StampaQuotidiana ,
Se
devo
dire
la
verità
,
il
mio
tempo
non
mi
ispira
che
odio
e
noia
.
Se
è
perché
sono
diventata
vecchia
e
retrograda
,
annoiata
e
ipocondriaca
,
o
se
invece
quello
che
provo
è
un
giusto
odio
,
non
lo
so
.
Penso
che
molti
della
mia
generazione
si
pongano
questa
mia
stessa
domanda
.
Ho
l
'
impressione
che
l
'
odio
e
la
noia
siano
cominciati
in
me
in
un
momento
determinato
.
Non
so
precisare
un
simile
momento
nel
tempo
:
so
però
che
tutto
è
successo
di
colpo
,
e
non
a
poco
a
poco
.
E
stato
alcuni
anni
fa
:
forse
cinque
o
sei
anni
fa
.
Prima
,
tutto
quello
che
i
miei
contemporanei
inseguivano
e
amavano
non
mi
era
mai
né
odioso
,
né
estraneo
;
tutto
quello
che
incuriosiva
,
seduceva
e
trascinava
le
persone
intorno
a
me
,
incuriosiva
,
seduceva
e
trascinava
me
pure
.
Invece
a
un
tratto
ho
sentito
che
non
era
più
così
;
che
io
continuavo
a
perseguire
in
me
stessa
cose
di
cui
la
gente
intorno
a
me
s
'
infischiava
:
e
il
contrario
.
E
quello
che
deliziava
i
miei
simili
,
a
me
non
ispirava
che
repulsione
.
Se
dovessi
tradurre
quello
che
mi
è
accaduto
in
un
'
immagine
,
direi
che
ho
la
sensazione
che
il
mondo
a
un
tratto
si
sia
coperto
di
funghi
e
a
me
non
interessano
questi
funghi
.
Vorrei
capire
però
se
è
un
fatto
che
devo
spiegare
con
la
mia
vecchiaia
,
personale
e
privata
,
o
se
invece
di
colpo
abbia
preso
coscienza
in
me
un
giusto
odio
.
Un
simile
atteggiamento
di
indifferenza
o
di
repulsione
per
le
curiosità
,
le
inclinazioni
e
i
costumi
che
ruotano
intorno
a
noi
nel
presente
,
mi
sembra
in
se
stesso
quanto
mai
melenso
e
riprovevole
.
Il
rifiutarsi
al
presente
,
l
'
isolarsi
nel
rimpianto
d
'
un
passato
defunto
,
vuol
dire
rifiutarsi
di
pensare
.
Mi
sembra
però
ancora
più
melenso
,
e
ancora
più
colpevole
,
l
'
atteggiamento
inverso
:
cioè
il
costringere
noi
stessi
ad
amare
e
inseguire
tutto
quanto
di
nuovo
compare
intorno
a
noi
.
Questa
è
ancor
più
un
'
offesa
contro
il
vero
.
Vuoi
dire
aver
paura
di
mostrarci
come
siamo
,
cioè
stanchi
,
amari
,
ormai
immobili
e
vecchi
.
Vuoi
dire
aver
terrore
d
'
essere
lasciati
in
disparte
;
aver
terrore
di
trovarci
respinti
,
con
i
nostri
inutili
rimpianti
,
nei
nostri
regni
in
rovina
.
Che
i
nostri
rimpianti
per
un
mondo
defunto
siano
inutili
,
è
indubitato
.
Difatti
quel
mondo
,
così
com
'
era
,
non
potrà
risorgere
mai
.
è
inoltre
assai
dubbio
se
fosse
davvero
da
rimpiangere
.
Nel
fatto
che
noi
siamo
portati
a
rimpiangerlo
,
essendo
stato
il
mondo
che
ospitava
la
nostra
giovinezza
,
non
va
osservata
che
un
'
inclinazione
sentimentale
,
una
debolezza
del
nostro
spirito
.
Detto
questo
però
va
anche
detto
che
è
totalmente
impossibile
all
'
uomo
stabilire
cosa
gli
sia
utile
e
cosa
gli
sia
inutile
.
L
'
uomo
non
lo
sa
.
Penso
che
essenzialmente
quello
che
detesto
nel
mio
tempo
,
è
proprio
una
falsa
concezione
dell
'
utile
e
dell
'
inutile
.
Utile
viene
oggi
decretata
la
scienza
,
la
tecnica
,
la
sociologia
,
la
psicanalisi
,
la
liberazione
dai
tabù
del
sesso
.
Tutto
questo
è
reputato
utile
,
e
circondato
di
venerazione
.
Il
resto
è
disprezzato
come
inutile
.
Nel
resto
però
c
'
è
un
mondo
di
cose
.
Esse
vanno
evidentemente
chiamate
inutili
,
non
portando
con
sé
per
i
destini
dell
'
umanità
nessun
vantaggio
sensibile
.
Enumerarle
sarebbe
difficile
,
essendo
esse
infinite
.
Fra
esse
c
'
è
il
giudizio
morale
individuale
,
la
responsabilità
individuale
,
il
comportamento
morale
individuale
.
Fra
esse
c
'
è
l
'
attesa
della
morte
.
Tutto
quello
che
costituisce
la
vita
dell
'
individuo
.
Fra
esse
c
'
è
il
pensiero
solitario
,
la
fantasia
e
la
memoria
,
i
rimpianti
per
le
età
perdute
,
la
malinconia
.
Tutto
quello
che
forma
la
vita
della
poesia
.
Una
simile
parola
,
negletta
,
schernita
e
umiliata
,
appare
oggi
così
antica
e
intrisa
di
vecchie
lagrime
e
polvere
,
quasi
fosse
lo
spettro
stesso
dell
'
inutilità
,
che
uno
si
vergogna
perfino
di
pronunciarla
.
Essendo
dunque
negletto
e
mortificato
tutto
quello
che
forma
la
vita
dell
'
individuo
,
essendo
venerati
e
santificati
gli
dei
dell
'
esistenza
collettiva
,
avviene
che
non
è
più
tenuto
in
nessun
conto
il
solitario
pensiero
.
E
stato
decretato
che
non
serve
a
nulla
,
che
non
ha
potere
alcuno
,
che
non
incide
in
nulla
sulla
vita
dell
'
universo
.
Sembrando
l
'
umanità
ammalata
,
utili
sono
chiamate
soltanto
quelle
che
si
stimano
essere
medicine
per
curarla
.
Il
pensiero
solitario
non
appare
se
non
come
un
malinconico
e
sterile
frutto
di
solitudine
e
di
fatica
;
e
due
cose
sono
oggi
con
prepotenza
odiate
e
ripudiate
,
la
fatica
e
la
solitudine
.
Si
cerca
di
combatterle
e
di
annientarle
ovunque
se
ne
scorga
una
pallida
impronta
.
Ci
si
raduna
in
gruppo
,
per
difendersi
dall
'
oscurità
e
dal
silenzio
,
dalla
presenza
faticosa
e
stremante
del
proprio
essere
singolo
;
ci
si
raduna
in
gruppo
per
viaggiare
,
per
esistere
,
per
suonare
e
cantare
,
per
creare
opere
.
Ci
si
raduna
in
gruppo
anche
per
fare
l
'
amore
:
sembrando
faticoso
e
stremante
,
e
troppo
imparentato
con
la
solitudine
,
il
famoso
antichissimo
rapporto
di
una
sola
donna
con
un
solo
uomo
.
Il
desiderio
di
difendersi
con
ogni
mezzo
dalla
solitudine
e
dalla
fatica
,
appare
chiaro
soprattutto
in
due
espressioni
della
vita
attuale
:
nelle
opere
creative
,
e
nei
rapporti
fra
donne
e
uomini
.
Fra
le
età
dell
'
uomo
,
quella
che
oggi
è
preferita
e
amata
è
l
'
adolescenza
:
essendo
insieme
l
'
età
in
cui
ci
si
sveglia
ai
piaceri
della
vita
adulta
,
e
in
cui
la
fatica
degli
adulti
ci
è
risparmiata
.
Essa
è
anche
l
'
età
in
cui
le
colpe
ci
vengono
perdonate
.
Così
,
il
mondo
di
oggi
appare
come
il
regno
degli
adolescenti
;
donne
e
uomini
si
travestono
da
adolescenti
,
qualunque
sia
l
'
età
che
hanno
toccata
.
In
questo
sogno
d
'
adolescenza
,
uomini
e
donne
si
rassomigliano
e
si
identificano
,
sembrando
voler
apparire
la
medesima
cosa
:
il
medesimo
essere
ambiguo
,
languido
,
randagio
e
soave
,
indifeso
e
tenero
,
con
panni
colorati
e
laceri
e
chiome
fluenti
;
immerso
in
un
eterno
abbandono
,
perduto
in
un
eterno
pellegrinaggio
,
senza
propositi
e
senza
tempo
.
Qualcosa
fra
una
vergine
,
un
profugo
,
un
monaco
,
una
principessa
.
Volendo
apparire
insieme
uomo
e
donna
,
questo
essere
vuole
anche
apparire
insieme
ricchissimo
e
poverissimo
,
e
mescolare
su
di
sé
e
condividere
molteplici
destini
:
né
per
lui
esistono
stagioni
,
mescolandosi
nelle
sue
vesti
l
'
estate
e
l
'
inverno
.
Nell
'
unirsi
in
gruppo
per
far
l
'
amore
,
nel
rifiutare
il
segreto
del
rapporto
a
due
,
c
'
è
ancora
un
sogno
d
'
adolescenza
.
Possiamo
leggervi
il
desiderio
che
il
rapporto
più
drammatico
fra
quelli
esistenti
,
il
rapporto
fra
uomo
e
donna
,
perda
la
sua
drammaticità
e
si
trasformi
in
qualcosa
di
innocente
,
che
assomigli
il
più
possibile
a
un
gioco
di
ragazzi
,
senza
propositi
,
senza
durata
e
senza
fatica
,
leggero
,
transitorio
e
incruento
.
Quanto
alle
opere
creative
,
esse
esprimono
ugualmente
un
desiderio
di
non
-
fatica
,
non
-
travaglio
,
non
-
dolore
,
non
-
spargimento
di
sangue
;
i
romanzi
e
i
versi
aridi
e
confusi
che
oggi
vengono
scritti
,
dicono
chiaro
come
non
sia
stata
spesa
per
scriverli
un
'
ombra
di
fatica
reale
,
e
chi
li
ha
scritti
si
è
limitato
a
specchiarsi
nella
sua
aridità
e
confusione
;
le
opere
d
'
arte
che
si
vedono
nelle
gallerie
e
nei
musei
,
composte
di
veri
manici
di
scopa
e
di
veri
secchi
di
plastica
,
i
quadri
fatti
di
un
semplice
strato
di
colore
,
non
hanno
richiesto
nulla
di
più
d
'
una
veloce
ricerca
in
cucina
o
d
'
una
rapida
pennellata
simile
a
quella
di
chi
vernicia
una
stanza
.
Portando
così
di
peso
nell
'
arte
la
realtà
più
transitoria
e
più
vile
,
l
'
uomo
di
oggi
intende
esprimere
il
vuoto
e
la
sfiducia
che
lo
circonda
,
vuoto
da
cui
non
trae
che
una
scopa
,
una
palla
di
vetro
o
una
macchia
di
vernice
;
ma
esprime
anche
la
sua
volontà
di
risparmiare
a
se
stesso
il
sangue
,
il
travaglio
,
lo
strazio
e
la
solitudine
della
creazione
.
In
verità
,
fatica
e
solitudine
appaiono
come
i
più
temibili
nemici
del
vivere
,
perché
l
'
umanità
intiera
è
oppressa
da
fatica
e
solitudine
.
L
'
uomo
di
ieri
non
lo
sapeva
;
poteva
vivere
ignorando
le
sventure
della
sua
specie
.
L
'
uomo
di
oggi
non
ignora
più
nulla
di
quanto
accade
ai
suoi
simili
sotto
il
sole
;
così
non
può
più
sopportare
la
convivenza
con
se
stesso
,
odia
la
propria
immagine
,
e
sente
sulle
sue
membra
pesare
una
consapevolezza
universale
e
intollerabile
.
La
sua
liberazione
è
sopprimere
dal
suo
spirito
ogni
inclinazione
al
dolore
e
alla
fatica
;
e
con
essi
ogni
senso
di
colpa
,
ogni
solitario
terrore
.
La
sua
liberazione
è
rifugiarsi
in
uno
stato
di
adolescenza
eterna
,
di
estrema
irresponsabilità
e
libertà
;
far
buio
sui
propri
complessi
,
sulle
proprie
inibizioni
,
sulle
proprie
nevrosi
;
avendoli
a
lungo
esplorati
,
sbarazzarsene
,
come
di
ombre
o
di
incubi
;
definirli
inutili
,
e
definire
inutile
con
loro
tutto
il
mondo
dello
spirito
.
L
'
essersi
così
sbarazzato
di
complessi
e
inibizioni
,
non
lo
rende
fiero
né
lo
rallegra
,
perché
l
'
uomo
di
oggi
non
ha
dentro
di
sé
un
luogo
dove
rallegrarsi
o
andar
fiero
.
Inoltre
sa
che
il
mondo
delle
angosce
e
degli
incubi
non
si
è
dissolto
,
ma
è
stato
semplicemente
chiuso
fuori
e
si
affolla
sulla
sua
soglia
.
Gli
strumenti
per
difendersi
da
queste
presenze
nascoste
gli
sono
stati
insegnati
,
ed
egli
li
adopera
.
Essi
sono
la
droga
,
la
collettività
,
il
rumore
,
il
sesso
.
Sono
le
espressioni
molteplici
della
sua
libertà
.
Non
fiera
e
non
allegra
,
e
nemmeno
disperata
perché
non
ha
memoria
d
'
aver
mai
sperato
nulla
,
priva
di
passato
e
di
futuro
perché
non
ha
né
propositi
né
ricordi
,
questa
libertà
dell
'
uomo
di
oggi
cerca
nel
presente
non
una
fragile
felicità
,
che
non
saprebbe
come
usare
non
possedendo
né
fantasia
né
memoria
,
ma
invece
una
fulminea
sensazione
di
sopravvivenza
e
di
scelta
.
Bandito
lo
spirito
,
l
'
uomo
di
oggi
non
ha
a
sua
disposizione
nulla
se
non
questa
scelta
imperiosa
,
occasionale
e
fulminea
.
Quello
che
essa
coglie
nel
presente
è
come
il
manico
di
scopa
o
le
bacinelle
delle
attuali
opere
d
'
arte
:
un
oggetto
,
in
verità
assai
banale
e
volgare
,
ma
comunque
un
oggetto
,
scelto
e
acchiappato
a
volo
nel
vuoto
;
un
segno
che
una
scelta
è
ancora
possibile
,
che
un
oggetto
può
ancora
essere
chiamato
unico
,
essendo
stato
scelto
non
si
sa
perché
fra
i
milioni
di
oggetti
identici
che
ruotano
nei
vortici
dello
spazio
.
StampaQuotidiana ,
I
commenti
demoliberali
e
antifascisti
sulla
elezione
di
Hindenburg
sono
pietosi
.
Basta
constatarli
,
come
ieri
abbiamo
constatato
il
valore
profetico
(
!
)
dell
'
anticipato
commento
del
nobiluomo
Sforza
.
Non
occorre
confutarli
.
Lasciamo
che
si
invochi
l
'
unione
di
tutte
le
democrazie
etcetera
etcetera
.
Intanto
,
a
scanso
di
equivoci
,
per
eliminare
le
solite
balorde
«
filie
»
che
hanno
sempre
ottenebrato
un
chiaro
giudizio
,
necessario
in
politica
estera
,
e
per
fissare
alcune
coincidenze
fondamentali
germaniche
,
anche
nella
lotta
dei
partiti
,
ricordiamo
che
il
cartello
delle
sinistre
,
messo
di
faccia
alla
semplificazione
delle
candidature
alla
Presidenza
,
per
combattere
la
destra
,
si
era
fatto
destro
,
aveva
scelto
un
candidato
di
minoranza
nel
cartello
delle
sinistre
,
e
che
Marx
,
contrapposto
ad
Hindenburg
,
si
è
lasciato
andare
ad
affermazioni
pangermaniste
,
per
confermare
ancora
che
la
Repubblica
può
aver
eliminato
la
dinastia
degli
Hohenzollern
,
può
aver
aperto
la
via
ad
un
esperimento
parlamentaristico
,
ma
che
il
regime
,
il
Reich
,
ha
sempre
uno
spirito
saldamente
nazionale
e
imperiale
.
Se
la
democrazia
nostrana
ha
versato
fiumi
di
elegiaco
inchiostro
sulla
povera
Germania
e
ha
invocato
tutti
i
favori
per
il
nuovo
regime
,
presentato
come
contrito
e
rassegnato
,
noi
non
abbiamo
mai
partecipato
a
questa
esibizione
di
tradizionale
imbecillità
.
La
candidatura
Marx
del
cartello
socialdemocratico
era
già
dunque
una
candidatura
di
destra
socialdemocratica
.
Il
significato
della
vittoria
di
Hindenburg
è
però
accresciuto
da
questa
premessa
.
Ed
ecco
perché
la
sorpresa
,
segnalata
da
Parigi
e
anche
da
Londra
,
è
una
sorpresa
puerile
.
E
più
puerile
ancora
è
il
tentativo
dei
laburisti
e
liberali
inglesi
di
attribuire
la
vittoria
del
Maresciallo
alla
mancata
disoccupazione
di
Colonia
.
Se
mai
,
da
questo
gioco
polemico
dei
sinistri
inglesi
,
poco
soddisfacente
per
i
sinistri
francesi
,
che
sono
oggi
inchiodati
al
governo
,
appare
chiaro
come
la
Germania
possa
riuscire
facilmente
a
guadagnare
per
la
propria
politica
,
giocando
ora
col
berretto
frigio
ora
con
l
'
elmo
a
chiodo
,
perché
trova
sempre
ben
disposta
una
imbecille
democrazia
europea
o
a
darle
ragione
o
a
dar
torto
ad
un
altro
paese
,
accusato
di
irritarla
.
La
verità
è
che
la
vittoria
di
Hindenburg
rappresenta
per
ora
una
tipica
espressione
dello
spirito
germanico
,
dello
spirito
della
guerra
,
e
significa
che
in
nessun
paese
,
anche
in
un
paese
vinto
,
è
lecito
fondare
le
proprie
fortune
politiche
su
una
mostruosa
rinnegazione
del
sacrifizio
in
guerra
e
delle
virtù
militari
di
un
popolo
.
Presto
o
tardi
,
queste
tristi
fortune
politiche
debbono
tramontare
,
e
,
se
non
tramontassero
,
vuoi
dire
che
il
popolo
che
le
sopporta
è
un
popolo
corrotto
e
colpito
a
morte
.
La
vittoria
di
Hindenburg
è
la
liquidazione
automatica
,
ma
oramai
tombale
,
di
tutto
il
ridicolo
armamentario
dell
'
infatuazione
vilsoniana
nelle
democrazie
europee
,
che
voleva
i
processi
a
Guglielmo
e
ai
responsabili
della
guerra
,
tra
i
quali
,
se
mal
non
riteniamo
questi
ricordi
cretinissimi
,
era
lo
stesso
Hindenburg
;
che
voleva
gli
Hohenzollern
in
perpetuo
esilio
;
che
pretendeva
imporre
un
regime
antimonarchico
e
parlamentaristico
;
e
che
credeva
,
con
tutto
ciò
,
di
dare
un
crisma
morale
alla
vittoria
e
di
guarire
in
perpetuo
la
Germania
,
considerata
minorenne
,
dalla
rosolia
dell
'
imperialismo
,
invenzione
letteraria
di
quattro
mentecatti
,
portandola
riconciliata
sotto
la
tutela
delle
grandi
democrazie
dell
'
era
nuova
!
Tutte
queste
pretese
goffe
non
hanno
potuto
avere
,
sebbene
sanzionate
in
articoli
di
Trattato
,
alcuna
realizzazione
.
Sono
crollate
.
Ma
oggi
la
vittoria
di
Hindenburg
significa
che
la
Germania
non
ammette
più
alcuna
subordinazione
del
proprio
regime
allo
straniero
,
e
poiché
,
all
'
infuori
di
chiacchiere
sconclusionate
di
giornali
,
nessuna
azione
diplomatica
seria
potrebbe
esserci
da
parte
dell
'
Intesa
,
può
dirsi
che
questa
affermazione
oramai
c
'
è
,
e
incontrovertibile
.
Si
può
infatti
affermare
che
uno
degli
elementi
più
favorevoli
all
'
elezione
di
Hindenburg
sia
stato
appunto
quella
parte
della
propaganda
avversaria
,
che
metteva
avanti
la
minaccia
di
rappresaglie
straniere
,
offesa
intollerabile
dello
spirito
nazionale
.
Se
la
vittoria
del
Maresciallo
non
diventa
strumento
di
quelle
grossolane
infatuazioni
,
che
sono
tipiche
della
politica
germanica
,
perché
tipiche
dello
spirito
germanico
,
è
probabile
che
,
assicurato
questo
caposaldo
,
non
si
compiranno
atti
i
quali
possano
invalidare
,
per
ora
,
l
'
esecuzione
già
accettata
del
piano
Dawes
:
modificare
la
proposta
del
patto
di
sicurezza
e
la
partecipazione
alla
Lega
delle
Nazioni
.
La
Germania
mira
in
realtà
a
ristabilire
una
situazione
di
parità
europea
,
e
a
lavorare
con
tenacia
in
questa
riconquistata
posizione
.
Ma
quali
possano
essere
le
ripercussioni
diplomatiche
della
elezione
di
Hindenburg
,
noi
sappiamo
che
la
Germania
vuol
riprendere
in
pieno
la
sua
azione
di
potenza
,
di
potenza
che
può
esprimere
audacie
imperiali
,
anche
in
un
periodo
di
costrizioni
militari
,
di
un
imperialismo
economico
e
produttivo
,
che
non
tarderà
a
farsi
sentire
.
Mussolini
non
aveva
atteso
l
'
elezione
di
Hindenburg
per
richiamare
,
mesi
fa
,
nel
discorso
di
Milano
,
l
'
Italia
ad
una
sempre
più
profonda
comprensione
delle
nostre
difficoltà
esterne
,
per
il
ritorno
della
Germania
alla
sua
libertà
commerciale
.
Non
occorreva
infatti
la
morte
di
Ebert
e
questo
primo
saggio
di
elezione
presidenziale
per
sentire
la
presenza
germanica
,
dopo
la
vittoria
interna
sull
'
annullamento
del
marco
,
e
l
'
accettazione
del
piano
Dawes
,
cominciata
con
un
prestito
rinsanguatore
di
ottocento
milioni
di
marchi
oro
.
Soltanto
i
ciechi
e
i
sordi
potevano
ignorare
i
veri
propositi
germanici
,
espressione
dello
spirito
della
razza
.
E
l
'
Italia
ha
avuto
e
ha
modo
di
accorgersi
dei
propositi
germanici
nei
negoziati
durissimi
,
sui
quali
spesso
abbiamo
richiamato
l
'
attenzione
dei
lettori
.
Questa
è
la
Germania
che
guarda
al
Brennero
e
anche
oltre
Brennero
.
L
'
Italia
vittoriosa
non
deve
temerla
,
e
non
deve
osteggiarla
pregiudizialmente
.
Ma
l
'
Italia
fascista
,
che
sa
intendere
lo
spirito
della
vittoria
di
Hindenburg
,
per
questo
appunto
rifiuta
il
metodo
socialdemocratico
,
che
,
innanzi
alla
dura
realtà
,
si
rifugia
ciecamente
nelle
ideologie
internazionalistiche
,
e
ad
ogni
brusco
risveglio
,
impreca
stupidamente
sulla
nequizie
umana
e
contro
la
storia
,
che
si
ostina
a
non
inquadrarsi
negli
schemi
dell
'
idiozia
demoliberale
.
L
'
Italia
fascista
sa
che
per
rispondere
ai
propri
compiti
,
in
questa
crisi
europea
,
secondo
lo
spirito
della
vittoria
,
ci
vuole
una
formidabile
disciplina
interna
,
difesa
con
tutti
i
mezzi
contro
quelli
che
non
ancora
la
vogliono
,
perché
occorre
esser
forti
,
per
non
correr
il
rischio
di
sedurre
le
minaccie
altrui
con
la
propria
debolezza
.
In
Europa
c
'
è
una
Germania
,
che
richiama
lo
spirito
della
razza
.
Ecco
la
verità
,
verità
storica
,
che
le
giraffe
vanitose
e
stupide
della
socialdemocrazia
non
vedevano
e
non
vedono
con
la
testa
fra
le
nuvole
delle
loro
ideologie
.
Per
vivere
amichevolmente
con
questa
Germania
,
bisogna
che
stia
ben
ferma
al
confine
austriaco
.
Ecco
una
prima
cosa
da
dire
,
fascisticamente
,
dopo
la
vittoria
di
Hindenburg
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
6
maggio
.
San
Silvestro
,
poste
centrali
,
ore
11.30
.
Reparto
vaglia
telegrafici
.
Folla
.
Davanti
a
uno
degli
sportelli
dove
s
'
incassa
,
un
grosso
signore
strabuzza
gli
occhi
e
si
asciuga
il
sudore
.
L
'
impiegato
,
sottile
,
occhialuto
,
in
grembiule
nero
,
il
cranio
calvo
velato
da
pochi
capelli
incollati
di
traverso
,
scruta
attentamente
due
vaglia
.
Li
gira
e
rigira
.
Manca
solo
che
li
guardi
di
taglio
.
Poi
scuote
appena
la
testa
e
dice
:
«
Tutto
regolare
.
Se
la
somma
fosse
minore
,
forse
la
carta
di
identità
basterebbe
.
Ma
per
370
mila
lire
,
bisogna
che
qualcuno
da
noi
ben
conosciuto
la
conosca
.
Mi
dispiace
»
.
Il
signore
apre
la
bocca
per
dire
qualcosa
.
La
richiude
e
rotea
gli
occhi
come
un
basilisco
in
amore
.
Inghiotte
.
Ritira
attraverso
lo
sportello
i
suoi
vaglia
,
li
agita
come
per
farsi
fresco
,
li
sbircia
.
Finalmente
,
con
accento
spiccatamente
veneto
,
dice
:
«
Ma
chi
volete
,
anime
del
paradiso
,
che
io
conosca
,
qui
a
Roma
,
e
per
di
più
che
voi
ben
conosciate
?
?
?
Ho
qualche
conoscenza
:
ma
come
faccio
a
sapere
,
santa
pace
,
se
quelli
che
conosco
io
conoscono
anche
voi
,
e
bene
per
di
più
!
E
poi
,
perché
,
pace
del
cuore
benedetto
,
la
carta
d
'
identità
non
basta
?
?
?
Perché
allora
,
vita
cara
,
si
chiama
carta
d
'
identità
,
se
non
serve
a
identificare
quando
bisogna
?
Su
,
da
bravi
:
datemi
questa
moneta
,
che
devo
versarla
per
un
affare
urgente
»
,
«
Dolente
»
,
fa
l
'
impiegato
,
allargando
le
mani
bianche
come
gesso
,
«
ma
proprio
non
si
può
.
Se
fossero
cinquanta
,
anche
centomila
lire
,
si
potrebbe
vedere
.
Ma
qui
,
caro
signore
,
si
tratta
di
quasi
mezzo
milione
!
Mica
si
scherza
.
Chi
se
la
prende
la
responsabilità
!
Il
regolamento
parla
chiaro
.
In
ogni
caso
,
ci
orrebbe
la
tessera
di
riconoscimento
postale
,
o
perlomeno
il
passaporto
debitamente
rinnovato
.
Ne
è
in
possesso
?
»
Il
signore
,
con
voce
fievole
,
confessa
di
non
possedere
né
l
'
una
né
l
'
altro
.
Poi
,
illuminandosi
,
dice
:
«
Ora
che
mi
ricordo
!
Uno
che
mi
conosce
,
qui
alle
poste
,
ce
l
'
avrei
.
Il
ragionier
Bortoli
Enrico
,
mio
compaesano
,
che
dev
'
essere
ai
pacchi
.
Si
potrebbe
chiamare
?
»
L
'
impiegato
si
stringe
nelle
spalle
:
«
Bortoli
?
Quello
friulano
?
È
morto
l
'
anno
scorso
,
poveraccio
.
Un
malaccio
cattivo
...
»
StampaQuotidiana ,
Nei
giorni
intorno
allo
scorso
Natale
mi
telefonò
una
persona
.
Mi
disse
che
aveva
da
propormi
un
lavoro
.
Venne
.
Era
uno
che
non
avevo
mai
visto
prima
;
lo
trovai
molto
simpatico
.
Parlammo
a
lungo
e
di
varie
cose
.
Di
lui
non
so
e
non
potrei
dire
nulla
,
se
non
che
è
molto
simpatico
e
che
lavora
alla
televisione
.
Mi
chiese
se
volevo
fare
,
per
la
televisione
,
un
'
inchiesta
sulla
donna
in
Italia
.
Risposi
che
non
sapevo
fare
le
inchieste
e
che
non
mi
piaceva
per
niente
pensare
«
alla
donna
»
,
cioè
pensare
ai
problemi
delle
donne
isolati
da
quelli
degli
uomini
.
Gli
dissi
inoltre
che
non
mi
piaceva
viaggiare
.
Non
avrei
avuto
nessuna
voglia
di
viaggiare
per
l
'
Italia
con
dei
fotografi
.
Gli
dissi
che
l
'
unica
cosa
che
amavo
al
mondo
era
scrivere
,
sul
divano
di
casa
mia
,
tutto
quello
che
mi
passava
per
la
testa
.
Mi
disse
che
non
avrei
dovuto
viaggiare
perché
altri
avrebbero
viaggiato
per
me
.
Io
potevo
restare
a
casa
mia
.
Mi
disse
che
in
questo
lavoro
non
sarei
stata
sola
,
perché
un
sociologo
avrebbe
lavorato
con
me
.
L
'
idea
di
lavorare
con
un
sociologo
mi
spaventò
moltissimo
e
rifiutai
.
Non
saprei
parlare
con
un
sociologo
;
la
sociologia
è
troppo
lontana
da
me
.
Mi
disse
allora
il
nome
del
sociologo
a
cui
avevano
pensato
e
a
cui
si
proponevano
di
scrivere
per
sapere
se
acconsentiva
.
Era
Ardigò
.
Ardigò
io
lo
conosco
poco
;
lo
conosco
però
da
molti
anni
.
Ne
ho
stima
.
Mi
ispira
simpatia
.
Ho
in
comune
con
lui
la
memoria
d
'
un
amico
.
Questo
amico
è
Felice
Balbo
,
morto
nel
'64
.
Mi
venne
a
un
tratto
il
desiderio
di
vedere
Ardigò
che
non
vedo
mai
.
Felice
Balbo
aveva
molti
amici
,
persone
diverse
fra
loro
e
che
non
avevano
fra
loro
niente
in
comune
,
se
non
l
'
abitudine
di
discutere
con
lui
fino
a
tarda
notte
.
Si
discuteva
con
lui
di
solito
in
piedi
,
perché
lui
usava
stare
in
piedi
,
e
la
discussione
diventava
particolarmente
appassionata
sul
pianerottolo
al
momento
di
salutarsi
.
Pensai
che
Balbo
sarebbe
forse
stato
contento
se
io
e
Ardigò
,
due
suoi
amici
,
avessimo
lavorato
insieme
a
un
'
inchiesta
sulla
donna
in
Italia
.
Quella
persona
simpatica
,
nell
'
andarsene
,
mi
disse
che
m
'
avrebbe
fatto
sapere
se
Ardigò
accettava
.
Quando
se
ne
fu
andato
mi
accorsi
che
non
avevo
mai
saputo
,
fino
a
quel
momento
,
che
Ardigò
era
un
sociologo
.
In
verità
non
mi
ero
mai
chiesta
cosa
fosse
Ardigò
.
Per
me
era
un
amico
di
Balbo
e
basta
.
Non
tutti
i
suoi
amici
mi
piacevano
.
Ardigò
mi
piaceva
.
La
mia
simpatia
per
lui
si
basava
su
impressioni
fuggevoli
,
ma
precise
.
Enumerai
le
cose
che
sapevo
su
Ardigò
.
Era
simpatico
.
Viveva
a
Bologna
.
Aveva
una
sorella
bionda
che
avevo
conosciuto
in
montagna
.
Pensai
che
le
mie
nozioni
sulle
persone
erano
spesso
assai
rozze
,
limitate
e
confuse
.
E
pensai
che
da
questa
mia
limitazione
,
da
questa
mia
miseria
di
nozioni
,
mi
veniva
un
senso
di
malinconia
,
di
miseria
e
di
confusione
.
Mi
veniva
come
una
sensazione
di
muovermi
nel
vuoto
.
Pensai
che
ero
l
'
ultima
persona
al
mondo
che
poteva
fare
un
'
inchiesta
in
compagnia
d
'
un
sociologo
.
Muovendomi
io
così
spesso
nel
vuoto
e
nella
nebbia
,
non
potevo
scambiar
parola
né
con
dei
politici
né
con
dei
sociologi
,
persone
che
certo
avevano
sulla
realtà
uno
sguardo
sempre
lucido
,
esatto
,
completo
e
puntuale
.
Pensai
che
Ardigò
mi
avrebbe
subito
disprezzato
.
Oppure
poteva
succedere
anche
di
peggio
,
che
cioè
lui
cadesse
in
un
equivoco
e
mi
supponesse
dotata
di
qualità
di
cultura
e
di
penetrazione
sociale
che
io
in
verità
non
possiedo
affatto
.
Pensai
che
è
molto
difficile
essere
capiti
.
Essere
capiti
vuol
dire
essere
presi
e
accettati
per
quello
che
siamo
.
Il
pericolo
più
triste
che
noi
corriamo
con
le
persone
,
non
è
tanto
che
non
vedano
o
non
amino
le
nostre
qualità
,
ma
che
invece
suppongano
che
le
nostre
qualità
reali
abbiano
proliferato
in
noi
numerose
altre
qualità
che
sono
in
noi
assolutamente
inesistenti
.
E
pensai
che
la
cosa
più
bella
che
aveva
Felice
Balbo
,
nel
suo
stare
con
le
persone
,
era
non
travisarle
mai
e
non
guarnirle
di
doni
che
esse
non
possedevano
,
ma
cercare
invece
nel
prossimo
che
aveva
davanti
a
sé
il
suo
nucleo
più
vitale
e
profondo
,
scegliere
e
liberare
il
meglio
che
l
'
altro
aveva
dentro
di
sé
e
quello
solo
,
senza
mai
un
'
ombra
di
sorpresa
,
di
disprezzo
o
di
scherno
,
dinanzi
alle
limitazioni
e
alle
povertà
dell
'
altro
.
Egli
infatti
viveva
con
il
suo
prossimo
nell
'
unico
luogo
dove
l
'
intelligenza
del
suo
prossimo
poteva
seguirlo
senza
limitazioni
.
Non
usava
mai
cercare
nel
prossimo
la
propria
immagine
,
essendo
,
quando
stava
con
gli
altri
,
totalmente
immemore
di
sé
.
Era
la
persona
meno
narcisista
che
ho
mai
conosciuto
.
Indifferente
a
se
stesso
,
non
si
sceglieva
mai
degli
amici
perché
gli
rassomigliavano
,
o
perché
erano
il
suo
contrario
,
o
perché
potevano
arricchirlo
di
nozioni
o
penetrazioni
che
lui
non
aveva
.
Semplicemente
stava
con
persone
con
cui
gli
era
possibile
una
qualche
sorta
di
colloquio
.
Quando
stava
con
una
persona
,
non
era
mai
in
posizione
di
superiorità
,
né
in
posizione
di
inferiorità
,
era
con
l
'
altro
sempre
un
eguale
.
Conservai
davanti
a
me
nel
futuro
,
d
'
altronde
assai
vaga
,
la
prospettiva
di
quell
'
inchiesta
,
prospettiva
in
cui
mi
rallegrava
,
e
insieme
mi
preoccupava
,
il
nome
di
Ardigò
,
e
in
cui
mi
rallegrava
il
ricordo
della
persona
molto
simpatica
che
era
venuta
a
casa
mia
quel
giorno
.
Passò
del
tempo
e
non
seppi
più
nulla
di
quel
lavoro
.
Pensai
che
era
sfumato
come
sfumano
tante
proposte
.
Però
l
'
altro
giorno
è
uscita
sull
'
«
Unità
»
una
fotocopia
d
'
un
foglio
dattiloscritto
della
televisione
,
con
una
serie
di
proposte
fra
cui
quella
dell
'
inchiesta
sulla
donna
.
C
'
era
il
mio
nome
e
il
nome
di
Ardigò
.
Accanto
,
era
scritta
a
penna
un
'
osservazione
che
esprimeva
perplessità
.
Era
scritto
a
penna
:
«
Due
comunisti
»
.
La
cosa
mi
precipitò
in
uno
stupore
profondo
.
Ero
anche
molto
contenta
.
Perché
fossi
così
contenta
,
non
lo
so
.
Dal
commento
dell
'
«
Unità
»
appresi
che
Ardigò
è
consigliere
nazionale
della
Dc
.
A
dire
il
vero
non
sapevo
di
lui
neanche
questo
.
Mi
sono
chiesta
allora
cosa
sapevo
con
precisione
su
di
me
.
Per
quanto
riguarda
la
politica
,
devo
dire
che
non
so
su
di
me
niente
di
preciso
.
L
'
unica
cosa
che
so
con
assoluta
certezza
,
è
che
di
politica
io
non
ne
capisco
niente
.
Nella
mia
vita
,
sono
stata
iscritta
a
partiti
per
due
volte
.
Una
volta
era
il
partito
d
'
azione
.
Un
'
altra
volta
era
il
partito
comunista
.
L
'
una
e
l
'
altra
volta
,
era
un
errore
.
Siccome
non
capisco
niente
di
politica
,
era
stupido
che
fingessi
di
capirne
qualcosa
,
che
andassi
alle
riunioni
,
che
avessi
in
mano
la
tessera
d
'
un
partito
.
E
'
bene
che
,
finché
vivo
,
io
non
appartenga
mai
a
nessun
partito
.
Se
mi
chiedessero
come
vorrei
che
fosse
governato
un
paese
,
in
coscienza
non
saprei
rispondere
.
I
miei
pensieri
politici
sono
quanto
mai
rozzi
,
imbrogliati
,
elementari
,
confusi
.
Per
questo
fatto
,
mi
sento
spesso
disprezzata
da
persone
che
amo
.
Esse
pensano
che
la
mia
povertà
di
pensiero
,
nei
confronti
della
politica
,
è
frivolezza
,
mancanza
di
serietà
,
assenteismo
colpevole
.
Lo
pensano
in
silenzio
.
Ma
il
peso
del
loro
disprezzo
è
per
me
oppressivo
.
Se
cercassi
di
giustificarmi
in
presenza
di
quel
severo
silenzio
,
non
troverei
che
parole
di
una
grottesca
goffaggine
e
futilità
.
Eppure
son
sicura
che
ci
deve
essere
un
posto
al
mondo
anche
per
quelli
che
,
come
me
,
non
capiscono
la
politica
,
che
se
parlassero
di
politica
direbbero
solo
banalità
e
imbecillità
,
perciò
la
cosa
migliore
che
possono
fare
è
non
esprimere
quasi
mai
nessuna
opinione
.
Quasi
mai
.
A
volte
,
dire
di
sì
o
di
no
è
indispensabile
.
Vorrei
però
limitarmi
a
dire
o
di
sì
o
di
no
,
E
poiché
ho
parlato
di
Felice
Balbo
,
dirò
che
gli
sono
grata
per
non
avermi
mai
disprezzato
,
per
non
essersi
mai
stupito
né
sdegnato
della
mia
ignoranza
politica
,
gli
sono
immensamente
grata
per
avermi
sempre
accettato
per
quello
che
ero
e
capito
.
Lo
seguii
prima
nel
partito
comunista
,
poi
fuori
,
feci
tutto
quello
che
lui
faceva
pensando
che
lui
capiva
la
politica
e
io
no
.
Pure
non
ebbi
mai
,
con
lui
,
la
sensazione
di
sottostare
a
una
sua
superiorità
,
di
subire
una
personalità
più
forte
.
Fra
noi
era
inteso
che
lui
capiva
e
sapeva
un
gran
numero
di
cose
,
io
no
.
Ma
non
aveva
importanza
,
eravamo
eguali
.
Nei
ricordi
degli
anni
che
ho
passato
nel
partito
comunista
,
nei
ricordi
di
riunioni
e
comizi
,
la
sua
figura
è
sempre
presente
.
Forse
per
questo
,
se
mi
dicono
comunista
,
sono
contenta
.
Perché
mi
ricordo
degli
anni
che
io
e
Balbo
eravamo
là
.
Per
quanto
riguarda
i
due
partiti
a
cui
ho
appartenuto
,
uno
dei
quali
da
tempo
ha
cessato
di
esistere
,
mi
sembra
di
avere
conservato
con
essi
dei
legami
viscerali
,
oscuri
e
sotterranei
,
che
non
saprei
chiarire
con
parole
,
che
non
trovano
alcun
fondamento
nella
ragione
,
che
non
hanno
nessun
rapporto
con
le
scelte
della
ragione
ma
sgorgano
dal
profondo
come
gli
affetti
.
Vorrei
ancora
dire
che
se
un
giorno
ci
fosse
una
rivoluzione
e
io
dovessi
fare
una
scelta
politica
,
preferirei
molto
essere
ammazzata
piuttosto
che
ammazzare
qualcuno
.
E
questo
è
uno
dei
pochissimi
pensieri
politici
che
la
mia
mente
possa
mai
formulare
.
StampaQuotidiana ,
Il
numero
della
Rivista
militare
ungherese
(
Magyar
Katonai
Szemle
)
uscito
nello
scorso
mese
di
ottobre
a
Budapest
pubblica
un
interessantissimo
studio
del
generale
ungherese
Nagy
Wilmos
sul
Comando
Supremo
Serbo
nel
1914
.
Risulta
da
questo
studio
e
in
maniera
irrefutabile
poiché
basato
sulle
testimonianze
stesse
della
Serbia
che
gran
parte
della
apologetica
letteratura
franco
-
serba
deve
essere
portata
al
macero
.
Sta
di
fatto
che
il
Comando
Supremo
Serbo
si
fece
ripetutamente
battere
nell
'
estate
e
nell
'
autunno
del
1914
e
che
la
felice
contro
-
offensiva
del
dicembre
diede
la
vittoria
ai
serbi
,
perché
si
trovarono
di
fronte
truppe
austro
-
ungariche
rarefatte
ed
esauste
.
Nell
'
ottobre
del
1914
le
truppe
serbe
della
III
e
I
Armata
non
resistevano
agli
attacchi
austro
-
ungarici
.
È
quello
il
momento
nel
quale
il
Comando
Supremo
Serbo
descrive
«
la
situazione
come
preoccupante
,
esprime
timori
circa
la
capacità
di
resistenza
delle
truppe
,
chiede
che
siano
ottenuti
con
ogni
urgenza
grandi
quantitativi
di
munizioni
dalla
Francia
,
dall
'
Inghilterra
,
dalla
Russia
,
poiché
altrimenti
avrebbe
declinato
ogni
responsabilità
»
.
È
quello
il
momento
8
novembre
1914
in
cui
«
visto
che
le
truppe
non
riescono
a
resistere
in
nessun
punto
»
il
generale
serbo
Putnik
ordina
la
ritirata
generale
della
I
,
II
,
III
Armata
per
sfuggire
all
'
accerchiamento
.
L
'
autore
dell
'
articolo
dimostra
che
gli
ordini
di
ritirata
dell'11
novembre
furono
così
confusi
che
,
senza
l
'
iniziativa
dei
comandanti
minori
,
ne
sarebbe
venuta
una
catastrofe
.
Una
vera
e
propria
diciamolo
pure
Caporetto
serba
!
In
quali
condizioni
precarie
si
trovasse
il
quel
momento
l
'
esercito
serbo
,
ci
viene
detto
dalla
stessa
relazione
ufficiale
serba
che
così
si
esprime
:
«
I
precedenti
continui
insuccessi
,
l
'
esaurimento
,
il
cattivo
tempo
,
la
mancanza
di
riposo
,
la
perdita
della
speranza
nella
vittoria
,
provocarono
nelle
truppe
grande
abbattimento
e
segni
di
dissolvimento
.
Militari
isolati
e
interi
reparti
abbandonarono
il
combattimento
arrendendosi
a
reparti
nemici
inferiori
di
forze
.
Buttar
via
le
armi
,
rifiuti
di
obbedienza
,
abbandono
volontario
nel
combattimento
,
autolesioni
erano
all
'
ordine
del
giorno
,
specie
presso
la
11
Divisione
Danubio
.
Nelle
retrovie
delle
Armate
su
tutte
le
strade
si
potevano
vedere
soldati
che
fuggivano
assieme
a
profughi
e
non
sapevano
dire
donde
venivano
,
né
dove
andavano
»
..
Così
parla
dell
'
esercito
serbo
nel
1914
una
relazione
ufficiale
serba
,
della
quale
bisogna
riconoscere
l
'
obiettivo
coraggioso
della
verità
.
Siamo
ben
lungi
dal
trarne
conclusioni
generalizzatrici
e
siamo
anche
pronti
a
riconoscere
il
valore
dei
soldati
serbi
,
aggiungendo
però
che
essi
sono
uomini
come
tutti
gli
altri
e
quindi
non
sono
sempre
leoni
,
come
si
vorrebbe
dare
ad
intendere
.
I
fatti
parlano
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
8
maggio
.
Non
esiste
immaginazione
turbinosa
,
fantasia
sfrenata
e
bizzarra
che
possa
,
non
dico
eguagliare
,
ma
vagamente
avvicinarsi
alla
realtà
dell
'
ambiente
cinematografico
romano
.
Il
dottor
E.C.
,
che
da
molti
anni
ha
nel
cinema
tutte
le
sue
delizie
e
tutte
le
sue
croci
,
mi
racconta
il
caso
seguente
.
Un
giovane
produttore
accettò
,
anni
or
sono
,
una
sceneggiatura
di
cappa
e
spada
.
Chiamò
a
dirigere
il
film
,
previsto
a
colori
,
un
regista
di
media
importanza
e
si
assicurò
,
al
centro
del
«
cast
»
,
l
'
allora
popolarissima
Silvana
Pampanini
.
Un
giovane
attore
,
dagli
abbondanti
riccioli
,
fu
ingaggiato
per
impersonare
il
generoso
cavaliere
protagonista
della
storia
.
La
lavorazione
cominciò
senza
indugi
,
e
il
produttore
,
per
un
paio
di
settimane
,
non
ebbe
nemmeno
una
di
quelle
grane
che
caratterizzano
l
'
ambiente
.
Gli
attori
erano
puntuali
e
remissivi
,
i
tecnici
laconici
ed
alacri
,
il
regista
e
i
suoi
assistenti
insolitamente
tranquilli
.
Il
produttore
,
alle
sue
prime
esperienze
,
stava
per
ricredersi
circa
le
difficoltà
da
superare
,
allorché
,
improvvisamente
,
capitò
un
fatto
incredibile
.
Una
mattina
si
stava
girando
il
ferimento
del
protagonista
,
il
quale
,
dopo
un
fatto
d
'
armi
,
doveva
abbattersi
fra
le
braccia
della
Pampanini
,
inondata
di
sangue
.
Per
ottenere
l
'
effetto
,
si
ricorse
alla
solita
vernice
rossa
e
vischiosa
sparsa
sulla
camicia
.
Tutto
era
pronto
,
si
stava
per
girare
,
allorché
il
regista
ordinò
l
'
alt
e
,
con
espressione
incupita
,
si
rivolse
al
direttore
di
produzione
.
Quella
vernice
,
adatta
al
bianco
e
nero
,
secondo
lui
non
funzionava
nel
colore
.
Poteva
risultarne
una
nota
falsa
e
grottesca
,
tale
da
compromettere
il
film
e
il
suo
buon
nome
.
Il
direttore
propose
di
cercare
un
'
altra
vernice
,
o
di
ricorrere
alla
salsa
di
pomodoro
.
Nulla
da
fare
.
Tutto
fermo
,
con
notevole
perdita
di
quattrini
.
Il
regista
fu
irremovibile
:
sangue
umano
o
nulla
.
Ogni
supplica
restò
vana
.
Il
direttore
di
produzione
tornò
,
dopo
due
ore
,
con
due
donatori
di
sangue
cinematografico
reclutati
in
un
baraccamento
periferico
.
StampaQuotidiana ,
Sono
andata
a
vedere
,
a
Palazzo
Braschi
,
la
mostra
dei
grandi
naifs
jugoslavi
.
I
naifs
jugoslavi
sono
pittori
contadini
.
Dipingono
su
vetro
.
Fanno
parte
d
'
una
scuola
che
si
chiama
«
Zemlja
»
,
cioè
terra
.
Il
caposcuola
,
che
si
chiama
Generalovic
,
non
ha
mandato
i
suoi
quadri
alla
mostra
perché
uno
dei
pittori
invitati
,
cioè
Lackovic
,
non
gli
andava
.
Così
dicevano
nelle
sale
della
galleria
e
non
so
se
sia
vero
o
se
sia
una
chiacchiera
.
Non
ho
mai
visto
i
quadri
di
Generalovic
.
Fino
a
poco
prima
di
visitare
la
mostra
,
non
sapevo
nulla
né
della
scuola
«
Zemlja
»
,
né
di
Lackovic
,
né
di
Generalovic
.
Questo
per
mia
ignoranza
,
perché
a
quanto
ho
saputo
i
naifs
jugoslavi
sono
famosissimi
.
Se
ho
voluto
visitare
questa
mostra
non
è
stato
per
amore
della
pittura
,
ma
perché
avendo
io
saputo
che
erano
pittori
-
contadini
,
pensavo
che
avrei
visto
dei
villaggi
.
Tutta
la
vita
ho
sempre
sentito
grande
curiosità
di
vedere
villaggi
,
ovunque
,
nella
realtà
e
nei
quadri
.
Quando
sono
in
treno
,
guardo
e
scelgo
nella
campagna
villaggi
dove
forse
vorrei
vivere
.
Nello
stesso
tempo
,
mentre
penso
la
mia
vita
perduta
in
mezzo
a
prati
o
rocce
o
abbarbicata
sull
'
alto
d
'
una
collina
,
mi
prende
una
sensazione
pungente
di
vertigine
e
malinconia
.
Perché
unito
al
desiderio
di
abitare
in
campagna
,
vive
in
me
non
meno
forte
e
profondo
il
sospetto
che
vivendo
in
campagna
mi
struggerei
di
noia
e
solitudine
.
Ma
nelle
pieghe
di
quella
noia
si
nasconde
per
me
un
incanto
segreto
.
Questi
sono
i
miei
pensieri
abituali
mentre
vado
in
treno
,
pensieri
totalmente
oziosi
perché
non
mi
propongo
e
forse
nemmeno
desidero
veramente
di
lasciare
la
città
in
cui
vivo
da
molti
anni
.
In
un
'
epoca
ormai
lontana
della
mia
vita
,
abitai
in
campagna
per
alcuni
anni
.
Quel
villaggio
io
non
l
'
avevo
scelto
ma
altri
l
'
avevano
scelto
per
me
.
Difatti
era
un
confino
di
polizia
.
Pure
avendo
preso
a
poco
a
poco
ad
amarlo
,
non
dimenticai
mai
,
nel
tempo
che
dovetti
soggiornarvi
,
che
non
l
'
avevo
scelto
e
non
smisi
mai
di
sognare
altri
e
più
remoti
villaggi
.
Quel
villaggio
non
era
per
nulla
sperduto
nella
campagna
ma
invece
stava
schierato
su
una
strada
larga
,
polverosa
e
piena
di
biciclette
e
carretti
.
La
casa
dove
abitavo
era
sopra
la
farmacia
.
Avendo
io
allora
bambini
piccoli
trovavo
la
presenza
di
quella
farmacia
assai
comoda
e
rassicurante
.
Tuttavia
essa
distruggeva
in
me
ogni
sensazione
di
stare
in
campagna
.
Le
nostre
finestre
non
guardavano
sulla
campagna
ma
su
tetti
e
vicoli
.
Sulla
porta
della
farmacia
sedeva
la
farmacista
.
Di
lei
dicevano
che
«
parlava
col
diavolo
»
.
Perché
e
quando
mai
parlasse
col
diavolo
quella
grassa
e
gentile
farmacista
in
vestaglia
e
ciabatte
,
non
lo
so
.
Ma
l
'
idea
che
le
aleggiasse
intorno
questo
sospetto
mi
rallegrava
facendomi
sembrare
il
paese
strano
e
primitivo
.
Perché
in
verità
quel
paese
era
assai
poco
strano
e
in
fondo
anche
assai
poco
primitivo
benché
sporco
e
povero
.
Alzando
gli
occhi
vedevo
le
colline
.
Sulle
colline
erano
villaggi
e
casali
dove
avrei
amato
vivere
.
Ma
soprattutto
c
'
era
,
non
molto
lontana
dal
paese
,
una
frazione
chiamata
Cavallari
,
cinque
o
sei
case
sparse
in
mezzo
a
un
acquitrino
,
e
io
usavo
figurarmi
la
mia
vita
là
.
Certo
era
un
gioco
ozioso
della
mia
frivola
immaginazione
.
Camminando
nei
prati
per
arrivare
a
Cavallari
si
affondava
nel
fango
fino
al
ginocchio
e
nei
vicoli
fra
quelle
case
nere
e
diroccate
si
affondava
nel
letame
.
Cavallari
,
dagli
abitanti
del
paese
dove
io
stavo
,
era
chiamato
«
Piccolo
Parigi
»
per
dileggio
.
Credo
che
se
mi
fosse
accaduto
di
vivere
per
più
di
un
giorno
nel
Piccolo
Parigi
sarei
impazzita
.
Vi
andavo
a
volte
per
qualche
ora
e
conobbi
là
alcuni
contadini
.
Essi
erano
tutt
'
altro
che
lieti
di
vivere
in
quel
fango
e
li
soccorreva
soltanto
una
secolare
abitudine
.
Non
avevano
né
acqua
né
luce
e
per
comprare
una
candela
o
una
cartina
d
'
aghi
dovevano
fare
chilometri
.
Avendo
io
le
idee
quanto
mai
confuse
progettavo
di
battermi
nei
miei
anni
futuri
per
strappare
quei
contadini
a
quel
miserevole
luogo
ma
nello
stesso
tempo
accarezzavo
il
sogno
di
passare
la
mia
vita
futura
in
una
di
quelle
nere
cucine
soffocate
nel
fumo
e
nel
letame
e
affacciarmi
la
sera
a
guardare
il
tramonto
su
quel
desolato
acquitrino
.
Se
avevo
all
'
origine
un
'
immagine
di
villaggi
idilliaca
e
pastorale
,
con
ruscelli
bisbiglianti
e
tenera
erba
,
essa
certo
andò
distrutta
per
sempre
nel
fango
del
Piccolo
Parigi
e
nei
vicoli
del
paese
in
cui
vissi
.
Non
che
non
vi
fossero
là
tenera
erba
e
pecore
,
ma
il
fango
,
il
fumo
e
la
noia
regnavano
incontrastati
in
quei
luoghi
e
ne
formavano
la
realtà
essenziale
.
Conobbi
varie
frazioni
e
sobborghi
in
quella
vallata
e
cercai
di
pensarvi
la
mia
vita
con
acuta
curiosità
,
con
desolazione
e
desiderio
.
Del
paese
in
cui
stavo
conoscevo
ormai
le
minime
pieghe
,
i
minimi
buchi
e
i
vicoli
,
e
la
mia
noia
d
'
averlo
davanti
agli
occhi
era
sterminata
.
Andavo
a
vedere
altre
frazioni
e
sobborghi
come
uno
si
gira
e
si
rigira
in
un
letto
per
cercare
punti
più
freschi
.
Mi
avrei
dato
non
so
cosa
per
aprire
gli
occhi
un
mattino
sui
balconi
di
una
città
.
Eppure
vissi
felice
in
quei
luoghi
.
Perché
non
è
vero
che
la
noia
escluda
la
felicità
.
Esse
possono
sussistere
insieme
e
unirsi
in
un
viluppo
inestricabile
.
Ricordando
la
noia
di
quegli
anni
conservo
in
me
la
persuasione
assoluta
che
la
vita
in
un
paese
in
campagna
sarebbe
quella
che
io
sceglierei
se
l
'
uomo
potesse
scegliere
il
suo
destino
.
Per
tornare
alla
mostra
di
Palazzo
Braschi
,
ci
sono
andata
dunque
per
vedere
dei
villaggi
.
Ne
sono
uscita
con
una
nostalgia
di
villaggi
profonda
e
pungente
.
Desideravo
essere
una
persona
precisa
,
e
cioè
desideravo
essere
il
pittore
contadino
Ivan
Vecenaj
.
I
grandi
naifs
jugoslavi
che
hanno
esposto
quadri
in
questa
mostra
sono
essenzialmente
quattro
:
Vecenaj
,
Rabuzin
,
Lackovic
e
Kovacic
.
Dirò
subito
che
non
mi
piace
Rabuzin
.
Dal
catalogo
ho
saputo
che
non
è
un
contadino
ma
un
imbianchino
.
Questo
spiega
di
lui
molte
cose
.
Evidentemente
imbiancando
muri
avrà
addensato
dentro
di
sé
molto
bianco
.
Nei
suoi
quadri
c
'
è
una
costante
luce
bianca
.
Per
i
cieli
rosa
e
celeste
viaggiano
nuvole
che
sembrano
palle
di
neve
,
al
suolo
giacciono
immensi
palloni
verdi
come
immensi
meloni
o
limoni
e
sono
foglie
.
Cerchi
lontani
di
piccole
case
non
testimoniano
vita
umana
essendo
i
suoi
villaggi
,
orti
e
campi
sigillati
in
una
geometria
immota
.
I
paesaggi
di
Rabuzin
sembrano
paradisi
luminosi
e
gelidi
,
non
destinati
agli
uomini
ma
alle
nuvole
,
ai
meloni
e
ai
limoni
,
e
chiusi
per
sempre
in
una
vitrea
e
nivea
primavera
.
Essi
mi
hanno
affascinato
ma
li
ho
trovati
agghiaccianti
.
Lackovic
mi
ispira
maggiore
simpatia
.
Lackovic
fa
degli
uomini
piccolissimi
seguiti
da
cani
piccolissimi
che
sembrano
volpi
.
Fa
delle
pianure
invernali
e
delle
lune
rosse
e
rotonde
,
dei
villaggi
armoniosamente
composti
in
un
delicato
intrico
di
arbusti
.
Dipinge
come
un
bambino
vivace
,
spiritoso
e
ciarliero
.
Tuttavia
i
suoi
orizzonti
non
sono
infiniti
,
né
sono
mai
sterminate
le
sue
distese
di
campi
.
Ogni
suo
paesaggio
è
raccolto
nella
vivacità
e
nella
grazia
.
In
questa
mostra
i
due
pittori
che
amo
sono
Kovacic
e
Vecenaj
.
Kovacic
ha
paludi
d
'
un
verde
grigiastro
,
autunni
fiammeggianti
e
villaggi
invernali
dipinti
con
attenzione
intensa
e
intensa
tristezza
.
Perché
l
'
orizzonte
nei
quadri
di
Lackovic
non
sia
infinito
,
e
sia
invece
infinito
nei
paesaggi
di
Kovacic
e
di
Vecenaj
,
non
lo
so
,
ma
penso
che
tutto
il
segreto
della
pittura
stia
in
questo
punto
.
I
quadri
di
Ivan
Vecenaj
sono
nella
prima
stanza
.
Dopo
aver
visto
gli
altri
sono
ritornata
da
lui
e
penso
che
lo
preferisco
a
tutti
.
I
suoi
paesaggi
sono
dipinti
con
estrema
minuzia
nei
minimi
e
più
lontani
particolari
e
l
'
orizzonte
sopra
di
essi
è
fosco
e
solenne
.
Nel
mezzo
del
paesaggio
campeggia
a
volte
un
evento
drammatico
:
brucia
una
casa
;
san
Giovanni
è
seduto
con
la
sua
aquila
;
un
vaso
di
fiori
azzurri
è
stato
posato
su
una
distesa
di
neve
;
una
donna
insegue
le
sue
oche
;
hanno
crocifisso
Gesù
.
I
colori
di
Vecenaj
sono
crudeli
e
violenti
.
Le
sue
figure
umane
sono
tozze
e
stupefatte
.
Hanno
larghi
volti
legnosi
,
larghe
mani
ossute
e
nodose
,
stanchissime
e
forti
.
I
suoi
animali
sono
irsuti
e
aspri
,
pieni
di
penne
e
di
peli
.
Ogni
quadro
dice
l
'
aspra
fatica
del
vivere
e
la
desolata
solitudine
dell
'
uomo
nella
campagna
.
Ogni
quadro
dice
come
sia
sterminata
e
senza
risposta
la
natura
intorno
alle
opere
degli
uomini
,
intorno
ai
villaggi
.
Dal
catalogo
ho
appreso
che
Vecenaj
vive
sempre
nel
suo
villaggio
e
fa
il
contadino
.
Questo
mi
ha
dato
gran
gioia
,
perché
avrei
trovato
tristissimo
doverlo
pensare
in
un
anonimo
appartamento
d
'
una
qualche
città
,
col
telefono
e
l
'
ascensore
.
Quando
sono
uscita
dalla
mostra
era
il
crepuscolo
.
C
'
era
folla
,
traffico
e
rumore
.
Gli
occhi
non
riuscivano
a
fermarsi
su
niente
,
non
c
'
era
che
disordine
,
le
strade
non
erano
più
strade
ma
solo
gente
e
automobili
,
i
suoni
laceravano
le
orecchie
.
Mi
consolava
il
pensiero
che
tutto
questo
fosse
risparmiato
a
Vecenaj
.
Era
,
in
quel
grigio
crepuscolo
,
l
'
unico
pensiero
che
mi
consolava
.
Per
me
stessa
,
desideravo
due
cose
,
ed
erano
tutt
'
e
due
impossibili
:
desideravo
essere
Vecenaj
,
e
desideravo
di
stare
per
sempre
in
uno
dei
villaggi
che
lui
ha
dipinto
.
Stare
là
come
la
guardiana
di
oche
,
o
come
l
'
aquila
,
o
san
Giovanni
,
o
Gesù
.
Avere
ai
miei
piedi
quella
campagna
.
Avere
sulla
mia
testa
quel
cielo
.
StampaQuotidiana ,
Al
Congresso
pangermanista
di
Dortmund
,
che
già
si
sapeva
avrebbe
assunto
un
particolare
significato
a
favore
dell
'
annessione
dell
'
Austria
alla
Germania
,
avrebbe
parlato
,
a
quanto
si
assicura
,
il
Presidente
del
Reichstag
,
confutando
irosamente
e
sconvenientemente
le
dichiarazioni
del
Presidente
Mussolini
.
Poiché
il
signor
Loebe
ha
responsabilità
precise
come
Presidente
del
Reichstag
sarebbe
opportuno
che
fosse
ben
chiarito
questo
suo
linguaggio
,
col
quale
ha
voluto
contestare
al
Presidente
Mussolini
e
per
esso
all
'
Italia
qualsiasi
diritto
di
occuparsi
dell
'
Austria
e
del
suo
destino
.
Avrebbe
aggiunto
,
a
quanto
pare
,
anche
una
tesi
assurda
e
che
cioè
l
'
annessione
dell
'
Austria
alla
Germania
non
sia
in
contrasto
,
come
invece
è
,
col
trattato
di
Versailles
e
con
quello
di
San
Germano
.
Il
signor
Loebe
è
fuori
strada
.
Come
persona
la
sua
esaltazione
pangermanista
può
essere
un
dato
più
o
meno
interessante
;
ma
come
Presidente
del
Reichstag
egli
ha
l
'
obbligo
di
conoscere
i
trattati
e
di
sapere
anche
quali
sono
i
termini
nei
quali
si
discutono
le
dichiarazioni
di
un
Capo
di
Governo
.
Subito
dopo
le
elezioni
di
Hindenburg
noi
dicemmo
non
essere
improbabile
che
il
grossolano
spirito
germanico
avrebbe
potuto
facilmente
,
nella
esaltazione
,
commettere
i
tradizionali
errori
della
politica
germanica
,
che
il
Principe
di
Bülow
denunziò
prima
della
guerra
,
e
che
alla
Germania
hanno
fatto
perdere
la
guerra
.
Questa
grossolanissima
infatuazione
pangermanista
che
unisce
la
propaganda
per
l
'
annessione
dell
'
Austria
con
la
propaganda
per
le
rivendicazioni
dell
'
Alto
Adige
,
è
appunto
un
segno
della
solita
incomprensione
.
C
'
è
un
errore
che
la
Germania
potrebbe
,
anche
più
presto
di
quanto
non
si
creda
,
vedere
al
suo
passivo
.
Comunque
noi
constatiamo
questo
non
per
allarme
,
ma
soltanto
per
indicare
quale
sia
lo
spirito
germanico
e
come
sia
indispensabile
per
l
'
Italia
una
politica
decisa
,
concreta
,
d
'
oltre
Brennero
.
StampaQuotidiana ,
Roma
,
9
maggio
.
Siamo
al
caffè
.
Entra
un
signore
alto
,
solenne
,
col
vestito
a
righe
sottili
.
Orecchie
carnose
,
collo
sanguigno
,
basette
brizzolate
.
Ordina
un
espresso
molto
lungo
.
Qualcuno
,
al
nostro
tavolo
,
lo
riconosce
.
Fingendosi
mediatore
d
'
immobili
,
fu
per
molti
anni
spia
dell
'
OVRA
.
Attualmente
non
si
sa
con
precisione
che
faccia
.
Pare
che
fornisca
informazioni
di
carattere
finanziario
a
un
'
agenzia
giornalistica
.
Il
discorso
scivola
,
così
,
sulle
spie
del
regime
.
Spie
zelanti
e
bonarie
,
politicamente
convinte
e
scettiche
,
criminali
e
patetiche
,
trasparenti
al
punto
da
essere
ben
presto
individuate
,
evitate
o
pubblicamente
svergognate
.
Vincenzo
Tallarico
rievoca
il
famoso
grafologo
che
girava
le
trattorie
di
Roma
e
ad
un
certo
punto
,
aggrottando
le
sopracciglia
,
diceva
al
cliente
:
«
Voi
odiate
una
persona
che
sta
molto
in
alto
.
Lo
si
legge
chiaramente
nella
forma
serpentina
delle
esse
»
.
E
tanto
insisteva
,
procedendo
per
esclusione
,
finché
il
malcapitato
ammetteva
di
avercela
col
duce
.
Dopo
di
che
,
denuncia
.
Riaffiora
,
dal
passato
,
il
«
falso
pensatore
»
di
Aragno
;
un
disgraziato
che
tendeva
le
orecchie
ai
discorsi
degli
intellettuali
,
fingendo
di
leggere
le
opere
di
Benedetto
Croce
per
stornare
le
diffidenze
.
Ed
ecco
il
sessantenne
attore
sfiatato
che
un
prefetto
,
compagno
di
scuola
,
arruolò
nell
'
OVRA
,
con
la
rispettabile
paga
di
3000
lire
al
mese
,
e
che
dopo
cinque
anni
di
pacchia
,
minacciato
di
licenziamento
se
non
avesse
finalmente
denunciato
qualcuno
,
fece
arrestare
in
quattro
e
quattr
'
otto
il
futuro
suocero
di
suo
figlio
.
Ma
il
caso
più
classico
accadde
a
Genova
:
dove
,
nel
1937
,
un
tal
Perasso
,
fintosi
antifascista
per
ottenerne
le
confidenze
,
denunciò
un
certo
Boccalatte
.
Venne
poi
a
sapere
che
anche
il
Boccalatte
apparteneva
all
'
OVRA
,
e
di
essere
stato
a
sua
volta
denunciato
.
Vecchie
,
squallide
spie
del
regime
:
come
questo
solenne
signore
che
sorseggia
il
suo
espresso
lungo
,
controllando
i
propri
gesti
nello
specchio
.
Se
è
vero
che
il
lupo
perde
il
pelo
ma
non
il
vizio
,
può
darsi
che
in
qualche
modo
,
chissà
come
e
per
chi
,
lavorino
ancora
.
StampaQuotidiana ,
Tre
anni
fa
sono
andata
in
America
per
la
prima
volta
nella
mia
vita
.
Un
mio
figlio
vi
soggiornava
da
un
anno
ed
era
nato
là
un
mio
nipote
.
Mio
figlio
,
sua
moglie
e
il
bambino
dovevano
rimanere
là
un
anno
ancora
.
Quel
bambino
aveva
ormai
qualche
mese
e
io
non
l
'
avevo
visto
che
in
fotografia
.
Così
conobbi
insieme
l
'
America
e
mio
nipote
Simone
.
Non
posso
dire
d
'
aver
capito
e
visto
molto
dell
'
America
essendo
io
tarda
nei
riflessi
e
poco
dotata
per
capire
velocemente
luoghi
ignoti
.
Del
viaggio
ho
questo
ricordo
:
per
moltissime
ore
era
pomeriggio
,
l
'
aereo
ronzava
in
apparenza
immobile
in
un
cielo
d
'
un
azzurro
intenso
e
su
candide
groppe
di
nuvole
dove
il
sole
non
si
sognava
di
tramontare
;
poi
di
colpo
fu
pioggia
e
notte
.
L
'
istante
in
cui
quel
pomeriggio
immobile
e
glorioso
si
trasformò
in
una
bufera
notturna
,
dovette
essere
rapidissimo
perché
non
ne
ho
memoria
.
Quando
scendemmo
infuriava
il
vento
e
nel
campo
dell
'
aeroporto
erano
state
installate
passerelle
con
tettoie
di
zinco
su
cui
la
pioggia
scrosciava
.
Le
mie
prime
immagini
furono
vie
battute
dal
temporale
e
lunghi
sottopassaggi
illuminati
a
giorno
e
rombanti
.
La
città
era
Boston
.
Avevo
letto
nella
mia
vita
moltissimi
libri
che
parlavano
di
Boston
ma
non
so
perché
il
solo
che
mi
venne
in
mente
allora
fu
un
romanzo
chiamato
Il
lampionaio
che
avevo
letto
e
amato
all
'
età
di
nove
anni
.
Si
svolgeva
a
Boston
e
c
'
era
una
bambina
di
nome
Gertrude
,
assai
povera
,
maltrattata
e
selvaggia
,
che
veniva
raccolta
e
adottata
da
un
buonissimo
vecchio
,
lampionaio
di
professione
.
Mi
rallegrai
a
un
tratto
con
me
stessa
di
trovarmi
nella
città
di
Gertrude
.
Non
c
'
era
però
intorno
a
me
traccia
di
lampioni
e
mi
era
difficile
riconoscere
in
quei
rombanti
sottopassaggi
le
calme
e
vuote
immagini
che
avevo
costruito
intorno
al
nome
di
Boston
nella
mia
remota
infanzia
.
Tuttavia
la
memoria
del
Lampionaio
rimase
in
me
per
tutto
il
tempo
che
fui
a
Boston
e
in
fondo
dopo
un
attento
esame
scopersi
che
quella
città
non
era
molto
dissimile
da
quella
che
era
sorta
dissepolta
fra
le
ceneri
della
mia
immaginazione
infantile
.
Di
Gertrude
,
ricordavo
che
quando
era
così
povera
usava
nutrirsi
di
spazzatura
.
Così
osservavo
con
attenzione
per
le
strade
di
Boston
i
grandi
bidoni
di
spazzatura
che
si
trovavano
davanti
alle
case
.
Per
la
spazzatura
mio
figlio
mi
spiegò
al
mattino
che
c
'
erano
due
bidoni
,
uno
destinato
all
'
organico
e
l
'
altro
all
'
inorganico
.
Perciò
ogni
volta
che
dovevo
buttar
via
qualcosa
mi
fermavo
a
pensare
se
andava
nel
bidone
dell
'
organico
o
nel
bidone
dell
'
inorganico
.
Più
tardi
tornata
in
Italia
riflettevo
ancora
sull
'
organico
e
sull
'
inorganico
pur
gettando
poi
tutto
in
un
unico
secchio
come
usiamo
fare
qui
.
Tornando
alla
sera
del
mio
arrivo
,
mio
figlio
e
sua
moglie
parlarono
subito
del
lungo
viaggio
che
si
preparavano
a
fare
in
automobile
,
col
bambino
,
nelle
«
Rocky
Mountains
»
.
Sapevo
di
questo
loro
progetto
da
tempo
ma
in
quella
bufera
di
vento
e
pioggia
l
'
idea
mi
parve
insensata
e
dissi
che
il
bambino
avrebbe
patito
il
freddo
.
Mi
fecero
osservare
che
eravamo
nel
mese
di
maggio
,
il
viaggio
sarebbe
avvenuto
d
'
estate
e
quindi
se
mai
il
rischio
era
la
calura
estiva
.
Dissero
che
però
erano
andati
dal
pediatra
con
la
carta
geografica
,
gli
avevano
mostrato
l
'
itinerario
del
loro
viaggio
e
il
pediatra
aveva
approvato
.
Questo
pediatra
usava
farsi
chiamare
«
Jerry
»
dai
suoi
clienti
.
Quando
accordava
una
visita
,
lasciava
nella
cassetta
della
posta
un
cartoncino
con
scritto
:
«
Jerry
sarà
felice
di
incontrarsi
con
Simone
martedì
alle
tre
»
.
Tuttavia
se
Simone
avesse
avuto
la
febbre
a
quaranta
,
Jerry
non
si
sarebbe
spostato
di
un
millimetro
perché
non
faceva
visite
a
casa
.
Era
questa
la
regola
e
non
vi
contravveniva
in
America
nessun
pediatra
.
Sul
conto
di
Jerry
appresi
ancora
che
trovava
Simone
in
buona
salute
,
ma
un
po
'
troppo
grasso
.
Jerry
voleva
che
i
bambini
fossero
magri
.
Trovai
che
infatti
l
'
America
era
un
paese
di
bambini
magri
.
I
bambini
inoltre
mi
sembravano
poco
vestiti
e
con
mani
paonazze
dal
freddo
perché
non
portavano
guanti
.
Quando
lo
vidi
per
la
prima
volta
,
la
sera
del
mio
arrivo
,
Simone
era
nel
suo
letto
,
sveglio
,
vestito
d
'
una
tuta
bianca
di
cotone
,
e
giocava
con
un
gatto
piatto
di
tela
cerata
rossa
.
Aveva
una
testa
completamente
nuda
di
capelli
e
occhi
neri
ironici
,
acutissimi
e
penetranti
.
Guardando
con
molta
attenzione
,
si
poteva
scorgere
su
quella
sua
testa
nuda
una
finissima
peluria
bionda
.
Gli
occhi
erano
stretti
e
allungati
verso
le
tempie
.
Trovai
che
assomigliava
a
Gengis
-
Kan
.
Dopo
alcuni
giorni
di
bufera
,
esplose
a
un
tratto
un
'
estate
torrida
.
Dissi
allora
che
un
viaggio
con
quel
caldo
era
pericoloso
.
Avrei
dato
non
so
cosa
per
portare
il
bambino
con
Te
in
Italia
,
in
campagna
,
all
'
ombra
di
frondosi
alberi
.
Ma
i
suoi
genitori
erano
irremovibili
.
Pensavano
che
nelle
«
Rocky
Mountains
»
si
sarebbe
divertito
di
più
.
Io
replicavo
che
un
bambino
di
pochi
mesi
non
avrebbe
visto
differenze
fra
le
«
Rocky
Mountains
»
e
una
conigliera
.
Prediche
,
querimonie
e
contumelie
furono
nel
mio
soggiorno
in
America
le
mie
manifestazioni
essenziali
.
Soprattutto
non
mi
davo
pace
che
per
tre
mesi
quel
tenero
e
ignaro
bambino
non
avrebbe
avuto
una
casa
.
Infatti
mio
figlio
e
sua
moglie
avevano
subaffittato
la
loro
casa
fino
al
mese
di
ottobre
.
Simone
avrebbe
dormito
in
automobile
,
o
nei
motel
,
o
sotto
la
tenda
,
tenda
che
era
già
stata
comperata
e
che
mio
figlio
montava
per
esercizio
nel
prato
d
'
un
amico
.
Fino
ai
primi
di
ottobre
,
Simone
non
avrebbe
avuto
sulla
sua
testa
il
soffitto
di
casa
sua
.
Avrebbe
però
avuto
sempre
mi
dissero
il
suo
letto
.
Quel
letto
era
infatti
smontabile
e
poteva
essere
rimpicciolito
e
sistemato
dentro
l
'
automobile
.
Anche
di
questo
furono
fatte
molteplici
prove
.
Non
so
se
fosse
imperizia
di
mio
figlio
ma
l
'
operazione
della
sistemazione
del
letto
nell
'
automobile
era
lentissima
e
laboriosa
non
meno
dell
'
installazione
della
tenda
sul
prato
.
Assistetti
a
quei
preparativi
di
viaggio
con
crescente
paura
.
Mio
figlio
e
sua
moglie
tornavano
ogni
giorno
a
casa
con
oggetti
destinati
al
viaggio
,
bottiglioni
di
plastica
per
l
'
acqua
e
polveri
contro
i
morsi
degli
scorpioni
.
Comprarono
anche
una
enorme
sacca
di
plastica
e
vi
cacciarono
dentro
tutti
i
giocattoli
del
bambino
.
Osservai
che
era
un
ingombro
inutile
,
ma
loro
avevano
letto
nel
libro
del
dottor
Spock
che
un
bambino
deve
viaggiare
in
compagnia
di
tutti
i
suoi
giocattoli
.
Infatti
non
potendo
sempre
interrogare
Jerry
,
essi
spesso
cercavano
risposte
e
conforto
nel
libro
del
dottor
Spock
.
Ignaro
di
essere
minacciato
dalle
«
Rocky
Mountains
»
il
bambino
viveva
nella
casa
come
se
fosse
stata
sua
fino
alla
fine
dei
secoli
.
Stava
in
carrozzina
nella
loggia
di
legno
davanti
a
casa
,
agitava
il
suo
gatto
rosso
e
squadrava
il
mondo
con
i
suoi
occhi
da
Gengis
-
Kan
.
Era
un
bel
bambino
grasso
e
forte
,
troppo
grasso
anzi
per
i
gusti
di
Jerry
,
e
mandava
giù
con
gioia
bottiglie
di
latte
ma
si
batteva
ferocemente
contro
ogni
altra
specie
di
cibo
.
Avanzai
la
proposta
di
fargli
il
famoso
brodo
vegetale
,
In
Italia
si
svezzano
i
bambini
con
il
brodo
vegetale
.
Ma
mio
figlio
e
sua
moglie
ebbero
contro
il
brodo
vegetale
espressioni
di
forte
disprezzo
.
D
'
altronde
capivo
anch
'
io
che
era
inutile
abituare
il
bambino
al
brodo
vegetale
,
che
doveva
bollire
ore
e
non
era
possibile
preparare
nel
corso
d
'
un
viaggio
in
automobile
.
Tornata
in
Italia
fui
per
tutta
l
'
estate
inquieta
nonostante
arrivassero
cartoline
dalle
«
Rocky
Mountains
»
e
rassicuranti
fotografie
del
bambino
nudo
e
abbronzato
sulle
spalle
dei
genitori
.
Alla
fine
dell
'
estate
e
quando
loro
erano
ormai
tornati
a
casa
ricevetti
una
lettera
di
mio
figlio
dove
mi
raccontava
del
viaggio
e
diceva
fra
l
'
altro
che
una
notte
si
erano
trovati
in
un
campeggio
dove
erano
arrivati
degli
orsi
probabilmente
attratti
dall
'
odore
di
una
bottiglia
di
sciroppo
che
si
era
rotta
sul
tetto
della
loro
automobile
.
Acquattati
nella
tenda
col
bambino
in
collo
avevano
spiato
gli
orsi
che
armeggiavano
intorno
all
'
automobile
e
infuriavano
contro
una
ghiacciaia
.
Non
si
trattava
affatto
di
graziosi
orsacchiotti
,
ma
di
brutti
animali
alti
e
grossi
,
e
per
scacciarli
avevano
dovuto
sbattere
dei
coperchi
di
pentole
.
All
'
alba
erano
andati
all
'
azienda
-
turismo
e
avevano
chiesto
che
gli
venisse
indicato
un
campeggio
dove
gli
orsi
non
mettessero
mai
piede
.
Quelle
notizie
paurose
benché
superate
da
tempo
mi
sconvolsero
e
scrissi
lettere
di
prediche
e
contumelie
.
Tornarono
in
Italia
dopo
un
altro
inverno
e
un
'
altra
estate
nella
quale
fecero
ancora
un
viaggio
,
questa
volta
nel
«
deeper
South
»
,
luogo
che
sapevo
caldo
e
pericoloso
.
Accolsi
il
bambino
con
la
sensazione
che
fosse
scampato
da
viaggi
pericolosi
.
Il
bambino
ora
camminava
e
parlava
.
Sulla
sua
testa
lunga
e
delicata
erano
cresciuti
fini
e
tenerissimi
capelli
biondi
.
Aveva
alcune
manie
.
Non
voleva
saperne
di
frutta
fresca
ed
esigeva
sughi
di
pera
in
bottiglia
.
Non
voleva
saperne
di
golf
di
lana
perché
«
avevano
il
pelo
»
.
L
'
unico
indumento
che
accettava
di
indossare
col
freddo
,
era
una
sua
vecchia
giacca
a
vento
scolorita
.
Pensai
che
nella
sua
ripugnanza
«
per
il
pelo
»
c
'
era
magari
una
ripugnanza
o
paura
per
quegli
orsi
che
aveva
visto
.
Ma
forse
è
una
mia
deduzione
insensata
,
essendo
e
l
allora
troppo
piccolo
per
spaventarsi
.
A
poco
a
poco
,
lo
persuademmo
che
«
il
pelo
»
dai
golf
poteva
sparire
strofinandone
con
forza
una
manica
.
Tuttavia
la
giacca
a
vento
è
rimasta
il
suo
indumento
preferito
.
Un
pomeriggio
,
doveva
venire
a
casa
mia
.
Lo
aspettavo
alla
finestra
.
Lo
vidi
attraversare
la
strada
con
suo
padre
.
Camminava
serio
,
per
mano
a
suo
padre
e
tuttavia
assorto
in
se
stesso
e
come
in
solitudine
,
portando
una
borsa
di
nylon
in
cui
aveva
cacciato
la
sua
giacca
a
vento
.
In
quei
giorni
gli
era
nata
una
sorella
,
cosa
che
forse
lo
rendeva
serio
.
Il
suo
passo
,
la
sua
lunga
testa
fiera
e
delicata
,
il
suo
sguardo
buio
e
profondo
,
mi
fecero
a
un
tratto
scorgere
in
lui
qualcosa
di
ebraico
che
non
avevo
mai
visto
.
Mi
parve
anche
un
piccolo
emigrante
.
Quando
sedeva
sulla
loggia
a
Boston
,
sembrava
regnare
da
sovrano
nel
mondo
che
aveva
intorno
.
Sembrava
Gengis
-
Kan
.
Ora
non
era
più
Gengis
-
Kan
,
il
mondo
gli
si
era
rivelato
mutevole
e
instabile
,
nella
sua
persona
era
sorta
forse
una
precoce
consapevolezza
che
le
cose
erano
minacciose
e
sfuggenti
e
che
un
essere
umano
deve
bastare
a
se
stesso
.
Pareva
sapere
che
nulla
gli
apparteneva
,
salvo
quella
scolorita
borsa
di
nylon
contenente
quattro
figurine
,
due
matite
mangiate
e
una
scolorita
giacca
a
vento
.
Piccolo
ebreo
senza
terra
,
con
la
sua
borsa
attraversava
la
strada
.