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L'UTOPIA ( Abbagnano Nicola , 1966 )
StampaQuotidiana ,
Utopia , l ' isola sconosciuta della quale Tommaso Moro descrisse in un famoso libro ( 1516 ) il perfetto governo e i perfetti costumi , ha dato e dà il nome a ogni progetto ideale di governo e di costituzione , a ogni tentativo di delineare la forma che la società dovrebbe assumere per garantire a tutti i suoi membri la più completa felicità . Quando Platone si fu convinto che il regime politico di Atene , che aveva condannato a morte Socrate , « l ' uomo più saggio e più giusto di tutti » , non offriva speranze di miglioramento , si dette a costruire l ' immagine di una città ideale che fosse governata da filosofi , cioè da uomini educati sull ' esempio di Socrate ; e scrisse la Repubblica che è la prima e più famosa utopia , su cui tutte le altre si sono modellate . Ogni utopia presenta l ' immagine di un mondo nuovo , radicalmente diverso da quello in cui si è vissuto o si vive . Ma il mondo nuovo è anche la correzione o il completamento del mondo reale : garantisce l ' eliminazione delle ingiustizie e degli errori che questo presenta , la conciliazione dei suoi conflitti , l ' appagamento delle sue aspirazioni . Tommaso Moro , vedendo i contadini inglesi scacciati dalle campagne ( che venivano trasformate in pascoli di montoni per la produzione della lana ) e ridotti all ' accattonaggio o alla ruberia , vagheggiava l ' abolizione della proprietà privata ; come vagheggiava la più completa libertà religiosa in opposizione all ' intolleranza che affliggeva la società del suo tempo . I socialisti utopisti della prima metà dell ' '800 ( Saint - Simon , Fourier , Proudhon ) , che avevano l ' occhio alla rivoluzione industriale che si profilava nella società del tempo , vagheggiavano un ' organizzazione sociale che portasse a compimento quella rivoluzione e insieme ne evitasse i malanni . E lo stesso Marx , che criticava il socialismo utopistico e vedeva nello sviluppo della struttura economica la sola forza determinante delle trasformazioni sociali , additava come termine ultimo di queste trasformazioni una « società senza classi » che eliminasse la lotta e l ' alienazione della società industriale . Esistono utopie rivoluzionarie e utopie conservatrici , utopie che vogliono cambiare il mondo dalle fondamenta e utopie che vogliono ripristinarlo in qualche vecchia forma o conservarlo nella sua struttura attuale , ritenuta perfetta o imperfezionabile . Le une pretendono indirizzare verso un termine fisso i mutamenti sociali , le altre pretendono fermare questi mutamenti o indirizzarli all ' indietro . Ma in tutti i casi l ' utopia mira a correggere la situazione attuale , a presentare un modello unico e semplice cui la società dovrebbe adeguarsi per raggiungere la sua forma perfetta . Non è un ' obiezione sufficiente contro l ' utopia la sua irrealizzabilità . Un sociologo tedesco ( Karl Mannheim ) ha definito anzi « utopia » ogni idea che tende a trasformare l ' ordine esistente e in qualche misura ci riesce ; e l ' ha distinta dall ' ideologia che non riesce mai ad attuare i suoi progetti . Da questo punto di vista , l ' utopia appare irrealizzabile solo ai gruppi sociali che si oppongono ad essa : un ' utopia rivoluzionaria sembra irrealizzabile ai gruppi conservatori , un ' utopia conservatrice sembra irrealizzabile agli innovatori . Certamente , l ' utopia assume , il più delle volte , la forma di un sogno favoloso , di un paradiso perduto o da conquistare , di un ' evasione dalle strettoie del presente verso il passato o l ' avvenire . Ma è anche vero che l ' utopia esercita o può esercitare una funzione direttiva e orientativa delle trasformazioni sociali ; che ciò che appare come « utopistico » in un ' epoca diventa talvolta realtà in epoca diversa ; e che ciò che è « realizzabile » o « non realizzabile » , non è determinabile una volta per tutte e in base a un criterio assoluto . Dall ' altro lato , la perfezione attribuita all ' utopia è spesso solo apparente . Difficilmente l ' utopia riesce a tener presente l ' intera situazione dell ' uomo nel mondo : spesso s ' impegna a prospettare una modifica della società che dovrebbe salvare la società stessa dai mali che all ' utopista appaiono più gravi e diffusi . Perciò accade che , in ogni disegno utopistico , alcuni valori umani siano trascurati o ignorati a vantaggio di altri , riconosciuti come i soli importanti . Certe utopie esaltano la libertà a scapito della giustizia , altre esaltano la giustizia a scapito della libertà . Alcune mettono sopra ogni cosa il benessere , altre i valori morali ; alcune vogliono la supremazia della tecnica , altre quella della religione . Ma in generale ogni utopia dà per scontato tre cose : l ' uniformità delle aspirazioni umane , l ' immutabilità delle istituzioni e la saggezza infallibile dei governanti . Queste tre cose non esistono sulla terra . Le aspirazioni umane sono irriducibilmente diverse e spesso in conflitto tra loro ; le istituzioni sono sempre sottoposte al logorio e alla trasformazione e anche lo sforzo di conservarle finisce per modificarle . E i governanti sono raramente saggi , mai infallibili . Ma il carattere che soprattutto distingue l ' utopia dal pensiero politico positivo , è la sua pretesa totalitaria . Lo schema , in cui essa consiste , dovrebbe inquadrare e reggere la vita di tutto il genere umano per tutti i tempi . Essa ignora o trascura il fatto fondamentale che i problemi che concernono la vita umana nel mondo sono suscettibili di soluzioni diverse , e che la scelta tra queste soluzioni è e deve rimanere aperta . L ' utopia si ispira costantemente alla vecchia idea millenaristica di una soluzione definitiva , dopo la quale non vi saranno problemi . Essa intende far leva sulla storia e sulle sue incessanti trasformazioni per immobilizzare la storia stessa in istituzioni definitive , non più trasformabili . È portata perciò a prevedere un complesso di accorgimenti che garantiscano l ' immutabilità dell ' ordine finale e a sopravvalutare la forza delle leggi o della costrizione politica per la garanzia di quell ' ordine . Ogni utopia prospetta una forma di assolutismo politico e ha la pretesa di rendere gli uomini liberi e felici anche loro malgrado . Questa pretesa costituisce l ' aspetto più pericoloso e urtante della mentalità utopistica . Noi sappiamo oggi che essa è completamente infondata . Le leggi , l ' educazione , le forze conformistiche o costrittrici di qualsiasi genere possono determinare in larga misura il comportamento degli uomini , ma non possono infondere alla creta umana uno spirito nuovo che duri nei secoli . L ' azione di quelle forze , costrette ad affrontare sempre nuove difficoltà , deve , per essere efficace , prendere nuove iniziative , trovare nuove vie , inventare nuovi procedimenti ; e questo si può ottenere solo facendo appello a quella stessa irriducibile diversità e ricchezza dei talenti , delle aspirazioni e delle capacità umane , che esse dovrebbero reprimere . Si dice che le giovani generazioni sono completamente aliene da ogni sogno utopistico e che la loro mentalità è fredda e realistica . Se è così ( come parrebbe da certi indizi ) , si tratta di una vera fortuna . L ' utopia non è oggi un aiuto , ma un ostacolo alla ricerca di soluzioni felici e durature dei nostri problemi sociali e politici . Queste soluzioni vanno oggi cercate sulla base dei dati messi a nostra disposizione dalle discipline scientifiche e in vista dello scopo di offrire a ciascun membro del corpo sociale maggiori opportunità di scelte . Non l ' eliminazione delle scelte o il loro appiattimento uniforme in uno schema di perfezione fittizia , ma l ' estensione delle scelte al massimo numero possibile di persone e la loro ricchezza e varietà , può essere oggi la direttiva generale di un pensiero politico e sociale efficace . L ' utopia può incoraggiare il fanatismo o l ' entusiasmo fittizio , non ispirare la ricerca paziente delle soluzioni , la loro messa a prova e la loro correzione eventuale . E soprattutto può far dimenticare che tutti i vantaggi che la società umana può conseguire nel suo complesso hanno un loro prezzo di rinunce e di limitazioni ; e che gli uomini non debbono attenderseli , come un dono , dall ' avvento di un ' utopia qualsiasi , ma soltanto dalla loro intelligenza e dal loro lavoro .
Caro Doldi ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Caro Doldi , non so se mi sono spiegato male io , o se mi ha capito male lei . Io non ho sminuito affatto , né intendevo sminuire , la tradizione della Chiesa . Solo un cretino o un analfabeta potrebbe farlo . E ' una tradizione immensa . Ma non venga a dirmi che è una tradizione « nazionale » : la Chiesa sarebbe la prima a offendersene , perché se c ' è un ' istituzione di carattere universale e quindi allergica a identificarsi con una « nazione » è proprio la Chiesa . E contro di essa , quando il protestantesimo ne ruppe l ' unità , che si formarono le nazioni . Non lo dico io , lo dice la Storia , e anzi questo è uno dei pochi punti su cui tutti gli storici sono d ' accordo . Si dividono sul giudizio da dare di questo processo , che secondo qualcuno fu un gran bene , secondo qualche altro un gran male . Ma il processo nessuno lo contesta . Altra sua affermazione che non posso accettare è che la vera tradizione italiana è quella cristiana . A parte il fatto che c ' è anche quella classica pre - cristiana e pagana di Roma , la sua è una definizione che non definisce nulla perché cristiano è tutto il mondo civile . Mi scusi , ma ho l ' impressione che lei faccia una grossa confusione di concetti . Cattolici , in Italia , siamo tutti , o quasi tutti . Lo erano anche - e alcuni strettamente osservanti e praticanti - i pochi animosi che fecero l ' Italia ( il generale Cadorna , dopo aver ordinato ai suoi cannoni il fuoco su Porta Pia , andò in chiesa a chiedere perdono a Dio ) . Ma non c ' è dubbio ch ' essi s ' ispiravano a una concezione « laica » dello Stato unitario nazionale , nel senso che lo volevano sovrano , e non tributario della Chiesa , come già lo era in tutti gli altri Paesi cattolici dell ' Occidente . Contro questi animosi stavano non i cattolici , ma i « clericali » che volevano mantenere l ' Italia divisa per salvare lo Stato temporale della Chiesa . E non c ' è oggi storico serio , anche se di assoluta ortodossia cattolica , il quale non riconosca che l ' ostinazione della Chiesa a difendere i suoi Stati fu un grave errore . Comunque , che gli artefici del Risorgimento - sia quelli che militarono sotto le bandiere dei Savoia , sia sotto quelle di Mazzini e Garibaldi - volessero uno Stato di modello occidentale laico , anche quelli che andavano regolarmente a messa e si confessavano , nessuno può metterlo in dubbio . E vilipendere questi uomini , che ebbero certamente i loro difetti e miserie , ma che popolarono le galere e le forche per fare dell ' Italia una nazione , non è da cattolico , ma da clericale . La tradizione « nazionale » è roba loro e dei due partiti che ne hanno raccolto l ' eredità : il liberale e il repubblicano . Il resto o è merce di Chiesa , che è grandissima merce , ma di carattere universale , non nazionale ; o merce d ' importazione , come il socialismo e i suoi derivati che discendono da Marx e da ideologie internazionaliste . Noi siamo in pochi , e per di più divisi e litigiosi . Ma erano in pochi anche quelli , dai quali ci vantiamo di discendere , che fecero il Risorgimento senza e qualche volta contro tutti gli altri italiani ; e che poi amministrarono lo Stato un pochino meglio di come lo si amministra oggi . Se lei non è convinto , si ripassi la Storia . E vedrà che , da chiunque scritta , conferma quello che dico io .
StampaPeriodica ,
Nei sei anni che tennero dietro a Versailles l ' Europa ha cercato un equilibrio di pace seguendo successivamente due vie opposte . L ' immediato dopo guerra fu dominato da preoccupazioni e suscettibilità nazionaliste . Non era un nazionalismo pericoloso perché non si esprimeva in vere e proprie ambizioni ma in una piccola politica scontrosa , di corte vedute . Ispiratori Poincaré , Theunis , Bonar Law , ecc . ; risultato : l ' avventura delle riparazioni . Con lo scacco di Ludendorf in Baviera , il venir meno delle inquietudini rivoluzionarie in Sassonia , Ungheria , Italia , furono tolti anche i pretesti di questa mentalità . Così la liquidazione della crisi economica mondiale portò all ' esperimento di sinistra : Mac Donald , Herriot , Marx . Questo esperimento fallì prima di cominciare , benché l ' indirizzo di politica estera inaugurato durante la parentesi democratica sia anche oggi in rigore . Il fallimento delle sinistre è dovuto alla situazione interna di tutti i paesi d ' Europa . Le classi operaie non sono in grado di conquistare il potere politico e dal 1914 in poi le classi medie , col loro stupido chauvinisme si sono alleate alla causa delle classi dominanti e dei poteri costituiti . Lo Stato democratico non è riuscito a diventare Stato autonomista ; i poteri locali sono sempre alla mercé del centro ; la strapotenza del potere centrale riduce le classi medie a funzioni parassitarie , le rende burocratiche e schiave . La guerra ha spogliato economicamente le classi medie , togliendo loro con l ' indipendenza economica la dignità e l ' iniziativa politica : per vivere esse hanno dovuto ricorrere allo Stato ; accettandone un impiego sono diventate complici dei poteri costituiti . A questo si riduce la crisi delle democrazie in Europa . In Inghilterra , in Francia , in Belgio , in Germania si ha dunque una situazione conservatrice . Il mondo non va né a destra né a sinistra . Nei quattro tipici Stati centro - occidentali le democrazie sono vinte ma non sgominate . In tutti e quattro però la reazione sembra definitivamente allontanata : un colpo di forza o una avventura militare sono diventati difficili e improbabili . Sono dunque in errore in Italia tanto i fascisti – i quali parlano di internazionale fascista e vantano i consensi che vengono a Mussolini dall ' estero – quanto le opposizioni che vedono nella situazione internazionale un elemento di instabilità del governo presente in Italia . Se si vuol discutere intorno al prestigio dell ' Italia all ' estero bisogna portare altri argomenti e partire da un altro punto di vista . L ' importanza dell ' Italia nella politica europea dipendeva direttamente e oggettivamente dall ' esistenza di una forte Austria e di una Turchia pericolosa . In queste condizioni un ruolo decisivo era sempre assicurato all ' Italia nel dissidio tra Europa centrale e occidentale . D ' altra parte l ' Inghilterra era necessariamente interessata all ' esistenza di uno Stato libero e liberale nel Mediterraneo contro ogni pericolo che venisse da Oriente . Mancando questa felice situazione ( che fu sfruttata a suo tempo da Venezia e nel secolo scorso da Cavour ) la funzione europea dell ' Italia diminuisce nel momento stesso in cui essa abbatte l ' Impero d ' Asburgo . Il centro della politica è definitivamente sul Reno ; il Mediterraneo si avvia a una seconda decadenza ; le tre penisole meridionali restano abbandonate al loro isolamento , tutte e tre dominate all ' interno da difficilissime situazioni agrarie . L ' Italia è più povera delle altre due penisole ; ma nonostante la retorica e la vanità nazionalista che la travaglia , ha lavorato più fermamente da due secoli in qua per salvarsi dal tramonto delle razze meridionali . L ' industrialismo del triangolo Genova - Torino - Milano , la questione meridionale , l ' immaturità della lotta politica , lo spirito medioevale delle classi agrarie , la crisi del cattolicesimo rimangono tuttavia come le tragiche incognite del nostro avvenire . Il fascismo è un episodio di questi problemi e di queste incertezze . Niente possono capire gli stranieri di tali crisi . Un antifascista all ' estero si trova a parlare un gergo assurdo . Quei ventimila intellettuali o politici , non ispirati dall ' Agenzia Havas o dagli eredi di Northeliffe , onesti e colti , che in tutti i paesi civili rappresentano la parte più intelligente dei ceti medi , non vedono di buon occhio il fascismo ma vi disarmano con la loro ingenuità a base di Risorgimento e di liberalismo . La loro protesta è indice di nobili cuori , ripugnanti alla violenza e alla demagogia , ma sopravaluta gli italiani credendo che essi soffrano per la libertà perduta . Un esempio caratteristico di questa candida fiducia dei liberali inglesi nella maturità dell ' Italia si ha nella nota lettera di Steed . Naturalmente questi antifascisti europei sono una minoranza . Le plebi a cui si dirigono il Daily Mail e il Petit Parisien amano invece la demagogia sovversiva della reazione . Mussolini gode di una popolarità indiscussa tra i piccoli borghesi di tutto il mondo . Il suo prestigio deriva dal mito antibolscevico . Tutti sanno che il movimento operaio in Italia è stato stroncato dalle sue debolezze interne nella primavera del 1920 ben prima che si formassero le squadre d ' azione . Ma queste sottigliezze sfuggono a osservatori superficiali privi di qualunque preparazione a comprendere le cose italiane . Si ebbero forti diffidenze verso Mussolini all ' estero nel principio del suo esperimento . Si temeva l ' eredità di Napoleone III , il turbamento della pace europea . Dopo Corfù questi timori sono svaniti . Ora Mussolini è inquadrato nei piani conservatori delle Potenze occidentali . Dal Foreign Office e dal Quai d ' Orsay si vede con simpatia un Governo antibolscevico nel Mediterraneo come in Polonia , in Bulgaria , in Cecoslovacchia . Le classi dominanti inglesi rappresentate dal Morning Post , il radicalismo plutocratico caillauttista , il nazionalismo belga valutano l ' Italia con machiavellica noncuranza dal punto di vista della sua efficienza esterna : non nutrono preoccupazioni sulla proclamata capacità rivoluzionaria della marcia su Roma , paghi che a Roma le iniziative di politica estera non creino imbarazzi alla politica di accerchiamento della Russia . La politica europea va riducendosi al duello tra Russia e Inghilterra preveduto da Marx , se pure in forma opposta ; e l ' Inghilterra conservatrice gioca sulla paura del bolscevismo per non lasciare agli altri popoli iniziative politiche .
LA PACE: MITO E REALTÀ ( Abbagnano Nicola , 1967 )
StampaQuotidiana ,
Nei miti degli antichi poeti e filosofi , lo stato perfetto di pace è situato al principio della storia umana nel mondo . Esiodo lo considerava proprio dell ' età dell ' oro in cui gli uomini vivevano come divinità beate , liberi da inquietudini e da malanni , nel godimento di beni sovrabbondanti : e considerava le età successive come un graduale decadimento da quello stato di perfezione . Platone narra nel Critia il preludio della prima grande guerra mondiale : quella fra l ' Atlantide e il resto del mondo capeggiato dalla Grecia ; guerra divenuta inevitabile quando , trascorsa l ' età degli dèi , nella quale questi governavano sugli uomini come pastori eccellenti , e l ' età degli eroi , autori di imprese leggendarie , una stirpe di uomini avidi e brutali rese la pace impossibile . In questi miti , l ' aspirazione costante degli uomini ad una vita felice , non funestata da violenze e da guerre , assumeva la forma del rimpianto di un paradiso perduto , della nostalgia per un ' età passata e conclusa , che non può ritornare . Nei moderni , la stessa aspirazione assume la forma dell ' attesa o della speranza di un avvenire più o meno lontano . Il mito è capovolto nel tempo . La pace non è più in un lontano passato ma in un avvenire di cui esistono già i segni o l ' annunzio . Le speranze millenarie dei cristiani , le forme diverse della sempre risorgente utopia , le ideologie politiche e i progetti dei filosofi hanno sempre prospettato la pace come l ' esito finale della storia , la fase ultima nella quale la vicenda di orrori , di violenze e di guerre avrà termine per sempre e sarà sostituita da una specie di regno di Dio sulla terra . La prima guerra mondiale apparve a buona parte dell ' opinione pubblica come « la guerra che porrà fine a tutte le guerre » . E le dure smentite dei fatti non sempre indeboliscono questa speranza . Gettato in un mondo in cui la sua sorte è messa continuamente in pericolo , l ' uomo proietta nell ' immagine di un passato lontano o di un avvenire più o meno prossimo il primo bisogno della sua natura : quello di una pace senza minacce . Lo stato di pace può essere posto al principio della storia o al termine di essa , può essere oggetto di rimpianto nostalgico o di attesa messianica ; ma i suoi caratteri sono gli stessi . È un idillio perpetuo nel quale le ambizioni smodate e la volontà di potenza di persone e di gruppi sono state superate per sempre ; in cui non c ' è più l ' antagonismo , la competizione , la lotta , l ' urto degli interessi , il contrasto delle passioni . È uno stato di perfezione in cui tacciono per sempre i conflitti di cui pare sia intessuta la vita quotidiana degli uomini . La pace , ha scritto Whitehead , è « l ' armonia delle armonie che placa la turbolenza distruttiva e completa la civiltà » . Spesso i filosofi hanno sollevato obbiezioni contro una pace così intesa . Eraclito , il più pessimista dei filosofi dell ' antica Grecia , ad Omero che aveva detto « Possa la discordia sparire fra gli De ' i e fra gli uomini » , rispondeva : « Omero non s ' accorge che prega per la distruzione dell ' universo : se la sua preghiera fosse esaudita , tutte le cose perirebbero » . Hegel diceva : « Come il movimento dei venti preserva il mare dalla putrefazione nella quale lo ridurrebbe una quiete durevole , così ridurrebbe i popoli alla putrefazione una pace durevole o anzi perpetua » . Ed è certo che il raggiungimento di una pace resa definitiva e totale per l ' assoluta esclusione di ogni elemento di conflitto e di latta , supporrebbe una trasformazione completa degli esseri umani , un capovolgimento altrettanto totale della loro natura . Questa trasformazione è certo improbabile perché nessun elemento positivo , nessun fatto può esserne interpretato come il preannuncio . Ciò che sappiamo dell ' uomo , ciò che ci dicono di lui le discipline antropologiche , storiche e sociali e la stessa filosofia non ci autorizza a credere che l ' uomo sia sulla via di una trasfigurazione totale che da essere limitato e imperfetto lo trasformi in un semidio o in un ' anima disincarnata . La pace assoluta e definitiva appare oggi alla fredda e lucida mentalità dell ' uomo moderno come un semplice sogno . Certo , è un nobile sogno ; e , come diceva Calderón , sia nel sogno che nella veglia certe cose sono preferibili ad altre . Ma la questione cruciale non è quella circa la nobiltà o la bellezza del sogno ; è quella circa la sua funzione . Può il sogno della pace perpetua contribuire alla pace ? Coloro che attribuiscono al mito una funzione direttiva nella storia degli uomini risponderebbero certo di sì . Ma la credenza nel mito è fragile perché cede al primo urto della realtà e dopo di sé lascia il vuoto . Nella civiltà contemporanea , fondata com ' è , in tutti i livelli , sull ' esercizio dell ' intelligenza , il mito è ancora più fragile . Inoltre - ed è la considerazione fondamentale - il mito della pace assoluta incoraggia il fanatismo . La pace totale può venire solo dopo l ' ultima guerra totale : dopo la distruzione di tutti i « nemici » , dopo l ' eliminazione dell ' ultimo dissidente , quando un unico sistema di credenze , un unico modo di vivere si sarà stabilito fra gli uomini , e verrà tolto di mezzo ogni contrasto , ogni dissenso e ogni competizione . Quale giustificazione migliore per una guerra di sterminio della prospettiva che essa condurrà finalmente alla pace definitiva ? L ' insegna di ogni fanatismo è proprio questa : sterminate i vostri nemici senza pietà ; dopo , vivrete tranquilli . Fuori del mito e del fanatismo , per un ' intelligenza che voglia onestamente comprendere la realtà delle cose umane , la guerra e la pace possono essere considerate tra loro nello stesso rapporto in cui stanno la salute e la malattia . Lo stato di salute , la sanità dell ' uomo normale , non è una situazione originaria o finale , permanente o definitiva , ma la capacità dell ' organismo di controllare , regolare e vincere gli assalti della malattia . « La minaccia della malattia » ha scritto un medico famoso « è uno dei costituenti della salute . » Ciò vuol dire che la salute è un equilibrio instabile , mantenuto o raggiunto contro la minaccia di rotture eventuali . Questo vale sia per la salute fisica che per quella mentale : la quale consiste anch ' essa in un equilibrio difficile , continuamente minacciato e continuamente ristabilito contro innumerevoli occasioni di disturbo . I rimedi che la medicina appresta non sono magici esorcismi che mettono le malattie completamente fuori questione ; sono aiuti offerti all ' organismo per rafforzare quei poteri di correzione e regolazione che lo mettono in grado di resistere agli assalti del male . Ma questi assalti continuano . Allo stesso modo , lo stato di pace cui l ' umanità può aspirare non è la cessazione definitiva delle minacce di guerra , ma la disponibilità di mezzi adatti a fronteggiare queste minacce . La coesistenza di civiltà e di modi di vita diversi , le differenze di religione e di costume , le competizioni tra individui e gruppi , i contrasti di interessi , non sono condizioni di cui si possa prevedere l ' annullamento ; e d ' altronde senza quelle condizioni l ' umanità si ridurrebbe a una massa piatta ed amorfa senza possibilità creative , senza alternative di vita , perciò destinata a una lenta agonia . Ma da quella molteplicità , da quei contrasti e competizioni nascono continuamente problemi che , se non sono affrontati per tempo , si incancreniscono e possono condurre a esplosioni violente . La pratica effettiva della tolleranza , le libertà civili , la sostituibilità delle gerarchie politiche , il compromesso degli interessi contrastanti , lo scambio di uomini e di idee tra paesi diversi , sono alcuni degli strumenti di cui l ' umanità dispone per superare le minacce di guerra . Le istituzioni internazionali o soprannazionali si fondano appunto su quegli strumenti . Ma si tratta ancora cli strumenti imperfetti , la cui messa a punto implica da parte di ogni uomo o gruppo umano , limitazioni , rinunzie e sacrifici . È più facile , certo , vivere nella cieca attesa di un domani totalmente pacifico anziché contribuire giorno per giorno a rafforzare atteggiamenti , convinzioni , istituzioni , che possono risparmiare agli uomini rischi di guerre . La magia promette sempre assai più della scienza . Ma solo la ricerca paziente arriva , da ultimo , a dare alla umanità qualche beneficio permanente . È verità antica che nessun uomo può essere salvato contro la propria volontà . La razionalizzazione dei rapporti umani , dalla quale dipende la vittoria della pace sulla guerra , è un compito che non può essere limitato a una parte sola dell ' umanità , mentre l ' altra sta ad aspettarne i benefici . Finché l ' umanità avrà zone di ombra in cui quella razionalizzazione non riesce a penetrare - come accade ora un po ' dappertutto - l ' umanità non avrà raggiunto la sua sanità morale , non sarà in grado di respingere ogni minaccia di guerra . Questo non è un elemento di sfiducia ma di speranza ; giacché l ' esatta nozione di un pericolo è il primo avvio per superarlo . Non sono le esortazioni e le prediche moralistiche , i richiami a ideali anche nobilissimi , che possono contribuire sostanzialmente a garantire la pace . C ' è un « fanatismo della pace » che può essere altrettanto pericoloso del fanatismo di guerra . Soltanto i mezzi concreti che diffondono fra tutti gli uomini il senso della misura , del calcolo e dell ' organizzazione razionale dei loro interessi renderanno capace l ' umanità di raggiungere quello stato di sanità morale che le consentirà di superare le insorgenti minacce di guerra .
Caro Maccarini ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Caro Maccarini , ciò che lei dice è giusto . Ma a Burgess non si possono chiedere delle « analisi » , di cui gli manca oltre tutto la logica . Da vero autentico artista , egli non procede per argomenti , ma per « umori » , e quello dominante è la collera . Burgess è contro gl ' inglesi perché è mezzo irlandese . E ' contro gl ' irlandesi perché è mezzo inglese . E ' contro gli americani perché è europeo fino alla cima dei capelli . Ma è anche contro gli europei perché si lasciano americanizzare . E ' contro i protestanti perché è cattolico . Ma protesta contro i cattolici perché non lo sono a modo suo . Protesta anche , credo , contro Gesù Cristo perché non è abbastanza Burgess come lui lo vorrebbe e descrive ( vedi L ' Uomo di Nazareth , che io considero un capolavoro ) . E quindi non gli si può chiedere l ' oggettività ( falsa ) del sociologo o del politologo , due categorie di persone alle quali egli farebbe volentieri fare la fine delle streghe di Harlem . Ma sotto i suoi sghignazzanti impeti di furore ci sono , guizzanti e accecanti come folgori , delle intuizioni che non mancano mai il bersaglio e lo illuminano in poche frasi meglio di quanto potrebbe fare un intero trattato . Ce n ' erano anche in quella sua ruggente presa di posizione contro l ' Europa , che noi non condividiamo . Ma il bello è che non la condivide nemmeno Burgess . Il quale constata che gli europei non sono capaci di fare l ' Europa , ma lo constata con rabbia perché vorrebbe che lo fossero . E uno di quegli scrittori - di getto , gagliardi , tutto muscoli - che quando crede di dare un bacio dà un morso . E proprio per questo mi va tanto a sangue . Domani potrebbe scrivere un articolo sferzante contro il Giornale e contro me . E io glielo pubblicherei .
StampaPeriodica ,
I Fin dal III Congresso del partito ( Lione ) , ed anzi già durante le discussioni preparatorie del congresso che si tennero nel 1925 , nell ' Ufficio politico e nel Comitato centrale , si affacciò la necessità di dare un programma al partito . Superata la crisi interna e conquistata una superiore maturità ideologica e politica il partito cominciò a vedere i problemi della rivoluzione italiana e i propri compiti con occhi nuovi . Fino al 1923-1924 noi ci sentivamo il partito di una frazione del proletariato , di una frazione che voleva diventare maggioranza attraverso la « conquista molecolare » dei proletari e limitandosi ad operare entro gli organismi tradizionali del proletariato italiano . Questa ristrettezza del nostro campo politico limitò la nostra azione e impedì al partito di presentarsi di fronte alle grandi masse come il partito del proletariato italiano e la guida di tutta la popolazione lavoratrice . Basta rievocare la posizione assunta dal partito in numerose occasioni , dal 1921 alla fine del 1923 , per convincersene . È verso la seconda metà del 1924 ( crisi Matteotti ) che noi incominciamo ad avere un respiro politico più ampio , ed a manovrare nel giuoco delle forze politiche per presentarci come un « partito di governo » di fronte alle masse lavoratrici . Dal periodo che si potrebbe chiamare « di organizzazione » passiamo al periodo della vera e propria azione politica . Non vorrei che i compagni fossero tratti a credere che io pensi che i due periodi si caratterizzano nettamente e che essi diano , come i momenti di un processo logico , la spiegazione dello sviluppo del nostro partito . Infatti non è vero che dal 1921 al 1924 noi ci siamo occupati di organizzazione e non di politica ; né è possibile pensare che dopo il 1924 noi abbiamo trascurato o sottovalutato i problemi di organizzazione . Il periodo 1921-1924 è prevalentemente « interno » e di propaganda ; nel secondo quello nel quale siamo tuttora noi affrontiamo tutti i problemi interni ed esterni : il partito vede meglio , anzi , i problemi interni e li risolve nella misura e nel modo in cui è capace di vedere e di affrontare i propri compiti politici . Il momento tipico del passaggio dall ' uno all ' altro periodo è stato quello della trasformazione organica del partito sulla base delle cellule . Dal 1924-1925 in poi non ci sentiamo più il partito di una frazione del proletariato , ma il partito politico rivoluzionario del proletariato , di tutto il proletariato italiano . A questo risultato siamo giunti liberandoci dagli ultimi residui della ideologia massimalista ( dei quali si nutriscono oggi avidamente i gruppi di opposizione che sono fuori del nostro partito ) ed affrontando risolutamente i problemi della strategia e della tattica seguendo gli insegnamenti del marxismo - leninismo , sulla base della analisi della struttura della società italiana , dello sviluppo del capitalismo italiano e delle contraddizioni che esso genera , della formazione e del movimento delle classi ; cioè impossessandoci del metodo di analisi marxista . II Il bisogno di darci il programma è coinciso con l ' allargarsi della visione dei nostri compiti storici e politici . Non tutti i compagni , è vero , vedono ancora tutti questi compiti e sanno adeguare ad essi la propria azione . Non tutti i compagni riescono ancora a concepire il carattere « popolare » e « nazionale » della rivoluzione proletaria , che il partito rivoluzionario del proletariato deve trascinare e dirigere tutta la popolazione lavoratrice , che esso deve avere , perciò , un programma di azione applicando il quale esso riesce a portare alla insurrezione ed alla lotta per il potere le masse decisive del proletariato urbano e dei lavoratori della campagna , e deve avere un programma di governo « nazionale » dei lavoratori che risponda ai bisogni e agli interessi della totalità della popolazione lavoratrice , cioè della stragrande maggioranza della popolazione . La debolezza ideologica e politica che è restata in alcuni strati del nostro partito , e che dovrà essere e sarà necessariamente superata nel corso del nostro lavoro , trova una spiegazione nelle condizioni estremamente difficili che ci sono state fatte dalla situazione italiana , durante gli otto anni della nostra esistenza . Nelle nostre file , tuttora , il rivoluzionarismo della frase sostituisce qua e là il rivoluzionarismo marxista . La coscienza del « governo » , del « potere » , dello « Stato » che si forma e si sviluppa nel partito , il quale è « governo » , è « potere » , è « Stato » in sviluppo non è ben radicata tra noi . È pur vero che questa « coscienza » si sviluppa con lo sviluppo stesso del processo rivoluzionario e si allarga fino a diventare coscienza di tutto il proletariato ; ma essa è anche un eccitatore del processo e ne determina la orientazione . Date , quindi , al partito il programma vuol dire rafforzare in esso la coscienza del potere , elevarlo politicamente nella comprensione dei gravissimi compiti che esso deve assolvere . Ma dare il programma al partito vuol dire anche dare il programma al proletariato , vuol dire porre il partito comunista di fronte a tutto il proletariato come il proprio e solo partito , accelerare il dislocamento degli operai e dei salariati agricoli verso il loro partito ; e quindi porre il proletariato , dinanzi alle grandi masse popolari , come l ' erede e il solo erede della borghesia e del capitalismo al potere . III La necessità per il nostro partito di avere il programma non è contestabile , e credo che non sarà contestata . Piuttosto da molte parti ci si domanderà : « Ma il PCI non aveva già un programma ? E se non lo aveva come è potuto andare avanti per otto anni ? È possibile che il partito si dia il programma solo dopo otto o nove anni di esistenza ? » . A domande simili noi già rispondemmo trattando della questione del programma della Internazionale comunista . Noi siamo arrivati al programma della Internazionale comunista attraverso ad una esperienza complessa . Ma ciò non vuoi dire che dal 1919 ( e io direi meglio dal 1917 ) la Internazionale comunista marciasse alla giornata . Tutti i documenti fondamentali , dal I Congresso della Internazionale in poi , sono stati dei documenti programmatici o hanno fissato problemi di tattica generale . Il programma della Internazionale comunista coordina tutta la imponente esperienza ideologica e politica della Internazionale nel corso dei suoi primi nove anni di vita e presenta , per la prima volta dopo il 1847 , un documento che fissa gli obiettivi della lotta rivoluzionaria del partito comunista mondiale . Anche noi abbiamo dovuto seguire la strada delle esperienze ideologiche e politiche del nostro partito per giungere alla formulazione del programma . Ma ciò non vuol dire che il nostro partito , dal 1921 , abbia marciato alla giornata . Al Congresso di Livorno ( San Marco , 1921 ) noi non abbiamo approvato un programma , bensì una mozione programmatica della forma di quelle che erano adottate dai partiti della seconda Internazionale Questa mozione è una dichiarazione di principio del comunismo marxista la quale può e deve essere accettata da chiunque si richiami al marxismo rivoluzionario . Essa non è però né un programma della Internazionale comunista ( perché vi mancano l ' analisi della situazione mondiale del capitalismo , la descrizione del processo che porta alla morte inevitabile del capitalismo , l ' analisi delle forze motrici rivoluzionarie mondiali , le direttive della lotta per la dittatura proletaria , la indicazione di che cosa farà il proletariato quando avrà preso il potere , ecc . ) né è un programma del PCI ( perché vi mancano l ' analisi della struttura del capitalismo italiano , della formazione e dei rapporti fra le classi della società italiana , della stabilizzazione italiana , la indicazione dei compiti che si pongono al PCI per realizzare il blocco operaio - contadino , ecc . ecc . ) La mozione programmatica di Livorno non fu essa a distinguerci dai cosiddetti comunisti unitari ( massimalisti ) e dagli opportunisti . I massimalisti , infatti , non potevano allora non aderire ai principi espressi nella nostra mozione , e la loro grande maggioranza non sarebbe aliena dall ' approvarli , a parole , anche oggi . I punti di differenziazione tra noi e i massimalisti , nel 1921 , furono precisamente i rapporti internazionali ed i problemi concreti della rivoluzione italiana ; il che è quanto dire che il dissenso che portò alla scissione fu determinato non già da una divergenza sui principi generali , divergenza che gli opportunisti negano sempre , ma da una divergenza decisiva sul terreno della applicazione dei principi generali ai problemi concreti della rivoluzione italiana . È in questo momento che l ' opportunismo centrista si svela , sempre . La discussione con i centristi e la divisione da essi nel Congresso socialista di Livorno , avvennero : a ) sui ventuno punti posti dalla Internazionale comunista come condizione per la entrata dei partiti socialisti nella organizzazione comunista mondiale , e quindi sulla esclusione dei riformisti e degli opportunisti del PSI , sulla centralizzazione rivoluzionaria dei partiti e della Internazionale comunista , sul compito delle frazioni comuniste , sui rapporti tra partiti e sindacati , ecc . ; b ) sulla contemporaneità internazionale della rivoluzione , teoria evocata dai riformisti e dagli opportunisti per mascherare la loro profonda essenza controrivoluzionaria , e contro la quale i comunisti allora si batterono ( questa teoria è oggi passata nel patrimonio ideologico della opposizione sedicente di « sinistra » la quale , al contrario , è una opposizione di destra mascherata ) ; c ) sui problemi agrario , nazionale e coloniale . Il dissenso fu perciò programmatico ; ma il nostro programma non era stato elaborato , precisato , era generico , si riallacciava a taluni elementi generali ( in specie ai documenti fondamentali del II Congresso della Internazionale ) . Se noi avessimo potuto ( ma ciò non era possibile ) presentarci a Livorno con un programma organico , il dissenso con i centristi e con gli opportunisti sarebbe stato ancora , immediatamente , più profondo e appariscente . IV Ma potevamo noi andare a Livorno con il programma ? E , prima di tutto , che cosa significa avere un programma ? Avere un programma significa realizzare il massimo di unità ideologica nell ' interno del partito . Avevamo noi questa unità ideologica interna nel gennaio 1921 ? No : noi non l ' avevamo . Il nostro partito si era formato attraverso alla fusione di tre aggruppamenti : la frazione astensionista del PSI ( Bordiga ) ; il gruppo dell ' Ordine nuovo ( Gramsci ) , la sinistra socialista rivoluzionaria ( Gennari - Bombacci - Marabini , ecc . ) . Questi tre aggruppamenti muovevano da posizioni ideologiche differenti , più o meno sviluppate , ed erano fusi nella convinzione della necessità di dare al proletariato italiano il suo partito rivoluzionario . Basta rileggere , oggi , a distanza di otto anni il resoconto del Congresso di Livorno e gli interventi degli oratori comunisti per convincersi che una unità ideologica nel gennaio 1921 non esisteva fra i comunisti . Ciò , del resto , era risaputo da noi , e anche fuori del nostro partito . Al Congresso di Livorno alcuni oratori riformisti e centristi dissero ad alta voce che i comunisti non erano d ' accordo su tutte le questioni , quasi a denunziare una nostra debolezza costituzionale . Ben rispose Terracini che questo era un problema nostro , del futuro PCI , e che avremmo successivamente affrontato e risolto . Mancando una unità ideologica , ci mancava anche una esperienza autonoma , di partito . Senza l ' una e l ' altra un programma comunista , che non sia uno schema artificiale , non è possibile formularlo . V La nostra revisione ideologica , che accompagna lo sforzo verso la unità ideologica , è divenuta profonda dopo l ' avvento del fascismo al potere , durante il 1925 , sebbene verso di essa come abbiamo detto il partito si fosse già mosso nella seconda metà del 1924 e nella preparazione del III Congresso . Le tesi del III Congresso del partito , che hanno un filo unico che le lega , pur avendo alcune manchevolezze che solo oggi siamo in grado di vedere e di completare , rappresentano un grande balzo in avanti per il partito . Le esigenze programmatiche vi si risentono in modo evidente . Tutta la prima parte delle tesi politiche ha contenuto programmatico . Per la prima volta i problemi essenziali della rivoluzione proletaria italiana sono visti dai comunisti , e sono visti con occhio marxista . Il II Congresso ( Roma 1922 ) non ci aveva dato nulla di tutto questo : le tesi di Roma barcamenavano una teoria della tattica generale , ma non affrontavano i problemi della rivoluzione italiana . Né il programma di azione presentato dal Comitato esecutivo e dalla delegazione del PCI al IV Congresso mondiale ( 1922 ) colmava la lacuna . Il III Congresso del partito segna , perciò , un punto fermo nella maturazione ideologica del partito , ed è una vittoria politica per il proletariato italiano . La lotta contro il « sinistrismo » si è iniziata come una lotta sulle questioni della tattica e della organizzazione . Successivamente si è visto che il sinistrismo » rappresentava anche una deviazione nella « strategia » . Il dissenso con i « sinistri » era perciò programmatico . Le posizioni ideologiche che noi abbiamo conquistato lottando contro il sinistrismo sono state delle posizioni programmatiche . Dai dissensi sulla strategia , sulla tattica e sulla organizzazione siamo giunti a precisare : a ) che il sinistrismo non ha nessuna dimestichezza con il metodo dialettico di Marx , non è capace di compiere delle analisi ; b ) che esso non ha mai fatto una analisi della società italiana , delle classi e dei loro rapporti , e del processo di formazione del blocco operaio - contadino ; c ) che esso ha una concezione errata della natura e del ruolo dei partito comunista , e dei rapporti tra il proletariato e le altre classi che si muovono o che sono portate a muoversi contro il regime del capitalismo ; d ) che esso nega o restringe il compito del partito di intervenire con la sua azione politica , al fine di dislocare strati di masse influenzati da altri partiti e portarli sotto la influenza dei comunisti ; e ) che esso svaluta l ' attività di fronte unico e la sua organizzazione , ecc . Queste deviazioni di tipo « sinistroide » , ma caratteristiche del massimalismo , sono state battute decisamente dal partito senza possibilità di resurrezione in grande stile . Il nostro partito ha pure combattuto le deviazioni di destra , le quali si presentarono però sempre in esso come scarsamente vivaci . Esse non ebbero una seria base proletaria nel partito , e furono piuttosto la espressione della mentalità di gruppi di vecchi leaders che non erano riusciti a digerire la teoria e la pratica della Internazionale comunista da essi accettate quando ancora non le conoscevano . VI Dal III Congresso in poi il partito ha sviluppato le sue capacità politiche e la sua preparazione ideologica . I documenti del settembre 1926 ( risoluzione politica , risoluzione sul lavoro nel Mezzogiorno ) sono già degli sviluppi delle tesi di Lione . Il lavoro politico del partito compiuto nel 1925-1926-1927 sulla base delle direttive derivate da una giusta analisi della situazione , lo ha imposto decisamente all ' attenzione delle masse lavoratrici italiane . Il lavoro politico e di organizzazione , negli ultimi anni , malgrado le gravi difficoltà del nostro lavoro , non solo non ha indebolito il lavoro ideologico , ma lo ha migliorato ed esteso a uno strato più vasto di compagni . Lo Stato operaio ha portato innanzi lo studio di alcuni problemi che non erano stati ancora approfonditi , in particolare lo studio della situazione economica e quello del fascismo . Noi abbiamo , quindi , oggi una maturità sufficiente per passare alla formulazione del programma . D ' altra parte , dopo l ' approvazione del programma della Internazionale comunista , che è il programma del nostro partito mondiale , tutte le sezioni della Internazionale debbono passare a darsi i propri programmi nazionali , dei quali il programma mondiale è la premessa essenziale . Il Comitato centrale del nostro partito , già da alcuni mesi , ha nominato una commissione del programma , la quale , però , non ha potuto ancora iniziare il lavoro . Io mi limiterò , qui , ad esprimere alcune opinioni personali di carattere generale sul programma da dare al nostro partito , le quali potranno essere utilizzate o rigettate dalla commissione . Quale deve essere il tipo di programma da dare al nostro partito ? Da quanto ho sopra detto escludo che il programma possa essere una semplice dichiarazione di principi , quali erano , ad esempio , quelli del 1892 ( Genova ) e del 1919 ( Bologna ) del PSI , e quale fu quello approvato al nostro I Congresso ( 1921 ) . D ' altronde noi non abbiamo più bisogno , oggi , di incastrare nei nostri programmi nazionali una dichiarazione di principi , giacché il programma della Internazionale comunista che è la premessa di ogni programma nazionale , è una sufficientissima elaborazione dei principi della Internazionale comunista . I programmi nazionali della seconda Internazionale ( la seconda Internazionale non ha mai avuto un programma mondiale perché non ha mai avuto una politica ed una organizzazione dirette e centralizzate internazionalmente ) erano fatti sul tipo di mozioni , comprendenti due parti : una affermazione di principi , breve e talora brevissima , ed una esposizione delle rivendicazioni parziali ( programma massimo e programma minimo ) . Noi sappiamo che nella seconda Internazionale si andarono dimenticando a poco a poco i principi , e il programma delle rivendicazioni parziali ( delle riforme , diciamo meglio ) divenne il vero programma dei partiti della vecchia socialdemocrazia . Il programma della Internazionale comunista è tornato al tipo del manifesto , nel quale i principi e le rivendicazioni parziali sono tra loro legati in modo armonico , per cui l ' obiettivo della lotta per la dittatura proletaria non è mai perduto di vista , anzi tutto il processo di lotte parziali è visto come un mezzo per la conquista e la direzione delle masse sulla via della rivoluzione e della dittatura proletaria . Io penso che il programma del PCI debba mantenere il tipo del programma della Internazionale che risponde alla migliore tradizione del marxismo militante . Ho sotto gli occhi i progetti di programmi presentati dai partiti comunisti della Germania , del Giappone e della Bulgaria alla commissione del programma del IV Congresso . Sono certo che i compagni di questi partiti , nel redigere i programmi dei loro partiti , ricominceranno il loro ex novo . Infatti il vecchio progetto del partito comunista tedesco non era se non una lunga esposizione , e abbastanza pesante nella forma , della analisi del capitalismo mondiale del dopoguerra , e dei principi sui quali si è costituita la Internazionale comunista . Cito i titoli dei capitoli : 1 . L ' epoca dell ' imperialismo ; 2 . La guerra mondiale ; 3 . I trattati di pace imperialisti ; 4 . La crisi del capitalismo ; 5 . La presa del potere politico : a ) il proletariato come potenza motrice e classe dirigente della trasformazione socialista ; 6 ) il ruolo del partito comunista ecc . ; c ) il ruolo della violenza ; d ) la democrazia borghese ; e ) misure transitorie che preludono alla conquista del potere politico ; 6 . Trasformazione del regime capitalista in regime socialista , ecc . Non si tratta di un progetto di programma del Partito comunista tedesco , ma piuttosto di un contributo alla elaborazione di un programma della Internazionale comunista . Infatti i problemi della rivoluzione tedesca non vi sono visti in modo particolare . Questo progetto di programma , indipendentemente dal suo valore intrinseco ( esso fu scritto nel 1922 ) , non potrebbe servire ai compagni e al proletariato tedesco . Il progetto di programma del Partito comunista giapponese si avvicina al tipo di un programma nazionale : esso , infatti , è preceduto da una nota nella quale è detto che il progetto vuol essere un capitolo nel quale si pongano i problemi della rivoluzione e della lotta rivoluzionaria nel Giappone . Ma anche come capitolo complementare esso è insufficiente , non dà una idea della struttura economica e sociale del Giappone , non indica la soluzione comunista dei problemi particolari che si presentano alle masse lavoratrici del Giappone . Il progetto del Partito comunista bulgaro è più vicino a quello che mi sembra debba essere adottato dai partiti e dal nostro , toltane la prima parte che è già , e meglio elaborata , nel programma della Internazionale comunista . Però nel vecchio progetto del Partito comunista bulgaro mancano i problemi della strategia e della tattica . Il nostro programma , a parer mio , deve essere un programma di azione ed un programma di governo . Dobbiamo nel nostro programma analizzare il sistema mondiale del capitalismo , il suo sviluppo e il suo declino ? O la crisi generale del capitalismo e l ' aprirsi dell ' èra delle rivoluzioni proletarie ? O riaffermare i principi del comunismo ? No , tutto ciò non è necessario . Tutto ciò è nel programma della Internazionale comunista , del quale il nostro è una parte complementare . D ' altronde noi non possiamo limitarci ad un programma di azione , cioè ad indicare quali sono le forze che il proletariato deve abbattere , con quali mezzi e con quali azioni esso deve riuscire a conquistare , a trascinare e a dirigere le masse contro lo Stato borghese , e quali sono i compiti che al partito si pongono , per vincere , nella lotta del proletariato per il potere . Il nostro programma deve rispondere anche ad un ' altra esigenza , e a delle domande che le grandi masse ci pongono : « Che cosa voi farete quando avrete il potere nelle mani ? » . Gli italiani vogliono conoscere quale sarà il carattere e l ' ampiezza del loro potere . I contadini poveri avranno o no la terra ? E cosa darà il governo ai mezzadri , ai fittavoli , ai piccoli proprietari coltivatori ? E come sarà regolato il problema del debito pubblico ? E quello del debito estero ? E il problema meridionale ? E il problema delle minoranze nazionali ? E il problema coloniale ? E quello della istruzione , dell ' igiene , dell ' assistenza sociale , della Chiesa e della religione , dell ' esercito , ecc . ecc . ? Si tratta , quindi , né più ne meno che di fissare il programma di governo dei comunisti italiani . Se noi non rispondiamo a queste esigenze il nostro programma non avrà un valore verso l ' esterno , verso le masse , un valore di propaganda e di agitazione , ma sarà un documento interno , che interesserà solo i compagni . E certo che non è possibile , oggi , fare un programma di governo dettagliato ; non è possibile senza cadere nell ' artifizio ; giacché non è possibile prevedere tutte le modificazioni che il processo rivoluzionario italiano porterà nelle numerose branche della vita del paese ; ma vi sono dei problemi essenziali , fondamentali la cui gravità è causa ed effetto dello sviluppo delle contraddizioni del capitalismo : di essi e di altri problemi secondari , sì , ma ai quali il capitalismo non può dare una soluzione noi possiamo e dobbiamo indicare fin da oggi la soluzione comunista , la soluzione che noi daremo quando il proletariato avrà preso il potere . VII La forma del programma deve essere la più semplice possibile . Su questa questione noi dobbiamo insistere . Dato che il programma non potrà essere breve , esso dovrà essere semplice , di lettura facile e gradevole . Dobbiamo cercar di uscire , una volta tanto , dalla forma irta , arida dei nostri documenti . Bisognerà abbandonare il frasario e la terminologia scientifici , e quelli che sono divenuti abituali nel nostro linguaggio . Noi adoperiamo accenti del linguaggio e della cultura dell ' avvenire , perché noi esprimiamo nuovi e superiori bisogni dell ' umanità ed una civiltà nuova . Ma le masse a cui dobbiamo parlare sono ancora immerse nella società capitalistica : esse non ci comprendono se non parliamo il loro linguaggio . Noi dobbiamo preparare un documento che possa essere compreso da tutti gli operai italiani , pur non potendosi esigere che esso possa essere adattato alla capacità dell ' ultimo cafone del mio paese . Documento che serva alla propaganda diretta : voglio dire che non abbia bisogno di troppe interpretazioni orali sussidiarie . Il carattere semplice del documento non può contraddire alla serietà della esposizione ed alla precisione dei concetti . VIII Il programma dovrebbe essere composto di quattro parti : Analisi della struttura economica e della società italiana . ( Bisognerà tradurre queste formulazioni in linguaggio più comprensibile per le masse . ) Questa analisi è indispensabile : senza di essa ci manca la spiegazione del senso del processo di sviluppo del capitalismo italiano . Non mi soffermo qui a indicare tutti i punti che questa prima parte dovrà toccare . Dall ' analisi della struttura economica si dovrà passare a vedere come si sono formate le classi , e quali sono stati i loro rapporti reciproci e le modificazioni di questi rapporti sino al 1914 . Io chiuderei questa prima parte al 1914 . Il periodo che si apre con la guerra ha delle caratteristiche particolari : è il periodo della fase rivoluzionaria . Nella prima parte credo che dovrebbe anche essere fatta una descrizione della funzione avuta dai partiti borghesi ( partiti tradizionali , giolittismo , ecc . ) e dai partiti e movimenti proletari : anarchismo , socialismo ( riformismo , integralismo , intransigentismo ) , sindacalismo oltreché del carattere del repubblicanesimo , del clericalismo e dell ' autonomismo meridionale . La guerra del 1914 , inizio della rivoluzione proletaria . Bisognerà dire qualche cosa sulle forze che hanno spinto il capitale italiano a spezzare la neutralità e ad entrare nel conflitto . E , quindi , i caratteri nuovi della crisi del capitalismo italiano aggravata dai trattati di pace . Il movimento rivoluzionario in Italia e la sconfitta del 1920 . La stabilizzazione e i suoi caratteri tipici : il fascismo . Le modificazioni di struttura che si manifestano con lo sviluppo relativo della tecnica , e con la riorganizzazione della produzione . Impossibilità storica per il capitalismo italiano di ritornare alle forme democratiche . Prospettive . Qui bisognerà dire quali spostamenti di classe hanno operato la crisi del dopoguerra e il fascismo , e come si sono orientate politicamente le classi lavoratrici ( operai e contadini ) fino al 1921 e successivamente , precisando la funzione del partito comunista nel processo di riorganizzazione delle masse . Quindi una critica delle posizioni della opposizione costituzionale e della « concentrazione » , e la dimostrazione che l ' abbattimento del fascismo non è possibile senza l ' abbattimento del capitalismo , e che la direzione della lotta vittoriosa delle masse lavoratrici contro il fascismo non può spettare che alla classe proletaria italiana , diretta dal partito comunista , il quale deve organizzare e dirigere la insurrezione armata delle masse rivolta alla conquista del potere . La terza parte deve comprendere il programma di governo dei comunisti , cioè deve dire che cosa si propongono i comunisti di fare dopo avere abbattuto il potere del fascismo e del capitalismo , nel periodo di transizione dal capitalismo al socialismo ( dittatura del proletariato ) . Bisognerà dire quali misure prenderà il governo operaio immediatamente dopo essersi costituito allo scopo di affrontare i conati della controrivoluzione e di togliere il potere economico al capitalismo ; in che modo lo Stato operaio si organizzerà , organizzerà l ' industria , l ' agricoltura , il consumo , la finanza , ecc . ; come affronterà la questione della terra , del Mezzogiorno , delle minoranze nazionali , delle colonie , del debito pubblico , del debito estero , delle imposte , ecc . Ritengo che questa parte debba essere sufficientemente sviluppata , e debba dare una risposta alle più importanti questioni che non solo gli operai , ma pure e specialmente i contadini , i piccoli esercenti , gli intellettuali e i tecnici pongono ogni qualvolta essi si sforzano di immaginarsi come i comunisti potrebbero dirigere lo Stato , e di raffigurarsi concretamente che cosa sia la dittatura del proletariato . d ) La quarta parte dovrebbe contenere i problemi della strategia , della tattica e della organizzazione del partito e della lotta rivoluzionaria , cioè il programma di azione . Il nostro programma di azione approvato dal Comitato centrale nel mese di ottobre 1927 e pubblicato nel n . 10 di Lo Stato operaio ( anno II ) ci dà una traccia che noi possiamo ricalcare . Bisogna però tener presente che il programma non è solo destinato ai compagni ma anche alle masse per cui in questa quarta parte occorre evitare una forma troppo didascalica , che può avere ed ha il suo valore quando un documento è indirizzato all ' interno , ai membri del partito , ma genera confusione se il documento è fatto per tutti i lavoratori . Richiamandosi alle parti a ) e b ) la parte d ) indicherà quali sono le forze motrici rivoluzionarie fondamentali della rivoluzione proletaria , a che punto oggi è il processo di formazione del blocco operaio - contadino , cosa occorre fare per accelerarlo . Quindi tutta la serie dei compiti che spettano al partito , di natura interna ( organizzativi , ideologici ) ed esterna ( di propaganda , di agitazione , di organizzazione delle masse ) , nella direzione operaia e contadina , sul terreno del lavoro coloniale e delle minoranze nazionali , ecc . Né dimenticare che il nostro è il partito della insurrezione , e perciò i problemi della insurrezione ( lavoro militare , lavoro nell ' armata , ecc . ) debbono avere un posto importante nel programma . IX Lo studio e la preparazione del programma non deve essere un compito affidato esclusivamente alla commissione del programma . D ' abitudine le commissioni lavorano in modo chiuso , e poi presentano alla discussione degli organismi che le hanno nominate un progetto di documento . Io credo che alla preparazione del programma debbono partecipare tutti gli elementi attivi del partito , tanto quelli che lavorano in Italia quanto quelli che sono sparsi nei cinque continenti . In che modo questa larga collaborazione si può ottenere ? La commissione stabilirà il tipo di programma che ritiene utile adottare , la sua struttura e le sue parti generali e particolari . Questo primo risultato del suo lavoro sarà reso pubblico a mezzo di Lo Stato operaio . Da questo momento il lavoro di studio e di preparazione del programma seguirà due direzioni : una verso l ' interno della commissione , ed una verso l ' esterno , verso i compagni e perché no ? verso la massa dei simpatizzanti . La commissione affiderà a ciascuno dei suoi membri lo studio di una parte del programma . I risultati di questi studi verranno pubblicati in uno o più articoli sulla rivista del partito . Su questi articoli la discussione pubblica dovrebbe essere aperta non solo ai membri della commissione ma ai compagni tutti . D ' altra parte i compagni non solo possono trattare sulla rivista le questioni poste dalla commissione , ma anche altre che non siano state poste . La discussione pubblica sul programma potrà offrire una buona occasione per una chiarificazione delle posizioni ideologiche e delle direttive del partito . Sebbene noi vogliamo avere presto il programma , non possiamo pretendere di averlo prima di alcuni mesi . Abbiamo , perciò , il tempo necessario per studiarlo e per prepararlo . Tutto il materiale della discussione pubblica verrà raccolto ed esaminato dalla commissione , e ridiscusso nella commissione la quale elaborerà il progetto di programma che sarà portato all ' esame ed all ' approvazione del Comitato centrale del partito . Approvato dal Comitato centrale del partito il progetto di programma resterà allo stato di progetto fino a quando non potrà essere convocato il IV Congresso del partito , giacché il programma non può essere approvato definitivamente se non da un congresso . Poniamoci , intanto , allo studio della questione del programma . Esso contribuirà ad elevare il livello ideologico dei compagni ; ed alla fine noi riesciremo a dimostrare che il nostro partito non solo sa stare degnamente al proprio posto di lotta ma è in grado di dare una soluzione a tutti i problemi della popolazione lavoratrice italiana , dinanzi alla direzione della lotta rivoluzionaria contro il fascismo ed alla successione al regime del fascismo e del capitalismo .
RAZZA, CULTURA E STORIA ( Abbagnano Nicola , 1967 )
StampaQuotidiana ,
Esistono razze umane superiori destinate ad avere nella storia un ruolo preponderante ? Anche dopo le tragiche esperienze della seconda guerra mondiale , che hanno mostrato il carattere micidiale del razzismo , la credenza nella superiorità di una razza sull ' altra persiste in vasti strati dell ' umanità e rischia di insorgere , come mezzo di difesa o di offesa , anche in gruppi etnici che di quella credenza sono stati finora le vittime . Quando Gobineau scriveva , verso la metà dell ' '800 , il suo Saggio sull ' ineguaglianza delle razze umane , insisteva sulla differenza delle attitudini proprie delle tre razze umane ( la nera , la gialla , la bianca ) , sulla superiorità delle attitudini della razza bianca e sul pericolo , cui questa andava incontro , di perdere tale superiorità con il suo mescolarsi con le altre razze . Su tali capisaldi si fonda in un modo o nell ' altro ogni dottrina razzista . Essi costituiscono un rigoroso determinismo razziale . Ogni razza possiede una certa costituzione anatomica o fisiologica ; questa costituzione determina le attitudini di cui la razza è provvista ; e queste attitudini determinano ciò che la razza è capace di fare e di creare in tutti i campi della sua attività . Solo la razza bianca ha attitudini per la scienza , per l ' arte , per l ' ordine giuridico e politico : pertanto la sua mescolanza con le altre razze non può che diminuire tali attitudini e produrre inevitabilmente la decadenza della civiltà che su di esse si fonda . Sappiamo oggi che questo edificio è fondato su basi d ' argilla . La biologia e l ' antropologia lo smentiscono . Il concetto di razza è soltanto un espediente classificatorio per distinguere i vari gruppi umani sulla base di caratteristiche fisiche che possono essere trasmesse per eredità , come il colore della pelle , la statura , la forma della testa , della faccia e del naso e via dicendo . Non esistono attitudini che siano necessariamente appannaggio di una razza determinata , perciò non esiste una superiorità razziale . La prevalenza di certe capacità negli individui di un gruppo umano determinato è un fatto statistico , favorito da circostanze geografiche , storiche e sociologiche . Queste circostanze , insieme alle risposte che gli individui di un dato gruppo danno alle sfide che esse propongono , costituiscono la civiltà o ( come meglio si dice ) la cultura del gruppo . É la cultura che condiziona prevalentemente gli individui umani imprimendo ad essi , sin dall ' infanzia , il suggello delle sue tecniche , dei suoi modi di vita e delle sue credenze . Al posto del concetto di razza , la scienza moderna privilegia quello di cultura . Ma la cultura non è un destino impresso nell ' uomo dalla sua struttura biologica ; è una creazione alla quale tutti gli uomini più o meno partecipano . Esistono culture superiori destinate ad avere nella storia un ruolo preponderante ? La stessa domanda che ha perduto il suo senso per ciò che riguarda la razza , lo riacquista se riferita alla cultura . Le culture umane sono numerose ( si contano a migliaia ) , e ognuna di esse consiste in un modo particolare di risolvere i problemi dell ' uomo ; è un insieme più o meno organizzato di modi di vivere e di lavorare , di credenze e di istituzioni . Ognuna di esse consente a un gruppo umano di sopravvivere , almeno finché persistono le condizioni alle quali è adeguata : ma alcune appaiono più attrezzate ad affrontare l ' imprevedibilità delle circostanze . Tale è appunto la nostra cultura occidentale . Non è dunque , essa sola , destinata a prevalere sulle altre e a diventare la cultura di tutto il mondo ? Molti dei nostri lettori conoscono , dagli articoli di Remo Cantoni , che cosa è l ' etnocentrismo . Cantoni ha ora ripubblicato quegli articoli adattandoli al contesto di un ' opera organica nel libro Illusione e pregiudizio che reca come sottotitolo « L ' uomo etnocentrico » . E sullo stesso argomento Claude Lévy - Strauss aveva pubblicato per l ' Unesco , alcuni anni fa , un lucido saggio , Razza e storia , che ora dà il titolo a una raccolta di studi pubblicati in traduzione italiana . Contro l ' etnocentrismo , cioè contro la credenza che al di fuori della propria cultura non ci sia che la « barbarie » , che il proprio modo di vivere sia il solo umano e che l ' umanità finisca dove termina il gruppo cui si appartiene , Lévy - Strauss adduce l ' argomento principe : questo è proprio il punto di vista dei barbari . Nella misura in cui pretendiamo stabilire una discriminazione tra le culture , osserva Lévy - Strauss , ci identifichiamo nel modo più completo con quelle che cerchiamo di negare . Il barbaro è , anzitutto , l ' uomo che crede nella barbarie . Non è possibile dunque stabilire nessuna distinzione di valore , nessuna gerarchia tra le culture ? Sotto un certo rispetto , questa è la tesi di Lévy - Strauss . Le culture non costituiscono nel loro complesso un ' unica linea evolutiva , di cui ognuna sia una tappa , e che culmini nella cultura occidentale come l ' evoluzione zoologica culmina nell ' uomo . Le culture primitive non sono tappe arretrate della stessa nostra cultura . Esse hanno quasi sempre la stessa età della nostra : hanno soltanto usato diversamente il tempo avuto a disposizione . Il progresso cumulativo delle culture non è necessario né continuo : procede a balzi , per mutazioni improvvise . É simile , non a una persona che sale una scala , ma al giocatore che suddivide la sua posta su parecchi dadi e spesso guadagna sull ' uno ciò che perde sull ' altro . Ogni cultura porta al progresso cosa inteso un suo contributo originale . Lo sforzo creativo , l ' intelligenza , l ' immaginazione , non sono privilegi di una sola cultura ma sono propri di tutte . Anzi , le società più lontane ed arcaiche ( i cosiddetti « selvaggi » ) hanno compiuto i progressi più decisivi : hanno inventato l ' agricoltura , l ' allevamento , la ceramica , la tessitura e quelle arti civili che da otto o diecimila anni hanno subito solo perfezionamenti . Lévy - Strauss tende a ridurre a una semplice differenza di grado o di punto di vista anche il contrasto tra il carattere immobile e stazionario delle culture primitive e il carattere mobile e progressivo della cultura occidentale . In realtà , le culture diverse dalla nostra ci appaiono immobili perché non siamo interessati al loro movimento , perché i loro progressi non hanno significato per noi ; o perché realizzano più lentamente e per vie traverse i nostri stessi progressi . Da questo punto di vista la civiltà mondiale non può essere determinata e dominata da un solo tipo di cultura . La civiltà occidentale riesce certo , meglio delle altre , ad accrescere la quantità di energia disponibile pro capite , cioè a proteggere e a prolungare la vita umana . Ma la civiltà mondiale deve consistere nel mettere insieme e capitalizzare le possibilità che ogni cultura ha sviluppato nel suo corso ; suppone dunque la coesistenza e la collaborazione tra le varie culture e la salvezza dei loro caratteri originali . « Cultura mondiale » è un concetto limite , una norma da seguire per realizzare , nella tolleranza e nella comprensione reciproca , la collaborazione tra le culture più diverse . Lévy - Strauss non si nasconde il pericolo che , via via che le culture escono dal loro isolamento relativo e collaborano insieme , la diversità iniziale tenda ad attenuarsi per dar luogo a un ' uniformità crescente di atteggiamenti , di tecniche , di modi di vita . Ma ritiene che , in ogni caso , il dovere dell ' umanità è da un lato quello di non adagiarsi in un unico modo di vita che la renderebbe una massa amorfa , e , dall ' altro , di far coesistere i modi di vita diversi . Ancora una volta , da queste pagine di Lévy - Strauss , emerge la caratteristica dominante del pensiero e del mondo contemporaneo : il ripudio dell ' unità , dell ' uniformità , del sistema unico e dell ' armonia definitiva . Ancora una volta ci viene additato , come sola via praticabile e non rovinosa , il pluralismo dei modi di vivere e di pensare , dei valori , degli atteggiamenti che si possono assumere di fronte al mondo . Ancora una volta si fa appello alle possibilità reali che sono a nostra disposizione e si abbandona la pretesa di possedere il sistema infallibile che , risolve tutti i problemi . Certamente , si tratta di una via lunga e difficile che è stata appena intrapresa . Pochi ancora sono gli uomini che si rendono conto che l ' unica tara fatale , per le culture come per gli individui , è l ' isolamento . Intolleranza , fanatismo , assolutismo , sono le manifestazioni più vistose delle volontà di essere soli , di contare da soli , di poter tutto fare da soli . Gli individui , come le culture in cui si raggruppano , sono ancora troppo spesso vittime , come molte delle loro istituzioni , della volontà d ' isolamento . Vincere questa volontà , a tutti i livelli e in tutti i campi della vita , è il compito più urgente cui siamo chiamati .
Caro Robotti ( Montanelli Indro , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Volentieri , caro Robotti , purché non mi consideriate infallibile . Intanto , noi non abbiamo fatto oroscopi . Abbiamo semplicemente espresso questi desideri : una toccatina alla Dc che , senza comprometterne il primato , la mettesse in guardia dai pericoli . dell ' accordo coi comunisti ; una toccatona al Pci che ne rintuzzasse la baldanza ; e un rafforzamento dei partiti laici . Inoltre abbiamo , come lei sa , proposto alle preferenze degli elettori un centinaio di candidati democristiani più o meno noti - e alcuni ignoti - di buona affidabilità liberal - democratica e moderata . Questo non era un oroscopo . Era un invito , al quale gli elettori hanno risposto come meglio non si poteva sperare . Ma perché vi hanno risposto ? Solo perché glielo chiedevamo noi ? Questa è la tesi degli sconfitti per mettere in imbarazzo i vincitori . L ' on. Galloni , che per primo ha dovuto pagare un pedaggio agli uomini nuovi della Dc , i quali lo hanno rovesciato dalla sua carica di capogruppo , dice che costoro sono il « partito del Giornale » . Ma lo dice solo per coalizzare contro di essi , facendo appello al « patriottismo » di partito - l ' unico patriottismo ch ' esse sentono - , tutte le mafie della Dc , regolarmente pronte a scannarsi fra loro , ma su un punto sempre solidali , e cioè che dentro il partito devono comandare solo gli uomini di partito , chi ascolta altre voci è un traditore che va messo al bando . Ma la verità è un ' altra . Gli uomini nuovi della Dc non sono affatto uomini del Giornale . I loro nomi noi li abbiamo trovati nelle liste compilate dalla stessa Dc , che forse si proponeva di avviarli alla trombatura . Noi li abbiamo indicati alla preferenza per le garanzie ch ' essi davano , non al Giornale , ma alla linea politica che il Giornale , ha sempre auspicato . Da quel momento il boccino è passato nella mano degli elettori . Sono loro che hanno fatto il gioco . Ma questa è una cosa che non potrà mai entrare nella testa di un Galloni . Non per mancanza d ' intelligenza , perché Galloni ne ha da vendere . Ma perché per un uomo di mafia come lui , tipico frutto dell ' « apparato » del partito , è semplicemente inconcepibile che gli elettori possano decidere di loro testa , con le preferenze , la linea politica del partito a cui danno il voto . Secondo Galloni , che lo ha anche candidamente detto ad una intervista ad un giornale romano , gli elettori hanno diritto solo al voto . Sul modo di amministrarlo può decidere solo il partito . Ebbene , tutto questo , piaccia o non piaccia all ' on. Galloni , è finito . Gli elettori , dopo un trentennio di passività , si sono resi conto che la linea politica del partito sta ai dirigenti attuarla , ma agli elettori indicarla . Ed è a questo loro risveglio che noi abbiamo dato contributo . Noi non ci illudiamo affatto di avere « determinato » i risultati del 3 e del 10 giugno , però non ci contentiamo di averli solo predetti o previsti . Da cinque anni , cioè da quando siamo nati , noi lavoriamo ad una ripresa di quei valori liberal - democratici che la classe politica sembrava voler mandare definitivamente in protesto , ma che noi sapevamo ben ancorati nella coscienza dei nostri lettori . E ' stata una battaglia dura e difficile . Ma che il mese scorso ha avuto il suo premio . Non abbiamo « determinato » nulla . Ma crediamo di aver molto contribuito a una certa inversione di tendenza : ed è stata questa che ha portato ai risultati di giugno . A vincere non è stato il Giornale , ma la linea politica per la quale il Giornale si batte , quasi solo , da cinque anni . Se ora a Galloni fa comodo dire che dentro alla Dc c ' è un partito del Giornale sottintendendo che esso è costituito da « traditori » della Dc , lo dica pure : noi possiamo anche ringraziarlo per la pubblicità che ci fa . Ma è una solenne balla . A questo punto lei mi chiederà : « Ma allora la scommessa chi l ' ha vinta ? » . Be ' questo non lo so . Ma se la posta è , come immagino , una cena , mettetevi a tavola e mandatemi il conto : ve lo pago io .
StampaQuotidiana ,
L ' Agenzia Stefani ci comunica il seguente dolorosissimo dispaccio : « Roma 9 - Un ' immensa sciagura ha colpito l ' Italia ! S.M. Vittorio Emanuele II cessò di vivere alle 2,30 p . m . dopo ricevuti i conforti della religione . S.M. Umberto , suo augusto figlio è salito al trono ed ha confermato ne l ' ufficio gli attuali ministri » .
StampaPeriodica ,
I nostri critici di tutte le risme , e che vanno dai fascisti ai trotskisti , trovano una contraddizione tra il nostro programma socialista e il nostro piano d ' azione contadina . Molti fra di essi ( e il signor Modigliani lo ha ripetuto recentemente ) osano affermare che noi non siamo così « ferocemente ( ? ) marxisti » o socializzatori nella campagna , come si crede ; altri pensano che noi ordiamo un trucco per i contadini allo scopo di averli dalla nostra parte nella lotta per la dittatura ; ma che poi , a vittoria ottenuta e consolidata , mostreremo loro la nostra « ferocia ( ? ) socializzatrice » . Saragat nel suo pietoso opuscolo sul Piano quinquennale , ha detto della politica di zig - zag seguita da Lenin e dal Partito comunista dell ' unione dei soviet dopo Ottobre , Salvemini ha affermato alla « Amendola » che i comunisti russi , nella questione della politica agraria , « vanno a tentoni » . I critici nostri più sereni non capiscono niente , o molto poco , della nostra politica agraria e contadina . In realtà i nostri critici o sono confessatamente antimarxisti , o abusano vergognosamente del nome di marxisti , fino al punto di fare di un Marx un portatore di verità rivelate . Marx e Engels hanno già luminosamente dimostrato come una delle condizioni di sviluppo del capitalismo è la ineguaglianza di sviluppo tra la città ( industria ) e la campagna ( agricoltura ) . Questa legge è valida in ogni caso : ma essa riceve una conferma schiacciante laddove esistono residui di forme economiche precapitalistiche , dove la rivoluzione democratica borghese , non è giunta alle sue estreme conseguenze , mentre si è formato e si è sviluppato il capitalismo finanziario . Un fenomeno della stessa natura lo si ha , su scala più vasta , su scala internazionale , tra le metropoli capitalistiche e la periferia coloniale o semicoloniale . Quale ne è la conseguenza dal punto di vinta dello sviluppo rivoluzionario ? I non marxisti , incapaci di vedere i fenomeni che avvengono nella campagna prodotti dallo sviluppo del capitalismo , brancolano davvero nel buio e allestiscono numerosi progetti per difendere la piccola proprietà , per allargarla , ecc ... ; cantando le lodi della vita agreste , facendo l ' apologia dell ' « idiotismo campagnolo » e disputando sul valore della grande e della piccola azienda . I cosiddetti aggiornatori di Marx pretenderebbero che il processo di proletarizzazione nella campagna avvenisse al cento per cento , per avere la prova della giustezza della profezia ( ? ) marxista . Siccome ciò non è avvenuto ( e non avverrà ) , quindi Marx si è sbagliato , e quindi non bisogna violentare le leggi naturali : è verso la piccola proprietà agricola che bisogna orientarsi , armonizzandola con un po ' di socialismo industriale . I marxisti del tipo massimalista ( perdonate la contraddizione ! ) e che sono né più né meno che dei marxisti volgari , si preoccupano meno di ciò che è la realtà che di inseguire le loro fantasie , e pensano che il socialismo in agricoltura sarà opera di poco conto , quando il proletariato avrà nelle mani il potere ( ma il potere bisognerà pur prenderlo , egregi amici , e questo non è cosa da poco conto ... ) . Serrati pensava che l ' Armata rossa avrebbe imposto il socialismo in agricoltura . Non si era egli neppur domandato chi avrebbe formato l ' Armata rossa ! Noi abbiamo già mostrato ( coi dati a nostra disposizione ) la tendenza del processo di differenziazione di classe nella campagna per quanto riguarda l ' Italia , tendenza che lo sviluppo del capitale finanziario eccitato dal fascismo accelera , e che è accelerata altresì dalla spinta della crisi generale economica , e dalla crisi agraria che ne è un aspetto particolare , e particolarmente grave . La stessa tendenza si osserva in tutti i paesi . Noi abbiamo parlato , per l ' Italia , di centralizzazione della proprietà ( diminuzione del numero dei proprietari in generale , aumento della quantità di terra posseduta da una piccola parte di essi ) . Siamo stati assai prudenti nel giungere a delle conclusioni sulla concentrazione della proprietà ( raggruppamento fisico delle diverse proprietà dello stesso proprietario ) , la quale , del resto , non si accompagna sempre alla centralizzazione ; e gli studiosi di questioni agrarie sanno che quello della concentrazione della proprietà è problema di difficilissima soluzione . Soprattutto abbiamo dimostrato che nell ' epoca del capitale finanziario il processo di concentrazione della proprietà agraria non avviene principalmente per la via della centralizzazione della terra ; ma per numerose altre vie le quali danno più spesso l ' illusione della piccola e media proprietà ; ma fanno in realtà dei piccoli e medi coltivatori una dipendenza del grande capitalismo . Noi studiamo le tendenze dei fenomeni : essi si accompagnano a delle trasformazioni dei rapporti sociali , esse danno la linea del movimento di tali rapporti e sono la vera indicazione scientifica alla quale è possibile far corrispondere una politica . La deduzione che occorre tirare da questi fatti è che le economie piccole e medie vanno in rovina ( non parliamo solo dei piccoli e medi proprietari , ma di tutte le categorie dei piccoli e medi coltivatori ) . Molte economie forti ( contadini ricchi ) sono gravemente scosse . Il numero dei salariati e dei braccianti ( e quindi dei salariati senza lavoro ) aumenta paurosamente . Il fenomeno è senza dubbio aggravato dalla crisi attuale ; ma esso è un prodotto della crisi generale del capitalismo , essenzialmente . Dato il carattere della crisi generale del capitalismo , la crisi agraria è sempre più chiaramente una crisi contadina , la cui soluzione è impossibile fuori della via rivoluzionaria . Gli obiettivi della rivoluzione contadina sono quelli della liberazione della terra dal giogo del grande capitalismo , del capitale finanziario . I contadini , anche quelli che sanno leggere e scrivere , non sanno qual è , in fondo , il loro nemico : essi lo vedono nel proprietario che dà a colonia o a mezzadria la terra , lo vedono nelle banche , nelle società che forniscono loro concimi e macchine , nelle società di assicurazioni , nell ' esattore , ecc ... Ma noi , che sappiamo leggere e scrivere , conosciamo il congegno di questa formidabile macchina . I contadini cacciati dalla terra vogliono ritornarvi . Molti braccianti vogliono la terra . In conclusione i contadini non sono spinti verso il socialismo , ma verso il possesso individuale della terra , dalla quale il capitalismo li caccia . Essi vogliono essere liberi sulla terra che lavorano . Il movimento dei contadini è dunque in una direzione democratico - borghese ; ma è contro il grande capitalismo . Questa contraddizione è il risultato della differenza di sviluppo fra città e campagna . Ma solo gli utopisti piccolo - borghesi di Giustizia e Libertà possono credere di dare una risposta alla esigenza dei lavoratori della terra salvando capra e cavoli . O si viene incontro alla spinta rivoluzionaria dei contadini , e allora bisogna abbattere il dominio economico e politico del capitalismo ; o si vuole salvare il regime capitalistico e allora è solo con l ' inganno e con la frode che occorrerà trattare i contadini , dando loro a credere che una ridistribuzione , dietro acquisto , della proprietà terriera possa risolvere i loro problemi . Perciò noi diciamo che la salvezza dei contadini lavoratori , in Italia , è in una via di sviluppo non capitalistica della economia agraria . Questa via suppone l ' abbattimento del potere politico del capitalismo , la rivoluzione proletaria , la dittatura del proletariato , la socializzazione della grande industria , delle miniere , delle banche , dei trasporti , del commercio estero e del commercio interno all ' ingrosso , l ' espropriazione dei grandi proprietari senza nessunissima indennità ecc ... La rivoluzione proletaria dà la terra ai contadini nello stesso momento in cui distrugge i centri essenziali del capitalismo . Dà la terra ai contadini mentre inizia lo sviluppo dell ' industria socialista . Difende il contadino contro il riprodursi dei fenomeni di differenziazione di classe sopprimendo la compravendita della terra . Nello stesso tempo in cui compie la rivoluzione democratico - borghese , la rivoluzione proletaria pone le condizioni che ne limitano , ne ostacolano lo sviluppo naturale , il quale sviluppo naturale sarebbe quello capitalistico borghese . La via di sviluppo non capitalistica della economia contadina comprende le forme e le condizioni del passaggio verso il socialismo in agricoltura . Questa via può essere più o meno lunga , più o meno accidentata . Essa continua la lotta di classe , in altre forme . Ma nelle condizioni del potere assicurato alla classe operaia , in stretta unione con i contadini poveri , garantendosi l ' alleanza degli operai e dei contadini poveri coi contadini medi , sviluppandosi l ' industria socialista , la cooperazione di scambio tra città e campagna , e le aziende agricole socialiste modello , e la cultura tra le masse , il passaggio potrà essere più rapido . Non vi è dunque una contraddizione tra il nostro programma agrario e le rivendicazioni transitorie della rivoluzione proletaria , corrispondenti alla soluzione dei problemi non risolti dalla rivoluzione democratico - borghese . Queste rivendicazioni noi non possiamo eluderle ; ma non eludendole noi restiamo pur sempre sulla linea dello sviluppo conseguente della rivoluzione socialista ; anzi , restiamo sulla via giusta , senza saltare al di sopra delle masse e senza fermarci a mezza via il che equivarrebbe ad una sconfitta della rivoluzione proletaria . I nostri critici volgari modulano numerose variazioni sul tema della « terra ai contadini » . Il Salvemini ( ci occupiamo di lui perché è fra i tecnici più accreditati di Giustizia e Libertà ed è il padre del progetto di riforma agraria di questa organizzazione ) , il Salvemini ha fatto molto spirito nel suo recente rapporto alla « Amendola » di Parigi intorno al motivo della divisione della terra . Egli ha sottolineata la stupidità di una nostra frase « sui quattro milioni di salariati da lanciare contro la grande proprietà » . Perché tanto spirito ? Perché il Salvemini e tutti i nostri critici volgari ritengono che l ' essenziale della nostra formula « la terra ai contadini » sia la divisione della terra ai contadini che non ne hanno . Avendo ridotta ad una banalità questa nostra formula strategica e cadendo nel tecnicismo piccolo - borghese , è facile fare dello scherzo . È necessario , perciò , ripetere che « la terra ai contadini » vuol dire , per noi , prima di tutto ed essenzialmente , la lotta dei salariati agricoli e dei contadini lavoratori contro la grande proprietà fondiaria e contro il grande capitalismo agrario , per il loro abbattimento . In tal senso , l ' immagine figurata dei quattro milioni di salariati da scagliare contro la grande proprietà è del tutto esatta . Ed è esatta anche come numero , perché per noi le donne dei salariati e i figli ( non quelli di un anno , purtroppo ! ) sono da scagliare nella lotta . Potrà la rivoluzione dare a tutti i braccianti che la vogliono , la terra ? Posto così il problema , esso sembra imbarazzante , ma solo a quelli che usano confettare gli stronzoli della saggezza . La rivoluzione dovrà dare la terra a tutti i salariati che la vogliono , e dovrà fare il possibile di darne ancora un supplemento a quelli che ne hanno poca . E dove si andrà a prendere questa terra ? Il fatto che in Italia non c ' è tanta terra da darne a tutti i senza terra , anche dopo che fosse stata spezzata l ' azienda agricola industrializzata , significa che in Italia si porrà in modo più urgente il problema del socialismo in agricoltura . Noi abbiamo in Italia condizioni più favorevoli assai di quanto non esistessero in Russia nel 1917 , per marciare verso il socialismo nella campagna . Noi abbiamo aziende capitalistiche moderne , attrezzate ; noi abbiamo un ' educazione tecnica che mancava assolutamente ai contadini russi ed una condizione politica ed associativa tra i salariati agricoli , ed una esperienza di lotta di classe che non ci sembra trovino riscontro in nessun altro paese del mondo . Questi elementi sono a favore di un processo accelerato verso la economia socialista . Ciò che occorre è che i salariati agricoli si convincano che l ' economia socialista è per essi vantaggiosa . Se essi , specie nelle zone fondamentali di bracciantato , si convinceranno ( e noi non abbiamo dubbi ) , le attuali aziende agrarie capitalistiche saranno facilmente trasformate in aziende agricole di Stato . Laddove i salariati non si convinceranno subito noi spezzeremo anche l ' azienda industrializzata , noi compiremo un tal misfatto contro la produzione , giacché l ' interesse primo della rivoluzione è di assicurarsi una vittoria durevole ( Lenin ) . Ma queste misure antieconomiche non saranno generali , e saranno di non lunga durata . Giacché lo sviluppo del socialismo in agricoltura , nello Stato proletario che ne è la condizione , sarà l ' unica via per risolvere la « questione demografica » , la quale è una « questione » solo in regime capitalistico e di sfruttamento dell ' uomo sull ' uomo ; ma non esisterà più in regime socialista . Tutti i piccoli borghesi riformatori italiani , in polemica con noi trovano irreale il nostro programma perché l ' Italia non ha materie prime ed ha una popolazione numerosa . Ogni operaio che abbia fatto le nostre scuole di partito sa che oltre al resto , sono proprio queste ragioni che pongono dinanzi al proletariato italiano ed ai contadini lavoratori la inevitabilità del socialismo . I piccoli borghesi riformatori non comprendono che il problema delle materie prime non si pone , come problema della produzione , che dopo la vittoria del proletariato ; e che allora esso acquista un carattere diverso da quello che ha oggi . In via astratta è facile dimostrare che un paese che non sia la Russia , che non possegga cioè tutto ciò che possiede la Russia in ricchezze naturali , può iniziare egualmente la costruzione di una economia socialista , forzando gli inesauribili campi della scienza e della tecnica . Ma perché fare delle dimostrazioni in astratto , quando vi è una Russia socialista in sviluppo , e quando facilmente è comprensibile che una rivoluzione proletaria vittoriosa in Italia sconvolgerebbe gli attuali rapporti europei ? Credete voi che la Russia abbia utilizzato meno le contraddizioni interimperialistiche e l ' appoggio del proletariato mondiale che le sue ricchezze naturali , per vincere e per svilupparsi ? I capitalisti si sono appropriati delle fonti di materie prime con le guerre coloniali ; il proletariato le troverà nella rivoluzione stessa : queste sono le due vie per risolvere il problema delle materie prime . Infatti Giustizia e Libertà sceglie la prima via , poiché non può scegliere la seconda : ma non ne trova una terza . La teoria dell ' espansione democratica italiana sostenuta dal Salvemini è , in fondo , la teoria nazional - sindacalista della « nazione proletaria » con il correttivo della limitazione delle nascite . La questione demografica , per Salvemini , si risolve così : dare la terra ai contadini e far emigrare i braccianti . Dove emigreranno i braccianti ? Si porrà subito un problema della emigrazione , e quindi della difesa dell ' emigrazione , e quindi espansione . Tutti i motivi della « nazione proletaria » coi quali Corradini e Labriola , Orano ed altri sostennero la impresa libica e le altre imprese di guerra ; tutti i motivi sui quali poggia la propaganda imperialistica attuale ( « espanderci o esplodere » , ecc ... ) sono fatti propri dal Salvemini e dalla compagnia di Giustizia e Libertà . Sono i motivi dell ' imperialismo aggressivo italiano , del fascismo , della prossima guerra fascista . Invece per noi la questione delle materie prime e quella della sovrapopolazione si risolvono nel socialismo . Nel socialismo ogni donna può fare o no dei figli , può interrompere quante volte vuole la gravidanza ; è questa una libertà individuale che essa si sarà conquistata con la rivoluzione ; ma non è una direttiva sociale , ché , in tal caso , significherebbe il fallimento del socialismo . Lo sviluppo senza limiti della tecnica , che solo il socialismo può promuovere , non si risolve nella inutilizzazione di una massa crescente di forza di lavoro , bensì in una diminuzione dello sforzo sociale per produrre i beni necessari all ' esistenza . Lo sviluppo della tecnica , in regime capitalista , ha come conseguenza la formazione di un esercito di disoccupati , il regime socialista ha bisogno di tutti , i quali invece di 8 ore , lavoreranno 7 ore , e poi 6 , e poi 5 dando il resto del tempo allo sviluppo culturale , fino a distruggere la differenza esistente fra lavoro fisico e lavoro intellettuale . Noi comunisti , ed il proletariato rivoluzionario , non vediamo come una disgrazia l ' accrescimento della popolazione , della natalità : la dottrina della limitazione delle nascite , come dottrina sociale , è una dottrina borghese ; e il fatto che il fascismo le abbia mosso contro una tanto accanita guerra si spiega con la debolezza dell ' imperialismo italiano che , in mancanza di popolazioni di colore da sfruttare , in mancanza di un apparato tecnico sviluppato , ha bisogno di una massa di schiavi italiani e proletari che gli assicurino il profitto . Salvemini proclama che il dogma della socializzazione della terra deve essere abbandonato . I riformisti italiani , che avevano scritto nello statuto della Federterra che non poteva essere membro della organizzazione chi non volesse lottare per il fine della socializzazione della terra , hanno fatto proprio l ' invito salveminiano . Si sono essi pentiti degli errori commessi ? A noi sembra che oggi come ieri essi vogliano impedire la rivoluzione contadina , e ritornare quatti quatti alla comoda politica delle cooperative che faceva imbestiare , a suo tempo , il professor Salvemini . I capi di Giustizia e Libertà , che non possono fare a meno di occuparsi di noi ( e ciò fa loro onore , perché mostra che sono presenti nella situazione ) hanno però la disgrazia di non studiarci , per lo meno con altrettanta cura di quanto non ne mettiamo noi nell ' occuparci delle loro cose . E perciò è nata in essi una sorta di convinzione che noi siamo , noi comunisti italiani , molto transigenti in fatto di socializzazione dell ' agricoltura . « In Italia » , essi dicono , « i comunisti sono assai transigenti , ecc . » I nostri critici apprenderanno con piacere ( ? ) che i comunisti francesi sono più transigenti di quelli italiani , mentre i comunisti cubani sono meno transigenti dei comunisti russi . Che cosa è questa storia della transigenza di cui parlano i capi di Giustizia e Libertà ? Non è altro che il modo nel quale noi rispondiamo alla questione agraria nelle diverse situazioni . Polemizzando con Bakunin , Marx disse già : « ... dove il contadino esiste in grandi masse come proprietario privato di terra , dove esso costituisce persino una maggioranza più o meno considerevole , come in tutti gli Stati dell ' Europa occidentale , dove non è scomparso e sostituito dal bracciante , come in Inghilterra , avviene quanto segue : o il contadino ostacola , fa fallire qualsiasi rivoluzione operaia , come ha fatto sinora in Francia , oppure il proletariato ( poiché il contadino proprietario non appartiene al proletariato e anche quando , per la sua situazione , vi appartiene , non crede di appartenervi ) deve , come governo , prendere delle misure in seguito alle quali il contadino migliora immediatamente la sua situazione ed è così conquistato alla rivoluzione ; misure che , tuttavia , in embrione , facilitano il passaggio dalla proprietà privata della terra alla proprietà collettiva ; in modo che il contadino vi pervenga economicamente da sé ... » . Questa direttiva del modo di portare il contadino al socialismo è giusta sempre , ma varia , dunque , a seconda che la tradizione della proprietà privata della terra sia più o meno forte , più o meno diffusa ( rapporti tra i proprietari e le altre categorie contadine , e il proletariato agricolo ) , sia sparita ( come nelle piantagioni dell ' America centrale e meridionale ) . In altri termini , è più facile nazionalizzare e socializzare le piantagioni di caucciú o di caffè del Brasile che la terra del contadino francese . Noi siamo , quindi , « transigenti » , perché sappiamo partire dallo stadio attuale di sviluppo della economia agricola italiana e dall ' orientamento delle spinte che mettono in movimento i contadini , per facilitare la vittoria del proletariato e per porre le condizioni dell ' avviamento al socialismo . In altre parole , noi siamo i soli veri socialisti , i socialisti che socializzeranno tutta l ' economia . È questa la via seguita dai comunisti russi , la via scientifica . Non ve ne è un ' altra . Dunque , noi non abbiamo abbandonato « il dogma » della socializzazione : chi lo ha abbandonato sono coloro che non erano socialisti quando lo sbandieravano a destra e a manca , allontanando dal proletariato industriale i contadini , e sabotando la rivoluzione . La nostra « transigenza » significa la consapevolezza della realtà , il rigetto di ogni utopismo o menzogna , la utilizzazione delle forze reali delle masse povere o impoverite della campagna italiana ( italiana ) e dell ' obiettivo verso cui esse si muovono o si muoveranno . I nostri avversari piccolo - borghesi capiscono certo istintivamente il senso di questa strategia , tanto che nessuno di essi è sul nostro fronte contadino : la nostra « transigenza » li impaurisce . E allora ci confutano su terreno tecnico . Oibò ! Vogliono dimostrarci che l ' industria agraria è diversa dalle altre industrie ( bontà loro ) , che i mutamenti di clima e di altitudine richiedono metodi di coltura differenti ( quanta scienza sprecata , egregio Lussu : non ti pare ? ) : e ci dicono che per certe colture la piccola azienda non è sostituibile con la grande , ed altre cose eccellenti . Qui ci piacerebbe fare una scorribanda sulle possibilità tecniche nell ' agricoltura in regime socialista , e far raccapricciare i « tecnici » di Giustizia e Libertà . L ' applicazione della chimica e della elettricità all ' agricoltura e la regolamentazione dei venti e delle precipitazioni che oggi sono ancora nello stadio infantile , e che con il socialismo avranno un impulso gigantesco , scardineranno tutte le meschine e limitate opinioni dei nostri tecnici . La Russia comincia a darne esempi ( sono i primi esempi ) che aprono orizzonti nuovi e non intravvisti prima . Ma anche restando al livello attuale della tecnica , chi ha mai detto che la piccola azienda debba essere per forza legata alla proprietà privata ? I1 Salvemini ha imparato alla scuola elementare che il piccolo contadino pianta l ' albero perché è sicuro che suo figlio ne godrà i frutti . Roba da mettersi a piangere di commozione . ( E dire che nessuno si commuove quando il contadino che ha piantato l ’ albero deve vendere tutto e piantare baracca e burattini ! ) Ma , il socialismo , oltreché cambiare la natura cambia l ' uomo ? Salvemini non potrà crederci . Se ne accerti . Il socialismo cambia l ' uomo e i suoi sentimenti . Perché il senso della proprietà privata è così forte e radicato ? Nel mondo la proprietà privata non è sempre esistita , non è una legge di natura . Il modo di produzione è la base d ' ogni civiltà e d ' ogni cultura . Perciò noi ridiamo delle obiezioni « tecniche » al socialismo in agricoltura . Il proletariato è portatore di uno sviluppo tecnico infinite volte superiore all ' attuale , illimitato . Abbiamo il diritto di domandarci : sono davvero dei « tecnici » i nostri contraddittori ? O non sono solo dei furbi propagandisti dell ' avversario ? Giacché il tecnico che abbia il possesso delle immense possibilità scientifiche non può aver paura della rivoluzione proletaria . Direi quasi che esso dovrebbe desiderarla per poter espandere le sue facoltà e contribuire con tutte le forze intellettuali all ' elevamento prodigioso dell ' umanità . È ciò che dicono i tecnici d ' America , di Germania e di altri paesi che lavorano nella Russia del piano . Sono dei tecnici i nostri contraddittori ? Sono soprattutto dei funzionari del capitalismo , senza dignità scientifica , senza ambizione di ricerca . La loro confutazione tecnica non scalfisce il nostro programma socialista , né il nostro programma di azione contadina . L ' uno e l ' altro sono sulla stessa linea di sviluppo , che è quella della rivoluzione proletaria . Per fortuna nostra e della rivoluzione nel mondo oggi abbiamo una grande esperienza che sino a quindici anni fa ci mancava . Essa è tale da distruggere una ad una tutte le critiche avversarie . Questa esperienza deve essere conosciuta dalle larghe masse dei contadini italiani . I quali faranno come in Russia , costringendo gli attuali sedicenti benefattori di Giustizia e Libertà e della « concentrazione » a morire di disperazione .