero e valga il bene della scuola e della patria : valgano sopra ogni considerazione di persone e di partiti . L ' esame di Stato fu una necessità sentita da quanti presero a cuore le sorti della scuola italiana , e accettata e propugnata in tempi nei quali il fascismo non era apparso neppure di lontano . E il primo presidente di Consiglio che lo incluse in un programma di governo fu l ' on . Giolitti ; e il primo ministro dell ' Istruzione , che lo concretò in un disegno di legge , presentato alla Camera , fu il ministro di quel gabinetto ; e il primo partito politico che lo mise tra le sue richieste , fu il Partito popolare . Mi sembra , dunque , che i legami tra quella riforma ed il fascismo non sieno troppo intrinseci . Comunque , se essi sieno intrinseci o estrinseci , stretti o larghi , essenziali o accidentali , è cosa di cui lasceremo disputare il Gentile coi suoi nuovi amici e sbrigarsela tra loro . A me , come ad altri , spetta ora il dovere di formulare la richiesta , e di esprimere la speranza : che l ' on . Fedele non dia attuazione al proposito , da lui manifestato alla Camera , di permettere una terza sessione di esami : cosa veramente scandalosa e di pessimo effetto . Posto il principio animatore dell ' esame di Stato , ci sarebbe da dubitare perfino se sia consentanea la seconda sessione : figurarsi una terza ! La concessione , alla quale l ' on . Fedele è disposto , segnerebbe l ' inizio della fine della riforma e il più o meno lento ritorno all ' antico . Su ciò , non conviene farsi illusioni . E questo , fascisti o non fascisti , dovrebbero deprecare e impedire . Mi abbia ecc .
Diario romano. 2 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Tre del pomeriggio . Roma digerisce in silenzio . Via Condotti è assopita nel sole già caldo . Un sacerdote americano , alto quasi due metri , poderoso , sta fotografando da angoli diversi le azalee che invadono e sommergono la gradinata di piazza di Spagna . In fondo all ' ultima saletta del Caffè Greco , dove aleggia un vago odore di cioccolato in tazza e di anice , il dottor P . e l ' avvocato C . , ambedue siciliani e cineasti , mi parlano della situazione cinematografica . Ne ragionano con l ' amarezza un po ' ironica degli amanti delusi ma non ancora completamente disamorati . L ' avvocato C . , produttore , sceneggiatore , soggettista , è un longilineo quasi calvo , dagli occhi malinconici e intelligenti . Il dottor P . , procuratore di una produzione piuttosto importante , è calmo e tarchiato , ferratissimo in fatto di cifre e di statistiche . Ma imprigionare nei numeri il problema del cinema italiano , ossia romano , è impresa difficile : come mettersi a contare le onde del mare o le foglie di un bosco . « Attorno alla nostra produzione » , dice il dottor P . , « vegeta e s ' intreccia una jungla di luoghi comuni e di valutazioni errate . Per esempio , tutti , da un paio d ' anni a questa parte , parlano di ` crisi ' . Come se da una situazione sicura e florida , si fosse improvvisamente passati al dissesto , all ' arenamento . Baggianate . La vera crisi , fatta di marasma economico e d ' imprese pazze , l ' abbiamo avuta quando si producevano allegramente 130 film all ' anno . Quella che oggi viene definita ' crisi ' , non è che il fatale ridimensionamento di una situazione anarchica , basata sulla presunzione dei dilettanti , alimentata da riserve finanziarie più che altro immaginarie . Crisi per eccesso , ma crisi . L ' effetto non va confuso con la causa . Quando la ' Minerva ' fallì , erano già diversi anni che stava dibattendosi come Laocoonte , fra i serpenti di un ' amministrazione caotica , fra miliardi ch ' erano soltanto fantasmi di miliardi . Lo stesso discorso vale per la distribuzione . Nei dieci ` distretti ' cinematografici italiani , da Padova a Catania , pullularono distributori improvvisati , senza radici come denti di latte . In mezzo ad essi , ogni ` distretto ' poteva contare su un paio di ditte serie » . La conversazione procede , pacata , sul terreno delle cifre . Il dottor P . analizza , lapis alla mano , le percentuali in cui si scompone , nei botteghini degli 11.000 cinema italiani , il prezzo del biglietto . Soltanto 18 lire ogni cento vanno al produttore , dopo un ' attesa di anni . Ci addentriamo nel meccanismo complicato dei premi governativi ; nel labirinto alquanto misterioso dell ' Anica ( Associazione nazionale industrie cinematografiche e affini ) , dove gli interessi contrastanti dei produttori , dei distributori e dei proprietari di sale ( spesso rappresentati da una sola persona ) si conciliano , o fingono di conciliarsi , in una specie di limbo corporativistico . L ' avvocato C . mi spiega perché il mercato respinge i film a basso costo : « E chi volete che si muova di casa , per andare a vedere , pagando dalle 500 alle 800 lire , le stesse cose che può vedersi tranquillamente in casa , alla Tv , senza scomodarsi e quasi gratis ? Oggi , in Italia come in America , come dovunque , il cinema può attirare il pubblico soltanto con spettacoli eccezionali : offrendo colore , masse sbalorditive , paesaggi affascinanti : tutto ciò che la Tv non può dare . L ' America è corsa ai ripari nove anni fa , dilatando gli schermi , lanciando il ' Cinerama ' , rinnovando la suggestione del ` western ' col Cinemascope e il Vistavision . Da noi , che non possiamo contare sui miliardi di Hollywood , la lotta è dura , disperata . Dopo i trionfi del ' neorealismo ' , stiamo assaggiando le amarezze della realtà » . Negli anni dell ' immediato dopoguerra , sembrò che gli americani avessero perso la guerra del cinema vincendo quella degli eserciti . Assistendo alla proiezione di Roma città aperta , di Paisà , Ladri di biciclette eccetera , il pubblico di Nuova York o di Chicago si dimenticava perfino di masticare la sua gomma . Per gli americani , nel '46 , Stalin era ancora ' lo zio Giuseppe ' . I critici annidati nel Greenwich Village potevano ancora farsi la barba ogni due giorni , portare maglioni rossi e scrivere che ' il neorealismo sociale italiano stava alla produzione americana come Omero sta a Spillane ' . Rossellini poteva divagare quanto voleva . Più divagava , più faceva testo . Il ' racconto ' , la ` trama ' erano giudicati ' casi limite ' ' , espedienti vili , compromesso , lenocinio . A parte i suoi meriti sostanziali , il così detto ' neorealismo ' fu la grande stagione degli improvvisatori . Imitando Rossellini , De Sica e gli altri ` istintivi ' di talento , una quantità di mediocri si credettero in grado di far capolavori senza le rotaie di un soggetto : raccattando immagini ' valide di per sé ' e cucendole insieme alla meglio . I soggettisti non si sentirono più impegnati a inventare una storia , a immaginare situazioni concatenate , coerenti . Si trasformarono in ideatori di ' gags ' , di episodi isolati , di trovatine divertenti o commoventi , a seconda dei casi . Poi , improvvisamente , quando gli intellettuali del Greenwich Village cominciarono a rifarsi la barba tutte le mattine e a rimettersi la cravatta per non dar nell ' occhio al senatore Mac Carthy , gli americani aggiunsero ai contratti di 60 pagine stipulati coi produttori italiani una formuletta umiliante che suona pressappoco così : ' Il film deve consistere in una serie di sequenze cinematografiche connesse fra loro in modo logico : ogni sequenza , cioè , deve essere legata alla precedente in modo comprensibile . Il tutto deve costituire un racconto che abbia indiscutibile valore narrativo ' . La lunga stagione romana delle cicale e delle lontre era finita . Cominciava quella , assai più scomoda , delle formiche e dei castori . A parte le cifre e le statistiche ; a prescindere dall ' obbiettiva consultazione del « Bollettino generale dei protesti » , alla cui mole solenne certa produzione cinematografica dà un generoso contributo ; le varie , allegre e malinconiche avventure del nostro cinema hanno la loro chiave nell ' aria stessa di quella stupefacente , affascinante , irritante , scoraggiante , inafferrabile città che ha nome Roma . La nostra industria cinematografica , nata a Torino nel novembre del 1904 , per iniziativa di Arturo Ambrosio ( il Venchi della celluloide nazionale ) , ebbe il suo primo germoglio romano meno di un anno dopo , nella primavera del '905 , ad opera di Filoteo Alberini , produttore - sceneggiatore - soggettista - regista - operatore . Nel 1906 , dalla società dell ' Alberini con tale Santoni , nacque la Cines : quella stessa che andò in liquidazione l ' anno passato . Ma tutto ciò appartiene alla preistoria . La vera storia del cinema romano ebbe inizio con l ' avvento del fascismo : trovò la sua prima cornice nella società piccolo - borghese , oziosa , assetata di lussi , tracotante , formatasi attorno ai seguaci di Mussolini . Quando si dice che l ' industria cinematografica italiana non poteva stabilirsi che a Roma , per ragioni climatiche , per sfruttarne la lunga primavera , si dice una grossa stupidaggine . Altrimenti le grandi case del nord - Europa , di Londra , Berlino e Parigi , non sarebbero mai nate . La verità è che , nel 1925 , superate le paure della Quartarella , operato lo strangolamento totale dell ' opposizione , Mussolini volle che l ' « industria delle ombre » si concentrasse nel suo immediato raggio d ' azione . Egli aveva capito perfettamente tre cose : che quella era l ' unica industria da cui Roma potesse trarre vantaggio economico , senza il pericolo di una crescente concentrazione operaia ; che prima o poi sarebbe servita ad acquetare e impastoiare gli intellettuali ; che sarebbe stato più facile indirizzare alla propaganda una cinematografia ambientata nella capitale . Non basta . Il « regime » , nato dal risentimento e dal tedio della gioventù provinciale , esaltava ufficialmente le aspre opere dei campi e la fecondità delle massaie : ma segretamente sognava calze di seta , sottovesti di pizzo , avventure scabrose . Fingeva d ' interessarsi a Oriani , a Machiavelli , a Pareto : ma di nascosto rileggeva Da Verona , Mariani e Pitigrilli . Perfino Kiribiri . Proclamava la grandezza di Augusto , ma sognava Trimalcione . Quanti furono i gerarchi che non ebbero il loro nome mescolato alle storie galanti di Cinecittà ? Mentre l ' Italia agonizzava pietosamente , dopo 1'8 settembre , sotto i mille problemi che la schiacciavano , una delle prime preoccupazioni delle autorità repubblichine fu il trasloco a Venezia di Cinecittà . E Alessandro Pavolini , trasferitosi a Verona , tutto nero con un teschio sul petto , non si lasciava forse carezzare l ' affaticata fronte da Doris Duranti ? E lo stesso Mussolini non preferì , anche in extremis , il profilo fotogenico di Clara Petacci alle tagliatelle di « donna » Rachele ? Nel 1925 , quando nacque l ' Istituto Luce , ente parastatale « per la propaganda e la cultura a mezzo della cinematografia » , un peccato originale , impresso negli uomini e nelle cose , segnò il destino del cinema italiano , costituzionalmente fascista . Le esperienze estetiche , le polemiche dei critici e dei registi , non bastano a cancellarne l ' impronta iniziale . Tutto andrebbe rifatto da capo . Gli innumerevoli episodi e aneddoti umoristici relativi al mondo cinematografico romano , da trent ' anni a questa parte , non sono che un corollario . Rispecchiano un ambiente dove il caso è diventato legge , dove la conciliazione degli opposti è un dovere e l ' approssimazione è obbligatoria . Dove , fatte rarissime eccezioni , buoni scrittori e bravi giornalisti hanno imparato a scrivere in quindici giorni le stesse cose che sotto forma di racconto o di articolo richiedono un lavoro di poche ore . Altrimenti , il produttore , pur risparmiando danaro ( spesso non suo ) , non darebbe la dovuta importanza all ' opera dei suoi sceneggiatori . I quali , per essere presi nella giusta considerazione , debbono in qualche modo uniformarsi alle abitudini dei registi , degli aiutoregisti , dei segretari di produzione , delle « dive » , dei « divi » , degli operatori , perfino degli elettricisti : essere poco puntuali , capricciosi , puntigliosi , ombrosi , esigenti , volubili , preziosi . Inflessibili nel pretendere grossi anticipi prima ancora che il film sia entrato in quella fase di discussione che precede la preparazione della prelavorazione . Checché se ne dica , la bizzarra casistica del cinema romano non riguarda soltanto gli « artigianoni » , in fondo bonari , della produzione : gli Amato , i Misiano ecc. Coinvolge anche personalità vigili , sensibili , ricche di talento . Anni or sono , un noto produttore italiano accettò di finanziare , in coproduzione francese , un film progettato da Marcel Carné : « Le barrage » . Il soggetto era ancora allo stato fluido ; si sapeva soltanto che tutto doveva imperniarsi sull ' allagamento di una valle alpina , in seguito all ' apertura di una diga : in francese « barrage » . Nella valle , completamente sommersa , restava un antico villaggio , tempestivamente sfollato . Da ciò , la possibilità d ' immaginare situazioni patetiche e drammatiche . Condizione fondamentale , preparare il soggetto entro una certa data , perché l ' apertura della diga andava ripresa dal vero . Carné accettò con entusiasmo la collaborazione di Cesare Zavattini , propostagli dal produttore romano . Zavattini trovò eccellente lo spunto del film . Dopo rapide trattative , il regista parigino e i suoi sceneggiatori arrivarono a Roma . Tutta l ' équipe , compreso Zavattini , si stabilì all ' Hôtel Excelsior , fra stucchi color panna e turisti di gran lusso . Era stabilito che Carné , Zavattini e gli sceneggiatori francesi dovessero creare il soggetto e un primo abbozzo di sceneggiatura attraverso conversazioni libere e animate , scambi d ' idee e di vedute , registrate nei minimi particolari , anche apparentemente insignificanti , da tre stenografe , due italiane e una francese , costantemente presenti alle riunioni . Si andò avanti , così , per circa tre mesi . I minuziosi verbali trascritti dalle stenografe avevano già empito un armadio e stavano già traboccando da un baule . Pareva che , in linea di massima , un soggetto ci fosse : basato sull ' amore di una fanciulla , abitante nel paese sacrificato alla diga , per un giovane ingegnere addetto ai lavori . Se non che , il vecchio padre della ragazza , attaccato come un ' ostrica alla sua casa , si rifiutava ostinatamente di sfollare . Invano supplicato dalla figlia , si appostava sul tetto , armato di fucile , pronto a far fuoco su chiunque si avvicinasse . Solo all ' ultimo momento , pochi minuti prima che si aprisse la diga , l ' ingegnere riusciva a smuovere il cocciuto vegliardo e a trarlo in salvo assieme alla ragazza . Tutto bene , fin qui . Ma proprio sulle ultime sequenze , Zavattini e francesi non si trovarono d ' accordo . Zavattini esigeva che il vecchio , girato in controcampo , sparasse sull ' ingegnere ; che il pubblico , per un momento , restasse col cuore sospeso , per poi rallegrarsi constatando che il colpo era andato a vuoto . Secondo lo sceneggiatore italiano , tale effetto non era soltanto consigliabile , ma addirittura indispensabile . Carné e i suoi assistenti lo giudicavano , invece , banale ed assurdo , tanto da gettare nel ridicolo l ' intero film . La discussione andò avanti per due settimane , registrata dalle stenografe . Il produttore cercò di conciliare le parti , una domenica , invitando tutti a colazione fuori di porta . Nulla da fare . « O il vecchio spara , o mi ritiro ! » gridava Zavattini , palpeggiandosi il basco . « Se quel vecchio della malora fa solo l ' atto di premere il grilletto » , ruggiva Carné , « io pianto tutto » . Inutile insistere , supplicare , promettere . « Le barrage » andò a monte . Al produttore non restò che pagare il grosso conto dell ' Excelsior e gli onorari dovuti per contratto al regista , a Zavattini e tutti gli altri . Quel colpo di fucile , sparato o no , venne a costargli circa cinquanta milioni . « Colpa mia » , ammise in seguito il produttore . « Invece di portare Carré a Roma , dovevo portare a Parigi Zavattini » .
Il paradiso sta in cielo o in terra? ( Jemolo Arturo Carlo , 1976 )
StampaQuotidiana ,
Nella bella biografia dedicata a Berlinguer da Gorresio un capitolo s ' intitola « Di fronte ai cattolici » . Berlinguer come Lenin : « L ' unità della lotta per un paradiso in terra che preme più dell ' unità delle opinioni per un paradiso in cielo » . Prescindo da Berlinguer , che , per quanto so , è rispettosissimo della fede religiosa delle persone a lui più vicine , né fa opera di proselitismo ateistico . Ma l ' espressione di Lenin è da considerare : siano con tutti noi coloro che vogliono conquistare un paradiso in terra ; poco importa se poi c ' è tra loro chi crede anche ad un paradiso in cielo . Non so quale significato avesse per Lenin l ' espressione « paradiso in terra » ; certo non dimenticava che la sofferenza , le malattie , la decadenza della vecchiaia , la perdita delle persone care , non sono eliminabili dal cammino umano . Ma , nato nel 1870 , avendo a diciassette anni visto un fratello condannato a morte per complotto , avendo conosciuto a 25 la prigione e poi la deportazione in Siberia , e soprattutto essendo vissuto in una Russia dove ancora dovevano essere forti le tracce della servitù della gleba , l ' arbitrio della polizia era praticamente senza limiti , mentre c ' erano signori con tenute delle dimensioni di una provincia e patrimoni in gioielli valutabili a centinaia di milioni di allora , ed il popolo era quello che appare da Dostoevskij ( l ' ubriachezza unica consolazione dello squallore , la prostituzione unica risorsa per le ragazze povere ) , poteva chiamare paradiso anche la vita dignitosa che l ' operaio tedesco e francese cominciavano a conquistare ed avrebbero raggiunto alla vigilia della prima guerra mondiale . Se così inteso , il motto di Lenin poteva accettarsi , sia pure con la riserva sulla liceità dell ' uso dello stesso vocabolo ad indicare tanto qualcosa di relativo , imperfetto e transitorio , come qualcosa di assoluto ed eterno . Però già allora l ' espressione imponeva una ulteriore riserva , ed oggi questa è più valida che mai , quanto meno per i cristiani , cui Lenin si riferiva . Giacché non si dà contrasto tra i due paradisi nella comune e volgare accezione di un paradiso di Maometto , che ripeterebbe abbellita una vita terrestre ( nella quale può anche enunciarsi che il paradiso è all ' ombra delle spade ) , con tutti i godimenti carnali , della gola e del sesso ; il paradiso cristiano è invece quello cui si perviene con la rinuncia , l ' accettazione , la sofferenza . C ' è , sì , la ricchezza barriera insormontabile per entrare nel regno di Dio ; e si può attenuare il « discorso delle beatitudini » , ricordando che basta la povertà sia nello spirito ; ma non si può cancellare la beatitudine per gli afflitti , i miseri , i pacifici . Non si può capovolgere il Vangelo e non scorgere che in esso la vita terrena è quella della sofferenza : sempre evocati i ciechi , i paralitici , i lebbrosi , le madri che piangono il figlio morto . Per questo , rispettosissimo sempre di tutte le opinioni , mi riesce impossibile accettare un Cristianesimo che in nome della giustizia ami la violenza . ( La si ama , diciamolo pure ; accettatala , non è più un male necessario , perché al pari dell ' Eros , la violenza ha una sua voluttà , non è lo strumento di cui l ' uomo si serve quando gli occorre , per poi gettarlo , ma prende l ' uomo : chi si guarda intorno sa che il ricordo di un ' azione di guerra in cui rifulse il coraggio è nella mente di chi la compì ricordo più luminoso di ogni azione di bontà , di ogni salvataggio di un fratello ) . Non posso accettare un Cristianesimo che non aggiunga alla sua visione della giustizia che essa importa anche per tutti , volonterosi o riluttanti , il distacco da troppi godimenti terreni ; che un paradiso ( molto relativo ) cristiano su questa terra può essere solo quello di una cristianità distaccata dagli agi , dal prestigio , dalla fama , che accetta una generale umiltà . Trasportate al nostro tempo , le parole di Lenin , per ammettere sinceramente nelle proprie file di combattenti anche quelli che credono nel regno dei cieli , dovrebbero suonare : « Uniti tutti quelli che non vogliamo spargere sangue né togliere la libertà ad alcuno , per assicurare una società di eguali nel godimento dei beni economici , di aiuto reciproco ; e allora poco può importarci che tra questi vi sia chi crede pure in un regno dei cieli » . Ma la rivoluzione russa non si sarebbe fatta in tal modo . E se considero la perdita di ogni fede religiosa come una ulteriore ragione d ' infelicità dell ' uomo ( che vede marciare verso l ' etica dello stordimento , un susseguirsi senza posa di gioie diverse , tutte carnali , ch ' egli vuole scambiare per la felicità ) , tuttavia mi rendo conto della propaganda ateistica dei Paesi comunisti , almeno in terre che furono cristiane . necessario infatti che il risultato raggiunto si consideri il paradiso conquistato ( Cotta in un suo breve saggio , La sexualité en tant que dernier mythe politique , scorge in tutte le dottrine rivoluzionarie una ricerca , spesso inconscia , dell ' innocenza perduta dell ' uomo ) ; paradiso che occorre difendere , e dove , come quello biblico , ci deve essere chi ( uomo o collegio ) ha il supremo potere , e non può tollerare autorità religiose o intellettuali che non convenendo con lui su ciò ch ' è bene e ciò ch ' è male , rischino di far perdere la fiducia in questo paradiso . Poiché la montagna non andava a Maometto , andò Maometto alla montagna : dalle inclusioni di cattolici come indipendenti nelle liste elettorali comuniste , trovo conferma alla mia antica constatazione , che il colloquio non ha mai portato un comunista a divenire fedele di una qualsiasi religione , bensì degli uomini cresciuti in ambiente religioso a divenire comunisti . E , per tornare al paradiso , qui pure il paradiso cristiano si avvicina per questi al paradiso di Lenin ; su una rivista di Napoli di cattolici del dissenso , in un buon articolo di Carlo Cardia « Il giurista e gli occhi della storia » ( buon articolo , in molti punti con affermazioni cattolico - liberali cui sono sempre rimasto fedele ) , leggo anche affermazioni in tema di insegnamento ecclesiastico circa l ' etica sessuale , che mi lasciano più che dubbioso ; e apprendo che un teologo tedesco si pone la domanda : « E ' moralmente giustificabile una continenza assoluta ? » . Cardia è prudentissimo , fino a deplorare che la Chiesa accordi dispense matrimoniali tra affini in primo grado . Ma , mentre non è dubbio che il giurista debba argomentare con gli occhi della storia , o meglio con la coscienza sociale , e così pur nel non lungo periodo di durata di una legge , mutarne la interpretazione , il credente ritiene vi siano precetti eterni , comandamenti che valgano per ogni tempo . Per restare al « paradiso sulla terra » , per il credente esso è dato dalla serenità di chi si può abbandonare completamente alla Provvidenza , e ritenere buono ciò che accade , seppure sia la infermità o la mutilazione che lo colpisce . Ma quando in tema di sesso comincia a considerare lieve la colpa che per secoli fu ritenuta grave , ci si avvia su un cammino pericoloso ; in fondo può anche trovarsi il D ' Annunzio giovane , col suo Eleabani , figlio di Gesì , col suo anti - Vangelo : « La carne è santa . Guai a chi non piega l ' anima innanzi a lei » .
Diario romano. 3 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
È difficile sottrarsi alla suggestione culinaria di Roma , come è praticamente impossibile non seguirne gli orari . Ingrid Bergman , che aveva visto in Roberto Rossellini il cittadino e l ' interprete di una città « aperta » a drammatiche esperienze e a forti passioni , imparò in pochi mesi a distinguere gli agnolotti gratinati del Pastarellaro da quelli dei Tre scalini . L ' incantevole nordica che alcuni anni prima , in Intermezzo , ci era sembrata incorporea , dimostrò di saper demolire montagne di fettuccine e abbacchi da mettere in soggezione un camionista . Premurosamente assistita da ' Alfredo alla Scrofa ' o dal ' Re degli Amici ' , Ava Gardner mise in ombra le più rinomate « forchette » di via della Croce . Nel 1956 , conobbi a Milano una giovane signora americana , bellissima , alta , bionda , buona amica dell ' attore Bruce Cabot . Come molte sue connazionali , pareva che vivesse sotto una campana di cristallo . La maggior preoccupazione di Cabot , suo fedele cavalier servente , era quella di farla mangiare . Nessuna pietanza , per delicata e leggera che fosse , riusciva a stuzzicare l ' appetito della signora e a farle dimenticare per un momento la sua preziosissima linea . Creme scolorite di legumi , verdure estenuate dalla lunga cottura , sugo di pompelmo e d ' arancia , costituivano il malinconico pasto della bionda . Il povero Bruce Cabot , seduto di fronte a lei , era costretto a tirare la cinghia per non rischiare un benservito . La signora , ricordando il marito dal quale aveva appena divorziato , era solita definirlo « uno di quegli orribili uomini che mangiano mostruose bistecche e spaventose uova fritte sul lardo affumicato » . Il simpatico Bruce sacrificava lo stomaco al cuore : ma a questo mondo ho visto poche cose più tristi dei suoi occhi azzurri , di fronte ai piatti striminziti cui era condannato . Qualche mese dopo , incontrai Bruce Cabot a Roma . Era solo e aveva un ' ottima cera . Gli chiesi notizie della signora . Il celebre protagonista della Jena di Barlow mi disse sogghignando : « Margy è tornata a Nuova York . Irriconoscibile . Tutta piena di foruncoli terribili , in tutto il corpo . Un foruncolo andava , uno veniva . Intossicazione . Qualche giorno dopo il nostro arrivo a Roma , la farfalla è diventata un coccodrillo . Passava le giornate a scoprire nuove trattorie . Prenotava tavoli la mattina per la sera , la sera per la mattina dopo . Fritti enormi . Centinaia di foruncoli . Partita » . Un saggio storiografico , rigoroso e documentato , sulla gastronomia romana e sulle trattorie più antiche e rinomate della capitale , non sarebbe opera trascurabile . Evitando i luoghi comuni e il colore locale , frugando nella cronaca , ne verrebbe fuori un ' apprezzabile serie di ritratti : visti di scorcio ma vivi . Nel maggio del 1938 , quando Hitler trascorse sei giorni a Roma assieme a un gruppo di gerarchi accompagnati dalle mogli , il programma delle accoglienze non si limitò alle luminarie stradali , alle adunate oceaniche e alle parate militari . Gli specialisti del Quirinale e di Palazzo Venezia si diedero molto da fare anche per studiare i menu dei pranzi e delle cene ufficiali : in modo che il dittatore tedesco e il suo seguito gustassero , volta per volta , le specialità locali , senza il fastidio di ripetizioni . Mussolini , com ' è noto , non dava molta importanza al cibo . È ancora incerto se davvero fosse afflitto da ulcera gastrica , e comunque se si trattasse di un ' ulcera grave ; ma è un fatto che per almeno i primi dieci anni del suo regime mangiò soltanto ciò che gli cucinava un ' anziana , fedele domestica romagnola . Può darsi che il ricordo dei manicaretti serviti dai Borgia ai loro nemici non fosse estraneo alle abitudini casalinghe del duce , specialmente nel quinquennio in cui scampò a diversi attentati . Ma anche più tardi , quando l ' opposizione rinunciò ai metodi violenti e non si parlò più della famosa ulcera , a parte qualche semplice e sbrigativo « rancio » , Mussolini mangiò in pubblico rarissime volte . Le sue soste più calme e lunghe davanti a una tavola imbandita , le fece al ristorante del Furlo , sul passo omonimo , dove talvolta arrivava senza preavviso , dopo aver pilotato la macchina , a gran velocità , sulla via Flaminia . Ordinava , invariabilmente , un piatto di tagliatelle all ' uovo , e mezzo pollo alla diavola . Beveva alcuni bicchieri di acqua minerale , non troppo gelata , e mezza bottiglia di vino di pramontana . A parte tali soste sul confine tra Lazio e Marche , Mussolini , pur ostentando gusti e sentimenti popolari , pur abbracciando covoni e sculacciando massaie , dimostrò sempre una certa insofferenza per gli indugi culinari e per l ' impegno che molti suoi collaboratori mettevano nei riti della mensa . Una volta , che gli si proponeva di valorizzare un certo gerarca provinciale , affidandogli un alto incarico in Etiopia , disse bruscamente : « L ' ho visto mangiare . Bocconi troppo grossi e lenti . Non va ! » . In altra occasione , avendo saputo che un generale della milizia , attempato , dall ' aspetto alquanto scimmiesco , era stato visto , in divisa , a colazione con una giovanissima aspirante diva , al ristorante dello Zoo , convocò l ' ufficiale a Palazzo Venezia e , mezzo burbero mezzo ironico , lo redarguì : « Non fate più bambinate del genere . E , soprattutto , evitate lo Zoo . Potreste cedere al richiamo della foresta » . Mussolini , che pure amava controllare le cose di persona , trascurò , dunque , il programma gastronomico preparato per Hitler . Avvenne così che il capo dei nazisti si trovasse davanti , la mattina del 5 maggio 1938 , un paio di carciofi ( verdura quasi sconosciuta in Germania ) rovesciati sul piatto , col gambo in aria , un po ' somiglianti ad elmetti chiodati . Chiese come si chiamasse la pietanza , e gli fu risposto che quelli erano i celebri , classici carciofi « alla giudia » . Specialità del ghetto : Hitler , saputo ciò , s ' irrigidì . Un guizzo di contrarietà gli passò nei baffetti rossi . Dimenticò i carciofi nel piatto , imitato dai suoi fidi . La topografia gastronomica della capitale , rispettata dalla guerra , non ha subìto trasformazioni rilevanti negli ultimi trent ' anni . Soltanto il piccone fascista , nel quinquennio che precedette la guerra abissina , cancellò le antiche osterie sparse nel quartiere popolare un tempo ammonticchiate fra piazza Venezia e il Colosseo . Qualche antica bettola di Trastevere , incastrata fra í vicoli angusti e le piazzette oscure , si è mondanizzata , ma bisogna convenire che ciò non ha guastato la cucina . Perfino i « posteggiatori » con chitarra , nonostante la giacca blu e la cravatta argentata , benché guadagnino una media di cinque , seimila lire al giorno per sette mesi all ' anno , sono rimasti abbastanza fedeli all ' antica vena popolare . I terzetti più noti , quelli « fissi » da Galeassi , da Corsetti , dal Pastarellaro , alla Rifiorita , da Ottavio , accontentano ancora con visibile soddisfazione quei clienti che , invece di chiedere canzoni moderne , vogliono ascoltare le vecchie serenate . In qualche caso , i cantanti in « farsetto » e i chitarristi sono stati soppiantati da indovini , cartomanti , grafologi . Il più rinomato , attualmente , è il così detto « Mago » , che si fa consultare ( tariffa base lire 500 ) dagli avventori del ristorante La Sacrestia , dietro il Pantheon . Siede in un angolo della sala , dietro un paravento . Risponde senza leggerle alle domande che il cliente scrive su una strisciolina di carta . Non sbaglia quasi mai . Soltanto alcune settimane prima delle elezioni lesse nell ' avvenire di Achille Lauro circa un milione di voti monarchici in più .