StampaQuotidiana ,
Caro
Direttore
,
Mi
permette
di
difendere
un
ritocco
che
il
ministro
Casati
ha
testé
introdotto
per
quel
che
concerne
l
'
età
di
ammissione
degli
alunni
nelle
scuole
ginnasiali
,
ritocco
che
vedo
criticato
nella
Stampa
?
Nella
riforma
ultima
era
stabilito
che
occorressero
per
quella
ammissione
i
dieci
anni
compiuti
;
e
il
Casati
è
tornato
al
vecchio
regolamento
,
che
concedeva
un
'
eccezione
per
quegli
alunni
che
agli
esami
di
ammissione
(
del
ginnasio
,
si
noti
,
e
non
più
agli
esami
finali
della
scuola
elementare
)
riportino
la
media
di
otto
decimi
.
Or
bene
,
io
credo
giusto
e
necessario
questo
provvedimento
.
Genitori
,
che
sforzassero
i
loro
figliuoli
a
studi
dannosi
alla
loro
salute
,
sarebbero
genitori
snaturati
;
e
di
questi
,
per
fortuna
,
ce
ne
sono
ben
pochi
,
i
quali
non
è
detto
poi
che
non
li
sforzerebbero
,
anche
dopo
i
dieci
anni
,
a
studi
a
loro
non
confacenti
e
dannosi
.
Sta
di
fatto
che
la
maturazione
dell
'
intelligenza
varia
non
poco
:
1
)
secondo
le
disposizioni
naturali
;
2
)
secondo
gli
ambienti
domestici
:
«
arte
di
padre
,
mezzo
imparata
»
e
il
figliuolo
di
un
insegnante
o
di
un
letterato
andrà
sempre
più
rapido
negli
studi
che
non
quello
di
uno
charcutier
;
3
)
secondo
le
condizioni
geografiche
(
nel
mezzogiorno
,
per
esempio
,
la
precocità
è
maggiore
)
.
Pretendere
che
fanciulli
,
che
hanno
appreso
presto
e
bene
,
siano
fermati
e
costretti
ad
aspettare
il
compimento
dei
loro
dieci
anni
per
bussare
alla
porta
della
scuola
media
,
questo
,
sì
,
mi
parrebbe
esercitare
una
pressione
indebita
.
Che
cosa
si
farà
,
nell
'
intermezzo
,
di
quei
fanciulli
?
Ecco
il
problema
al
quale
anch
'
io
,
non
come
legislatore
ma
come
padre
,
mi
sono
trovato
innanzi
e
non
ho
saputo
dargli
soluzione
soddisfacente
.
Infastidirli
,
stancarli
e
disgustarli
con
la
ripetizione
di
cose
già
apprese
e
sapute
?
Metterli
a
cinguettare
l
'
inglese
e
il
tedesco
,
che
poi
dimenticherebbero
lungo
il
corso
ginnasiale
?
Inoltre
si
consideri
che
il
limite
dei
dieci
anni
compiuti
importava
che
non
si
potesse
entrare
nella
scuola
media
se
non
tra
i
dieci
e
gli
undici
anni
,
cioè
che
alla
licenza
ginnasiale
non
era
dato
presentarsi
se
non
tra
i
15
e
i
16
anni
,
e
nell
'
esame
finale
di
maturità
se
non
tra
i
18
e
i
19
,
e
dall
'
Università
non
si
sarebbe
usciti
se
non
,
in
media
,
intorno
ai
23
o
24
anni
.
E
questo
,
in
un
paese
in
cui
a
venticinque
anni
si
può
diventare
rappresentante
della
nazione
al
Parlamento
!
D
'
altra
parte
,
quell
'
otto
in
media
da
chi
altro
poi
sarà
dato
se
non
dai
professori
che
dovranno
accogliere
il
candidato
nella
loro
classe
ginnasiale
?
E
questi
esaminatori
avranno
sempre
il
modo
di
accertarsi
se
il
fanciullo
è
veramente
e
normalmente
maturo
o
se
è
stato
sforzato
a
un
'
apparente
maturità
.
Potrei
aggiungere
altre
considerazioni
,
ma
queste
che
ho
esposte
mi
sembrano
bastevoli
a
corroborare
il
mio
modesto
avviso
personale
.
Meana
in
Val
di
Susa
,
15
agosto
1924
.
StampaQuotidiana ,
Sono
le
tre
e
mezzo
.
Il
cielo
di
maggio
,
sul
gomito
lucente
di
via
Veneto
,
accenna
vagamente
a
schiarire
.
Cinque
macchine
,
due
delle
quali
americane
,
stanno
allineate
davanti
al
Giardino
d
'
Europa
,
dove
concludono
la
notte
i
frequentatori
abituali
dei
night
-
clubs
situati
nei
paraggi
:
Jicky
Club
,
Pipistrello
,
Club
84
,
Kit
Kat
.
Sprofondata
nei
cuscini
di
cuoio
marrone
di
una
Dodge
decappottabile
,
una
ragazza
bionda
,
dalla
bocca
larghissima
,
tempestata
di
lentiggini
grosse
come
coriandoli
,
un
fazzoletto
di
crespo
nero
stretto
attorno
al
collo
,
singhiozza
dolcemente
.
Accanto
a
lei
,
scamiciato
,
un
giovanotto
bruno
,
dalle
braccia
pelose
,
fuma
con
aria
di
estrema
noia
.
I
suoi
occhi
nerissimi
,
lucenti
come
scarafaggi
,
scappano
,
ogni
tanto
,
verso
due
bellissime
negre
sedute
al
fresco
.
Nell
'
interno
del
locale
,
dove
si
possono
acquistare
orchidee
,
tuberose
e
garofani
da
offrire
alle
signore
,
altri
negri
,
giovanotti
e
ragazze
,
ascoltano
i
dischi
di
una
macchina
a
gettoni
.
Sono
serissimi
,
quasi
estatici
.
Soltanto
le
spalle
,
con
sussulti
lievi
come
brividi
,
accompagnano
il
ritmo
della
musica
.
Nella
sala
interna
,
abbandonati
su
sofà
verdi
,
sotto
dipinti
pretenziosi
e
insignificanti
,
alcuni
giovani
intellettuali
,
prevalentemente
di
sinistra
,
mangiucchiano
polpette
e
patate
fritte
,
ragionando
di
letteratura
e
di
teatro
.
Si
esprimono
nel
gergo
,
ormai
vuoto
e
stantio
,
ch
'
ebbe
fortuna
venticinque
anni
fa
:
quando
Giuseppe
Bottai
,
per
distinguersi
da
Ricci
e
da
Starace
,
covava
le
uova
culturali
di
un
vago
antifascismo
.
«
Appoggiarsi
al
contenuto
,
esclusivamente
come
tale
»
,
predica
un
trentenne
dal
ciuffo
aggressivo
,
«
è
un
ricatto
.
Il
contenuto
,
ridotto
all
'
informazione
,
ristretto
alle
esperienze
di
un
'
umanità
troppo
compiaciuta
della
propria
condizione
,
è
la
negazione
della
poesia
.
La
poesia
non
può
limitarsi
al
contenuto
.
La
poesia
è
l
'
alone
del
contenuto
.
Siamo
matti
!
Leggete
le
poesie
di
Penna
,
per
favore
.
Che
,
Penna
è
contenuto
?
Penna
è
l
'
alone
del
suo
contenuto
umano
,
ragazzi
!
»
.
«
E
Saba
?
»
,
azzarda
timidamente
un
tipo
macilento
,
d
'
età
indefinibile
,
il
cui
viso
è
divorato
per
metà
dagli
occhiali
scuri
.
Il
predicatore
dal
ciuffo
ribelle
resta
un
momento
perplesso
.
Butta
giù
un
sorso
di
birra
,
poi
,
solennemente
,
dice
:
«
Saba
,
in
un
certo
senso
,
è
il
contenuto
dell
'
alone
.
Non
so
se
mi
spiego
...
»
.
Fuori
è
già
chiaro
.
Le
due
negre
,
immobili
,
con
le
lunghe
gambe
accavallate
,
guardano
il
cielo
.
Nella
Dodge
decappottabile
,
la
ragazza
lentigginosa
continua
a
singhiozzare
nel
dormiveglia
.
Il
giovanotto
bruno
,
al
suo
fianco
,
dorme
profondamente
,
con
la
bocca
socchiusa
.
Basta
uno
sguardo
,
per
capire
con
che
sforzi
cerchi
di
somigliare
a
Maurizio
Arena
,
bello
cinematografico
di
moda
.
Due
ore
fa
,
prima
che
sul
palcoscenico
dei
«
quartieri
alti
»
restassero
soltanto
le
squallide
comparse
e
le
controfigure
anonime
,
il
vero
Maurizio
Arena
,
l
'
ex
-
muratore
Di
Lorenzo
,
era
con
me
,
nell
'
angolo
più
nascosto
del
Club
84
,
a
cento
metri
da
via
Veneto
.
Guardavamo
in
silenzio
le
coppie
che
a
malapena
riuscivano
a
muoversi
sulla
pista
da
ballo
gremita
.
L
'
orchestra
di
Armandino
Zingone
,
chitarrista
napoletano
,
trentaquattrenne
,
padre
di
otto
figli
,
modulava
un
ritmo
lento
.
Nell
'
angolo
opposto
al
nostro
,
attorno
a
due
tavoli
ravvicinati
,
stavano
,
già
ammutoliti
per
la
stanchezza
,
i
più
assidui
frequentatori
del
locale
:
Vittorio
Caprioli
,
Franca
Valeri
,
Beppino
Patroni
-
Griffi
,
Nora
Ricci
.
Ugo
Tognazzi
stava
pilotando
in
pista
un
'
americana
altissima
e
rigida
.
S
'
intravedeva
,
al
di
là
di
un
pilastro
,
il
ciuffo
nervoso
di
Walter
Chiari
.
Erano
le
due
e
un
quarto
:
l
'
ora
in
cui
un
lento
sipario
di
noia
comincia
a
calare
,
ogni
notte
,
sulla
mondanità
romana
.
Un
viso
massiccio
,
occhialuto
,
ombreggiato
da
una
barba
leggera
,
si
affacciò
all
'
ingresso
del
locale
.
I
denti
di
Arena
scricchiolarono
.
Vidi
il
profilo
del
giovane
attore
tendersi
,
quasi
assottigliarsi
in
una
crisi
d
'
improvviso
furore
.
Poi
,
a
fior
di
labbra
,
più
parlando
a
se
stesso
che
a
me
,
il
giovanotto
prese
a
sfogarsi
:
«
Eccolo
,
puntuale
»
,
disse
.
«
Mica
,
dopotutto
,
è
colpa
sua
,
poveraccio
.
E
nemmeno
è
colpa
nostra
,
se
anche
lui
è
finito
qui
.
Una
volta
era
il
re
d
'
Egitto
in
esilio
,
sua
maestà
Faruk
.
Ormai
è
Faruk
.
Anzi
,
Farucche
.
Qualcuno
lo
chiama
perfino
Faruccone
.
Anche
Orson
Welles
,
quella
volta
che
scese
a
Ciampino
,
era
un
fenomeno
.
Era
quello
che
aveva
fatto
impazzire
Nuova
York
annunciando
per
radio
l
'
arrivo
dei
marziani
.
Un
pezzo
grosso
!
Dopo
una
settimana
,
lo
chiamavano
già
Orson
.
Poi
diventò
Orso
.
Il
primo
a
gridargli
:
'
Orsaccio
,
viè
qua
!
'
fu
il
guardiano
di
un
posteggio
,
a
piazza
di
Spagna
.
A
Roma
,
non
resiste
nemmeno
l
'
aria
!
Le
persone
si
sciolgono
come
gelati
.
Meglio
essere
nessuno
.
Eccolo
là
,
come
tutte
le
notti
,
all
'
ora
sua
!
Era
il
re
d
'
Egitto
.
Se
ne
sta
dimenticando
pure
lui
»
.
Il
faccione
di
Faruk
sparì
dalla
cornice
della
porta
.
Arena
tacque
di
colpo
.
I
suoi
pugni
solidi
,
da
popolano
,
restarono
,
minacciosi
,
sul
tavolo
.
L
'
orchestra
di
Armandino
attaccò
a
richiesta
Tu
che
ti
senti
divina
:
la
canzone
che
l
'
estate
prossima
,
in
Versilia
,
farà
forse
dimenticare
La
più
bella
del
mondo
.
Ugo
Tognazzi
tornò
in
pista
,
sospingendo
l
'
americana
dritta
impalata
.
Ci
arrivava
,
dalla
penombra
,
la
voce
di
Walter
Chiari
,
in
vena
di
raccontare
storielle
.
Franca
Valeri
si
era
addormentata
sulla
spalla
di
Caprioli
,
il
quale
,
a
sua
volta
,
si
era
assopito
sulla
spalla
di
Patroni
-
Griffi
.
Maurizio
Arena
si
alzò
,
soffiò
l
'
aria
dalle
narici
,
violentemente
,
come
fanno
i
pugili
,
mi
guardò
con
intensità
infantile
,
poi
disse
:
«
Lo
sai
che
faccio
,
una
mattina
?
Esco
di
qua
,
prendo
il
treno
e
vengo
a
Milano
a
fare
il
muratore
»
.
Le
notti
primaverili
romane
,
fra
il
Tritone
e
Porta
Pinciana
,
si
assomigliano
tutte
.
Cominciano
,
fra
le
dieci
e
le
undici
,
da
Rosati
allo
Strega
,
al
Café
de
Paris
,
da
Doney
,
con
le
conversazioni
degli
intellettuali
;
finiscono
nella
tristezza
delle
mondane
sorprese
dalla
luce
del
sole
,
timorose
della
polizia
,
tormentate
dalle
scarpe
strette
,
piene
di
segreti
rimorsi
.
Notti
che
per
una
settimana
interessano
,
ma
in
capo
a
quindici
giorni
non
hanno
più
segreti
.
I
protagonisti
del
carosello
notturno
,
fra
i
cinque
o
sei
locali
più
frequentati
,
sono
sempre
i
medesimi
.
Le
compagnie
si
riformano
puntualmente
ogni
sera
e
riprendono
i
discorsi
interrotti
la
sera
avanti
.
Nel
cuore
di
una
metropoli
che
al
prossimo
censimento
conterà
due
milioni
tondi
di
abitanti
,
se
non
qualcosa
di
più
,
alcune
migliaia
di
persone
vivono
come
nel
quartiere
europeo
di
una
città
coloniale
.
Nessun
legame
concreto
esiste
fra
i
«
quartieri
alti
»
e
le
borgate
periferiche
.
Via
Veneto
,
luccicante
di
automobili
mostruose
,
al
tramonto
,
è
più
vicina
a
Nuova
York
che
alla
Garbatella
,
a
Londra
che
al
Quarticciolo
.
Roma
,
piccola
e
familiare
di
notte
,
diventa
,
appena
fa
giorno
,
un
'
enorme
piovra
di
cemento
.
La
mancanza
di
ciminiere
e
di
grandi
fabbriche
la
rende
inconsistente
come
un
miraggio
.
StampaQuotidiana ,
È
stato
un
giornale
della
sinistra
dissidente
italiana
,
«
il
Manifesto
»
,
a
parlare
di
un
nuovo
Patto
Anticomintern
contro
la
Cina
di
Mao
da
parte
della
Russia
sostanzialmente
allineata
alla
Germania
di
Bonn
e
al
Giappone
.
È
una
espressione
portata
ai
limiti
del
paradosso
ma
che
non
manca
di
nascondere
un
briciolo
di
verità
.
La
reazione
di
Mosca
all
'
avvicinamento
cino
-
americano
si
è
manifestata
subito
in
due
diverse
direzioni
:
l
'
ulteriore
miglioramento
dei
rapporti
con
la
Germania
federale
,
nella
linea
già
tracciata
dalla
Ostpolitik
,
e
la
ripresa
del
dialogo
col
Giappone
(
senza
contare
l
'
India
)
.
Non
c
'
è
dubbio
:
il
rapido
accordo
su
Berlino
,
dopo
mesi
di
estenuanti
trattative
e
pur
col
permanere
di
formule
largamente
equivoche
per
gli
occidentali
,
non
sarebbe
stato
possibile
senza
la
precisa
volontà
sovietica
di
creare
una
zona
di
distensione
e
di
tranquillità
in
Europa
,
quasi
contrappeso
al
crescente
conflitto
con
la
Cina
.
È
chiaro
che
l
'
intesa
sulla
ex
-
capitale
tedesca
rappresenta
solo
il
primo
passo
per
la
realizzazione
della
conferenza
sulla
sicurezza
europea
:
obiettivo
essenziale
della
diplomazia
russa
,
angosciata
dalla
prospettiva
di
una
lotta
su
due
fronti
.
In
questo
disegno
si
inserisce
il
clamoroso
annuncio
della
visita
di
Breznev
in
ottobre
a
Parigi
.
I
rapporti
franco
-
russi
non
erano
più
quelli
,
preferenziali
,
di
De
Gaulle
;
l
'
ultimo
viaggio
di
Pompidou
a
Mosca
si
era
svolto
in
un
clima
di
cortesia
ma
anche
di
freddezza
protocollare
ben
lontano
dal
calore
riservato
al
generale
che
continuava
ad
inseguire
il
sogno
dell
'
Europa
dall
'
Atlantico
agli
Urali
.
Se
il
segretario
del
partito
comunista
sovietico
-
un
uomo
che
non
ama
i
viaggi
e
tanto
meno
i
viaggi
nei
paesi
occidentali
-
ha
deciso
di
compiere
la
prima
rilevante
eccezione
verso
l
'
Ovest
con
la
mossa
francese
,
non
è
certo
per
una
particolare
solidarietà
ideologica
fra
la
Russia
di
Breznev
e
la
Francia
di
Pompidou
o
per
un
improvviso
rispuntare
delle
nostalgie
della
«
Duplice
Alleanza
»
,
abbastanza
lontane
dal
concretismo
e
dal
realismo
della
diplomazia
sovietica
nell
'
attuale
fase
metternichiana
:
è
solo
perché
nessuna
conferenza
sulla
sicurezza
europea
è
possibile
senza
il
«
sì
»
di
Parigi
.
Non
è
esclusa
qualche
analoga
mossa
spettacolare
dell
'
Urss
nei
riguardi
dell
'
Italia
:
un
altro
paese
cui
la
Russia
continua
a
guardare
con
inquieto
interesse
,
in
una
linea
che
potrebbe
non
coincidere
sempre
con
le
valutazioni
del
Pci
.
La
stessa
scadenza
,
ormai
imminente
,
delle
elezioni
presidenziali
potrebbe
essere
vista
da
Mosca
al
fine
di
favorire
,
attraverso
i
voti
comunisti
,
la
scelta
del
candidato
più
«
disponibile
»
sul
piano
della
politica
estera
,
al
di
fuori
di
ogni
collocazione
nello
schieramento
interno
.
Dalla
conferenza
europea
la
Russia
si
aspetta
soprattutto
mani
libere
per
il
duello
con
la
Cina
.
Tutte
le
mosse
di
Mosca
in
Europa
e
nel
Medio
Oriente
vanno
collocate
nel
quadro
della
inasprita
tensione
con
Pechino
,
confermata
dalle
recenti
manovre
militari
sovietiche
ai
confini
della
Cina
,
nella
zona
della
Transbaikalia
.
La
tensione
con
la
Romania
si
è
acuita
in
proporzione
diretta
al
graduale
spostamento
di
Ceausescu
verso
la
amicizia
con
Mao
:
nessuno
ha
smentito
le
notizie
che
un
aereo
sovietico
sarebbe
stato
abbattuto
mesi
fa
dalla
contraerea
romena
.
Il
giro
di
valzer
filo
-
cinese
di
Bucarest
e
Belgrado
,
in
singolare
e
sia
pure
indiretta
sintonia
con
Tirana
,
non
manca
di
preoccupare
Mosca
,
più
che
mai
paralizzata
dalla
psicosi
dell
'
accerchiamento
.
Né
i
confini
ideologici
contano
ormai
più
niente
.
La
Russia
,
in
pessimi
rapporti
col
comunista
Ceausescu
,
è
in
eccellenti
relazioni
coi
colonnelli
di
Atene
,
tutt
'
altro
che
inclini
a
liberalizzare
il
loro
regime
dittatoriale
e
fascista
dopo
il
nuovo
giro
di
vite
di
Papadopulos
.
E
l
'
Egitto
,
alleato
dell
'
Unione
Sovietica
sul
piano
internazionale
e
tributario
di
Mosca
per
tutte
le
armi
destinate
a
combattere
Israele
,
non
pensa
neppure
per
un
momento
di
bloccare
il
processo
contro
il
capo
dei
comunisti
egiziani
,
Ali
Sabri
:
fortunato
che
a
lui
e
ai
suoi
colleghi
sia
stata
riserbata
la
sorte
di
richiesta
formale
di
condanna
a
morte
e
non
il
linciaggio
dei
comunisti
massacrati
nel
Sudan
,
dopo
la
«
graziosa
»
operazione
dell
'
altro
colonnello
di
turno
,
Gheddafi
,
l
'
alleato
di
Dom
Mintoff
nella
vicenda
di
Malta
e
il
vero
protagonista
della
nuova
Federazione
araba
.
Dovunque
,
nel
terzo
mondo
,
è
in
atto
una
competizione
sempre
più
serrata
fra
Cina
e
Russia
.
Il
mondo
arabo
respinge
il
comunismo
ma
è
più
che
mai
vincolato
all
'
influenza
,
condizionante
,
di
Mosca
.
Nell
'
Africa
nera
,
l
'
infiltrazione
cinesesi
approfondisce
e
si
estende
a
danno
di
quella
sovietica
.
Mosca
ha
teso
la
mano
a
Indira
Gandhi
,
che
ha
dovuto
fare
pure
qualche
rinuncia
alla
tesi
del
«
non
allineamento
»
per
firmare
il
patto
ventennale
di
amicizia
con
l
'
Urss
:
patto
in
funzione
anti
-
cinese
e
anti
-
pakistana
.
Podgorni
annuncia
un
viaggio
ad
Hanoi
:
quasi
a
controbilanciare
l
'
influenza
cinese
,
certamente
decrescente
nel
nord
-
Vietnam
dopo
la
svolta
.
Nel
caso
di
ulteriore
avvicinamento
cino
-
americano
consacrato
dall
'
eventuale
successo
del
viaggio
di
Nixon
,
è
certo
che
la
Russia
correrà
ai
ripari
.
Tentativo
di
garantirsi
le
spalle
in
Europa
,
attraverso
la
dottrina
della
«
sovranità
limitata
»
rigidamente
applicata
all
'
Est
e
sapientemente
combinata
con
una
«
sicurezza
»
dell
'
Ovest
ad
uso
di
Mosca
;
allacciamento
di
buoni
rapporti
in
Asia
con
tutti
i
paesi
che
siano
in
qualunque
modo
danneggiati
dalla
nuova
linea
americana
,
la
linea
flessibile
e
realistica
di
Nixon
.
Giappone
in
testa
:
il
primo
paese
che
l
'
America
ha
due
volte
offeso
nel
corso
di
pochi
mesi
,
con
la
bomba
della
visita
di
Nixon
a
Pechino
e
con
quella
specie
di
«
Hiroshima
»
valutaria
che
è
stata
l
'
operazione
dollaro
,
causa
di
gravissime
perdite
per
l
'
economia
nipponica
,
proprio
in
coincidenza
,
casuale
ma
rivelatrice
,
con
l
'
anniversario
dell
'
armistizio
del
'45
.
Tutti
gli
equilibri
tendono
a
rovesciarsi
;
mentre
il
divario
strategico
fra
Usa
e
Urss
si
accentua
in
modo
inquietante
nel
settore
missilistico
e
il
rapporto
fra
Patto
di
Varsavia
e
Patto
Atlantico
peggiora
a
danno
dell
'
Occidente
nel
campo
delle
armi
convenzionali
.
Se
l
'
Europa
non
troverà
la
via
di
organizzarsi
rapidamente
come
forza
autonoma
e
autosufficiente
,
rischia
di
non
contare
assolutamente
più
niente
sul
piano
dei
rapporti
di
potenza
,
ormai
svincolati
dalla
logica
di
Yalta
e
trasferiti
sul
terreno
di
una
Realpolitik
appena
corretta
dall
'
equilibrio
del
terrore
.
E
non
vorremmo
che
un
giorno
Ciu
En
-
lai
ci
mandasse
un
messaggio
con
lo
stesso
spirito
con
cui
lo
ha
inviato
giorni
fa
alla
cara
ma
innocua
Repubblica
di
San
Marino
.
L
'
ironia
non
è
l
'
ultima
risorsa
della
diplomazia
cinese
.
StampaQuotidiana ,
Caro
dott
.
Gobetti
,
Ricevo
,
mentre
mi
accingo
a
fare
una
corsa
a
Napoli
,
la
Sua
lettera
,
col
brano
di
articolo
del
quale
Ella
desidera
che
io
le
dica
la
mia
interpretazione
.
Non
conoscevo
l
'
articolo
,
e
leggendo
ora
,
con
mente
spregiudicata
,
il
brano
in
questione
,
escludo
nel
modo
più
reciso
che
con
le
parole
«
aborto
morale
»
Ella
abbia
inteso
qualificare
il
Del
Croix
.
La
logica
del
contesto
vuole
che
per
«
aborti
morali
»
s
'
intendano
,
in
quel
luogo
,
semplicemente
,
i
«
tentativi
falliti
»
(
dei
quali
Ella
parla
nello
stesso
periodo
)
,
d
'
indole
morale
,
dei
vari
che
hanno
negli
ultimi
tempi
preso
la
parola
sulla
presente
situazione
politica
.
Del
resto
,
non
dirò
al
Del
Croix
,
ma
a
quale
uomo
,
ancorché
nemico
,
si
oserebbe
mai
rivolgere
l
'
atroce
ingiuria
di
«
aborto
morale
»
?
L
'
enormità
stessa
della
cosa
doveva
persuadere
a
interpretazione
diversa
da
quella
che
,
leggendo
in
fretta
e
con
animo
preoccupato
,
si
è
potuta
presentare
a
qualche
lettore
.
Tanto
più
escludo
l
'
odiosa
interpretazione
in
quanto
ricordo
che
,
alcune
settimane
fa
,
essendomi
incontrato
con
Lei
nella
biblioteca
di
Torino
,
Ella
mi
parlò
delle
cose
politiche
italiane
,
e
anche
dell
'
opera
del
Del
Croix
,
senza
dir
parola
che
suonasse
men
che
riverente
verso
il
glorioso
mutilato
.
Faccia
l
'
uso
che
crede
di
questa
mia
,
e
mi
abbia
,
ecc
.
Meana
,
8
settembre
1924
.
StampaQuotidiana ,
Montecarlo
,
18
aprile
,
notte
-
I
due
«
oui
»
furono
immediati
,
senza
esitazione
,
sommessi
,
quasi
detti
a
se
stessi
e
non
al
notaio
della
Corona
.
Ma
vi
fu
una
differenza
.
Ranieri
era
infossato
nella
sua
poltrona
,
col
volto
impenetrabile
e
grave
di
chi
prende
parte
a
una
importante
cerimonia
di
Stato
,
a
vitali
decisioni
,
e
rispose
«
oui
»
con
dignità
,
chinando
il
capo
in
segno
di
consenso
,
come
avesse
risposto
di
sì
a
una
grave
domanda
politica
o
strategica
.
Grace
era
dritta
,
tesa
,
commossa
,
pallida
,
la
piccola
testa
alta
sul
collo
esile
ed
elegante
,
le
mani
magre
e
bianche
incrociate
in
grembo
come
se
pregasse
,
gli
azzurri
occhi
bellissimi
fissi
avanti
a
sé
,
al
volto
professorale
del
giudice
Marcel
Portanier
,
che
fungeva
da
notaio
.
Grace
disse
«
oui
»
con
voce
quasi
impercettibile
,
come
se
l
'
emozione
glielo
avesse
strozzato
in
gola
:
presto
,
quasi
con
ansia
,
gli
occhi
luminosi
di
speranza
e
gravi
allo
stesso
tempo
,
come
se
avessero
chiesto
a
un
'
ammalata
se
volesse
essere
guarita
miracolosamente
,
o
a
una
poveretta
se
volesse
essere
felice
:
«
oui
»
.
Detti
i
due
«
oui
»
né
lui
voltò
gli
occhi
verso
di
lei
,
né
lei
,
di
soppiatto
,
cercò
di
incontrare
i
suoi
per
un
istante
,
come
fanno
due
giovani
innamorati
quando
si
sposano
.
Non
si
sorrisero
.
Non
guardarono
i
loro
parenti
.
Gli
occhi
di
Grace
non
cercarono
quelli
,
umidi
di
amore
,
di
sua
madre
,
che
si
asciugò
'
ma
lacrima
.
Restarono
tutti
e
due
immobili
ad
attendete
la
fine
della
lettura
dell
'
atto
di
matrimonio
,
nella
loro
parte
di
personaggi
ufficiali
.
Erano
le
undici
e
dieci
.
La
figlia
del
muratore
di
Filadelfia
era
diventata
principessa
regnante
.
Da
quel
momento
,
tutti
l
'
avrebbero
chiamata
Altezza
Serenissima
,
cominciando
da
monsieur
Portanier
,
che
disse
:
«
Dichiaro
le
Vostre
Altezze
Serenissime
unite
dal
vincolo
del
matrimonio
»
.
Ieri
sera
,
guardando
,
dal
balcone
del
palazzo
,
i
meravigliosi
fuochi
d
'
artificio
che
empivano
il
cielo
nero
di
colori
smaglianti
,
Grace
aveva
detto
ad
un
'
amica
:
«
Ogni
tanto
penso
di
svegliarmi
e
di
trovarmi
al
teatro
di
posa
numero
16
della
Metro
Goldwyn
Mayer
.
Ogni
tanto
penso
che
tutto
questo
non
sia
vero
,
che
sto
sognando
»
.
Quale
sia
,
fra
tanti
,
il
teatro
di
posa
16
della
Metro
Goldwyn
Mayer
non
ricordo
.
Forse
è
quello
nel
quale
Grace
lavorava
più
frequentemente
.
O
forse
ha
detto
sedici
,
senza
pensare
,
per
dire
un
numero
qualunque
.
La
cerimonia
si
è
svolta
nella
sala
del
Trono
.
Al
posto
della
poltrona
Impero
,
dorata
,
dove
i
principi
di
Monaco
si
siedono
una
sola
volta
,
in
vita
,
il
giorno
dell
'
insediamento
solenne
,
vi
erano
fasci
di
ortensie
.
Di
fronte
al
trono
c
'
è
un
camino
di
pietra
della
Turbie
,
con
angioletti
,
festoni
di
fronde
e
frutti
e
,
in
cima
,
un
Giove
che
lancia
fulmini
.
Davanti
al
.
camino
,
un
grande
tavolo
Luigi
XIV
,
con
il
piano
intarsiato
di
ametiste
,
turchesi
,
onici
e
agate
,
su
cui
monsieur
Portanier
aveva
deposto
tutti
i
suoi
documenti
.
Davanti
al
tavolo
erano
le
due
poltrone
per
gli
sposi
.
Da
una
parte
e
dall
'
altra
,
su
esili
seggioline
dorate
,
quelle
dei
concerti
nelle
case
private
,
erano
seduti
gli
invitati
.
A
sinistra
del
tavolo
,
in
prima
fila
,
i
Kelly
,
il
vecchio
John
B
.
,
dritto
,
commosso
,
elegante
,
con
volto
rosso
e
gli
occhi
chiari
come
l
'
acqua
,
gli
occhi
della
figlia
,
la
moglie
vestita
di
azzurro
polvere
,
la
figlia
,
il
figlio
e
il
genero
.
Dietro
a
loro
i
loro
invitati
;
e
poi
,
su
tre
file
,
i
capi
delle
missioni
estere
.
A
destra
del
tavolo
,
era
la
famiglia
di
Ranieri
,
il
padre
,
Pierre
de
Polignac
,
la
principessa
Carlotta
,
sua
moglie
,
la
principessa
Ghislaine
,
vedova
del
nonno
Luigi
,
la
contessa
Charles
de
Polignac
,
e
il
principe
Tassilo
di
Fuerstenberg
.
Dopo
le
undici
(
sul
tavolo
del
matrimonio
era
aperto
il
registro
ed
era
pronto
l
'
atto
,
il
Codice
con
gli
articoli
da
leggere
segnati
)
si
aprirono
i
due
battenti
della
porta
che
dà
sul
salone
verde
ed
apparve
Grace
.
Fino
allora
si
era
intrattenuta
chiacchierando
,
con
un
'
amica
intima
,
che
non
aveva
posto
nella
sala
del
Trono
e
l
'
aveva
lasciata
dicendo
:
«
Devo
andarmene
perché
mi
sposo
»
.
È
una
di
quelle
battute
disinvolte
e
spiritose
che
gli
americani
dicono
quando
sono
commossi
,
per
nascondere
l
'
emozione
.
Ma
Grace
non
riusciva
a
nascondere
l
'
emozione
a
nessuno
,
questa
mattina
.
È
dimagrata
,
in
questi
giorni
,
di
diversi
chili
,
a
giudicare
ad
occhio
.
Era
dimagrata
a
bordo
del
Constitution
ed
ha
continuato
a
dimagrare
a
Montecarlo
,
per
la
fatica
di
tutte
queste
feste
,
cerimonie
,
emozioni
;
per
l
'
ansia
,
per
l
'
angoscia
di
sentirsi
al
centro
della
curiosità
del
mondo
intero
,
senza
un
momento
per
se
stessa
.
Nel
suo
viso
pallido
gli
occhi
sono
diventati
più
grandi
e
luminosi
.
Portava
una
cuffietta
-
turbante
che
le
lasciava
scoperta
la
fronte
e
l
'
attaccatura
dei
capelli
e
ricordava
certe
coiffes
paesane
di
Francia
,
un
abito
a
corpetto
attillato
e
gonna
ricca
di
grossi
ricami
,
di
colore
rosa
sfumato
,
quasi
beige
.
Il
collettino
da
scolaretta
,
da
collegiale
,
legato
con
un
nastrino
,
la
faceva
sembrare
ancora
più
giovane
,
ancora
più
sperduta
,
ancora
più
bisognosa
di
aiuto
e
di
protezione
.
Sedendosi
al
suo
posto
,
tenne
il
volto
fermo
,
lo
sguardo
davanti
a
sé
,
í
piedi
uniti
,
le
mani
in
grembo
,
come
una
brava
bambina
;
e
pensava
forse
di
essere
impassibile
,
ma
l
'
emozione
compressa
non
si
poteva
nascondere
.
Sembrava
che
,
da
un
momento
all
'
altro
,
per
una
parola
,
per
un
gesto
d
'
amore
,
sarebbe
scoppiata
in
lacrime
.
L
'
innaturale
e
crudele
rigidità
si
sarebbe
sciolta
.
Poco
dopo
,
giunse
Ranieri
,
in
abito
a
code
,
pantaloni
a
righe
,
cravatta
grigia
e
gilè
bianco
.
Sedette
sulla
sua
poltrona
,
alla
destra
della
fidanzata
,
senza
guardarsi
in
giro
;
appoggiò
un
dito
sotto
il
naso
,
sul
labbro
,
nella
posa
di
chi
ascolta
musica
;
e
la
cerimonia
cominciò
.
Monsieur
Portanier
si
mise
gli
occhiali
,
estrasse
il
testo
del
discorso
composto
per
l
'
occasione
e
cominciò
a
leggere
.
Il
discorso
comincia
:
«
Monseigneur
,
al
limitare
di
questa
cerimonia
di
rara
solennità
,
non
posso
dissimulare
-
e
Vostra
Altezza
degnerà
,
nella
sua
grande
benevolenza
,
di
non
considerarmi
con
rigore
-
l
'
emozione
profonda
che
provo
davanti
all
'
onore
eccezionale
che
mi
è
toccato
di
esercitare
,
in
questo
giorno
,
le
funzioni
di
ufficiale
di
Stato
civile
della
famiglia
sovrana
.
»
Monsieur
Portanier
non
è
monegasco
,
ma
francese
di
nascita
;
e
i
sentimenti
monarchici
dei
francesi
prendono
involontariamente
veste
nella
prosa
del
secolo
di
Luigi
XIV
,
che
è
forse
ancora
per
loro
«
le
roi
»
.
Il
discorso
dice
,
fra
l
'
altro
:
«
Questa
sala
è
troppo
stretta
per
contenere
tutti
coloro
che
avrebbero
ardentemente
desiderato
,
non
per
semplice
curiosità
,
ma
dal
fondo
dell
'
anima
,
di
avere
il
privilegio
di
essere
presenti
in
questo
minuto
»
.
Come
capo
della
sua
Casa
,
Ranieri
deve
acconsentire
al
matrimonio
di
tutti
i
principi
Grimaldi
e
anche
al
suo
,
per
cui
egli
ha
dovuto
,
in
realtà
,
pronunciare
due
«
oui
»
,
quello
decisivo
che
abbiamo
descritto
poc
'
anzi
come
fidanzato
e
quello
come
principe
regnante
in
risposta
alla
domanda
che
inizia
la
cerimonia
.
«
Vostra
Altezza
Serenissima
»
gli
chiese
il
notaio
della
Corona
«
m
'
autorizza
a
procedere
alla
cerimonia
del
matrimonio
civile
?
»
Detto
questo
,
furono
letti
gli
articoli
del
Codice
,
senza
variazioni
,
per
cui
Grace
apprese
che
deve
obbedire
al
marito
,
essergli
fedele
,
deve
essere
mantenuta
da
lui
,
deve
seguirlo
nelle
sue
residenze
e
mantenerlo
in
caso
che
egli
si
trovi
in
povertà
.
Il
notaio
annunciò
,
anche
,
che
un
contratto
privato
di
matrimonio
,
alla
maniera
francese
,
è
stato
stipulato
privatamente
fra
le
due
famiglie
,
i
cui
termini
non
saranno
resi
pubblici
.
Infine
,
si
passò
alle
due
domande
:
«
Signorina
,
intende
lei
prendere
per
sposo
Sua
Altezza
Serenissima
il
principe
Ranieri
III
Grimaldi
,
principe
sovrano
di
Monaco
,
qui
presente
?
»
.
La
domanda
per
lo
sposo
fu
formulata
diversamente
.
«
Monseigneur
,
posso
molto
rispettosamente
chiedere
a
Vostra
Altezza
se
Vostra
Altezza
Serenissima
acconsente
di
prendere
per
moglie
e
legittima
sposa
la
qui
presente
signorina
Grace
Patricia
Kelly
?
»
Detti
i
due
«
oui
»
,
monsieur
Portanier
annunciò
:
«
Nel
nome
dello
statuto
della
famiglia
sovrana
e
della
legge
,
dichiaro
le
Vostre
Altezze
Serenissime
unite
dal
vincolo
del
matrimonio
»
.
Poi
diede
lettura
dell
'
atto
,
che
richiese
quattro
minuti
.
Il
nome
del
principe
era
seguito
da
tutti
i
suoi
titoli
.
Sono
centotrenta
:
eccone
alcuni
.
Principe
Sovrano
di
Monaco
,
duca
del
Valentino
,
barone
di
Buis
,
signore
di
Romans
,
Crest
,
Chabreuil
,
Souzet
,
Savasse
,
Saint
-
Marcel
,
Chateauneuf
de
Mazène
,
Sainte
Euphémie
,
marchese
des
Baux
,
signore
di
Saint
-
Rémy
,
Maurelle
,
Vuisanque
,
Mas
de
Laugier
,
Beaurecard
,
Servanne
,
Cap
de
Verre
,
Mular
,
Montblanc
,
Mas
Boulonnet
,
Boisvert
,
conte
di
Carlades
,
visconte
di
Murat
,
barone
di
Calvinet
,
signore
di
Tucmande
e
della
Vinzelle
,
sire
di
Matignon
,
conte
di
Torrigni
,
barone
di
Saint
-
Lo
,
barone
della
Luthumière
,
barone
di
Hambye
,
signore
di
Biéville
,
del
Perron
,
di
Saint
-
Symphorine
,
Plessis
-
Grimoult
,
Condé
sur
Vire
,
Hamel
,
Rochetesson
,
Breheil
,
Myon
,
Gatteville
,
duca
di
Estouteville
,
conte
di
Gournay
,
signore
della
Ferté
-
en
-
Bray
,
Valmont
Boquemart
,
Bec
-
aux
-
Cachois
,
Bec
-
de
-
Montagne
,
Moulins
Berneval
,
Bois
Hébert
,
Bouville
,
Fauville
,
Héricourt
,
Moulin
de
Tou
,
La
Hise
,
Loges
,
Monchonvilli
,
Marcuil
,
Saint
-
Martin
-
en
-
Champagne
,
Tiergeville
,
Petit
-
Turcy
,
Varengeville
,
duca
di
Mazarino
,
principe
di
Castel
Porziano
,
conte
di
Ferrette
,
Thann
,
Rosemont
,
barone
d
'
Altkirch
,
di
Rumigny
,
di
Rozoy
,
marchese
di
Montcornet
,
duca
di
Mayenne
,
conte
di
Belfort
,
di
Longjumeau
,
marchese
di
Chilly
,
barone
di
Massy
,
marchese
di
Guiscard
,
eccetera
eccetera
.
Ranieri
,
per
tutto
questo
tempo
,
era
rimasto
accigliato
,
grave
,
quasi
oppresso
da
qualche
segreta
preoccupazione
.
Non
aveva
il
viso
felice
e
radioso
che
gli
amici
gli
avevano
visto
í
giorni
scorsi
.
Senza
dubbio
,
era
,
come
tutti
gli
sposi
,
spaventato
dalle
responsabilità
che
la
mattina
delle
nozze
sembrano
immense
,
o
dalla
propria
immaginaria
pochezza
.
La
mano
era
sulla
bocca
,
il
dito
indice
appoggiato
ai
baffi
,
gesto
per
lui
abituale
.
Ogni
tanto
si
passava
un
dito
nel
colletto
inamidato
che
lo
stringeva
un
poco
.
Poi
,
come
tutti
gli
sposi
,
pronunciato
il
«
sì
»
,
Si
sentì
sollevato
.
Il
dado
era
tratto
.
La
cosa
era
irrimediabile
.
Senza
mutare
atteggiamento
,
senza
sorridere
,
senza
voltarsi
,
ebbe
un
'
espressione
rilasciata
,
quasi
soddisfatta
(
per
quanto
egli
possa
esprimere
in
pubblico
,
data
la
sua
timidità
,
questi
sentimenti
)
.
E
la
stessa
gioia
contenuta
spianò
il
viso
di
Grace
,
che
sembrava
,
in
questo
momento
,
che
ascoltasse
rapita
delle
musiche
lontane
,
forse
delle
bellissime
musiche
dentro
di
lei
,
senza
dar
retta
alla
voce
monotona
del
notaio
della
Corona
,
che
continuava
ad
elencare
le
parole
francesi
dell
'
atto
di
matrimonio
,
per
lei
quasi
incomprensibili
.
Alla
fine
,
il
registro
fu
porto
,
aperto
,
ai
due
sposi
.
Prima
a
lui
e
poi
a
lei
.
Egli
vergò
il
suo
nome
.
Poi
lei
scrisse
,
per
l
'
ultima
volta
della
sua
vita
,
«
Grace
Patricia
Kelly
»
,
quella
firma
che
,
da
bambina
,
aveva
messo
sui
quaderni
di
scuola
,
che
più
tardi
aveva
messo
timidamente
sulle
richieste
di
prove
negli
studi
cinematografici
,
e
,
più
tardi
ancora
,
a
migliaia
,
sulle
fotografie
che
gli
ammiratori
chiedevano
.
Firmarono
,
sul
registro
appoggiato
al
tavolo
,
tutti
i
testimoni
.
Erano
le
undici
e
venticinque
quando
i
rappresentanti
delle
Nazioni
estere
uscirono
,
lasciando
soli
gli
sposi
,
i
loro
invitati
e
le
loro
famiglie
.
A
un
'
amica
che
le
chiese
,
subito
dopo
,
come
si
sentisse
,
Grace
rispose
:
«
Non
ci
credo
ancora
.
Sono
attonita
»
.
Un
giornalista
le
domandò
se
avesse
provato
,
sposandosi
,
la
stessa
emozione
del
giorno
in
cui
aveva
ricevuto
l
'
Oscar
;
rispose
con
un
filo
di
voce
pazientemente
:
«
No
,
è
una
cosa
completamente
diversa
»
.
Il
padre
Kelly
disse
:
«
Per
metà
è
fatta
.
A
domani
il
resto
»
.
Poi
,
avendogli
qualcuno
chiesto
che
cosa
pensasse
del
suo
nuovo
genero
,
aggiunse
:
«
Ranieri
,
io
lo
chiamo
Ray
,
è
un
bravo
ragazzo
,
a
nice
boy
.
Se
è
come
mia
nuora
e
mio
genero
,
andiamo
bene
.
Tutti
bravi
ragazzi
»
.
StampaQuotidiana ,
C
'
è
una
scena
davvero
straordinaria
.
Il
figlio
killer
Tim
Roth
,
tornato
dopo
anni
di
assenza
e
per
uccidere
nel
proprio
quartiere
,
umilia
il
padre
Maximilian
Schell
minacciandolo
di
morte
:
in
uno
spiazzo
urbano
nevoso
e
lurido
lo
costringe
a
levarsi
il
cappotto
;
lo
obbliga
con
la
pistola
a
togliersi
i
pantaloni
;
gli
impone
con
ordini
brevi
e
rauchi
come
latrati
d
'
inginocchiarsi
davanti
a
lui
.
Gli
schiaccia
con
insolenza
beffarda
la
faccia
nella
neve
sporca
e
se
ne
va
:
il
padre
resta
lì
solo
,
finito
,
vinto
.
Raramente
s
'
era
visto
raccontare
in
immagini
altrettanto
efficaci
e
tanto
intense
da
risultare
quasi
insopportabili
l
'
odio
filiale
(
che
è
anche
odio
generazionale
,
etico
,
culturale
)
e
un
'
uccisione
simbolica
del
padre
(
che
è
pure
cancellazione
,
smentita
dell
'
universo
paterno
)
.
Al
confronto
,
risulta
deludente
il
resto
del
melodramma
di
malavita
sentimentale
e
moralistico
,
dominato
da
una
fascinazione
retorica
per
la
violenza
assassina
,
corretto
,
confezionato
tecnicamente
senza
incertezze
né
errori
.
L
'
ambizione
del
regista
,
debuttante
ventiquattrenne
americano
,
è
naturalmente
massima
:
la
tragedia
greca
a
Brooklyn
.
E
non
si
realizza
,
come
non
si
realizzano
altre
sue
ambizioni
.
Little
Odessa
,
ad
esempio
.
È
interessante
l
'
idea
di
descrivere
il
quartiere
degli
ebrei
russi
newyorkesi
,
con
i
suoi
abitanti
lacerati
tra
modernità
e
tradizione
,
oscillanti
fra
due
culture
e
due
criminalità
antitetiche
:
ma
questo
elemento
è
appena
nominato
e
sfiorato
,
nel
film
che
sembra
di
conoscere
a
memoria
tanto
è
simile
a
mille
altri
mille
volte
visti
al
cinema
o
alla
tv
.
È
bella
l
'
idea
di
far
raccontare
l
'
intera
vicenda
dal
fratello
minore
del
giovane
killer
,
un
ragazzino
al
limite
tra
l
'
ammirazione
amorosa
del
nero
potere
violento
del
fratello
e
il
legame
profondo
,
impaziente
,
con
i
genitori
,
con
la
nonna
,
con
i
valori
di
normalità
e
di
sicurezza
da
loro
rappresentati
:
ma
questa
idea
quasi
subito
si
perde
,
o
si
svuota
.
È
tipico
d
'
ogni
regista
giovane
il
tema
del
disfacimento
della
famiglia
,
in
questo
caso
formata
da
madre
morente
per
un
cancro
al
cervello
,
padre
debole
e
adultero
,
nonna
rincitrullita
,
figlio
adolescente
smarrito
,
figlio
maggiore
assassino
espulso
dalle
mura
domestiche
:
ma
questo
tema
(
salvo
la
pulsione
d
'
odio
per
il
padre
)
diventa
appena
un
catalogo
o
un
'
elencazione
,
senza
nutrirsi
nella
storia
che
nasce
dal
ritorno
del
killer
e
si
conclude
con
il
killer
che
riparte
dopo
aver
visto
morire
anche
per
colpa
propria
tutti
quelli
che
amava
.
Capita
insomma
a
Little
Odessa
quanto
succede
adesso
a
molti
film
americani
:
buone
idee
,
buona
tecnica
,
limitata
capacità
registica
e
aridità
narrativo
-
emotiva
,
ne
fanno
appena
contenitori
ingannevoli
,
qualcosa
di
simile
a
un
giornale
con
titoli
brillanti
-
promettenti
e
articoli
vacuo
-
deludenti
.
Ma
restano
a
distinguere
il
film
molti
elementi
.
La
sequenza
di
cui
s
'
è
detto
.
Tim
Roth
,
attore
eccellente
e
monotono
(
magari
anche
perché
gli
affidano
personaggi
sempre
simili
)
,
killer
algido
,
esatto
,
orrendamente
violento
.
Vanessa
Redgrave
,
bravissima
agonizzante
,
che
nella
breve
parte
della
madre
offre
la
prova
di
recitazione
migliore
.
È
un
rapporto
del
regista
con
il
cinema
che
appare
d
'
una
naturalezza
e
competenza
piuttosto
rare
al
primo
film
.
StampaQuotidiana ,
Torino
,
21
marzo
1925
.
Signor
Direttore
,
Mi
viene
mostrato
,
nel
giornale
l
'
Epoca
,
uno
scritto
del
Gentile
che
concerne
il
mio
articolo
sul
liberalismo
,
pubblicato
nel
Giornale
d
'
Italia
.
L
'
ho
letto
e
,
in
verità
,
non
vi
ho
trovato
nulla
che
non
appartenga
a
quella
sorta
d
'
ibridismo
filosofico
-
politico
,
alla
quale
il
Gentile
ci
ha
oramai
adusati
,
e
nulla
che
infirmi
le
chiare
dimostrazioni
che
io
altre
volte
ho
dato
(
e
che
verrò
dando
ancora
,
via
via
che
mi
se
ne
offra
l
'
occasione
)
degli
ingiustificati
passaggi
logici
e
delle
poco
esatte
affermazioni
storiche
e
delle
assurde
compagnie
politiche
,
a
cui
quell
'
ibridismo
conduce
.
E
,
quanto
alla
tesi
che
il
Risorgimento
italiano
«
non
fu
liberale
»
,
sono
costretto
a
dire
,
pur
non
avendo
alcuna
voglia
di
mancare
di
riguardo
al
Gentile
,
che
essa
non
merita
confutazione
,
perché
urta
contro
quella
comune
e
viva
coscienza
storica
di
tutti
gli
uomini
colti
,
che
vale
più
di
ogni
storia
scritta
.
una
tesi
così
stravagante
,
che
io
confesso
di
averla
incontrata
per
la
prima
volta
solo
a
mezzo
del
1923
,
quando
al
Gentile
,
per
più
mesi
ministro
non
fascista
,
piacque
di
enunciarla
,
per
giustificare
,
verso
gli
altri
o
verso
sé
stesso
,
la
sua
inaspettata
ascrizione
al
partito
fascista
.
Del
resto
,
non
sarebbe
tempo
di
parlare
,
un
po
'
meno
che
ora
non
si
usi
,
della
cedevolezza
del
regime
democratico
o
«
demagogico
»
agli
interessi
individuali
,
e
della
fermezza
del
nuovo
regime
,
che
asserisce
e
mantiene
solo
quelli
della
Nazione
e
dello
Stato
?
Non
sarebbe
il
caso
di
parlare
,
invece
,
un
po
'
più
di
uomini
e
del
loro
cervello
,
e
della
loro
coerenza
e
della
forza
del
loro
carattere
?
Il
Gentile
ha
pur
testé
deplorato
nei
pubblici
fogli
le
concessioni
che
il
ministro
on
.
Fedele
ha
fatto
alle
insistenze
dei
trepidi
padri
e
delle
addolorate
madri
dei
ragazzi
bocciati
,
e
al
patrocinio
che
di
essi
ha
assunto
l
'
on
.
Farinacci
.
Plus
ça
change
et
plus
c
'
est
la
même
chose
!
Al
qual
proposito
voglio
aggiungere
che
,
avendo
il
Gentile
parlato
,
nella
sua
protesta
,
di
«
tradimento
»
,
che
con
quelle
concessioni
si
sarebbe
usato
al
fascismo
,
e
d
'
insidia
portata
fin
nella
culla
alla
nuova
Italia
fascistica
che
la
scuola
da
lui
riformata
avrebbe
per
còmpito
di
allevare
,
mette
in
imbarazzo
chi
,
come
me
,
deplora
anch
'
esso
quelle
concessioni
,
e
pur
non
vorrebbe
che
gli
accadesse
come
altra
volta
,
quando
,
accorso
a
impedire
la
rovina
della
sua
riforma
scolastica
,
della
quale
il
fascismo
si
era
disinteressato
,
e
riuscito
a
salvarla
,
vide
poco
dopo
,
con
grande
suo
stupore
,
quella
riforma
stessa
decorata
col
nome
della
«
più
fascistica
delle
riforme
»
!
Ma
valga
il
vero
e
valga
il
bene
della
scuola
e
della
patria
:
valgano
sopra
ogni
considerazione
di
persone
e
di
partiti
.
L
'
esame
di
Stato
fu
una
necessità
sentita
da
quanti
presero
a
cuore
le
sorti
della
scuola
italiana
,
e
accettata
e
propugnata
in
tempi
nei
quali
il
fascismo
non
era
apparso
neppure
di
lontano
.
E
il
primo
presidente
di
Consiglio
che
lo
incluse
in
un
programma
di
governo
fu
l
'
on
.
Giolitti
;
e
il
primo
ministro
dell
'
Istruzione
,
che
lo
concretò
in
un
disegno
di
legge
,
presentato
alla
Camera
,
fu
il
ministro
di
quel
gabinetto
;
e
il
primo
partito
politico
che
lo
mise
tra
le
sue
richieste
,
fu
il
Partito
popolare
.
Mi
sembra
,
dunque
,
che
i
legami
tra
quella
riforma
ed
il
fascismo
non
sieno
troppo
intrinseci
.
Comunque
,
se
essi
sieno
intrinseci
o
estrinseci
,
stretti
o
larghi
,
essenziali
o
accidentali
,
è
cosa
di
cui
lasceremo
disputare
il
Gentile
coi
suoi
nuovi
amici
e
sbrigarsela
tra
loro
.
A
me
,
come
ad
altri
,
spetta
ora
il
dovere
di
formulare
la
richiesta
,
e
di
esprimere
la
speranza
:
che
l
'
on
.
Fedele
non
dia
attuazione
al
proposito
,
da
lui
manifestato
alla
Camera
,
di
permettere
una
terza
sessione
di
esami
:
cosa
veramente
scandalosa
e
di
pessimo
effetto
.
Posto
il
principio
animatore
dell
'
esame
di
Stato
,
ci
sarebbe
da
dubitare
perfino
se
sia
consentanea
la
seconda
sessione
:
figurarsi
una
terza
!
La
concessione
,
alla
quale
l
'
on
.
Fedele
è
disposto
,
segnerebbe
l
'
inizio
della
fine
della
riforma
e
il
più
o
meno
lento
ritorno
all
'
antico
.
Su
ciò
,
non
conviene
farsi
illusioni
.
E
questo
,
fascisti
o
non
fascisti
,
dovrebbero
deprecare
e
impedire
.
Mi
abbia
ecc
.
StampaQuotidiana ,
Tre
del
pomeriggio
.
Roma
digerisce
in
silenzio
.
Via
Condotti
è
assopita
nel
sole
già
caldo
.
Un
sacerdote
americano
,
alto
quasi
due
metri
,
poderoso
,
sta
fotografando
da
angoli
diversi
le
azalee
che
invadono
e
sommergono
la
gradinata
di
piazza
di
Spagna
.
In
fondo
all
'
ultima
saletta
del
Caffè
Greco
,
dove
aleggia
un
vago
odore
di
cioccolato
in
tazza
e
di
anice
,
il
dottor
P
.
e
l
'
avvocato
C
.
,
ambedue
siciliani
e
cineasti
,
mi
parlano
della
situazione
cinematografica
.
Ne
ragionano
con
l
'
amarezza
un
po
'
ironica
degli
amanti
delusi
ma
non
ancora
completamente
disamorati
.
L
'
avvocato
C
.
,
produttore
,
sceneggiatore
,
soggettista
,
è
un
longilineo
quasi
calvo
,
dagli
occhi
malinconici
e
intelligenti
.
Il
dottor
P
.
,
procuratore
di
una
produzione
piuttosto
importante
,
è
calmo
e
tarchiato
,
ferratissimo
in
fatto
di
cifre
e
di
statistiche
.
Ma
imprigionare
nei
numeri
il
problema
del
cinema
italiano
,
ossia
romano
,
è
impresa
difficile
:
come
mettersi
a
contare
le
onde
del
mare
o
le
foglie
di
un
bosco
.
«
Attorno
alla
nostra
produzione
»
,
dice
il
dottor
P
.
,
«
vegeta
e
s
'
intreccia
una
jungla
di
luoghi
comuni
e
di
valutazioni
errate
.
Per
esempio
,
tutti
,
da
un
paio
d
'
anni
a
questa
parte
,
parlano
di
`
crisi
'
.
Come
se
da
una
situazione
sicura
e
florida
,
si
fosse
improvvisamente
passati
al
dissesto
,
all
'
arenamento
.
Baggianate
.
La
vera
crisi
,
fatta
di
marasma
economico
e
d
'
imprese
pazze
,
l
'
abbiamo
avuta
quando
si
producevano
allegramente
130
film
all
'
anno
.
Quella
che
oggi
viene
definita
'
crisi
'
,
non
è
che
il
fatale
ridimensionamento
di
una
situazione
anarchica
,
basata
sulla
presunzione
dei
dilettanti
,
alimentata
da
riserve
finanziarie
più
che
altro
immaginarie
.
Crisi
per
eccesso
,
ma
crisi
.
L
'
effetto
non
va
confuso
con
la
causa
.
Quando
la
'
Minerva
'
fallì
,
erano
già
diversi
anni
che
stava
dibattendosi
come
Laocoonte
,
fra
i
serpenti
di
un
'
amministrazione
caotica
,
fra
miliardi
ch
'
erano
soltanto
fantasmi
di
miliardi
.
Lo
stesso
discorso
vale
per
la
distribuzione
.
Nei
dieci
`
distretti
'
cinematografici
italiani
,
da
Padova
a
Catania
,
pullularono
distributori
improvvisati
,
senza
radici
come
denti
di
latte
.
In
mezzo
ad
essi
,
ogni
`
distretto
'
poteva
contare
su
un
paio
di
ditte
serie
»
.
La
conversazione
procede
,
pacata
,
sul
terreno
delle
cifre
.
Il
dottor
P
.
analizza
,
lapis
alla
mano
,
le
percentuali
in
cui
si
scompone
,
nei
botteghini
degli
11.000
cinema
italiani
,
il
prezzo
del
biglietto
.
Soltanto
18
lire
ogni
cento
vanno
al
produttore
,
dopo
un
'
attesa
di
anni
.
Ci
addentriamo
nel
meccanismo
complicato
dei
premi
governativi
;
nel
labirinto
alquanto
misterioso
dell
'
Anica
(
Associazione
nazionale
industrie
cinematografiche
e
affini
)
,
dove
gli
interessi
contrastanti
dei
produttori
,
dei
distributori
e
dei
proprietari
di
sale
(
spesso
rappresentati
da
una
sola
persona
)
si
conciliano
,
o
fingono
di
conciliarsi
,
in
una
specie
di
limbo
corporativistico
.
L
'
avvocato
C
.
mi
spiega
perché
il
mercato
respinge
i
film
a
basso
costo
:
«
E
chi
volete
che
si
muova
di
casa
,
per
andare
a
vedere
,
pagando
dalle
500
alle
800
lire
,
le
stesse
cose
che
può
vedersi
tranquillamente
in
casa
,
alla
Tv
,
senza
scomodarsi
e
quasi
gratis
?
Oggi
,
in
Italia
come
in
America
,
come
dovunque
,
il
cinema
può
attirare
il
pubblico
soltanto
con
spettacoli
eccezionali
:
offrendo
colore
,
masse
sbalorditive
,
paesaggi
affascinanti
:
tutto
ciò
che
la
Tv
non
può
dare
.
L
'
America
è
corsa
ai
ripari
nove
anni
fa
,
dilatando
gli
schermi
,
lanciando
il
'
Cinerama
'
,
rinnovando
la
suggestione
del
`
western
'
col
Cinemascope
e
il
Vistavision
.
Da
noi
,
che
non
possiamo
contare
sui
miliardi
di
Hollywood
,
la
lotta
è
dura
,
disperata
.
Dopo
i
trionfi
del
'
neorealismo
'
,
stiamo
assaggiando
le
amarezze
della
realtà
»
.
Negli
anni
dell
'
immediato
dopoguerra
,
sembrò
che
gli
americani
avessero
perso
la
guerra
del
cinema
vincendo
quella
degli
eserciti
.
Assistendo
alla
proiezione
di
Roma
città
aperta
,
di
Paisà
,
Ladri
di
biciclette
eccetera
,
il
pubblico
di
Nuova
York
o
di
Chicago
si
dimenticava
perfino
di
masticare
la
sua
gomma
.
Per
gli
americani
,
nel
'46
,
Stalin
era
ancora
'
lo
zio
Giuseppe
'
.
I
critici
annidati
nel
Greenwich
Village
potevano
ancora
farsi
la
barba
ogni
due
giorni
,
portare
maglioni
rossi
e
scrivere
che
'
il
neorealismo
sociale
italiano
stava
alla
produzione
americana
come
Omero
sta
a
Spillane
'
.
Rossellini
poteva
divagare
quanto
voleva
.
Più
divagava
,
più
faceva
testo
.
Il
'
racconto
'
,
la
`
trama
'
erano
giudicati
'
casi
limite
'
'
,
espedienti
vili
,
compromesso
,
lenocinio
.
A
parte
i
suoi
meriti
sostanziali
,
il
così
detto
'
neorealismo
'
fu
la
grande
stagione
degli
improvvisatori
.
Imitando
Rossellini
,
De
Sica
e
gli
altri
`
istintivi
'
di
talento
,
una
quantità
di
mediocri
si
credettero
in
grado
di
far
capolavori
senza
le
rotaie
di
un
soggetto
:
raccattando
immagini
'
valide
di
per
sé
'
e
cucendole
insieme
alla
meglio
.
I
soggettisti
non
si
sentirono
più
impegnati
a
inventare
una
storia
,
a
immaginare
situazioni
concatenate
,
coerenti
.
Si
trasformarono
in
ideatori
di
'
gags
'
,
di
episodi
isolati
,
di
trovatine
divertenti
o
commoventi
,
a
seconda
dei
casi
.
Poi
,
improvvisamente
,
quando
gli
intellettuali
del
Greenwich
Village
cominciarono
a
rifarsi
la
barba
tutte
le
mattine
e
a
rimettersi
la
cravatta
per
non
dar
nell
'
occhio
al
senatore
Mac
Carthy
,
gli
americani
aggiunsero
ai
contratti
di
60
pagine
stipulati
coi
produttori
italiani
una
formuletta
umiliante
che
suona
pressappoco
così
:
'
Il
film
deve
consistere
in
una
serie
di
sequenze
cinematografiche
connesse
fra
loro
in
modo
logico
:
ogni
sequenza
,
cioè
,
deve
essere
legata
alla
precedente
in
modo
comprensibile
.
Il
tutto
deve
costituire
un
racconto
che
abbia
indiscutibile
valore
narrativo
'
.
La
lunga
stagione
romana
delle
cicale
e
delle
lontre
era
finita
.
Cominciava
quella
,
assai
più
scomoda
,
delle
formiche
e
dei
castori
.
A
parte
le
cifre
e
le
statistiche
;
a
prescindere
dall
'
obbiettiva
consultazione
del
«
Bollettino
generale
dei
protesti
»
,
alla
cui
mole
solenne
certa
produzione
cinematografica
dà
un
generoso
contributo
;
le
varie
,
allegre
e
malinconiche
avventure
del
nostro
cinema
hanno
la
loro
chiave
nell
'
aria
stessa
di
quella
stupefacente
,
affascinante
,
irritante
,
scoraggiante
,
inafferrabile
città
che
ha
nome
Roma
.
La
nostra
industria
cinematografica
,
nata
a
Torino
nel
novembre
del
1904
,
per
iniziativa
di
Arturo
Ambrosio
(
il
Venchi
della
celluloide
nazionale
)
,
ebbe
il
suo
primo
germoglio
romano
meno
di
un
anno
dopo
,
nella
primavera
del
'905
,
ad
opera
di
Filoteo
Alberini
,
produttore
-
sceneggiatore
-
soggettista
-
regista
-
operatore
.
Nel
1906
,
dalla
società
dell
'
Alberini
con
tale
Santoni
,
nacque
la
Cines
:
quella
stessa
che
andò
in
liquidazione
l
'
anno
passato
.
Ma
tutto
ciò
appartiene
alla
preistoria
.
La
vera
storia
del
cinema
romano
ebbe
inizio
con
l
'
avvento
del
fascismo
:
trovò
la
sua
prima
cornice
nella
società
piccolo
-
borghese
,
oziosa
,
assetata
di
lussi
,
tracotante
,
formatasi
attorno
ai
seguaci
di
Mussolini
.
Quando
si
dice
che
l
'
industria
cinematografica
italiana
non
poteva
stabilirsi
che
a
Roma
,
per
ragioni
climatiche
,
per
sfruttarne
la
lunga
primavera
,
si
dice
una
grossa
stupidaggine
.
Altrimenti
le
grandi
case
del
nord
-
Europa
,
di
Londra
,
Berlino
e
Parigi
,
non
sarebbero
mai
nate
.
La
verità
è
che
,
nel
1925
,
superate
le
paure
della
Quartarella
,
operato
lo
strangolamento
totale
dell
'
opposizione
,
Mussolini
volle
che
l
'
«
industria
delle
ombre
»
si
concentrasse
nel
suo
immediato
raggio
d
'
azione
.
Egli
aveva
capito
perfettamente
tre
cose
:
che
quella
era
l
'
unica
industria
da
cui
Roma
potesse
trarre
vantaggio
economico
,
senza
il
pericolo
di
una
crescente
concentrazione
operaia
;
che
prima
o
poi
sarebbe
servita
ad
acquetare
e
impastoiare
gli
intellettuali
;
che
sarebbe
stato
più
facile
indirizzare
alla
propaganda
una
cinematografia
ambientata
nella
capitale
.
Non
basta
.
Il
«
regime
»
,
nato
dal
risentimento
e
dal
tedio
della
gioventù
provinciale
,
esaltava
ufficialmente
le
aspre
opere
dei
campi
e
la
fecondità
delle
massaie
:
ma
segretamente
sognava
calze
di
seta
,
sottovesti
di
pizzo
,
avventure
scabrose
.
Fingeva
d
'
interessarsi
a
Oriani
,
a
Machiavelli
,
a
Pareto
:
ma
di
nascosto
rileggeva
Da
Verona
,
Mariani
e
Pitigrilli
.
Perfino
Kiribiri
.
Proclamava
la
grandezza
di
Augusto
,
ma
sognava
Trimalcione
.
Quanti
furono
i
gerarchi
che
non
ebbero
il
loro
nome
mescolato
alle
storie
galanti
di
Cinecittà
?
Mentre
l
'
Italia
agonizzava
pietosamente
,
dopo
1'8
settembre
,
sotto
i
mille
problemi
che
la
schiacciavano
,
una
delle
prime
preoccupazioni
delle
autorità
repubblichine
fu
il
trasloco
a
Venezia
di
Cinecittà
.
E
Alessandro
Pavolini
,
trasferitosi
a
Verona
,
tutto
nero
con
un
teschio
sul
petto
,
non
si
lasciava
forse
carezzare
l
'
affaticata
fronte
da
Doris
Duranti
?
E
lo
stesso
Mussolini
non
preferì
,
anche
in
extremis
,
il
profilo
fotogenico
di
Clara
Petacci
alle
tagliatelle
di
«
donna
»
Rachele
?
Nel
1925
,
quando
nacque
l
'
Istituto
Luce
,
ente
parastatale
«
per
la
propaganda
e
la
cultura
a
mezzo
della
cinematografia
»
,
un
peccato
originale
,
impresso
negli
uomini
e
nelle
cose
,
segnò
il
destino
del
cinema
italiano
,
costituzionalmente
fascista
.
Le
esperienze
estetiche
,
le
polemiche
dei
critici
e
dei
registi
,
non
bastano
a
cancellarne
l
'
impronta
iniziale
.
Tutto
andrebbe
rifatto
da
capo
.
Gli
innumerevoli
episodi
e
aneddoti
umoristici
relativi
al
mondo
cinematografico
romano
,
da
trent
'
anni
a
questa
parte
,
non
sono
che
un
corollario
.
Rispecchiano
un
ambiente
dove
il
caso
è
diventato
legge
,
dove
la
conciliazione
degli
opposti
è
un
dovere
e
l
'
approssimazione
è
obbligatoria
.
Dove
,
fatte
rarissime
eccezioni
,
buoni
scrittori
e
bravi
giornalisti
hanno
imparato
a
scrivere
in
quindici
giorni
le
stesse
cose
che
sotto
forma
di
racconto
o
di
articolo
richiedono
un
lavoro
di
poche
ore
.
Altrimenti
,
il
produttore
,
pur
risparmiando
danaro
(
spesso
non
suo
)
,
non
darebbe
la
dovuta
importanza
all
'
opera
dei
suoi
sceneggiatori
.
I
quali
,
per
essere
presi
nella
giusta
considerazione
,
debbono
in
qualche
modo
uniformarsi
alle
abitudini
dei
registi
,
degli
aiutoregisti
,
dei
segretari
di
produzione
,
delle
«
dive
»
,
dei
«
divi
»
,
degli
operatori
,
perfino
degli
elettricisti
:
essere
poco
puntuali
,
capricciosi
,
puntigliosi
,
ombrosi
,
esigenti
,
volubili
,
preziosi
.
Inflessibili
nel
pretendere
grossi
anticipi
prima
ancora
che
il
film
sia
entrato
in
quella
fase
di
discussione
che
precede
la
preparazione
della
prelavorazione
.
Checché
se
ne
dica
,
la
bizzarra
casistica
del
cinema
romano
non
riguarda
soltanto
gli
«
artigianoni
»
,
in
fondo
bonari
,
della
produzione
:
gli
Amato
,
i
Misiano
ecc.
Coinvolge
anche
personalità
vigili
,
sensibili
,
ricche
di
talento
.
Anni
or
sono
,
un
noto
produttore
italiano
accettò
di
finanziare
,
in
coproduzione
francese
,
un
film
progettato
da
Marcel
Carné
:
«
Le
barrage
»
.
Il
soggetto
era
ancora
allo
stato
fluido
;
si
sapeva
soltanto
che
tutto
doveva
imperniarsi
sull
'
allagamento
di
una
valle
alpina
,
in
seguito
all
'
apertura
di
una
diga
:
in
francese
«
barrage
»
.
Nella
valle
,
completamente
sommersa
,
restava
un
antico
villaggio
,
tempestivamente
sfollato
.
Da
ciò
,
la
possibilità
d
'
immaginare
situazioni
patetiche
e
drammatiche
.
Condizione
fondamentale
,
preparare
il
soggetto
entro
una
certa
data
,
perché
l
'
apertura
della
diga
andava
ripresa
dal
vero
.
Carné
accettò
con
entusiasmo
la
collaborazione
di
Cesare
Zavattini
,
propostagli
dal
produttore
romano
.
Zavattini
trovò
eccellente
lo
spunto
del
film
.
Dopo
rapide
trattative
,
il
regista
parigino
e
i
suoi
sceneggiatori
arrivarono
a
Roma
.
Tutta
l
'
équipe
,
compreso
Zavattini
,
si
stabilì
all
'
Hôtel
Excelsior
,
fra
stucchi
color
panna
e
turisti
di
gran
lusso
.
Era
stabilito
che
Carné
,
Zavattini
e
gli
sceneggiatori
francesi
dovessero
creare
il
soggetto
e
un
primo
abbozzo
di
sceneggiatura
attraverso
conversazioni
libere
e
animate
,
scambi
d
'
idee
e
di
vedute
,
registrate
nei
minimi
particolari
,
anche
apparentemente
insignificanti
,
da
tre
stenografe
,
due
italiane
e
una
francese
,
costantemente
presenti
alle
riunioni
.
Si
andò
avanti
,
così
,
per
circa
tre
mesi
.
I
minuziosi
verbali
trascritti
dalle
stenografe
avevano
già
empito
un
armadio
e
stavano
già
traboccando
da
un
baule
.
Pareva
che
,
in
linea
di
massima
,
un
soggetto
ci
fosse
:
basato
sull
'
amore
di
una
fanciulla
,
abitante
nel
paese
sacrificato
alla
diga
,
per
un
giovane
ingegnere
addetto
ai
lavori
.
Se
non
che
,
il
vecchio
padre
della
ragazza
,
attaccato
come
un
'
ostrica
alla
sua
casa
,
si
rifiutava
ostinatamente
di
sfollare
.
Invano
supplicato
dalla
figlia
,
si
appostava
sul
tetto
,
armato
di
fucile
,
pronto
a
far
fuoco
su
chiunque
si
avvicinasse
.
Solo
all
'
ultimo
momento
,
pochi
minuti
prima
che
si
aprisse
la
diga
,
l
'
ingegnere
riusciva
a
smuovere
il
cocciuto
vegliardo
e
a
trarlo
in
salvo
assieme
alla
ragazza
.
Tutto
bene
,
fin
qui
.
Ma
proprio
sulle
ultime
sequenze
,
Zavattini
e
francesi
non
si
trovarono
d
'
accordo
.
Zavattini
esigeva
che
il
vecchio
,
girato
in
controcampo
,
sparasse
sull
'
ingegnere
;
che
il
pubblico
,
per
un
momento
,
restasse
col
cuore
sospeso
,
per
poi
rallegrarsi
constatando
che
il
colpo
era
andato
a
vuoto
.
Secondo
lo
sceneggiatore
italiano
,
tale
effetto
non
era
soltanto
consigliabile
,
ma
addirittura
indispensabile
.
Carné
e
i
suoi
assistenti
lo
giudicavano
,
invece
,
banale
ed
assurdo
,
tanto
da
gettare
nel
ridicolo
l
'
intero
film
.
La
discussione
andò
avanti
per
due
settimane
,
registrata
dalle
stenografe
.
Il
produttore
cercò
di
conciliare
le
parti
,
una
domenica
,
invitando
tutti
a
colazione
fuori
di
porta
.
Nulla
da
fare
.
«
O
il
vecchio
spara
,
o
mi
ritiro
!
»
gridava
Zavattini
,
palpeggiandosi
il
basco
.
«
Se
quel
vecchio
della
malora
fa
solo
l
'
atto
di
premere
il
grilletto
»
,
ruggiva
Carné
,
«
io
pianto
tutto
»
.
Inutile
insistere
,
supplicare
,
promettere
.
«
Le
barrage
»
andò
a
monte
.
Al
produttore
non
restò
che
pagare
il
grosso
conto
dell
'
Excelsior
e
gli
onorari
dovuti
per
contratto
al
regista
,
a
Zavattini
e
tutti
gli
altri
.
Quel
colpo
di
fucile
,
sparato
o
no
,
venne
a
costargli
circa
cinquanta
milioni
.
«
Colpa
mia
»
,
ammise
in
seguito
il
produttore
.
«
Invece
di
portare
Carré
a
Roma
,
dovevo
portare
a
Parigi
Zavattini
»
.
StampaQuotidiana ,
Nella
bella
biografia
dedicata
a
Berlinguer
da
Gorresio
un
capitolo
s
'
intitola
«
Di
fronte
ai
cattolici
»
.
Berlinguer
come
Lenin
:
«
L
'
unità
della
lotta
per
un
paradiso
in
terra
che
preme
più
dell
'
unità
delle
opinioni
per
un
paradiso
in
cielo
»
.
Prescindo
da
Berlinguer
,
che
,
per
quanto
so
,
è
rispettosissimo
della
fede
religiosa
delle
persone
a
lui
più
vicine
,
né
fa
opera
di
proselitismo
ateistico
.
Ma
l
'
espressione
di
Lenin
è
da
considerare
:
siano
con
tutti
noi
coloro
che
vogliono
conquistare
un
paradiso
in
terra
;
poco
importa
se
poi
c
'
è
tra
loro
chi
crede
anche
ad
un
paradiso
in
cielo
.
Non
so
quale
significato
avesse
per
Lenin
l
'
espressione
«
paradiso
in
terra
»
;
certo
non
dimenticava
che
la
sofferenza
,
le
malattie
,
la
decadenza
della
vecchiaia
,
la
perdita
delle
persone
care
,
non
sono
eliminabili
dal
cammino
umano
.
Ma
,
nato
nel
1870
,
avendo
a
diciassette
anni
visto
un
fratello
condannato
a
morte
per
complotto
,
avendo
conosciuto
a
25
la
prigione
e
poi
la
deportazione
in
Siberia
,
e
soprattutto
essendo
vissuto
in
una
Russia
dove
ancora
dovevano
essere
forti
le
tracce
della
servitù
della
gleba
,
l
'
arbitrio
della
polizia
era
praticamente
senza
limiti
,
mentre
c
'
erano
signori
con
tenute
delle
dimensioni
di
una
provincia
e
patrimoni
in
gioielli
valutabili
a
centinaia
di
milioni
di
allora
,
ed
il
popolo
era
quello
che
appare
da
Dostoevskij
(
l
'
ubriachezza
unica
consolazione
dello
squallore
,
la
prostituzione
unica
risorsa
per
le
ragazze
povere
)
,
poteva
chiamare
paradiso
anche
la
vita
dignitosa
che
l
'
operaio
tedesco
e
francese
cominciavano
a
conquistare
ed
avrebbero
raggiunto
alla
vigilia
della
prima
guerra
mondiale
.
Se
così
inteso
,
il
motto
di
Lenin
poteva
accettarsi
,
sia
pure
con
la
riserva
sulla
liceità
dell
'
uso
dello
stesso
vocabolo
ad
indicare
tanto
qualcosa
di
relativo
,
imperfetto
e
transitorio
,
come
qualcosa
di
assoluto
ed
eterno
.
Però
già
allora
l
'
espressione
imponeva
una
ulteriore
riserva
,
ed
oggi
questa
è
più
valida
che
mai
,
quanto
meno
per
i
cristiani
,
cui
Lenin
si
riferiva
.
Giacché
non
si
dà
contrasto
tra
i
due
paradisi
nella
comune
e
volgare
accezione
di
un
paradiso
di
Maometto
,
che
ripeterebbe
abbellita
una
vita
terrestre
(
nella
quale
può
anche
enunciarsi
che
il
paradiso
è
all
'
ombra
delle
spade
)
,
con
tutti
i
godimenti
carnali
,
della
gola
e
del
sesso
;
il
paradiso
cristiano
è
invece
quello
cui
si
perviene
con
la
rinuncia
,
l
'
accettazione
,
la
sofferenza
.
C
'
è
,
sì
,
la
ricchezza
barriera
insormontabile
per
entrare
nel
regno
di
Dio
;
e
si
può
attenuare
il
«
discorso
delle
beatitudini
»
,
ricordando
che
basta
la
povertà
sia
nello
spirito
;
ma
non
si
può
cancellare
la
beatitudine
per
gli
afflitti
,
i
miseri
,
i
pacifici
.
Non
si
può
capovolgere
il
Vangelo
e
non
scorgere
che
in
esso
la
vita
terrena
è
quella
della
sofferenza
:
sempre
evocati
i
ciechi
,
i
paralitici
,
i
lebbrosi
,
le
madri
che
piangono
il
figlio
morto
.
Per
questo
,
rispettosissimo
sempre
di
tutte
le
opinioni
,
mi
riesce
impossibile
accettare
un
Cristianesimo
che
in
nome
della
giustizia
ami
la
violenza
.
(
La
si
ama
,
diciamolo
pure
;
accettatala
,
non
è
più
un
male
necessario
,
perché
al
pari
dell
'
Eros
,
la
violenza
ha
una
sua
voluttà
,
non
è
lo
strumento
di
cui
l
'
uomo
si
serve
quando
gli
occorre
,
per
poi
gettarlo
,
ma
prende
l
'
uomo
:
chi
si
guarda
intorno
sa
che
il
ricordo
di
un
'
azione
di
guerra
in
cui
rifulse
il
coraggio
è
nella
mente
di
chi
la
compì
ricordo
più
luminoso
di
ogni
azione
di
bontà
,
di
ogni
salvataggio
di
un
fratello
)
.
Non
posso
accettare
un
Cristianesimo
che
non
aggiunga
alla
sua
visione
della
giustizia
che
essa
importa
anche
per
tutti
,
volonterosi
o
riluttanti
,
il
distacco
da
troppi
godimenti
terreni
;
che
un
paradiso
(
molto
relativo
)
cristiano
su
questa
terra
può
essere
solo
quello
di
una
cristianità
distaccata
dagli
agi
,
dal
prestigio
,
dalla
fama
,
che
accetta
una
generale
umiltà
.
Trasportate
al
nostro
tempo
,
le
parole
di
Lenin
,
per
ammettere
sinceramente
nelle
proprie
file
di
combattenti
anche
quelli
che
credono
nel
regno
dei
cieli
,
dovrebbero
suonare
:
«
Uniti
tutti
quelli
che
non
vogliamo
spargere
sangue
né
togliere
la
libertà
ad
alcuno
,
per
assicurare
una
società
di
eguali
nel
godimento
dei
beni
economici
,
di
aiuto
reciproco
;
e
allora
poco
può
importarci
che
tra
questi
vi
sia
chi
crede
pure
in
un
regno
dei
cieli
»
.
Ma
la
rivoluzione
russa
non
si
sarebbe
fatta
in
tal
modo
.
E
se
considero
la
perdita
di
ogni
fede
religiosa
come
una
ulteriore
ragione
d
'
infelicità
dell
'
uomo
(
che
vede
marciare
verso
l
'
etica
dello
stordimento
,
un
susseguirsi
senza
posa
di
gioie
diverse
,
tutte
carnali
,
ch
'
egli
vuole
scambiare
per
la
felicità
)
,
tuttavia
mi
rendo
conto
della
propaganda
ateistica
dei
Paesi
comunisti
,
almeno
in
terre
che
furono
cristiane
.
necessario
infatti
che
il
risultato
raggiunto
si
consideri
il
paradiso
conquistato
(
Cotta
in
un
suo
breve
saggio
,
La
sexualité
en
tant
que
dernier
mythe
politique
,
scorge
in
tutte
le
dottrine
rivoluzionarie
una
ricerca
,
spesso
inconscia
,
dell
'
innocenza
perduta
dell
'
uomo
)
;
paradiso
che
occorre
difendere
,
e
dove
,
come
quello
biblico
,
ci
deve
essere
chi
(
uomo
o
collegio
)
ha
il
supremo
potere
,
e
non
può
tollerare
autorità
religiose
o
intellettuali
che
non
convenendo
con
lui
su
ciò
ch
'
è
bene
e
ciò
ch
'
è
male
,
rischino
di
far
perdere
la
fiducia
in
questo
paradiso
.
Poiché
la
montagna
non
andava
a
Maometto
,
andò
Maometto
alla
montagna
:
dalle
inclusioni
di
cattolici
come
indipendenti
nelle
liste
elettorali
comuniste
,
trovo
conferma
alla
mia
antica
constatazione
,
che
il
colloquio
non
ha
mai
portato
un
comunista
a
divenire
fedele
di
una
qualsiasi
religione
,
bensì
degli
uomini
cresciuti
in
ambiente
religioso
a
divenire
comunisti
.
E
,
per
tornare
al
paradiso
,
qui
pure
il
paradiso
cristiano
si
avvicina
per
questi
al
paradiso
di
Lenin
;
su
una
rivista
di
Napoli
di
cattolici
del
dissenso
,
in
un
buon
articolo
di
Carlo
Cardia
«
Il
giurista
e
gli
occhi
della
storia
»
(
buon
articolo
,
in
molti
punti
con
affermazioni
cattolico
-
liberali
cui
sono
sempre
rimasto
fedele
)
,
leggo
anche
affermazioni
in
tema
di
insegnamento
ecclesiastico
circa
l
'
etica
sessuale
,
che
mi
lasciano
più
che
dubbioso
;
e
apprendo
che
un
teologo
tedesco
si
pone
la
domanda
:
«
E
'
moralmente
giustificabile
una
continenza
assoluta
?
»
.
Cardia
è
prudentissimo
,
fino
a
deplorare
che
la
Chiesa
accordi
dispense
matrimoniali
tra
affini
in
primo
grado
.
Ma
,
mentre
non
è
dubbio
che
il
giurista
debba
argomentare
con
gli
occhi
della
storia
,
o
meglio
con
la
coscienza
sociale
,
e
così
pur
nel
non
lungo
periodo
di
durata
di
una
legge
,
mutarne
la
interpretazione
,
il
credente
ritiene
vi
siano
precetti
eterni
,
comandamenti
che
valgano
per
ogni
tempo
.
Per
restare
al
«
paradiso
sulla
terra
»
,
per
il
credente
esso
è
dato
dalla
serenità
di
chi
si
può
abbandonare
completamente
alla
Provvidenza
,
e
ritenere
buono
ciò
che
accade
,
seppure
sia
la
infermità
o
la
mutilazione
che
lo
colpisce
.
Ma
quando
in
tema
di
sesso
comincia
a
considerare
lieve
la
colpa
che
per
secoli
fu
ritenuta
grave
,
ci
si
avvia
su
un
cammino
pericoloso
;
in
fondo
può
anche
trovarsi
il
D
'
Annunzio
giovane
,
col
suo
Eleabani
,
figlio
di
Gesì
,
col
suo
anti
-
Vangelo
:
«
La
carne
è
santa
.
Guai
a
chi
non
piega
l
'
anima
innanzi
a
lei
»
.
StampaQuotidiana ,
È
difficile
sottrarsi
alla
suggestione
culinaria
di
Roma
,
come
è
praticamente
impossibile
non
seguirne
gli
orari
.
Ingrid
Bergman
,
che
aveva
visto
in
Roberto
Rossellini
il
cittadino
e
l
'
interprete
di
una
città
«
aperta
»
a
drammatiche
esperienze
e
a
forti
passioni
,
imparò
in
pochi
mesi
a
distinguere
gli
agnolotti
gratinati
del
Pastarellaro
da
quelli
dei
Tre
scalini
.
L
'
incantevole
nordica
che
alcuni
anni
prima
,
in
Intermezzo
,
ci
era
sembrata
incorporea
,
dimostrò
di
saper
demolire
montagne
di
fettuccine
e
abbacchi
da
mettere
in
soggezione
un
camionista
.
Premurosamente
assistita
da
'
Alfredo
alla
Scrofa
'
o
dal
'
Re
degli
Amici
'
,
Ava
Gardner
mise
in
ombra
le
più
rinomate
«
forchette
»
di
via
della
Croce
.
Nel
1956
,
conobbi
a
Milano
una
giovane
signora
americana
,
bellissima
,
alta
,
bionda
,
buona
amica
dell
'
attore
Bruce
Cabot
.
Come
molte
sue
connazionali
,
pareva
che
vivesse
sotto
una
campana
di
cristallo
.
La
maggior
preoccupazione
di
Cabot
,
suo
fedele
cavalier
servente
,
era
quella
di
farla
mangiare
.
Nessuna
pietanza
,
per
delicata
e
leggera
che
fosse
,
riusciva
a
stuzzicare
l
'
appetito
della
signora
e
a
farle
dimenticare
per
un
momento
la
sua
preziosissima
linea
.
Creme
scolorite
di
legumi
,
verdure
estenuate
dalla
lunga
cottura
,
sugo
di
pompelmo
e
d
'
arancia
,
costituivano
il
malinconico
pasto
della
bionda
.
Il
povero
Bruce
Cabot
,
seduto
di
fronte
a
lei
,
era
costretto
a
tirare
la
cinghia
per
non
rischiare
un
benservito
.
La
signora
,
ricordando
il
marito
dal
quale
aveva
appena
divorziato
,
era
solita
definirlo
«
uno
di
quegli
orribili
uomini
che
mangiano
mostruose
bistecche
e
spaventose
uova
fritte
sul
lardo
affumicato
»
.
Il
simpatico
Bruce
sacrificava
lo
stomaco
al
cuore
:
ma
a
questo
mondo
ho
visto
poche
cose
più
tristi
dei
suoi
occhi
azzurri
,
di
fronte
ai
piatti
striminziti
cui
era
condannato
.
Qualche
mese
dopo
,
incontrai
Bruce
Cabot
a
Roma
.
Era
solo
e
aveva
un
'
ottima
cera
.
Gli
chiesi
notizie
della
signora
.
Il
celebre
protagonista
della
Jena
di
Barlow
mi
disse
sogghignando
:
«
Margy
è
tornata
a
Nuova
York
.
Irriconoscibile
.
Tutta
piena
di
foruncoli
terribili
,
in
tutto
il
corpo
.
Un
foruncolo
andava
,
uno
veniva
.
Intossicazione
.
Qualche
giorno
dopo
il
nostro
arrivo
a
Roma
,
la
farfalla
è
diventata
un
coccodrillo
.
Passava
le
giornate
a
scoprire
nuove
trattorie
.
Prenotava
tavoli
la
mattina
per
la
sera
,
la
sera
per
la
mattina
dopo
.
Fritti
enormi
.
Centinaia
di
foruncoli
.
Partita
»
.
Un
saggio
storiografico
,
rigoroso
e
documentato
,
sulla
gastronomia
romana
e
sulle
trattorie
più
antiche
e
rinomate
della
capitale
,
non
sarebbe
opera
trascurabile
.
Evitando
i
luoghi
comuni
e
il
colore
locale
,
frugando
nella
cronaca
,
ne
verrebbe
fuori
un
'
apprezzabile
serie
di
ritratti
:
visti
di
scorcio
ma
vivi
.
Nel
maggio
del
1938
,
quando
Hitler
trascorse
sei
giorni
a
Roma
assieme
a
un
gruppo
di
gerarchi
accompagnati
dalle
mogli
,
il
programma
delle
accoglienze
non
si
limitò
alle
luminarie
stradali
,
alle
adunate
oceaniche
e
alle
parate
militari
.
Gli
specialisti
del
Quirinale
e
di
Palazzo
Venezia
si
diedero
molto
da
fare
anche
per
studiare
i
menu
dei
pranzi
e
delle
cene
ufficiali
:
in
modo
che
il
dittatore
tedesco
e
il
suo
seguito
gustassero
,
volta
per
volta
,
le
specialità
locali
,
senza
il
fastidio
di
ripetizioni
.
Mussolini
,
com
'
è
noto
,
non
dava
molta
importanza
al
cibo
.
È
ancora
incerto
se
davvero
fosse
afflitto
da
ulcera
gastrica
,
e
comunque
se
si
trattasse
di
un
'
ulcera
grave
;
ma
è
un
fatto
che
per
almeno
i
primi
dieci
anni
del
suo
regime
mangiò
soltanto
ciò
che
gli
cucinava
un
'
anziana
,
fedele
domestica
romagnola
.
Può
darsi
che
il
ricordo
dei
manicaretti
serviti
dai
Borgia
ai
loro
nemici
non
fosse
estraneo
alle
abitudini
casalinghe
del
duce
,
specialmente
nel
quinquennio
in
cui
scampò
a
diversi
attentati
.
Ma
anche
più
tardi
,
quando
l
'
opposizione
rinunciò
ai
metodi
violenti
e
non
si
parlò
più
della
famosa
ulcera
,
a
parte
qualche
semplice
e
sbrigativo
«
rancio
»
,
Mussolini
mangiò
in
pubblico
rarissime
volte
.
Le
sue
soste
più
calme
e
lunghe
davanti
a
una
tavola
imbandita
,
le
fece
al
ristorante
del
Furlo
,
sul
passo
omonimo
,
dove
talvolta
arrivava
senza
preavviso
,
dopo
aver
pilotato
la
macchina
,
a
gran
velocità
,
sulla
via
Flaminia
.
Ordinava
,
invariabilmente
,
un
piatto
di
tagliatelle
all
'
uovo
,
e
mezzo
pollo
alla
diavola
.
Beveva
alcuni
bicchieri
di
acqua
minerale
,
non
troppo
gelata
,
e
mezza
bottiglia
di
vino
di
pramontana
.
A
parte
tali
soste
sul
confine
tra
Lazio
e
Marche
,
Mussolini
,
pur
ostentando
gusti
e
sentimenti
popolari
,
pur
abbracciando
covoni
e
sculacciando
massaie
,
dimostrò
sempre
una
certa
insofferenza
per
gli
indugi
culinari
e
per
l
'
impegno
che
molti
suoi
collaboratori
mettevano
nei
riti
della
mensa
.
Una
volta
,
che
gli
si
proponeva
di
valorizzare
un
certo
gerarca
provinciale
,
affidandogli
un
alto
incarico
in
Etiopia
,
disse
bruscamente
:
«
L
'
ho
visto
mangiare
.
Bocconi
troppo
grossi
e
lenti
.
Non
va
!
»
.
In
altra
occasione
,
avendo
saputo
che
un
generale
della
milizia
,
attempato
,
dall
'
aspetto
alquanto
scimmiesco
,
era
stato
visto
,
in
divisa
,
a
colazione
con
una
giovanissima
aspirante
diva
,
al
ristorante
dello
Zoo
,
convocò
l
'
ufficiale
a
Palazzo
Venezia
e
,
mezzo
burbero
mezzo
ironico
,
lo
redarguì
:
«
Non
fate
più
bambinate
del
genere
.
E
,
soprattutto
,
evitate
lo
Zoo
.
Potreste
cedere
al
richiamo
della
foresta
»
.
Mussolini
,
che
pure
amava
controllare
le
cose
di
persona
,
trascurò
,
dunque
,
il
programma
gastronomico
preparato
per
Hitler
.
Avvenne
così
che
il
capo
dei
nazisti
si
trovasse
davanti
,
la
mattina
del
5
maggio
1938
,
un
paio
di
carciofi
(
verdura
quasi
sconosciuta
in
Germania
)
rovesciati
sul
piatto
,
col
gambo
in
aria
,
un
po
'
somiglianti
ad
elmetti
chiodati
.
Chiese
come
si
chiamasse
la
pietanza
,
e
gli
fu
risposto
che
quelli
erano
i
celebri
,
classici
carciofi
«
alla
giudia
»
.
Specialità
del
ghetto
:
Hitler
,
saputo
ciò
,
s
'
irrigidì
.
Un
guizzo
di
contrarietà
gli
passò
nei
baffetti
rossi
.
Dimenticò
i
carciofi
nel
piatto
,
imitato
dai
suoi
fidi
.
La
topografia
gastronomica
della
capitale
,
rispettata
dalla
guerra
,
non
ha
subìto
trasformazioni
rilevanti
negli
ultimi
trent
'
anni
.
Soltanto
il
piccone
fascista
,
nel
quinquennio
che
precedette
la
guerra
abissina
,
cancellò
le
antiche
osterie
sparse
nel
quartiere
popolare
un
tempo
ammonticchiate
fra
piazza
Venezia
e
il
Colosseo
.
Qualche
antica
bettola
di
Trastevere
,
incastrata
fra
í
vicoli
angusti
e
le
piazzette
oscure
,
si
è
mondanizzata
,
ma
bisogna
convenire
che
ciò
non
ha
guastato
la
cucina
.
Perfino
i
«
posteggiatori
»
con
chitarra
,
nonostante
la
giacca
blu
e
la
cravatta
argentata
,
benché
guadagnino
una
media
di
cinque
,
seimila
lire
al
giorno
per
sette
mesi
all
'
anno
,
sono
rimasti
abbastanza
fedeli
all
'
antica
vena
popolare
.
I
terzetti
più
noti
,
quelli
«
fissi
»
da
Galeassi
,
da
Corsetti
,
dal
Pastarellaro
,
alla
Rifiorita
,
da
Ottavio
,
accontentano
ancora
con
visibile
soddisfazione
quei
clienti
che
,
invece
di
chiedere
canzoni
moderne
,
vogliono
ascoltare
le
vecchie
serenate
.
In
qualche
caso
,
i
cantanti
in
«
farsetto
»
e
i
chitarristi
sono
stati
soppiantati
da
indovini
,
cartomanti
,
grafologi
.
Il
più
rinomato
,
attualmente
,
è
il
così
detto
«
Mago
»
,
che
si
fa
consultare
(
tariffa
base
lire
500
)
dagli
avventori
del
ristorante
La
Sacrestia
,
dietro
il
Pantheon
.
Siede
in
un
angolo
della
sala
,
dietro
un
paravento
.
Risponde
senza
leggerle
alle
domande
che
il
cliente
scrive
su
una
strisciolina
di
carta
.
Non
sbaglia
quasi
mai
.
Soltanto
alcune
settimane
prima
delle
elezioni
lesse
nell
'
avvenire
di
Achille
Lauro
circa
un
milione
di
voti
monarchici
in
più
.